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Autore: Targaryen    13/04/2014    6 recensioni
Non poter morire significa morire lentamente senza morire mai davvero.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harlock, Miime
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Il Canto delle Stelle'
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Visioni di noi
 
Due figure avanzano in silenzio lungo il sentiero che fiancheggia il ruscello, il braccio di lui a cingere le spalle di lei e quello di lei stretto intorno alla vita di lui. Procedono piano, a piccoli passi, talvolta si fermano e volgono insieme lo sguardo verso un dettaglio, che solo loro sembrano in grado di scorgere tra le fronde e i raggi morenti del sole.
Lui è alto, imponente, ha un fisico asciutto dalle proporzioni perfette, e cammina con andatura quasi solenne. Folti capelli castani incorniciano un volto di rara avvenenza, che porta il segno di ciò che in passato ha tentano invano di spegnerla. Una cicatrice, profonda ed antica, ed un occhio perduto per sempre. E’ ammantato di nero, pelle su pelle, alti stivali e un lungo mantello foderato di rosso.
Anche lei è alta. Luminosa quanto la luce del giorno e figlia di un popolo di cui si è perduto il ricordo. E’ coperta di veli, che prendono vita ad ogni suo passo, offuscando e svelando il candore di una pelle che solo lui ha toccato. Lunghissimi capelli seguono il vento, quasi fossero fluidi e fatti di pioggia, e riflettono il verde degli alberi e l’oro del sole. Ora alza la mano, indica qualcosa e sorride, i grandi occhi che cercano quello ambrato di lui accendendo il sorriso anche sul suo volto sfregiato.
Talvolta una folata più intensa li investe, e sciami di piccole luci avvolgono entrambi, verdi come le foglie che si stagliano contro il cielo ed inconsistenti come fossero lontani miraggi. Nessuno dei due si cura di esse, quasi facessero parte di loro, e neppure si preoccupa quando queste si arrendono e tornano a colei da cui sono nate.
Quel luogo, che sussurra di nuova speranza, non sa chi essi siano, ma loro sanno molte cose di quel luogo. In un passato lontano lo hanno visto morire e sono morti con lui, e quando è rinato lo hanno fatto anche loro. I secoli si sono accesi e poi spenti e loro hanno atteso pazienti, proteggendo quella sua seconda scintilla di vita ed accompagnandola senza mai stancarsi.
Adesso il loro compito si è concluso, ma il loro cammino prosegue ed una flebile luce, apparsa da poco, attende di essere condotta per mano sino al giorno in cui svanirà, come l'acqua inghiottita dalla sabbia o il fantasma di un sogno sconfitto dall'alba. Di nuovo saranno solo loro, lui avrà lei e lei avrà lui, e una nuova, profonda ferita con cui convivere ancora.
Nessuno dei due conosce ciò che accadrà quando la freccia che l’arco ha scoccato concluderà il proprio viaggio, perché alcune cicatrici sono diverse dalle altre. Nell’eterno ciclo di nascita e rinascita una singola vita può non avere importanza, ma per coloro da cui quella vita ha avuto inizio essa rappresenta tutto e di più, e il pensiero della sua perdita innalza un muro oltre cui è impossibile spingere lo sguardo.
E’ un muro che non ha consistenza, ma solido come la fine di tutto, perché al di là di esso l’oscurità è così densa da soffocare anche la luce più intensa, e non vi è via di fuga che permetta di abbandonare quel luogo.
A volte, entrambi, tentano di affrontare le tenebre che, insieme alla gioia, il futuro tiene in serbo per loro. Lo fanno di notte, stretti l’uno all’altra, tra antichi legni e rossi velluti, su una nave che ha lo stesso colore del buio che avanza, e la cui sola presenza scoraggia chiunque dall’avvicinarsi a quel mondo. Lo fanno in silenzio, versando lacrime che non sveleranno mai ad alcuno, ma ogni volta falliscono, perché il loro cuore si ferma e il loro respiro si rifiuta di uscire.
Si alzano, allora, mano nella mano, e spingono quella porta che si è aperta per caso nelle loro vite e che mai hanno avuto l’ardire di pretendere, ma che hanno accolto come il più grande ed inaspettato dei doni. Con passi leggeri varcano la soglia e si fermano qualche istante a guardare, perché a volte occorre vedere anche ciò che già si conosce per mettere momentaneamente a tacere le più profonde paure.
