Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: thefireplanet    24/04/2014    0 recensioni
Ci sono dei pesi, quando sei regina, che non hanno niente a che fare con una maledizione. Ci sono dei doveri, quando sei principessa, che non hanno niente a che fare con l'essere una sorella. E la strada per il vero amore non è mai stata in discesa.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna, Elsa, Hans, Kristoff, Nuovo personaggio
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 6

 

 

"Quindi tu sei il Principe Albert," Anna chiede al suo pezzo di pane. "Il Principe Albert delle Isole del Sud. Un principe che viene da quelle isole giù a sud. Quel tipo di principe."

Elsa si volta lentamente in direzione della sorella, le narici dilatate. Anna continua a imburrarsi pigramente il pane. Caldo, fragrante, dorato. Buon pane. Il principe in questione sembra star provando a decidere quale forchetta debba affondare nell’insalata. La lotta, Anna pensa, è seria.

Posa il coltello da burro, posando lo sguardo sull’uomo di fronte a lei, il pane in viaggio verso la bocca. Eccolo seduto lì, coi capelli ricci e le lentiggini, con l’aria di uno che vuole sprofondare nella tappezzeria rossa. Se non fosse stato per quegli occhi, Anna pensa, il pane quasi alla bocca, non lo avrebbe proprio etichettato come principe delle Isole del Sud. Mentre lo osserva lui alza lo sguardo, e quegli occhi—gli stessi occhi, davvero, proprio un potere superiore, per forza—Anna si infila tutta la fetta di pane in bocca e fa un sorriso colpevole, a guance piene, in direzione della sorella

Il Principe Albert si tira su la manica della giacca. Anna, ingoiando senza masticare a respirando a malapena, nota il tratto netto della grafia scritta lì—e un piccolo schema di un piatto da cena formale, completo di tovagliolo, forchetta, coltelli—prima che il principe lasci cadere la manica, prendendo in fretta la forchetta più esterna.

"Allora, si sente ben riposato, Principe Albert?"

"Sì, maestà, grazie," risponde a bocca aperta, e poi diventa rosso scarlatto. La mano va a coprire la bocca, ingoia, and Anna lo fissa dall’altra parte del tavolo con un’espressione piuttosto stupida. Laddove Hans era stato elegante, disinvolto, aggraziato, infido e bugiardo e intrigante, quel pezzo di idiota

Si lecca le labbra, calma il respiro. Più di ogni altra cosa, pensare ad Hans la mette in imbarazzo. Ma questo tizio—dalla punta dei capelli alla suola delle scarpe, non manda, in nessun modo, segnali di regalità. Forse era stato adottato o una cosa del genere—ma quegli occhi

"Ma sei sicuro di essere un prin—"

"Anna!"

"—vato?" finisce, virando a sinistra. Guarda Elsa, che sembra quasi pregarla, ma sul serio, che voleva, sua sorella—dodici anni a mangiare coi camerieri in cucina e all’improvviso ci si aspettava da lei che tenesse a freno la lingua a cena, eddai—"Un soldato nell’esercito privato?"

"Uh, no, non sono—no," fa con gli occhi rivolti al suo piatto. "Ho dei fratelli nell’esercito, però."

"E Hans faceva parte dell’esercito?"

"Anna."

"Sto solo chiedendo. Non è che sapesse combattere o altro, voglio dire, ho preso a pugni—"

"Anna."

"—un cane una volta. Aspetta. Che?" Prende in fretta la coppa con l’acqua, ma quando l’inclina per bere un sorso, scopre che l’acqua è completamente ghiacciata. Guarda male Elsa, ma le labbra strette a filo della sorella dicono, praticamente, tutto, quindi alza gli occhi, posando di nuovo il bicchiere.

Tutto questo era infinitamente più difficile di quanto pensasse.

Specialmente con quegli occhi

"Perché non ci racconta dei suoi fratelli, Principe Albert?" chiede Elsa, educata.

No, Anna non vuole sentir niente su quelle persone orrende. Sospetta che la famiglia intera sia psicopatica, sotto sotto. E poi, il tipo di fronte a lei probabilmente sta solo facendo finta di essere un agnellino innocente, sul serio—

"Beh, Alfons è il più grande. Il re. Suo fratello gemello, Lukas, è un generale nell’esercito, come Marcel. C’è, uhm, Stefan, che si diverte a scrivere commedie, e Josef e Rupert—anche loro l’esercito—" Anna lo osserva. Dalla voce non trapela granché. Tiene su le dita e li conta come pezzi di carne. "Felix—beh, lui è—Felix è—andato." Andato? "E poi Niels—è lui lo stregone," rivolge l’ultima a Elsa, e lei annuisce, e Anna perde il filo. "Tomas e Viktor, anche loro gemelli, e poi Fredrik—è via a combattere con Marcel, al momento, o sarebbe qui anche lui—e poi io, e beh. E poi Hans."

