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Autore: Ardespuffy    14/07/2008    16 recensioni
“Sei mai stato con un uomo?”
“Ma ti ha dato di volta il cervello??! Non riesco a credere che tu mi abbia chiesto una cosa del genere!!! Devi essere completamente – ”
“… allora dovresti provare.”
Quella notte scoprii esattamente quali vantaggi potesse dare avere per ospite uno come Shinici Okazaki.
Genere: Commedia, Introspettivo, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Nobuo Terashima, Shinichi Okazaki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Taste In Men [Trilogy]'
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...Come back to me awhile

Change your style again...

 

...Come back to me awhile

Change your taste in men...

 

 

 

 

 

 

 

 

********

 

 

 

 

 

Mi lasciai cadere sul letto, privo di forze.

Lo sapevo, naturalmente. Grazie tante! Sapevo che quel maledettissimo santone, lì, il signor MIB, il big avvocato, il pelatino, come lo chiama Nana, aveva il detestabile vizio di essere perennemente dalla parte del giusto.

Però questa è la mia vita.

E se io, Nobuo Terashima, adulto e vaccinato, decido consapevolmente di sbronzarmi come se non ci fosse un domani, beh, saranno almeno fatti miei, no?

Errato.

Nana mi avrebbe ammazzato per questo. O per molto meno, in verità.

Spostai la mia attenzione dal soffitto al ragazzino che si aggirava nella stanza.

 

 

Mi ero lamentato un’infinità di volte con Yasu per il tiro mancino che mi avevano giocato: Nana divideva l’appartamento e lui, ovviamente, stava ancora in albergo. Mica mi aspettavo che fossero loro ad occuparsi della cosa?

Il punto è che detestavo uscire perdente con quei due. Accadeva troppo spesso.

A conti fatti, non è che ospitare Shin mi creasse chissà quali problemi. Quel ragazzino era bizzarro. A volte spariva, spariva e basta, per ore intere. Tornava agli orari più assurdi con la faccia di chi è a posto con la coscienza e quindi si aspetta di essere ignorato.

E io lo assecondavo, sì.

Era comodo non doversi preoccupare per lui. Finché non sapevo dove andasse o chi frequentasse, mi dicevo, non potevo essere biasimato se restavo sulle mie e lo lasciavo fare.

Hachi mi avrebbe come minimo preso a martellate.

Ma nessuno di loro poteva sapere. Gli altri non erano coinvolti. Avevano mollato a me la responsabilità di ospitare un minorenne enigmatico e vagabondo, quindi non avevano il diritto di lamentarsi per il modo in cui gestivamo il nostro rapporto, lui ed io.

Rapporto, poi.

Che parola grossa.

Eravamo un po’ come ombre, noi due. Ci incrociavamo di sfuggita senza vederci realmente, senza chiederci nulla, senza attendere mai.

Suppongo potessimo definirci rispettosi l’uno degli spazi dell’altro.

O, più prosaicamente, due estranei sotto lo stesso tetto.

Ma quando, come quella notte, capitava che io alzassi il gomito, allora Shin mi riportava a casa a braccia e si prendeva cura di me. Aspettando con serafica pazienza che i postumi della sbornia mi insegnassero la lezione.

Peccato non accadesse mai.

Lo osservai togliersi i vestiti e scivolare in una maglietta sformata. Dormiva di fianco al mio letto, nel sacco a pelo di mio padre.

Del resto, il fatto che i miei avessero una pensione non implicava direttamente che io dovessi essere un buon padrone di casa, no?

E comunque, anche volendo, quella era l’unica sistemazione che avrei potuto offrirgli. Il mio era un appartamento pensato e studiato al millimetro per una persona soltanto, un eremita squattrinato con il letto ad una piazza. Che non è proprio il modo migliore per compiacere il gentil sesso, me ne rendo conto; ma a quel tempo neanche ci pensavo, alle donne.

Ero già un bel po’ incasinato per conto mio senza accollarmi le paturnie di qualche gattamorta.

Shin, invece, sembrava perennemente attorniato da ragazze. Basti dire che, quando non tornava a casa per la notte, finiva sempre ospite di qualcuna delle sue benefattrici.

