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Autore: Klainbow    11/04/2014    11 recensioni
Kurt è un vagabondo con una storia troppo grande e difficile da portare sulle spalle.
Blaine è il classico figlio di papà a cui non manca nulla.
Cosa succede quando l'amore è più prezioso di qualunque altro valore?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Nuovo personaggio | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Saaaaalve, meraviglie! 
Yep, sono ancora io, potete crederci? Quant'è che ho resistito? Una settimana, o forse anche meno? E' più forte di me, non posso farci nulla. 
Dopo Stalker sono stata pervasa da un magone continuo, e vi dirò, la nostalgia non mi è ancora passata, e non credo lo farà molto presto.  
Proprio per questo ho deciso di pubblicare una nuova fic, sperando che possa distrarmi da questa dolorosa e, dopo averci riflettuto un po', anche prematura fine (non uccidetemi!). 
L'idea mi è venuta dal nulla già da qualche mese, ma non ho mai avuto il tempo necessario per svilupparla a dovere. Per adesso non c'è molto da dire, tranne che non ne sono molto convinta, anzi, l'opposto. 
Credo che per decidere se aggiornare ancora mi affiderò a voi ed ai vostri pareri. 
 
Spero con tutto il cuore che possa piacervi çwç 


 
 
Alle mie #sgs girls e al Crisscolferateci. I love you, family. 
 
 
 
Home Is Where The Heart Is. 
 