Un tempo, molti secoli addietro, lui ha creduto di poter un giorno chiudere gli occhi, per tramutarsi in polvere e per annegare il proprio tormento nel nulla che la sua nave da sempre attraversa. Poi ha trovato lei e un’altra ragione per continuare.
Un tempo, molti millenni addietro, lei non sapeva nulla della fine, perché la sua razza non contemplava la morte. Poi ha conosciuto lui, e ha capito cosa essa significhi davanti al terrore di vederle strappato colui che aveva imparato ad amare. Lo ha supplicato affinché restasse, ha lottato per proteggerlo dall’oscurità, ed è rinata di fronte al suo sì.
Non hanno mai rimpianto quell’incontro e mai lo faranno neppure dinanzi a quel muro, perché ciascuno è sempre stato per l’altro ciò che ha reso degna la vita. Gli ideali di lui, che ne hanno plasmato le scelte, vuoti senza l’affetto e la forza di lei, e il sapere di lei inutile senza il calore e il coraggio di lui.
Molte cose sono accadute da allora … la guerra, la pace e di nuovo la guerra. E ora di nuovo la pace. L’umanità, più volte, ha sfiorato la fine, ed altrettante volte l’ha miracolosamente evitata. Che sia un bene oppure un male nessuno può dirlo. Di certo loro non possono. Sembra un eterno succedersi di partenze e ritorni, in cui tutto si ripete nel tempo, uguale e diverso, e che trascina anche loro nel suo moto infinito. L’uomo, vestito di tenebre, e la donna, sfolgorante di luce, non si sono mai opposti. Finora.
Entrambi, in passato, hanno perso amici e compagni, e di ciascuno ricordano tutto, ricordano il volto, il nome, la voce. Ad ogni addio una piccola parte di loro è sempre morta quel giorno, e ad ogni addio il computer centrale per un istante si è spento. Perché anche l’Arcadia ha visto troppi equipaggi, e troppi ne ha amati per non soffrire a suo modo. Eppure, finora, nessuno di loro ha mai desiderato il riposo. Finora.
L’uomo alza al cielo il suo unico occhio e fissa per un istante la nera sagoma della sua nave, immobile contro l’azzurro come l’ala di un pensiero che si rifiuta di lasciarlo. All’orizzonte il sole scende piano, tingendo lentamente di rosso le nuvole basse che indugiano pigre. Il primo segnale della notte che avanza.
“Sta calando la sera, Harlock”, sussurra la donna, stringendosi a lui.
Anche lei fissa quel cielo, anche lei perduta in quel suo stesso pensiero.
“Non ancora, Meeme”, risponde l’uomo attirandola a sé, la voce che minaccia di confondersi con il sospiro del vento.
Un leggero rumore di passi turba il silenzio, piccoli piedi che corrono calpestando lievi l’erba che profuma di nuovo. Entrambi si voltano, lui si abbassa d’istinto allargando le braccia mentre la mano di lei lo accompagna.
“Guarda, padre! Ce ne sono altri vicino al fiume! E’ già tempo di tornare?”
Entrambi sorridono e Harlock li raccoglie insieme, il fiore che la piccola mano stringe e la creatura che lo ha trovato, e li solleva in alto contro quel cielo che si tinge di notte.
“Non ancora”, sussurra, mentre le sue labbra si posano sulla guancia che ha il colore di quella della donna che ama.
Meeme si avvicina, le sue braccia di nuovo intorno al compagno che stringe a sé quella parte di loro, e la sua mano che accetta quel fiore.
“Madre, per te”, dice la giovane voce, senza sapere quanti ricordi quella semplice pianta porta con sé.
“Grazie”, sorride lei.
Due occhi innocenti li guardano, occhi in cui si uniscono i colori della Terra e le estati di Yura, e che raccontano della notte e del giorno che in quegli occhi si sono infine trovati. Eppure, come ogni rosa, anche quella nasconde le sue spine, e in essi sono racchiusi la vita e la morte, e l’eterno divenire che sempre esige il suo tributo.
  
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