Nessuno di noi aveva un’idea precisa di cosa facesse per attrarre in quel modo la benevolenza femminile; per quanto riguardava me, ero piuttosto sicuro di non volerlo scoprire.

 

 

Mi rigirai svogliatamente, scansando le lenzuola.

Era una notte calda, persino per gli standard di Tokyo. Specie per chi, come me, aveva la sfortuna di provenire da una sperduta cittadina innevata sei mesi l’anno.

Il mio pensiero volò a Nana, di sicuro intenta a far ammattire la sua coinquilina.

Il familiare suono della zip del sacco a pelo mi riscosse. Intravidi la chioma turchina di Shin sparire nel buio oltre il mio letto, valutando distrattamente il nuovo taglio del bassista che avrebbe finito con l’eclissarmi completamente prima del nostro debutto.

Non è che non mi piacesse quell’acconciatura. Tutt’altro. Parte di me – diciamo, il cuoio capelluto – era irriducibilmente invidiosa.  

Mugugnai qualcosa di imprecisato tenendomi la testa.

“Stai male?”

Drizzai le orecchie alla voce proveniente dal basso.

“Ah… no, io… sono solo un po’ stanco.”

Quello era minimizzare. Avevo la sensazione che un treno merci mi fosse passato sopra più e più volte, a sadica ripetizione.

Chissà perché nelle mie fantasie ciascun vagone aveva la faccia di Nana.

“Cerca di dormire. Ora spengo la luce.”

Così fece, e la stanza piombò nell’oscurità. Mi occorse un attimo per riuscire a distinguere le sagome al buio, pungolato dai radi raggi lunari filtrati dalle imposte.

Tornai supino e fissai il nero confuso del soffitto.

Ascoltavo Shin rigirarsi sul sacco a pelo. Doveva essere scomodo, considerai, dormire su uno di quei cosi in una notte così calda.

Per un millesimo di secondo mi sentii davvero il peggior amico del mondo.

Rimasi in silenzio, mordendomi la lingua in un’auto-flagellazione intenzionale. Le tempie cominciavano a pulsare, segno inconfondibile dell’epico dopo-sbronza che mi avrebbe accolto al risveglio.

Maledetto pelatino. Sarai contento, adesso.

Mi voltai ancora, per la centesima volta in un minuto. Il caldo rischiava seriamente di compromettere le mie ultime facoltà razionali, ed un me stesso in piena crisi isterica è qualcosa che non augurerei più o meno a nessuno. Dovevo proteggere Shin da quello che sarei potuto diventare! 

O almeno, metterlo in guardia.

Era un dovere civico, no? Di buon vicinato.

O forse cercavo solo di discolparmi per il sacco a pelo.

O di riempire quello scomodo silenzio che contribuiva a minare la mia salute mentale.

“Ehi, Shin…”

La risposta fu anticipata da un lieve fruscio.

“Mh?”

Accennai ad una risatina nervosa.

“Ecco, tu non puoi saperlo visto che sei qui da poco, ma il caldo tende a farmi brutti scherzi. Del tipo, divento irritabile. Molto irritabile. E logorroico. Molto logorroico. E poi mi agito, capisci? Non riesco a farne a meno. Inizio a muovermi senza controllo, e hai presente quelle piccole onde concentriche che vedi se scruti a fondo nel buio? Ecco, comincio a inseguirle, e mi fanno impazzire. Farebbero impazzire chiunque! Sono davvero delle piccole tirapiedi del Grande Demone Celeste, o così direbbe Hachi! In realtà certe volte ho l’impressione che abbiano la faccia di Nana, le onde… non Nana Hachi, Nana Nana. La nostra Nana. Cioè, non che con questo voglia escludere l’altra Nana definendola altra solo perché non è nella band, anche perché, chi lo sa?, magari Nana sa cantare. Hachi, intendo. Potrebbero duettare meravigliosamente quelle due. Solo che in quel caso i discografici farebbero un mucchio di confusione, e poi come spiegarlo ai fans? Dovremmo coinvolgerli nelle nostre questioni personali e raccontar loro la faccenda del cane di Shibuya, oppure lasciar credere che la nostra sia una subdola mossa pubblicitaria basata su uno squallido gioco numerico… tu cosa ne pensi?”