 
Avevo soltanto due anni quando la mia vita cambiò irreparabilmente per sempre. 
Ero appena un bambino quando persi i miei genitori in un incidente d'auto e fui trovato per strada da Katherine e la sua famiglia, un gruppo di vagabondi provenienti da ogni parte d'America. Mi piace definirli artisti. Non ho mai visto nessuno cantare o ballare come loro, metterci così tanta passione ed energia da farti credere, senz'ombra di dubbio, che siano nati per farlo, per comunicare alla gente la voglia di vivere soltanto esibendosi. 
Se mi chiedessero la definizione di ''geni del movimento'', o qualcosa del genere, non esiterei un attimo a fare il nome di questi ragazzi. 
Sono arrivati qui a New York pieni di sogni, aspettative e speranze che la vita ha sorpreso senza alcuna possibilità di rendita, troppo ingiusta e terribile per accontentare tutti, e troppo pretenziosa per aiutare i più deboli; bambini abbandonati fuori alle case di sconosciuti, partendo da luoghi improbabili, di questi tempi, come i boschi fino ad arrivare a Central Park o a Times Square, nei centri commerciali e persino per le strade affollate della metropoli. Uomini che perdono la famiglia o il lavoro, oppure se stessi, e non cercano altro che un posto in cui stare. 
Abbiamo preso con noi addirittura tre cani ed una gatta. 
Inizialmente ero stupito da quanta gente riuscissero a trovare e portare a Casa senza neanche il mimino tentennamento, ma la cosa per cui non smetterò mai di restare sconvolto, è la consapevolezza, acquisita con gli anni, di quante persone, in un modo o nell'altro, vaghino senza una meta ben precisa, un obbiettivo di vita, su questo pianeta.
Vorrei che la gente ci conoscesse per quello che siamo davvero, senza sparare sentenze ed insulti a zero solo per ciò che vedono, come se fossero migliori di noi, come se ci considerassero poco più che animali randagi, una razza leggermente più evoluta ed in grado di stare su due zampe. Eppure non capisco come sia possibile. Quando vado in giro per i mercati a chiedere qualche moneta (quasi mai, perché non mi piace fare l'elemosina, lo trovo imbarazzante e poco dignitoso, ma cosa posso fare?), o a guadagnarmela esibendomi nelle piazze e lucidando le scarpe ai ricchi signori sui marciapiedi, la gente si dimostra sempre così ritrosa e scortese con me, che a volte vorrei soltanto accucciarmi a terra, stringermi le ginocchia al petto e piangere, piangere fino a non ricordare più chi sono o il motivo per cui avevo assunto quella posizione. 
Odio tutto questo. Mi guardano dall'alto in basso, con quella puzza sotto al naso e quelle espressioni disgustate, e spesso, più di quanto riesca ad ammettere senza sentirmi dannatamente sbagliato, mi negano la mancia - di cui necessiterei per cercare di sopravvivere in questo mondo storto - inventandosi scuse ridicole, nel migliore dei casi, oppure guardandomi negli occhi e dirmi senza giri di parole che i loro soldi valgono più di uno come me, e che non li merito. 
Ogni volta, tornare a casa senza aver rimediato nemmeno un quarto di dollaro o un pezzo di pane da dividere tra i bambini, è sempre più doloroso. Ogni volta, incrociare lo sguardo speranzoso di Katherine, Samantha e Karyn, che mi aspettano affacciate alla finestra, quella dai vetri rotti che da sulla strada, per poi doverlo distogliere, cercando di far capire senza dover ricorrere alle parole, che no, ancora, non sono riuscito a trovare nulla, mi fa sentire sempre più debole ed incapace di provvedere alla mia famiglia come dovrei. 
Ma quando mi sento in questo modo, anche prima che i sensi di colpa mi assalgano, c'è sempre qualcosa in grado di aiutarmi. Mi basta pensare a loro, e al coraggio che sembra essere parte delle loro anime, come una qualità inscindibile, fusa ad esse. 
''La Casa è sempre a disposizione. Più siamo, meglio è.'' è diventato il nostro motto, ormai. Mi compiaccio sempre più di quanto le donne che gestiscono questo posto possano essere straordinarie. Ti darebbero tutto, anche se in realtà non hanno nulla. 
Non ci piace definirci ''senza tetto'', perché non sarebbe esatto. Questo è quello che pensa la gente che ci vede per strada, quella che strattona via da noi i loro figli, e si tiene strette le borse a sé. 
Qualunque cosa pensino, con quelle menti che lavorano freneticamente per trovare altri stereotipi da rifilarci, non potrebbe essere più sbagliata. Abbiamo un posto in cui stare, una tana tutta nostra in cui poter essere noi stessi senza preoccuparci delle conseguenze. 
La Casa, è così che la chiamiamo. Così grande e straordinariamente condivisa che non c'è bisogno di darle un appellativo o affidarle un particolare cognome, come ogni casa di questa città che si rispetti. C'è solo un grande ed imponente ''La'' a precederla, quasi volesse richiamare le caratteristiche del nostro rifugio. Un edificio abbandonato dalle pareti scrostate, rivestite da un variopinto strato di muffa, e le finestre penzolanti dalle dimensioni immense e gli archi alti. E' piuttosto mal messo, ma per me è perfetto così com'è. E' così da quando ne ho memoria. Ha quel giusto sapore di appartenenza ed affetto che solo questo posto, ironicamente sprovvisto di ogni sistema di sicurezza, può donarmi. Certo, con un retrogusto di caos, condito da una dose industriale di drammi adolescenziali e non, ma considerando quanta gente ci vive, ormai anche questo fa parte della mia folle normalità. 
Sorrido affettuosamente al pensiero. 
 
Oggi Claire affronterà il suo primo giorno di scuola, all'asilo comunale. Tocca a me accompagnarla, non potrei esserne più entusiasta. E' l'unica che abbia mai avuto quest'opportunità, io e gli altri studiamo a casa, con quello che possiamo. Il vantaggio dell'avere una casa che ospita tutti è che tra i coinquilini si potrebbe beccare un aspirante professore, o qualcuno che ha perso quest'impiego, ed in effetti è proprio quello che ci è capitato.
Il Professor Michael Boston ci offre lezioni di inglese, letteratura, storia e filosofia in cambio di vitto ed alloggio. Ottimo affare, no? Ovviamente, Katherine non se l'è lasciato scappare, ma sia io che lei sappiamo benissimo che anche se non avesse accettato di aiutarci sarebbe stato comunque il benvenuto. 
 
Claire è l'unica figlia di Katherine e Robert, suo marito. L'ironia del destino ha voluto che non fossero riusciti a concepire un figlio finché non sono finiti a vivere nella Casa, con soltanto qualche spicciolo in tasca e nient'altro.
La felicità della notizia è stata più forte del dolore. Non la vedo piangere dalla sera in cui ha scoperto di essere incinta, e questo è un bene. Vuol dire che in lei c'è ancora speranza di una svolta positiva, almeno per noi giovani. 
Quell'adorabile peste travestita da bambina è fortunata, circondata com'è da tutto l'amore che possiamo offrirle.
 
