Posto qui la mia prima fanfiction sugli X japan, nonchè la mia prima, ovviamente, hidexyoshiki...so che può sembrare strano, ma con questa fanfic spero anche in parte di eliminare quell'alone malinonico che c'è sempre attorno a hide, quella cosa che fa dire a tutte le persone, quando parlo di lui, cose tipo
"oh, hide ç_ç" oppure
"oh, si, peccato per la sua morte"
Voglio chiedervi, per favore, di non pensare solo alla sua morte quando pensate a lui, ma di pensare soprattutto alla persona che è stata prima, alla vita che ha donato a tutti quelli che hanno avuto a che fare con lui, dai membri del suo gruppo a chiunque abbia amato la sua musica.
E' questo che cerco di fare con questa fanfiction, oltre ovviamente esternare uno sclero mentale di questa povera pazza che stravede per lo yaoi, spece se applicato a due esepmlari di esser jrockosi, che spero che voi gradirete!
DISCLAIMER
: i personaggi di questo testo non mi appartengono in quanto appartengono a loro stessi, e con questo scritto non intendo ne danneggiarli ne tantomeno avere guadagni personali, si tratta semplicemente di un racconto nato dalla pura fantasia, ogni fatto e persona citati non sono realmente accaduti (anche se io spero di si XD.)
Vi lascio alla fanfic!
Sono passati ben tredici anni
da quando io e Toshimitsu abbiamo dato luce agli X Japan. Il sogno di tredici
anni fa.
Ma in realtà sono solo sette
anni che è diventato realtà.
Sette è considerato da molti
un numero perfetto.
Io non credo in queste cose futili,
è da sciocchi superstiziosi.
Però sette anni fa ti
conobbi.
Autunno 1986
In un locale live dove Toshi
si era rifiutato categoricamente di entrare. E come dargli torto?
Sembrava uscito da un film poliziesco americano, uno
di quei locali dove persino le forze dell’ordine si rifiutano di entrare se non
in gruppi numerosi, molto numerosi. E non si poteva dar torto neanche a loro.
La puzza di fumo -non saprei dire se di sigarette o
altro- arrivava fin da fuori, accompagnata dal frastuono indistinto di molte
voci riunite in un unico punto mixate a una musica ad alto volume.
Mi avevano detto che non frequentava buone compagnie, ma avevo sperato fossero solo
impressioni un po’ pessimistiche.
Mentre mi apprestavo ad entrare, venni appena urtato
da un armadio a quattro ante travestito da quella che potrebbe essere la
parodia di un metallaro americano.
E così, già capisco come mai era lì. Quelli come noi,
così diversi dalla massa, così fuori dagli schemi e dalle regole, non sono i
benvenuti in una società rigida. Specie in quella del Giappone degli anni
ottanta, ancora così isolato rispetto al resto del mondo, spaccato fra le
persone normali, sane di mente, rispettabili e “giuste”, e chi prova,
dimenandosi, a dare libertà a ciò che è, a ciò che sente.
E’ in quell’istante che capisco che lui era adatto.
Entro nella sala live e subito dopo mi blocco
nuovamente. Il frastuono è molto, la temperatura scaldata da una moltitudine di
corpi -non uno di loro che non abbia un alcolico o una sigaretta in mano-,
ammassati verso il palco.
Ed è sul palco che il mio sguardo si posa subito.
Eccoli li, i Saver tiger.
Suonano, e neanche troppo bene. Non è difficile
scorgere le diverse lattine
appoggiare agli amplificatori. Un gruppo che ha il coraggio di ubriacarsi
durante un live. Una cosa insolita e sconcertante.
Ed era questo che rovinava la qualità della musica.
I membri, che magari sapevano suonare anche bene, erano tutti completamente
fuori tempo, al batterista cadevano le bacchette di continuo, al secondo
chitarrista scivolavano le mani sulla tastiera della chitarra. Ma non importava
a nessuno, in quel posto scadente, alle persone interessava solamente che ci
fosse casino a sufficienza.
Non avevano bassista. Chissà che fine aveva fatto.
Una sola persona sembrava fare ciò che doveva
seriamente, ed era per quella persona, che quella sera mi ero spinto fin là (eh, povero angelo che si sporca le manine fra i comuni
mortali <__< ndA).
Aveva dei capelli lunghi, cotonati verso l’alto, sbiondati e in parte ritinti di rosso. Non passava certo
inosservato.