Ero orgoglioso di me stesso per essere riuscito a fermarmi, e matematicamente certo che Shin si fosse addormentato durante lo sproloquio.

Ecco perché restai letteralmente di sasso nel sentire la sua voce mormorare:

“Sei mai stato con un uomo?”

Non capii a cosa si riferisse. Dico sul serio. Non che fossi eccessivamente innocente, va bene, ma neppure tanto smaliziato e lucido da cogliere immediatamente una domanda che… più diretta di così non sarebbe potuta essere, in effetti.

“Come, scusa?”

Stavolta la voce mi arrivò chiara e forte, e anche un bel po’ stizzita.

“Ti ho chiesto se sei mai stato con un uomo.”

Non so cosa accese la scintilla del comprendonio, in me. So solo che saltai praticamente a sedere.

“Ma ti ha dato di volta il cervello??! Non riesco a credere che tu mi abbia chiesto una cosa del genere!!! Devi essere completamente – ”

“… allora dovresti provare.”

 

 

Sbigottii.

Restai completamente paralizzato, lì, seduto nel bel mezzo del letto, a guardare la figura raggomitolata al suolo dall’alto in basso.

Un magro toccasana per l’ego, in quel momento.

Il silenzio di Shin era uno dei suoi soliti, tipici silenzi da Shin. Di quelli talmente tranquilli e noncuranti da farti dubitare persino di ciò che le tue orecchie avevano udito l’istante prima.

Perciò lo feci, esatto.

Dubitare.

In realtà, sarebbe più giusto dire che mi convinsi di aver frainteso.

Proruppi nella più grossolana e fragorosa risata che fiato umano avesse mai potuto generare.

“Non ci credo, me l’avevi quasi fatta! Sei veramente un attore fantastico, lo sai? Dovresti darti seriamente alla recitazione. Oh, cioè, con questo non intendo dire che non ti voglio nella band, perché senza di te saremmo spacciati, e poi sei il miglior bassista che avremmo potuto desiderare, sei piaciuto perfino a Nana! Però, sai com’è, quando uno ha molteplici talenti è un vero peccato non metterli a frutto e tentare di – ”

Fui interrotto. Da una bocca.

Sulla mia.

Ripensandoci, mi domando come accidenti abbia fatto a non accorgermi che Shin si era alzato e sporto verso di me. Dovevo essere totalmente preso dal mio monologo, o forse il panico mi aveva del tutto scollegato il cervello.

Non voglio nemmeno pensare che, forse, non mi ritrassi perché non era ciò che volevo.

Fu un contatto rapido e fugace. Prima che potessi accorgermene ero nei suoi occhi, limpidi oltre l’ordinario.

È talmente assurdo, ma non potei far altro che notare quanto freddo ci fosse in quello sguardo, e quanto inebriante fosse il contrasto con l’afa della città.

Shin parlò a pochi centimetri dalle mie labbra, calmo e concentrato su qualcosa che ancora non potevo prevedere.

“Nella vita bisogna cercare di cogliere l’attimo, di sperimentare. Finché siamo giovani, liberi, finché siamo avidi di emozioni non dobbiamo permettere ad alcun freno di arrestare la nostra corsa.”

Mi aveva interrotto. Era esattamente questa la sensazione che ancora recepivo, negli echi di quel bacio distratto. Mi sentivo un registratore in pausa, condannato alla stasi finché una grossa mano aliena non avesse premuto di nuovo un pulsante.

E l’alieno in questione si fece spazio nel mio letto, sistemandosi a cavalcioni su di me come se fosse la posizione più naturale del mondo.

Dio, forse lo era, per lui. Naturale. D’altronde era solo un ragazzino, un esuberante, libertino, trasgressivo adolescente dagli ormoni in subbuglio. Ma io ero un adulto e vedevo le cose in modo diverso.

Questo, almeno, è ciò che mi ostinavo a ripetermi a quel tempo.

Oggi sono pienamente convinto che fosse Shin a vedere le cose in modo diverso.

 

 

Mi scrutava come se cercasse qualcosa, e avrei dato un plettro per capire che cosa. Chiederglielo, parlare, esprimermi era ancora del tutto fuori discussione.  