Per quanto riguarda me, invece, non so molto dei miei genitori, anzi direi che ''nulla'' sia decisamente più appropriato, per dare un'idea. Katherine mi ha soltanto raccontato che è successo di notte. Lei era per strada a rovistare in giro - ci ha sempre ordinato di farlo al calar del sole, per non dare nell'occhio più del dovuto - quando ha sentito un rumore di freni che guaivano incontrollabili, delle urla disperate e poi - il botto. Un pirata della strada aveva travolto tre macchine, due delle quali non avevano subito lo scontro con la stessa violenza che era toccata alla prima, e gli unici danni inflitti erano stati riscontrati ai paraurti ammaccati di entrambe le auto e qualche vetro rotto - dice di non ricordare di quale finestrino si sia trattato, ma io vorrei ricostruire la scena e riunire tutti i pezzi, almeno quanto più possibile, ed anche una cosa all'apparenza di minore importanza come questa aiuterebbe.
Ad ogni modo, non era risultato nemmeno un ferito. 
Tranne che per gli Hummel. Non c'era stato niente da fare, erano morti dissanguati dopo pochi secondi. Burt Hummel, mio padre, è stato trafitto dalle lame di vetro del finestrino del posto di guida e del parabrezza. A quanto pare i tagli erano così profondi che il cuore ha ceduto all'istante, e che tra le tante ipotesi fatte, la causa della morte sia stata schedata in quel modo. Era stato infilzato. 
Elizabeth, mia madre, è stata schiacciata durante lo scontro con una forza tale che ha colpito il parabrezza fino ad attraversarlo, nel momento in cui stava andando in mille pezzi. Dovettero impiegare più tempo del previsto per sollevare il suo corpo senza vita dal cruscotto. I pezzi di vetro rimasti ancora attaccati ad esso l'avevano dilaniata. 
Katherine dice di averlo letto sul giornale uscito il mattino dopo. Senza di quello, a quest'ora non conoscerei neanche il mio cognome. 
Ma ormai è solo questo che mi lega a loro. Un cognome. Qualcosa che non mi dice nulla su che tipo di persone fossero, o se mi amassero. O se Burt avesse amato Elizabeth, se la loro fosse stata un'unione d'amore.
Nel profondo del mio cuore, dove nessuno può guardare, custodisco delle sensazioni inspiegabili che mi suggeriscono che è così. 
Il motivo per cui ci trovavamo qui era una vacanza. Il 14 Ottobre di sedici anni fa. 
Mi ritrovo spesso a domandarmi perché proprio in quel mese. I miei erano una sorta di hippy, fissati con gli scherzi di cattivo gusto e un inclinazione verso il sovrannaturale? Non mi risulta vi siano delle altre festività in quel periodo, oltre ad Halloween. 
E' solo che.. mi sembra improbabile. 
Forse mio padre non poteva permettersi degli altri giorni, in altri mesi dell'anno, ed il momento adatto era soltanto quello. Magari il suo datore di lavoro gli aveva dato un 'prendere o lasciare', ed avevano deciso di partire. 
Forse, quando me l'avranno comunicato, avrò saltellato felicemente per la casa con la lingua che guizzava vivace tra lo spazio in cui mancavano i denti, e poi loro mi avranno abbracciato, ridendo inteneriti della mia piccola festicciola.
Forse eravamo una bella famiglia, ma per quanto mi sforzi, oltre ad alcuni flash, non riesco a ricordarmene. Forse lo saremmo stati.
Sono nato in Ohio, a Lima, e questo è quanto. L'articolo non parla d'altro, non accenna neanche all'esistenza di un loro figlio, e questa è una delle cose che non ho mai capito. 
L'unica cosa che so, è che adesso la mia vita è questa qui. 
Katherine aveva soltanto vent'anni quando mi ha trovato, o meglio, rapito, dal sedile posteriore della loro modesta macchina d'epoca. Avevo soltanto qualche livido, e piangevo. Nel vortice di urla, sirene dell'ambulanza e della polizia, dei vigili che ordinavano con determinata severità di circolare lontano da lì e del chiacchiericcio dei passanti, con scaltrezza e il passo delicato di una gazzella, è riuscita a portarmi via da quella nuvola di fumo nero e sangue senza essere notata. 
Ricordo vagamente dei primi giorni a Casa. Ricordo di aver chiesto più volte di mamma e papà, e di aver ricevuto in risposta delle frasi di circostanza che giravano intorno al nulla.
Fu soltanto dopo i miei cinque anni, che iniziai capire e ad assimilare pian piano tutto ciò che mi era successo. Mi spiegarono i motivi per cui mi avevano portato via di lì con una delicatezza tale che dimenticai immediatamente di avercela con loro.
Non avrei avuto una bella vita, passando da una famiglia all'altra e soggiornando in un orfanotrofio, il cui unico svago sarebbero stati gli amici, che prima o poi mi avrebbero imposto di dimenticare. 
Credo molto nel fato: le coincidenze non mi sono mai piaciute. Avevo bisogno di loro prima ancora di conoscerli. 
Mi hanno trattato fin da subito come un figlio, occupandosi di me con la pazienza che soltanto una mamma può avere. Non si sono mai arrabbiate, né quando mi rifiutavo di mangiare, né quando rispondevo male. Capivano il mio comportamento, e facevano in modo che col tempo anch'io ci arrivassi. 
Non smetterò mai di ringraziarli. Mi hanno reso l'adulto responsabile e consapevole che sono adesso. 
 