"Sì, sappiamo tutto di Hans," Anna borbotta cupa tra i bocconi d’insalata.

"Si è comportato bene, spero?" Il Principe Albert guarda in su, sorridendo in fretta, ma svanisce altrettanto in fretta. Tossisce sulla forchetta. "Questa lattuga è fantastica," dice, e poi sobbalza.

Anna pensa che, sul serio, non era possibile che ci fossero due fratelli più diversi sulla faccia della terra. Poi guarda Elsa.

Beh. Forse stava un po’ esagerando.

Prende un’altra fetta di pane.


Toc, toc, toc.

La porta si apre con un cigolio, e nella stanza dietro c’è puzza di marcio e rovina. L’aria è viziata, stucchevole. Una grande finestra panoramica, dall’altro capo della stanza, lascia entrare i raggi del sole morente, ma sembra smorzato, e fasullo. Re Alfons si blocca sulla soglia, stringendo le labbra.

"Vostra maestà." Una voce, dall’angolo. "A cosa devo il piacere di questa visita?"

"Piantala con le formalità, Niels," replica, facendo un passo avanti nelle tenebre e lasciando che la porta si chiuda dietro di sé. Immediatamente si sente soffocato, schiacciato al suolo.

"Mi limito a seguire il protocollo, fratello."

"Ma certo."

"Dimmi, come procedono i tuoi studi?"

"Bene."

C’è un uccello—un corvo—infilzato su uno dei tavoli, e si dibatte ancora, nel bel mezzo della sua agonia. "Eccellente. Ho una richiesta per te." Sta per venirgli una terribile emicrania, un battito tribale nelle tempie.

"Sì?"

"Sono in cerca del miglior modo per eliminare una minaccia."

Intravede il lampo bianco dei denti di Niels nel crepuscolo morente, strozzato. "Ah," è tutto quello che dice.

Alfons serra la mascella. Niels non era Hans, che si poteva spingere con la paura a collaborare. Era viscido come un’anguilla, e due volte più intelligente. "Ovvio, Il tuo aiuto sarà ricompensato. Oro, gioielli—"

"Un posto nel consiglio, magari?"

"Non ci sono posti vacanti."

"Beh. Sono sicuro che possiamo farci qualcosa, non credi?"

"Sì," Alfons risponde. "Ovvio."

"Giuralo su qualcosa a cui tieni."

Pausa. "Lo giuro sulla mia sovranità."

"Bene. Ora, che genere di minaccia stiamo affrontando, in modo da avere qualche base?"

"Ghiaccio," Alfons dice. "Ci troviamo di fronte al ghiaccio."


"Ugharhghh!"

Anna si fionda nelle stalle come una specie di uragano forsennato, la porta che sbatte contro il muro e la sua silhouette profilata dall’unica lampada che splende accanto alla porta. Kristoff, che ancora si sta svegliando dal suo sonnellino pomeridiano, che ancora cerca di capire dove si trova, si tira su a sedere all’improvviso nella sua pila di fieno e riesce a dire, "Cos’è che va a fuoco?"

"Se essere una principessa significa presenziare a cene imbarazzanti con i fratelli del quasi assassino di tua sorella, allora no grazie."

"Che?" Kristoff si strofina un occhio. Il berretto gli scivola dalla faccia al mento al petto. Sven sbatte le palpebre assonnato accanto a lui, schioccando le labbra da renna. "La sorella assassina del fratello—"

"No, un fratello del quasi assassino di mia sorella, tieni il passo, Kristopher."

"Uh, già." Ci arriva lento, come un’onda. "Aspetta. Che?"

"Esattamente quello che voglio dire." Si lascia cadere drammaticamente nel fieno accanto a lui, col collo e le braccia scoperte, senza preoccuparsi del pomposo vestito verde che si spiegazza. Una delle maniche di seta scivola giù fino quasi al gomito. Ingoia, cercando di non fare caso alle lentiggini sparse sulla clavicola ed era davvero troppo presto per questo, solo che non era presto, era tardi, non è vero—allora era davvero troppo tardi per questo

"Rallenta," tossisce, anche se lei non si muove, non parla e niente. "Che succede?"