Il tasto play sul mio registratore fu premuto con inusitata violenza giusto l’attimo dopo.

Più precisamente, quando un discolo e ossuto ginocchio s’insinuò tra le mie cosce.

Balzai in avanti senza pensare, sbilanciando Shin nella foga.

“Che accidenti stai facendo??! Credevo di essere io quello brillo, qui! Yasu dice sempre che tu reggi bene l’alcol, ma forse questo è il tuo modo di dimostrare che l’avvocato rampante non ha sempre ragione, e se stai cercando una rivalsa, o magari ti faccio pena perché sono amico di quei due da tempo immemore e stai provando a farmi riportare un qualche tipo di vittoria, beh, io ti ringrazio, davvero, ne sono lusingato, ma non è questo lo stramaledettissimo modo, Shin!”

Non è solo un’impressione dettata dall’assenza di punteggiatura.

Io davvero non avevo preso fiato.

Lui si era acquattato ai piedi del letto, scaricando il peso sulle mie gambe e guardandomi dall’alto. Non mi piaceva. Era troppo lontano, troppo concentrato, troppo perso. Era in una dimensione diversa dalla mia, una dimensione con una lente ottica speciale puntata sul mio misero mondo.

Mi chiesi cosa vedesse, lì dall’alto. Mi chiesi cosa significasse essere lui. Cosa significasse essere me, il me della sua visuale.

E poi una manina gentile, da musicista, sostò con tale decisione sul cavallo dei miei boxer da portare via ogni residua elucubrazione mentale.

Mi lasciai sfuggire un mugolio di sorpresa, strozzato, e scattai di nuovo a sedere, afferrando quel polso indisponente e allontanandolo con un gesto isterico.

“SHIN! Diamine, smettila una buona volta! Non so quale impressione tu abbia riportato, ma io non sono gay, né mai lo sarò. Nel modo più assoluto. Non rientra neppure nei miei piani futuri! E il fatto che essendo ancora un po’ alticcio straparli non deve darti l’idea – completamente sbagliata – che stia solo tergiversando per accrescere le tue smanie o – ma di che diavolo sto parlando?! Insomma, il punto è che questa è molestia sessuale, e-e tu sei in casa mia, per di più, e nel mio letto, anche se questo è solo un accidente accessorio, capisci? Un maledetto, imprevisto, indesiderato accidente accessorio!”

Terminai con un ansito leggero, dovuto in parte alla carenza d’ossigeno e in parte alla vaga inquietudine derivante dall’avere ancora una mano estranea fra le gambe.

Shin restò immobile e muto, imperscrutabile nel più irritante dei modi.

Ci stavo facendo la figura dell’idiota integrale. Del patetico e bigotto idiota integrale! Magari avevo frainteso tutto. Magari era stato un atto casuale quello di placcarmi il giocatore in seconda base.

…oh mio dio, l’ho detto davvero?

Scrollai il capo come a riscuotermi dai fumi dell’alcol che, ormai ne ero certo, ancora mi annebbiavano il cervello. Chissà, forse era stata proprio la sbornia a farmi vedere – e sentire – cose inesistenti.

Di sicuro lui non stava facendo alcunché per smentire i miei timori.

“Credevo fossi stanco.”

Tre minuscole parole.

Cosa accidenti dovevano significare, eh Shin? Cosa?!

Ero stufo di uscire perdente da ogni scontro. Non sarei stato inferiore a nessuno, quella notte.

“Infatti. Non mi spiacerebbe farmi una dormita, se solo non avessi qualcosa di troppo fra le gambe!”

Lui mi guardò, io lo guardai.

E la suicida idiozia di quanto avevo appena detto mi colpì in pieno, ponendomi di fronte all’ennesimo fallimento.

Avrei dovuto rassegnarmi. Ci sono quelli che hanno il dono dell’oratoria, quelli nati per vincere. E poi ci sono quelli come me.

 

 

Fu la prima volta in assoluto che lessi la malizia nello sguardo ancora acerbo di quello che, in fondo, per quanto tutti continuassimo a dimenticarlo, era solo un ragazzino.

La sua mano si premurò di saggiare attentamente il mio armamentario virile attraverso il cotone.

