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Autore: lavaviva    23/04/2014    6 recensioni
ATTENZIONE SPOILER ALLEGIANT
E' passato esattamente un anno da quando il siero della memoria ha cancellato i ricordi dei membri del dipartimento, da quando Tobias ha perso la voglia di vivere.
Ma l'incontro con Caleb, e il suo "regalo" cambiano le cose in modo inaspettato.
Non possiamo vedere tutto ciò che ci circonda, non possiamo sapere tutto del mondo in cui viviamo.
Dalla storia:
Se questo siero mi uccidesse mi farebbe un favore.
Invece no, mi sento leggero e per un secondo sospetto che sia il siero della pace.
Lo guardo furioso.
"Ti aspetto fuori" , mi dice e si incammina.
Quando è all’angolo del corridoio si volta, come se avesse dimenticato qualcosa.
"Ah… Non chiedermene altro quando sarà finito l’effetto, quella era l’unica dose."
Dopodiché sparisce nel buio.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caleb Prior, Four/Quattro (Tobias), Tris
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Guardo giù, verso lo strapiombo.
Penso a come si è sentita un attimo prima di saltare, al timore, alla voglia di sfida che riempivano il suo cuore.
E penso che ora il suo cuore è vuoto, come il mio, perché è morta.
Lei è morta.
<< Tris è morta >>, ripeto ad alta voce perché in questo modo spero di rendermene finalmente conto.
Di uscire dal trance in cui sono caduto esattamente un anno fa, quando vidi il suo corpo freddo, su quel tavolo di metallo.
Allungo di nuovo lo sguardo verso il nulla sotto di me.
L’altezza non mi infastidisce più, ho affrontato la mia peggiore paura, perdere lei.
Ora il mondo si limita a scivolarmi addosso senza mai colpirmi davvero.
Come se perdendo lei mi fossi perso anche io.
Per un istante mi chiedo se la rete fissata dagli Intrepidi sia ancora al suo posto.
Mi chiedo che cosa proverei se mi gettassi ora e non ci fosse.
Giungo alla conclusione che rimarrei più deluso se non morissi.
Nemmeno questi pensieri sono in grado di spaventarmi.
Sento dei passi alle mie spalle.
Non mi volto, socchiudo gli occhi e spero che sia lei, spero sempre che sia lei.
<< Ehi >>. La voce di Caleb rompe la mia piccola illusione, come succede sempre.
<< Ciao >>, mi saluta fermandosi qualche passo dietro di me.
Io sono in piedi sul cornicione, gli do le spalle.
Non rispondo al saluto, non me ne preoccupo nemmeno.
Coloro che sanno cosa mi è successo non si aspettano un atteggiamento diverso da me.
Caleb soprattutto.
Non lo odio, per odiare bisognerebbe poter provare ancora delle emozioni.
L’unica cosa che sento io è il vuoto dentro di me.
<< Ho una cosa per te >>, mi comunica.
Rimango fermo.
Percepisco il suo imbarazzo, il suo chiedersi se ha senso continuare a parlarmi.
A quanto pare non si arrende.
<< Puoi portarmi al corridoio delle simulazioni? >>.
Finalmente mi volto e lo osservo.
Resisto solo un secondo, fa troppo male.
Abbasso lo sguardo e senza proferire parola mi incammino verso un ingresso più sicuro, uno che non preveda salti da trenta metri d’altezza.
Cammino con passo lento, pesante, non ho fretta perché non ho voglia di fare nulla, Caleb mi segue silenzioso.
Mi fermo soltanto quando sono giunto a destinazione.
Non gli chiedo il perché di tutto questo, non dico niente.
Lui estrae qualcosa dalla sua tasca, la soppesa per qualche secondo e subito dopo solleva la provetta all’altezza del suo viso perché io possa vederla bene.
Indietreggio sapendo quanti danni hanno causato tutti quei sieri e non voglio sapere di cosa si tratta ma non riesco ad andarmene.
Lo guardo negli occhi, quegli occhi così simili ai suoi eppure mai abbastanza.
Gemo.
Caleb non si avvicina né mostra segni di cedimento.
<< In quest’ultimo anno oltre a lavorare per il dipartimento, ho lavorato su questo >>, dice agitando la provetta.
Non gli chiedo cosa sia, né a che cosa serva, me ne tengo a distanza.
<< Sono partito dal siero che usavate per  allenare gli iniziati nei loro scenari della paura, e l’ho modificato >>.
Lo guardo ancora negli occhi, sofferente.
<< Vorrei che tu lo provassi >>, mi dice, stavolta più insicuro?
<< Perché? >>, gli chiedo. La mia voce è dura, come se sputassi le parole perché non riesco più a tenermele dentro.
Lui cede, abbassa lo sguardo e incurva le spalle.
<< E’ tutto ciò che posso fare per te… >>, mormora.
Si avvicina a passi lenti, la mano allungata di fronte a sé.
Mi lancia occhiate veloci, non riesce a sostenere il mio sguardo.
<< Devi berlo, tutto >>, mi spiega.
Il siero ancora a mezz’aria tra di noi.
Non ci rifletto molto.
Lo afferro e lo ingoio tutto d’un fiato.