"Il Principe Albert," dice, facendo una voce tutta altezzosa, "è venuto a cena." Anna sta affondando nel fieno, ma non fa niente per evitarlo, fissa solamente il soffitto delle stalle e sputa fili di paglia a caso via dalla bocca. Una ciocca di capelli si era sciolta nel suo attacco di collera, e adesso è proprio nel bel mezzo della fronte. Allunga la mano per portarla all’indietro, e poi pensa no, non lo fare, e poi pensa basta—no, vai—no—così, la sua mano barcolla incerta per tutto il tempo e alla fine cade dietro di lui.

"Dovrei conoscerlo?" chiede. E poi sobbalza. Quante altre prove di non sono nobile gli servivano?

"è il fratello del principe Hans."

Si siede, totalmente e completamente sveglio. "E tua sorella l’ha ammesso a palazzo?"

"A quanto pare si è perso l’incoronazione per sbaglio, ma l’ho smascherato in meno di un minuto Arendelliano. Fa la parte dell’ingenuo di campagna—"

"A palazzo?"

"Kristoff, per favore." Gli occhi di Anna trovano i suoi. "Tieni il passo."

"Beh, e lo sa? Quello che ha fatto suo fratello?" le chiede piano. La spada levata contro la schiena della regina era stata orribile, terribile, ma non era stato tanto quello—non era stato tanto quello che l’aveva tenuto sveglio di notte nell’ultima settimana, ma immagini di Anna barcollante nella tempesta di neve, mani di ghiaccio, braccia di ghiaccio, cuore di ghiaccio—

"Non ancora. Elsa dice che gliene parlerà." Anna sospira, agitando le braccia ai due lati, come se stesse facendo un angelo nel fieno. Una di loro gli colpisce il petto. "Non lo so proprio. Mi piace avere i cancelli aperti, ma rende le cose più—complicate. Ma ehi! Almeno ho te!"

"E questo che significa?"

"Sai. Questo," si volta sul fianco, e alza gli occhi verso di lui. Deglutisce; l’unica cosa che lo tiene coi piedi per terra è il masticare di Sven. Si lecca le labbra. Vuole dire questa cosa è tutt’altro che lungi dall’essere complicata, ma lei è stesa lì e lui non ce la fa, quindi non lo fa. Si limita a stendersi accanto a lei, le mani dietro la testa. Vuole chiederle cos’è questo, ma non ci riesce.

"Beh, andrà via presto, no?" dice invece. "Non mi piace avere qualcuno, chiunque delle Isole del Sud che ti gira attorno. Voglio dire attorno al palazzo. Attorno ad Arendelle."

"Oh, Kristopher. Ma allora ti importa."

"Stai zitta."

Anna sorride.

"Alle cucine il ghiaccio sta per finire," mormora rivolto al soffitto. "Dovrò partire, presto."

"Posso venire con te?"

"Dopo l’ultima volta? No."

"Psh. Come vuoi. Ti perderai le mie magnifiche capacità di cavare il ghiaccio. So cavarne così tanto. Tanto così. Stai guardando? Guardami, tanto così. Kristoff, guarda."

Come risposta le lancia in faccia un po’ di fieno. Sputacchia quando le va a finire in bocca e nei capelli e si vendica lanciandoglisi addosso. Non sa di preciso, quando gli crolla distesa sul petto, cosa voglia fare, finchè lei non ne prende una manciata vicino alla testa e glielo lancia negli occhi. "Porca—"

Le afferra le braccia. Un polso sottile, in ognuna delle sue grosse mani. Dalle risate le manca il respiro. A lui manca solo il respiro. La lanterna brilla di luce calda, e i cavalli nitriscono nei recinti. Si poggia su di lui come un colibrì, e si rende conto che praticamente lo è, e non atterra mai, non si ferma mai. Può contare le lentiggini che ha sul naso.

Vuole chiederle, posso baciarti, ma lei si sporge all’ingiù, le labbra che quasi sfiorano le sue. Anna muove la testa, mordendosi il labbro. Le sistema le mani sul proprio petto e lascia andare quei polsi sottili e appoggia le dita ai lati del viso, i polpastrelli che le scivolano sulle guance, raggiungendo la massa liscia, rossiccia dei capelli. Dice, "Non farla complicata, huh?"

"Molto non-complicata," risponde con un sorrisetto veloce. "Vedi, è semplice. Io voglio baciarti. Tu vuoi baciare me. Quindi dovremmo solo—"

Kristoff si allunga all’insù e le cattura le labbra con le sue. Il suono che Anna fa si trasforma da indignato a compiaciuto, fermandosi da qualche parte nel retro della gola. Le mani di lei stringono la camicia tra i pugni, poi percorrono il suo petto-è tutto così nuovo, pensa piuttosto lucido, la sensazione di un’altra persona, con le labbra che si muovono contro le sue, mani e piedi e—la cosa più importante—batticuore—si stacca, tracciando un percorso di baci giù per il collo, fino alla liscia e lentigginosa distesa della spalla, e lei sussurra, "Kristoff."