“Io direi che qui è tutto al suo posto” mi rispose, già sfacciato abbastanza da simulare innocenza.

Scostai le dita intrepide per la millesima volta, trovando così qualcosa su cui concentrarmi che non fosse il diventare paonazzo.

“Sì, beh, tutto al suo posto tranne te! Tu non dovresti essere qui!” 

Lo vidi inclinare il capo e sporgere un labbro, da brava piccola sgualdrina.

“Mi vorresti altrove?” e in quella scivolò verso il basso, strisciando fra le mie cosce, avendo cura di sfregare contro i miei boxer ogni singolo centimetro della sua maglietta sgualcita.

Non avrei potuto impedirlo neanche se mi fossi reso conto di quanto stava per fare – Vostro Onore.

Si sistemò carponi, il viso pericolosamente orientato al mio inguine, il resto del corpo casualmente adagiato sul mio. Neppure mi guardava in faccia, preso com’era ad analizzare quello che più pareva interessargli.

“Cotone elastico argento. Non è esattamente quello che la gente si aspetterebbe da te.”

Fui terribilmente tentato dal chiedergli cosa la gente si aspettasse invece da me, ma repressi l’istinto con tutte le forze. Sarebbe stato puramente assurdo mettersi a disquisire in quel frangente sul ruolo giocato dalla biancheria intima nel giudizio di una persona.

Smossi convulsamente le gambe, causando anche scossoni che sortirono effetto opposto al desiderato. Shin sfoderò un sorrisino da alligatore mentre i miei goffi tentativi lo portavano sempre più vicino alla meta.

Emisi un gemito di frustrazione e balzai in avanti. Cercai di ritrarre le gambe, ma in quel momento accadde qualcosa che… beh,  mi dissuase.

Latrai. Fu un vero e proprio uggiolio estatico, condito da un sospiro degno di uno yorkshire in calore.

La chioma turchina mi si era tuffata tra le cosce, anticipata nell’avida esplorazione da una lingua che aveva umettato con cura l’intera lunghezza del mio sesso attraverso il cotone elastico argento.

D’accordo, so cosa avrei dovuto fare.

Ma perdonatemi, perdonatemi, vi supplico.

Non riuscii a fingere che non mi fosse piaciuto.

 

 

Sarebbe ora opportuna una digressione per spiegare la facilità con cui mi lasciai ricadere all’indietro, agognando solo un altro tocco di quella lingua ed eccitandomi senza ritegno.

Non avevo avuto tempo per le donne, da quando ero arrivato a Tokyo. Non avevo avuto tempo per un sacco di cose, in verità – parte delle quali bruscamente escluse dalla mia routine pseudo-giornaliera proprio a causa dell’ospite con cui dividevo i più privati spazi.

Per metterla in altri termini, non mi ero toccato neppure una volta da quando avevo lasciato la mia città.

Ora, se è vero che a vent’anni suonati un uomo dovrebbe essere in grado, se non proprio di reprimere, quantomeno di controllare certe pulsioni, è altrettanto vero che io non sono mai stato il tipo precoce. Tutti dicevano sempre che neanche li dimostravo, i miei anni, che ero un eterno ragazzino. E a quanto pare i miei ormoni – tra cui quelli della crescita – erano dello stesso parere.

Certo, questa è una scusa ridicola anche a miei occhi.

La verità è che avevo bisogno della mia soddisfazione. Avevo bisogno del sesso.

E Shin era lì, per inspiegabili motivi, pronto a darmi esattamente quello che chiedevo. Anche se non avevo chiesto proprio nulla.

 

 

Mi concentrai sul soffitto, camuffando malamente gli sforzi profusi per rallentare il respiro affannoso.

Merda, potevo sentirlo sorridere.

Non avrei mai immaginato, allora, quanto diametralmente opposta fosse l’espressione sul volto del mio aguzzino. Ero convinto che fosse compiaciuto delle sue arti amatorie, mentre stava lì a viziarmi con la bocca senza neanche la pietà di togliermi i vestiti.

Avevo torto.

Shin dava alla situazione un valore del tutto diverso da quello che aveva assunto per me.