Tra palco e pubblico non c’era alcuna separazione, le
braccia del pubblico più vicino potevano tranquillamente afferrare le gambe di
qualche artista che si fosse avvicinato troppo.
Mi guadagnai a gomitate un posto davanti a lui. Posto
che dovetti comunque continuare a difendere da una coppietta punk che
minacciava di uccidermi.
-Ragazzino, levati dalle p*lle!
Come osi metterti davanti ad Hideto?- mi strillò lei
nelle orecchie, prendendomi a pugni con una mano stretta da un guanto borchiato.
-E piantala! Non mi fai sentire niente!- strillai, ma
il frastuono era così forte che sentii a malapena la mia voce.
-Ridacci il posto!- continuarono, tempestandomi
la schiena di pugni.
-Zitti!- fu la risposta, mentre cercavo di liberarmi di
quei due.
-Se non ti sposti ti brucio!- mi minacciò allora lui
brandendo una sigaretta accesa.
Successe tutto in un attimo
Li vidi ripararsi il viso con le mani, le sigarette
spegnersi. Mi voltai, trovandomi di fronte due anfibi neri. Alzai lo sguardo e
scoppiai a ridere.
Ma cos’era, un anarchico? Faceva solo ciò che voleva,
quando voleva?
Hideto che aveva smesso di suonare e stava
versando tutto il contenuto di una birra addosso ai malcapitati. Hideto che rideva come se fosse la cosa più divertente del
mondo.
-Non si minacciano i bei ragazzi, idioti!- Gridò lui
gettando in faccia al ragazzo la lattina vuota.
Parlava un giapponese molto veloce, appena strascicato
nelle vocali finali. Si mangiava un po’ le parole.
Fu la prima volta che lo sentii parlare.
Mi era venuto in aiuto come, anche se ancora non lo
sapevamo, avrebbe fatto molte volte negli anni futuri.
Il suo intervento tempestivo parve risolvere la
questione. A quanto pareva, il chitarrista godeva di un certo carisma e
rispetto anche fra quella gentaglia, cosa che non sapevo se dovesse farmi
preoccupare o no.
Suonava meravigliosamente. Mi incantai a guardare la
sua chitarra, le sue dita che vi scorrevano sopra con naturalezza e velocità,
quasi fosse nato con la chitarra in mano, come un dio del rock. E lui lo era,
come lo è adesso, un dio del rock. Le sue note gridavano di cose mai sentite
prima, e, se si trovava la forza di guardarlo in faccia, era anche peggio.
Un demone, un demone della musica. E capii subito che
lui, come me, era innamorato fortemente della musica stessa. I suoi occhi erano
di fuoco, il suo corpo era in continuo movimento, si agitava, scuoteva la testa
nel turbinio dei suoi lunghi capelli, si avvicinava al pubblico, e poi si
allontanava dispettosamente, negandosi dopo essersi offerto, saltava, si
avvicinava al cantante, in un disperato tentativo di mostrare al mondo la sua
energia. E poi ogni tanto si fermava, mi guardava con i suoi occhi scuri e mi
sorrideva, divertito all’espressione -probabilmente beota e ammirata-, che gli volgevo,
del tutto incurante che la ragazza punk di prima, per vendicarsi, appena Hideto si girava mi mollava un calcio o un pugno.
Sarei tornato a casa pieno di
lividi, ma ne era valsa la pena.
Ricordo ancora quella canzone, che tu cantasti quando
il tuo vocalist, sotto preda dell’alcool, si addormentò sul palco.
Si chiamava Dead angle. La cantasti e la suonasti con
la tua chitarra, solo sul palco assieme ad un batterista non più in grado di
darti tempo, l’attenzione di tutta quella gente scalmanata solo su di te. E in
quel momento desiderai ardentemente di essere il tuo ritmo per la prima volta.
Ecco il primo capitolo. COme avrete capito il POV era di Yoshiki. Si tratta sostanzialmente di un flashback...voglio solamente dirvi una cosa: i Saber tiger non sono come li ho dipinti, almeno credo, ma visto che è risaputo che hidechan frequentava delle persone discutibili, mi veniva utile tracciarli così! XD
ad ogni modo a me piacciono e li consiglio. Fra l'altro, la canzone che ho citato, dead angle, esiste davvero ed è davvero una loro canzone che loro fecero live nel 1986, lo so per certo perchè ce l'ho XD
Spero vi vada di commentare, mi fareste felice!