Si ferma. Guarda in alto. C’è una specie di calore che aumenta nel suo ventre. Lei è lì, sopra di lui, delineata dalla luce delle lampade, il fieno nei capelli, e la treccia scompigliata. C’è qualcosa intorno agli occhi di Anna che non riesce a leggere, e pensa, con una paura improvvisa, e un’improvvisa stretta al petto, di aver fatto qualcosa di male—ma le mani le aveva mantenute all’altezza della vita, e la bocca al di sopra del seno, e—

"Sono stanca," dice in fretta, con uno sbadiglio poco convincente. "Devo proprio ritornare a un ritmo di sonno normale, ha." Si siede. Il suo corpo lo lascia. Cerca di ritrovare il respiro, e di ricomporsi.

"Certo. Sì, sicuro."

"Solo che—"

Si ferma. Lui fa, "Sì?"

"Niente." Anna sorride. Si piega in avanti e gli dà un bacio sulla guancia. Gli sussurra "Buonanotte," all’orecchio. Poi scappa via dalla stalla, lasciandosi alle spalle la porta che sbatte.

"Cosa ho fatto?" Kristoff geme, guardando Sven. La renna alza le spalle. "Non ne ho idea," risponde il suo amico. "Forse baci solo da schifo."

Kristoff fa una specie di suono strangolato e si lascia cadere nel fieno. "Ti ricordi quando il ghiaccio era la mia vita?"

Sven annuisce comprensivo.

"Ghiaccio. La mia vita. Perché è.." Kristoff fa un cenno alla porta, infilandosi il cappello in testa e considerando l’idea di farsi una doccia fredda, e decide che deve andarsene di nuovo.

E presto.


"Perdoni mia sorella, Principe Albert," Elsa dice piano. Sono in piedi sulla balconata fuori della sala da pranzo, nella tiepida, balsamica notte estiva, e le stelle si accendono, una per una. "Di recente si è ferita la testa," continua in tono piatto.

Il principe è dritto e rigido accanto a lei, con le mani dietro la schiena. Lei mantiene le sue di fianco, lottando contro l’impulso di evocare il vento freddo. Chiede, "Parecchio grave?" Poi, "Aspetti, no, volevo dire—non c’è niente da perdonare." La guarda in tralice e sorride. "Davvero."

Sbatte le ciglia e guarda avanti, fino al fiordo, e il mare che scintilla. Riesce appena a distinguere gli alberi di alcune navi. Si chiede quale sia quella del principe. Si avvicina alla ringhiera, impaziente di richiamare il vento, e sistema le mani sulla superficie piatta. Le si contorce lo stomaco. La cena non stava giù.

"Regina Elsa? Se—se mi è concesso," Il Principe Albert inizia, avvicinandosi a lei. "Forse non dovremmo aspettare fino a domani. Forse dovrebbe dirmi quello che ha fatto mio fratello adesso, in modo da poter porgere le mie scuse in sua vece."

"Che?" Elsa sobbalza. Quando lo guarda, il principe la sta fissando serio con quegli occhi, i suoi verde-blu in quelli di lei, color ghiaccio—cos’erano mai? Non pensava fossero percettivi. Non si era mai considerata così un libro aperto. Non è pronta. Ritorna a guardare il fiordo. "Qualunque cosa lei possa—"

"Sa che," il principe inizia, imitando la sua posizione, "che una volta era convinto che avrebbe sposato la delfina di Francia? Le mandò pegni d’amore, doni e altre cose. Poi un giorno ci giunse la notizia che era destinata a sposare il principe di Albion, e lo trovai nei quartieri della servitù, che stava rompendo il naso a un uomo." Si afferra il pollice della mano destra con la sinistra, guardando dritto davanti a sé. "Quindi, per favore, me lo dica. Non riesco—" tenta un sorriso, ma si spegne. La mano pizzica, scatta verso la manica. "Non riesco a sopportare l’attesa più a lungo."

"Sarò franca, allora," Elsa inizia lentamente, immaginando Hans e il rumore dell’osso che si spezza. "Mi perdoni, non è mia intenzione offenderla."

"La prego, continui."

Così educato. Così formale. Dice, "Hans ha tentato di promettersi in matrimonio a mia sorella. Dopo che è tornata a casa—" Elsa si ferma, non sa come continuare. "Era ferita. Hans l’ha data per morta, e mi ha dichiarata traditrice."