Le sue labbra umide, deliziosamente voluttuose, si schiusero sulla sommità di un’erezione che andava formandosi in fretta. Mi chiesi senza attenzione, distratto com’ero dal sentore di un paio di dita che indugiavano sulla carne tenera del sedere, che razza di sensazione potesse mai dare leccare del cotone elastico argento – o di qualunque altro stramaledettissimo colore.

Ero esasperato dall’atroce consapevolezza di volere di più senza aver mai ammesso di volere alcunché.

La mia ingordigia fu punita l’istante seguente nel peggiore dei modi. Anche il più lieve tocco s’interruppe, lasciando spazio allo scrutinio vivace di occhi da ragazzino.

“Nobu…”

Tornai alla realtà posto di fronte alla mia dissoluzione personale. Vergognandomene come un ladro.

Cristo, quella era corruzione di minore!

“Smettila, Shin. Te lo chiedo per favore, lasciami in pace.”

Lui restò immobile, esitante. Evidentemente ponderando sul da farsi.

Poi un unico, lungo dito sottile tracciò un sentiero di lussuria dalla base alla punta del mio sesso, percorrendo con polpastrelli esperti la mappa di nervi ipersensibili.

Gettai il capo all’indietro mordendomi un labbro, inarcando i fianchi senza volerlo. 

E adesso chi era la puttana tra noi due?

La voce di Shin interruppe una volta di più il peggior conflitto d’interessi della mia intera vita.

“Se vuoi che mi fermi devi costringermi. Fallo con le tue forze.”

Fu la tomba di ogni mia volontà.

 

 

Credei realmente di meritare una punizione, per quello che mi stavo facendo fare.

Per questo, nel momento in cui l’aria investì la mia pelle nuda, mi convinsi che il Grande Demone Celeste o forse il solo dio del buonsenso mi avrebbero ucciso di lì a breve.

Ciò che stavo provando era diverso da qualunque cosa avessi mai immaginato, ed era eccessivo.    

Non m’importava. Mi ritrovai ad allargare le gambe, voglioso ed esigente, spingendo in quella bocca da bambino relegato negli anfratti del desiderio. Godetti di ogni singola sfumatura, di ogni sospiro, di ogni frammento di lasciva umidità cui venivo fatto dono.

Ero eccitato al punto di non ritorno. Al punto cui solo le più fervide fantasie possono spingerti.

C’era un che di perverso, divinamente perverso nel caldo della notte. O forse era solo l’impareggiabile supremazia, l’inebriante giogo del potere stretto nello scopare la bocca del mio bassista quindicenne.

Era perverso, sì, e mi piaceva.

Averlo, sentirlo tra le mie gambe, alla mia mercé, a mia disposizione, assoggettato al mio volere e al mio bisogno. Fu come inseguire l’orgasmo dell’ego.

Non mi dilungherò nei dettagli tecnici. Shin era bravo. Non me n’ero mai reso conto ma, pensandoci, era evidente già allora che avesse esperienza. Cro mai reso conto, ma pensandoci, era evidente già allora che avesse esperienza. o al mio volere e al mio bisogno. rio. ervi iphe il suo bagaglio di sperimentazione erotica, per dirla alla sua maniera, fosse ben più vasto e variegato del mio. Avrei dovuto vergognarmene, suppongo, come mi vergognavo nell'approfittarne senza remore.

Eppure non avrei mai potuto screditare qualcosa di tanto bello.

Avevo perso anche la voglia di fingere. Esitare non avrebbe nascosto la mia erezione, quindi perché trattenermi?

Lasciai che le mani vagassero a portare scompiglio - ebbene sì, era la notte delle piccole rivalse - tra le ciocche azzurre, carezzando il cuoio capelluto in cerchi regolari, dettando il ritmo senza avvedermene. La bocca che aveva annientato ogni briciola di morale amò arditamente la pelle tesa e accaldata, vezzeggiandola all'occorrenza, leccando via fino all'ultima goccia di piacere titubante. Succhiò con vigore la carne umida, badando di cingere la base con dita decise che ghermirono impietose le mie ultime stille di raziocinio.

Ero perduto. Destinato a trovare l'estasi nell'abiezione di me stesso.