Caleb sembra sorpreso che non abbia opposto la minima resistenza.
Se questo siero mi uccidesse mi farebbe un favore.
Invece no, mi sento leggero e per un secondo sospetto che sia il siero della pace.
Lo guardo furioso.
<< Ti aspetto fuori >>, mi dice e si incammina.
Quando è all’angolo del corridoio si volta, come se avesse dimenticato qualcosa.
<< Ah… Non chiedermene altro quando sarà finito l’effetto, quella era l’unica dose >>.
Dopodiché sparisce nel buio.
L’inquietudine mi coglie all’improvviso.
I ricordi che questa stanza richiama non sono piacevoli e quando un faro di luce si accende per qualche secondo temo che i miei incubi prendano vita.
Lei che mi abbandona, lei che muore.
Sento dei passi e sono sicuro che sia lei, sono sicuro che vedrò il suo volto contorto dal dolore, il sangue che esce a fiotti dalle ferite.
Invece no.
Cammina dentro il raggio di luce timida, le guance arrossate.
Sobbalzo e per un istante non so che fare, se fuggire via da lei o se correrle in contro.
Mi avvicino cauto.
Lei stringe gli occhi a due fessure per scorgermi nel buio.
Quando entro anche io nel cerchio di luce la sorpresa invade il suo viso.
Il suo splendido sorriso mi disarma e quasi cado in ginocchio.
Ho paura di toccarla perché so che questa è una simulazione, so che lei è morta e sono sicuro che se la toccassi si sgretolerebbe in mille pezzi, come nei miei incubi.
Ma lei allunga una mano verso di me, mi tocca prima che possa scansarmi.
Il mio cuore manca un battito quando le sue dita stringono la mia maglietta e mi tirano a se.
Sento il calore della sua pelle attraverso la camicia bianca che indossa.
Distolgo lo sguardo dal suo sorriso solo un momento e mi accorgo che è solo quella a coprirla.
Ha le gambe affusolate completamente nude.
Mi viene voglia di toccarla ma prima che posso fare qualsiasi cosa lei mi bacia.
Avvampo e non mi sento più me stesso.
Mi sento vulnerabile, indifeso, debole… ma felice.
Le prendo il viso tra le mani e la bacio ancora.
Sento le sue labbra schiudersi in un sorriso mentre mi abbraccia e mi accarezza la schiena sollevandomi la maglietta.
<< Sei qui >>, dico allontanando impercettibilmente le mie labbra dalle sue, ancora si sfiorano, i nostri respiri si confondono.
<< Sono qui >>, ripete lei coprendo le mie mani con le sue.
Vorrei dirle tante cose, chiederle perché l’ha fatto perché mi ha lasciato solo, dirle che la odio perché non riesco più a vivere senza di lei ma di tutte queste cose dico quella che mi sono rifiutato anche solo di pensare in questi trecentosessantacinque giorni.
<< Ti amo >>.
Una lacrima mi riga la guancia.
Il suo volto si contrae in una smorfia quando la vede e si affretta ad asciugarla con due baci.
<< Ti amo anch’io >>, mi sussurra all’orecchio.
Improvvisamente l’urgenza di non perderla di nuovo mi assale.
La stringo forte, consapevole che prima o poi il siero smetterà di fare effetto e che non potrò vederla mai più.
Lei mi accarezza il viso e lentamente si piega sulle ginocchia.
Ci sdraiamo a terra l’uno accanto all’altra, le nostre mani si stringono i nostri occhi sono incatenati.
La osservo respirare, il petto che si gonfia sotto la camicia, i capelli lunghi le incorniciano il viso, le guance rosee e poi i suoi occhi… I suoi occhi mi fermano il cuore.
E vorrei che il tempo si bloccasse  in questa illusione.
Che non dovessi mai più affrontare il mondo da solo.
Quel mondo che con il suo sacrificio ha permesso di costruire.
<< Perché l’hai fatto? >>, le chiedo disperato.
E lei sa che non mi riferisco al sacrificio per salvare la città.
Le ho chiesto perché mi ha abbandonato.
I suoi occhi tristi mi osservano da un po’ quando finalmente mi risponde.
<< Non volevo abbandonarti… Non volevo morire >>, sospira come se pronunciare quelle parole fosse semplicemente faticoso, ma non doloroso.
<< Sono entrata lì dentro sapendo che il siero della morte non mi avrebbe uccisa, che avrei creato un futuro per noi due, una vita insieme senza guerra >>.
Abbassa lo sguardo sulle nostre mani.
<< Non pensavo che ci avrei trovato David, non pensavo che mi avrebbe sparata… Avevo lasciato la mia pistola fuori… >>.
I suoi occhi si inumidiscono ma non piange.
<< Non pensavo di perdere tutto, di perdere te Tobias >>.
Sentirle pronunciare il mio nome è un misto tra agonia e sollievo.
Non le dico nulla, non c’è nulla che potrei dire.
E’ morta sola, quando l’unica cosa che voleva era vivere con me.
Non piango, non soffro.
Mi godo questi preziosi momenti con lei che guardandomi sorride di nuovo.
Mi perdo nei suoi occhi finché le mie palpebre non diventano pesanti.
E il buio mi cade addosso.
 
