Capitolo
6
"Quindi
tu sei il
Principe Albert," Anna chiede al suo pezzo di pane. "Il Principe
Albert delle Isole del Sud. Un principe che viene da quelle isole
giù a sud.
Quel tipo di principe."
Elsa
si volta lentamente in
direzione della sorella, le narici dilatate. Anna continua a imburrarsi
pigramente il pane. Caldo, fragrante, dorato. Buon pane. Il principe in
questione sembra star provando a decidere quale forchetta debba
affondare
nell’insalata. La lotta, Anna pensa, è seria.
Posa
il coltello da burro,
posando lo sguardo sull’uomo di fronte a lei, il pane in
viaggio verso la
bocca. Eccolo seduto lì, coi capelli ricci e le lentiggini,
con l’aria di uno
che vuole sprofondare nella tappezzeria rossa. Se non fosse stato per
quegli
occhi, Anna pensa, il pane quasi alla bocca, non lo avrebbe proprio
etichettato
come principe delle Isole del Sud. Mentre lo osserva lui alza lo
sguardo, e
quegli occhi—gli stessi occhi, davvero, proprio un
potere superiore, per
forza—Anna si infila tutta la fetta di pane in
bocca e fa un sorriso
colpevole, a guance piene, in direzione della sorella
Il
Principe Albert si tira
su la manica della giacca. Anna, ingoiando senza masticare a respirando
a
malapena, nota il tratto netto della grafia scritta
lì—e un piccolo schema di
un piatto da cena formale, completo di tovagliolo, forchetta,
coltelli—prima
che il principe lasci cadere la manica, prendendo in fretta la
forchetta più
esterna.
"Allora,
si sente ben
riposato, Principe Albert?"
"Sì,
maestà,
grazie," risponde a bocca aperta, e poi diventa rosso scarlatto. La
mano
va a coprire la bocca, ingoia, and Anna lo fissa dall’altra
parte del tavolo
con un’espressione piuttosto stupida. Laddove Hans era stato
elegante,
disinvolto, aggraziato, infido e bugiardo e intrigante, quel
pezzo di idiota—
Si
lecca le labbra, calma il
respiro. Più di ogni altra cosa, pensare ad Hans la mette in
imbarazzo. Ma
questo tizio—dalla punta dei capelli alla suola delle scarpe,
non manda, in
nessun modo, segnali di regalità. Forse era stato adottato o
una cosa del
genere—ma quegli occhi—
"Ma
sei sicuro di
essere un prin—"
"Anna!"
"—vato?"
finisce,
virando a sinistra. Guarda Elsa, che sembra quasi pregarla, ma sul
serio, che
voleva, sua sorella—dodici anni a mangiare coi camerieri in
cucina e
all’improvviso ci si aspettava da lei che tenesse a freno la
lingua a cena,
eddai—"Un soldato nell’esercito privato?"
"Uh,
no, non
sono—no," fa con gli occhi rivolti al suo piatto. "Ho dei
fratelli
nell’esercito, però."
"E
Hans faceva parte
dell’esercito?"
"Anna."
"Sto
solo chiedendo.
Non è che sapesse combattere o altro, voglio dire, ho preso
a pugni—"
"Anna."
"—un
cane una volta.
Aspetta. Che?" Prende in fretta la coppa con l’acqua, ma
quando l’inclina
per bere un sorso, scopre che l’acqua è
completamente ghiacciata. Guarda male
Elsa, ma le labbra strette a filo della sorella dicono, praticamente,
tutto,
quindi alza gli occhi, posando di nuovo il bicchiere.
Tutto
questo era infinitamente
più difficile di quanto pensasse.
Specialmente
con quegli occhi—
"Perché
non ci racconta
dei suoi fratelli, Principe Albert?" chiede Elsa, educata.
No,
Anna non vuole sentir
niente su quelle persone orrende. Sospetta che la famiglia intera sia
psicopatica, sotto sotto. E poi, il tipo di fronte a lei probabilmente
sta solo
facendo finta di essere un agnellino innocente, sul serio—
"Beh,
Alfons è il più
grande. Il re. Suo fratello gemello, Lukas, è un generale
nell’esercito, come
Marcel. C’è, uhm, Stefan, che si diverte a
scrivere commedie, e Josef e
Rupert—anche loro l’esercito—" Anna lo
osserva. Dalla voce non trapela
granché. Tiene su le dita e li conta come pezzi di carne.
"Felix—beh, lui
è—Felix è—andato." Andato? "E
poi Niels—è lui lo stregone,"
rivolge l’ultima a Elsa, e lei annuisce, e Anna perde il
filo. "Tomas e
Viktor, anche loro gemelli, e poi Fredrik—è via a
combattere con Marcel, al momento,
o sarebbe qui anche lui—e poi io, e beh. E poi Hans."