"Perché?" La posizione rigida del principe si scompone. Sbatte le palpebre, con la bocca aperta, dice, "Non riesco a vederla colpevole di tradimento." Poi tossisce a disagio, distogliendo lo sguardo.

"Ho congelato Arendelle in un inverno perenne. È stato un incidente," si corregge in fretta. "Ma congelata, nondimeno. Ha tentato di uccidermi." È una versione così breve, semplificata, che si trova a dissentire in fretta da essa. Sembra irreale, come se fosse accaduto a qualcun altro, e non a lei.

"Regina Elsa," Il Principe Albert fa serio, voltandosi a guardarla. "Sono dispiaciuto. Non—sembra molto, non è così? Ma lo sono. Sinceramente."

"Adesso dovrebbe essere già tornato nel vostro regno."

"Sono sicuro che il re si sta occupando di lui. Alfons ha sempre avuto una certa influenza su di lui," finisce, parlando quasi a sé stesso.

Si sente come se si fosse tolta un peso dal cuore. Era stato breve, veloce; l’aveva fatto, aveva detto le fatidiche parole, e l’uomo accanto a lei non era diventato pazzo di rabbia. Sembrava sperduto, mentre fissava la città, le spalle leggermente ricurve, come se volesse essere invisibile. Dice, "Grazie per le sue scuse," perché cosa rimane da fare?

Il principe si strofina la nuca. "Vorrei solo che ci fosse qualcosa in più da poter fare. Poter dire. Non—Sapevo che era grave, ma non capivo—non capisco."

"Potere," risponde, premendo i polpastrelli l’uno contro l’altro. "Cosa c’è da capire?"

Il principe dice, ugualmente piano, "Andrò via da Arendelle il prima possibile. So che se—se fosse—se i ruoli fossero invertiti," alla fine trova le parole giuste, "Non sopporterei la mia faccia. Mi sorprende che è riuscita a farlo così bene così a lungo." Il suo sorriso è auto-denigratorio.

"E la sua nave?" Non lo negherà, e non dirà che non è quello che vuole.

"Problemi con l’albero, e lo scafo. La tempesta ci ha praticamente distrutti." I suoi occhi—quegli occhi—sono distanti. "Bene, Regina Elsa, spero—solo—riposi tranquilla, Hans verrà punito. Confermerò qualunque resoconto raggiungerà le Isole del Sud riguardo al suo comportamento." Fa per andarsene.

Non può farne a meno. Gli chiede, "Perché mi ha creduto subito?"

Si volta, ed è nella sala da pranzo a metà strada verso la porta, dove la guardia aspetta, sempre all’erta. Il suo viso è tremendamente serio, delineato dalla luce che c’è dentro.

"Perché si tratta di Hans."

E se ne va.


Ecco come era successo.

Non riusciva a dormire, ed era andato in libreria. Suo padre era lì, il fuoco vivo nel caminetto. Ecco come era successo.

Suo padre aveva detto, forza, figliolo. Siediti. Non riesci a dormire?

No, papino.

E suo padre aveva preso la scacchiera da uno degli scaffali, e aveva preparato il gioco. Aveva detto, questo non è un gioco di potere. O di forza. È tutto astuzia. Il fuoco scoppiettava nel caminetto. Controllava i pezzi bianchi, e suo padre i neri. Il pedone poteva avanzare di due caselle al primo turno.

Gli piaceva muovere i pezzi. Suo padre diceva, no, pensa prima, ma era troppo seducente il pensiero di prenderli, muoverli e basta. Suo padre lo teneva quasi in scacco matto. La porta si era aperta. La porta si era aperta, e suo fratello era lì, e la porta si era chiusa. Suo padre aveva detto, Alfons, che—

Alfons, che—

Alfons, che—

Non era stata una morte pulita. Non era stata una morte bella. C’era stato del sangue, ed era finito sulla scacchiera. Suo fratello l’aveva spintonato contro il muro di fronte, urlando, non avresti dovuto essere qui, non avresti dovuto—lo stava spingendo contro il muro con l’elsa della spada e diceva, non dirlo a nessuno, sentito? Sentito? Ho la tua completa e totale collaborazione?

Hans si sveglia sudando freddo, con lo stomaco che brucia. Vomita bile al lato della brandina. Non faceva quel sogno da molto, molto tempo.

Si ristende. Chiude gli occhi. Attende il sonno.

(E poi Alfons aveva rovesciato il re nero sulla scacchiera e aveva detto, è così che prendiamo il potere. E se poteva farlo suo fratello, poteva farlo anche lui. Andava bene, se poteva farlo suo fratello. Papino, papino. Andava bene.)

Attende il sonno, nella sua cella sudicia.

Attende.

  
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