 
* * *
 
 
E' una bella giornata, i raggi di sole spaccano le pietre, mentre il clima è reso piacevole dall'aria fresca e piovosa di Settembre. Non ho lezione stamattina, Michael è uscito all'alba per cercarsi un lavoro e non credo sarà di ritorno fino a questo pomeriggio. Probabilmente sarà troppo stanco per spiegarci un nuovo argomento, perciò suppongo che oggi sia completamente libero. 
Mi sono svegliato stranamente di buon umore, con una gran voglia di ballare che mi percorre tutto il corpo come una scarica irrefrenabile di elettricità. 
E' così che programmo la mia vita tutti i giorni: mi sveglio, guardo il cielo e decido cosa fare a seconda di quello che sento. 
E adesso, avvertendo la frenesia del caos cittadino penetrarmi fin sotto la pelle, sento di voler correre in piazza a mostrare a tutti chi sono, e magari, non si sa mai, per rallegrare l'umore di qualcuno. Mi farebbe un immenso piacere sapere di essere fonte di un momentaneo piacere della vita, di averla alleggerita dal proprio carico almeno per il tempo di una canzone, mi fa sentire parte della comunità. 
E' stupido, lo so, soprattutto considerando quanto questa mi disprezzi. Ma non m'importa; quando si tratta di muoversi in favore della musica, sono felice comunque. 
Prendo un grande respiro e sorrido luminoso, stiracchiandomi pigramente. Devo andare a svegliare Eric e Mag, sono sicuro che vorranno venire con me. 
 
Scendo le scale facendo più rumore possibile: sono tutti fuori, ormai, sarà divertente sentirli imprecare contro di me e raggiungermi con quella loro aura assassina perennemente presente. 
''BUONGIORNO!'' urlo a squarciagola, stringendo poi le labbra per non ridere. 
Cosa che non posso evitare di fare quando me li ritrovo davanti, pochi minuti dopo, con la suddetta espressione sul viso e i capelli arruffati. Arraffo una mela dal cesto di frutta e mi do un'ultima sistemata ai capelli, scuotendo il capo divertito.
''E' ora!''
 
* * *
 
La piazza, come immaginavo, è gremita di gente indaffarata che ci passa davanti senza degnarci di uno sguardo. 
Succede sempre così, prima di iniziare. Ci ho fatto l'abitudine, è quasi piacevole.
Sono un po' nervoso, devo ammetterlo, ma l'adrenalina sta già cominciando ad agire, percorrendomi la spina dorsale e mostrandosi sotto forma di brividi. E' una sensazione unica.
Accendo il piccolo stereo che ci siamo portati dietro e lo poggio su una scatola al centro dello spazio che ci siamo ricavati. 
Dalle casse inizia a diffondersi - gracchiante e un po' stridente a causa della qualità dello stereo - la melodia di una nuova hit. 
Faccio scricchiolare la schiena e prendo posizione, con Eric alla mia sinistra e Mag alla mia destra. Cado in ginocchio, le mani che mi nascondono il viso, e seguo il ritmo della canzone, lasciando che fluisca in me, che diventi parte della mia persona.
 