Potrei frugare tra i mille bauli delle parole per giustificare i gemiti, i mugolii ansanti di appagata lascivia, i moti erratici delle anche e la frenetica richiesta, l'impellente urgenza di avere di più.

Ma la verità è che sarebbe inutile.

Nulla potrà scagionarmi agli occhi del mondo, e ancor meno potrebbe convincermi di aver qualcosa per cui essere condannato.

Perché, sì, nel calore avvolgente, nel dolore vivo e nel pulsare di quell'orgasmo, tutt'oggi non trovo di che pentirmi.

 

 

Shin non permise ad una goccia di andare sprecata. Mi bevve con entusiasmo adolescenziale mentre mi spegnevo osceno tra le sue labbra, e cullò la mia spossatezza nel frastornato oblio ripulendo con dedizione ogni traccia di quell'incontro.

Quando, vinto dalla gravità del corpo (e da quella opprimente del peso delle mie azioni) mi rannicchiai tra le lenzuola, sentì il materasso respirare nel sollievo di un carico in meno.

La figura indistina del mio ospite scivolò nuovamente nel buio oltre il letto, accolta dal rigido abbraccio del sacco a pelo. Fruscii catartici e familiari ne accompagnarono i movimenti, calando il definitivo sipario sull'amplesso di poco prima.

Sarebbe stato perfetto.

Sarebbe stato persino possibile ignorarlo. Eravamo bravi in questo, noi due.

Ma la cosa che si era impossessata di me non si era del tutto esaurita con quell'orgasmo. Fu forse per questo che non riuscii ad accettare il neutro 'buonanotte' che venne dal basso.

"Shin..."

Pensai ad una miriade di cose. Pensai, sfrontato e recidivo, che la sua eccitazione repressa - quella che avevo sentito sfiorarmi in più punti - avrebbe avuto bisogno di una valvola di sfogo. Pensai che avrei dovuto sentirmi male, sentirmi in colpa, sentirmi peggio, e non desiderare di placar voglie speculari alle mie. Pensai che niente sarebbe mai più stato lo stesso, pensai che avevo paura. Pensai che Nana mi avrebbe ammazzato se per causa mia un altro bassista ci avesse lasciati. Pensai che dei Blast mi fregava davvero poco in confronto all'intensità di quella notte, pensai di essere confuso e di essere un mostro. Pensai che Shin non mi avrebbe più cercato, pensai che l'avrebbe fatto ancora, pensai che l'avrei voluto e che sarei fuggito, pensai che non sapevo più cosa pensare.

Chiusi gli occhi.

Ed è banale, lo so.

Ma fu sul serio tutto ciò che gli dissi.

"... buonanotte."

 

 

 

 

 

 

 

Sai, ancora oggi mi chiedo come riuscimmo ad andare avanti. Come potemmo superare quella notte e quelle che vennero dopo senza implosioni. Eravamo incapaci di recitare con coerenza, ma, per quanti sforzi io facessi, ero il solo a porgere le battute.

Tu eri alla ricerca di qualcosa che non so dire, una sacra reliquia o un volo diverso. Da bravo Peter Pan invecchiato, inebriato dalla sua polvere.

E adesso? L'avrai trovato, Shin, quel fiato di vento?

Lontano da me, hai ancora la forza di rubare ali?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 .Fin.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

********

 

 

 

 

 

 

 

Sono fiera di annunciare che, ad oggi, Taste In Men (titolo tratto dall'omonima canzone dei Placebo <3) è l'unica Yaoi fic nell'intero fandom di Nana... su EFP, naturalmente. 

Mi auguro che la situazione non resti tale ancora a lungo, però >.<

Cosa aggiungere? La ficlet che avete appena letto potrebbe restare un episodio isolato o diventare il primo capitolo di una trilogia, una saga che unisca le atmosfere della song in questione al velato erotismo del pairing Shin/Nobu. Non ho ancora preso una decisione, ma i vostri commenti potrebbero influenzarmi in tal senso (muaha, ma quanto siamo subdole! :p).

Scherzi a parte, un grazie di cuore a coloro che leggeranno questa storiella, e una vera e propria ovazione a quelli che avranno la dedizione di recensirla. 

 

 

 

 

  
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