Quando mi risveglio e lei non c’è il panico mi assale.
Rimango sdraiato roteando gli occhi per scrutare la stanza, come se potesse essere nascosta in qualche angolo, ad aspettarmi.
Ma lei non c’è.
Lei non c’è mai stata, era una simulazione.
Era tutto nella mia testa.
Chiudo gli occhi e ricordo il suo viso, il suo sorriso, i capelli lunghi e biondi.
Ricordo l’amore della mia vita, mi stupisco di me stesso per aver usato quelle parole nella mia testa.
Penso a tutto ciò che mi ha detto, alla sua voce e per un attimo penso di potercela fare.
Poi però, le sue parole mi risuonano nel cervello senza poterle più fermare.
“Non pensavo che ci avrei trovato David, non pensavo che mi avrebbe sparata… Avevo lasciato la mia pistola fuori…”
Quasi mi manca l’aria.
Io non sapevo queste cose, non sapevo cosa avesse pensato una volta lì dentro.
Ma soprattutto non sapevo che avesse lasciato la pistola fuori.
Una volta avuta la notizia non mi ero sforzato di andare sul luogo dell’accaduto a vedere dove aveva trascorso i suoi ultimi istanti.
Mi metto a sedere e mi accorgo di avere ancora qualcosa tra le mani, è la fiala.
Sul fondo c’è una minuscola etichetta con alcune parole stampate sopra.
Mi sforzo per leggerle al buio del corridoio.
<< Siero dei desideri >>, leggo ad alta voce.
Lo so che era tutta una simulazione, io ne sono sicuro.
Ma Caleb è andato via, non aveva nessun computer con se da cui pilotarla, non ero collegato a nessun macchinario, tutto ciò che avevo visto era solo nella mia testa.
Mi alzo in piedi, e guardo verso l’alto.
Vedo solo il soffitto, ma il mio sguardo è rivolto al cielo, piani e piani sopra di me.
Non sapevo della pistola, penso, lo sapeva solo lei…
Sento una fitta al cuore.
Non riesco a spiegarmelo, non c’è una spiegazione.
Penso di rincorrere Caleb e cercarne una insieme a lui ma senza nemmeno accorgermene mormoro qualcosa.
<< Tris … >>, le parlo come se potesse sentirmi.
Improvvisamente proprio nel punto in cui immaginavo di vedere il cielo una lampadina si accende, accecandomi.
Crea lo stesso raggio di luce della simulazione, anche se più tenue.
Mi guardo intorno, ricordandomi che nello stabile la corrente non è stata collegata.
Cado in ginocchio, le mani tremanti.
<< Sei qui >>, sussurro, gli occhi spalancati.
Non mi aspetto di vederla camminare verso di me, non mi aspetto di sentire la sua voce.
Eppure la sento, la sento come se fosse dappertutto, come se me la portassi dentro.
La luce della lampadina tremola appena e poi si spegne del tutto.
Rimango al buio, ma non mi sento al buio.
Mi sento caldo, mi sento vivo dopo tanto tempo.
La sento con me, la sento dentro di me.
Mi alzo in piedi consapevole che ciò che ho vissuto non si poteva ricondurre unicamente alla simulazione.
Esco fuori, trovo Caleb appoggiato al muro.
Non gli dico niente, non potrebbe capire.
Anche lui resta in silenzio mentre ci incamminiamo verso l’uscita.
Scorgo la luce del sole in lontananza e per la prima volta in un anno, corro.
Come se valesse la pena di vedere qualcosa.
Esco fuori, il sole mi illumina.
Lo guardo e penso a lei.
Non c’è solo dolore… Lei è con me.
Fine.




Salve a tutti :)
Erano anni che non scrivevo una fanfiction, anni che non ne sentivo il bisogno. Eppure eccomi qui, tornata su efp.
Nessun libro mi prendeva a tal punto da pensarci giorno a notte, da non essere soddisfatta nel limitarmi a leggere.
Ma se siete qui è perché vi sentite esattamente come me.
Spero che la storia vi sia piaciuta, mi serviva una conclusione che fosse più "conclusiva" di quella della Roth e non ho trovato pace finché non l'ho scritta.

L'ho inserita prima della conclusione effettiva, perchè avesse più senso.
Fatemi sapere cosa ne pensate :)

 
  
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