Alzo piano lo sguardo, fissandolo nel vuoto, e faccio strisciare il piede destro davanti a me con lentezza, slanciandomi in avanti fino a generare un onda che mi fa scattare in piedi in un solo colpo. 
Porto le braccia sopra il capo e lascio che le mani viaggino dallo stomaco al basso ventre, accarezzandomi la pelle sotto la canottiera con sensualità; nel frattempo i miei fianchi cominciano ad oscillare, muovendosi dolcemente. 
Lancio un'occhiata verso la folla che si è formata tutta intorno a noi e non posso evitare di sorridere compiaciuto. 
Come volevasi dimostrare, non si può resistere al richiamo e alla frenesia della danza. 
Inarco un sopracciglio, soddisfatto, e faccio scorrere lo sguardo su ogni persona che mi circonda. Mi piace creare un legame, seppur momentaneo, tra me e i miei spettatori. 
 
La mia attenzione viene catturata da un ragazzo in particolare.
E' come un richiamo naturale. Lo trovo tra tutta la gente, e lui trova me, accennando subito un sorriso timido che, per qualche ragione, mi fa perdere un paio di battiti. 
Da dove si trova, non riesco a scorgere molto della sua figura. È alla mia sinistra, in seconda fila, nascosto dietro la chioma bionda di quello che sembra essere un suo amico. 
Nonostante rientri a malapena nel mio campo visivo, dal momento in cui i miei occhi incontrano i suoi, tutto il resto sembra perdere importanza, e mi diventa dannatamente difficile, quasi doloroso, spezzare il contatto visivo.
Per un attimo, sotto il suo sguardo incuriosito, mi sento vulnerabile, scoperto. Mi sento nudo, ma anche al sicuro e Dio, così perso. Com'è possibile?
E diamine, di che colore sono quegli occhi? Sembrano miele condensato ed ambra, con un pizzico di tenerezza ad illuminargli le iridi. 
Vi scorgo incanto e ammirazione, mista a qualcos'altro. Ha un'espressione indecifrabile dipinta sul suo bellissimo viso ovale incorniciato da una massa informe di ricci neri. 
Questo mi sconvolge tanto che i miei piedi si bloccano, dimentico la coreografia e per poco non inciampo. Non ho mai visto niente di simile in una persona, non per qualcosa che viene da me, almeno. Le mani prendono a tremarmi e a sudare. 
Mi rendo conto di volere a tutti i costi che non smetta di farlo. Di sorridere, di guardarmi in quel modo e farmi sentire apprezzato, scottato dalla sua meraviglia. Lo bramo. Bramo quel contatto invisibile che si è instaurato tra noi, quell'intreccio di mille emozioni diverse che ci lega all'altro.
Per questo, mi concentro solo sulle mie capacità e riprendo a ballare con più impeto, abbandonando ogni movimento lento e dando sfogo alla mia creatività. 
Mi siedo a terra, le ginocchia strette al petto, e con un ultimo scambio di sguardi, mi distendo sull'asfalto bollente, sollevando il busto verso l'alto a scatti impetuosi. 
Eric mi si avvicina languidamente e mi porge una mano, che afferro con convinzione, rimettendomi in piedi. Schiaccio i nostri toraci insieme e gli circondo i fianchi con le braccia, muovendoci in sincrono in un passo a due sexy. 
La gente urla un ''che caldo!'' in coro e incita tra gli applausi qualche passo più... spinto. Senza riuscire a farne a meno, scoppio a ridere, tenendo però gli occhi fissi in quelli di Eric, colmi di ramanzine inespresse nei miei confronti. 
Lo ignoro, facendogli la linguaccia, e mi struscio di proposito su di lui. 
Segue un boato di applausi. 
Mag ci balla accanto, facendo del freestyle grandioso. 
La mia mente ritorna al ragazzo dagli occhi indefinibili. Muoio dalla voglia di voltarmi e rivolgergli un sorriso, ma soprattutto, mi domando cosa abbia pensato di quest'ultima parte dell'esibizione. Tuttavia, resisto finché Eric non si allontana a passo svelto da me e ritorniamo alle nostre posizioni iniziali. 
Non so perché m'importa così tanto della sua opinione, ma è come se una forza superiore mi attraesse a lui ed io non potessi far altro che concedermi al suo volere. 
Al che, quasi con timore, trovo il coraggio di guardare verso di lui. 
 
Sussulto, trovandolo già a fissarmi. Ha la bocca dischiusa, come se fosse a corto di aria, e gli occhi, se possibile, ancora più luminosi di due minuti prima. Quando si accorge del mio sguardo su di lui le sue guance s'imporporano adorabilmente, e sorride. 
Sorrido anch'io, perché non ho altra scelta se non quella di ricambiare.
Sembra un gioco di sorrisi, a questo punto. Io sorrido, lui sorride, poi io rispondo al sorriso, e lui fa lo stesso. 
Non è colpa mia se mi fa venir voglia di sorridere. 
Merda. Non capisco cos'abbia il mio cuore, oggi, con tutti questi strani balzi. Per non parlare dello stomaco e delle numerose fitte che lo stanno attraversando. 
Non devo pensarci, non ancora. Devo finire col botto.
Con rinnovata vivacità mi preparo al passo finale. Prendo la rincorsa e salto, facendo una spaccata in aria, ad un metro da terra. Atterro con un balzo maestoso e mi inchino, riprendendo fiato. Rivolgo un cenno di gratitudine a tutti coloro che lasciano delle monete nel mio cappello, prima di ritornare alle loro faccende ed io alle mie. 
 
Prendo un sorso d'acqua dalla bottiglia che mi lancia Mag, e per poco non mi strozzo quando Occhi Indefinibili si avvicina a me con fare timido, e senza dire una parola mi porge due banconote sul palmo della mano. Le fisso con gli occhi sbarrati, paralizzato, spalancando gli occhi quando realizzo quanto valgano.
 
''Io..'' soffio invano, la voce rauca. Alzo il capo per dirgli che non posso accettare, ma mi accorgo che è troppo tardi. Lui si sta già allontanando. 
Non riesco a riprendermi da ciò che è appena accaduto. Lo guardo diventare un puntino in lontananza più in fretta di quanto volessi, e mi lascio scappare un sospiro tremante. 
Mag mi rifila una pacca rumorosa alla spalla, facendomi trasalire e distogliere, a malavoglia, lo sguardo. ''Accidenti, amico, hai fatto colpo!'' 
''Sta' zitta.'' rispondo, mordendomi un labbro. Con la coda dell'occhio ritorno a lui. Eric fischia e mi lancia un'occhiatina impertinente, ma non aggiunge altro. 
 
Un attimo prima di svoltare l'angolo, il ragazzo si volta un'ultima volta, e allora capisco di non aver desiderato altro per tutto il tempo. 
 
 



 
 
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*Si ripara dalle sassate* 
Fa tanto schifo? Dio, spero di no! Ho una paura blu di avervi deluso, soprattutto dopo Stalker. 
 
Ho alcune cose da dire, poi smetto di annoiarvi.
Per prima cosa, la scorrevolezza della storia. 
So bene che, specialmente nella prima parte, è stato tutto un po' pesante da digerire, ma avevo bisogno di raccontare i fatti al meglio possibile. Vi prometto che gli altri non saranno così noiosi.
Per quanto riguarda invece ulteriori spiegazioni, vi assicuro che saranno introdotte capitolo per capitolo insieme a tutti i personaggi che ci saranno. Voglio svilupparli con calma, e provare a farvici affezionare proprio come me. 
Ad ogni modo, non esitate a chiedere qualunque cosa vi passi per la testa! Io sono sempre qui :D
Come avrete notato ho deciso di adottare un tipo di narrazione diversa. Non so voi, ma sento che la prima persona sia più adatta per raccontare questa storia in tutte le sue piccolezze.
Ovviamente, più avanti, non mancheranno anche dei capitoli dal punto di vista di Blaine, quindi potete stare tranquilli!
 
Okay, non ho altro da aggiungere. Spero che questo piccolo prologo vi sia piaciuto, lemme know! 
Un bacio, alla prossima! <3
  
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