"Sì,
sappiamo tutto di
Hans," Anna borbotta cupa tra i bocconi d’insalata.
"Si
è comportato bene,
spero?" Il Principe Albert guarda in su, sorridendo in fretta, ma
svanisce
altrettanto in fretta. Tossisce sulla forchetta. "Questa lattuga
è
fantastica," dice, e poi sobbalza.
Anna
pensa che, sul serio,
non era possibile che ci fossero due fratelli più diversi
sulla faccia della
terra. Poi guarda Elsa.
Beh.
Forse stava un
po’ esagerando.
Prende
un’altra fetta di
pane.
Toc,
toc, toc.
La
porta si apre con un
cigolio, e nella stanza dietro c’è puzza di marcio
e rovina. L’aria è viziata,
stucchevole. Una grande finestra panoramica, dall’altro capo
della stanza,
lascia entrare i raggi del sole morente, ma sembra smorzato, e fasullo.
Re
Alfons si blocca sulla soglia, stringendo le labbra.
"Vostra
maestà."
Una voce, dall’angolo. "A cosa devo il piacere di questa
visita?"
"Piantala
con le
formalità, Niels," replica, facendo un passo avanti nelle
tenebre e lasciando
che la porta si chiuda dietro di sé. Immediatamente si sente
soffocato,
schiacciato al suolo.
"Mi
limito a seguire il
protocollo, fratello."
"Ma
certo."
"Dimmi,
come procedono
i tuoi studi?"
"Bene."
C’è
un uccello—un
corvo—infilzato su uno dei tavoli, e si dibatte ancora, nel
bel mezzo della sua
agonia. "Eccellente. Ho una richiesta per te." Sta per venirgli una
terribile emicrania, un battito tribale nelle tempie.
"Sì?"
"Sono
in cerca del
miglior modo per eliminare una minaccia."
Intravede
il lampo bianco
dei denti di Niels nel crepuscolo morente, strozzato. "Ah,"
è tutto
quello che dice.
Alfons
serra la mascella.
Niels non era Hans, che si poteva spingere con la paura a collaborare.
Era
viscido come un’anguilla, e due volte più
intelligente. "Ovvio, Il tuo
aiuto sarà ricompensato. Oro, gioielli—"
"Un
posto nel
consiglio, magari?"
"Non
ci sono posti
vacanti."
"Beh.
Sono sicuro che
possiamo farci qualcosa, non credi?"
"Sì,"
Alfons
risponde. "Ovvio."
"Giuralo
su qualcosa a
cui tieni."
Pausa.
"Lo giuro sulla
mia sovranità."
"Bene.
Ora, che genere
di minaccia stiamo affrontando, in modo da avere qualche base?"
"Ghiaccio,"
Alfons
dice. "Ci troviamo di fronte al ghiaccio."
"Ugharhghh!"
Anna
si fionda nelle stalle
come una specie di uragano forsennato, la porta che sbatte contro il
muro e la
sua silhouette profilata dall’unica lampada che splende
accanto alla porta.
Kristoff, che ancora si sta svegliando dal suo sonnellino pomeridiano,
che
ancora cerca di capire dove si trova, si tira su a sedere
all’improvviso nella
sua pila di fieno e riesce a dire, "Cos’è che va a
fuoco?"
"Se
essere una
principessa significa presenziare a cene imbarazzanti con i fratelli
del quasi
assassino di tua sorella, allora no grazie."
"Che?"
Kristoff si
strofina un occhio. Il berretto gli scivola dalla faccia al mento al
petto.
Sven sbatte le palpebre assonnato accanto a lui, schioccando le labbra
da
renna. "La sorella assassina del fratello—"
"No,
un fratello del
quasi assassino di mia sorella, tieni il passo, Kristopher."
"Uh,
già." Ci
arriva lento, come un’onda. "Aspetta. Che?"
"Esattamente
quello che voglio dire." Si lascia cadere drammaticamente nel fieno
accanto a lui, col collo e le braccia scoperte, senza preoccuparsi del
pomposo
vestito verde che si spiegazza. Una delle maniche di seta scivola
giù fino
quasi al gomito. Ingoia, cercando di non fare caso alle lentiggini
sparse sulla
clavicola ed era davvero troppo presto per questo,
solo che non era
presto, era tardi, non è vero—allora era davvero
troppo tardi per questo—
"Rallenta,"
tossisce, anche se lei non si muove, non parla e niente. "Che
succede?"
"Il
Principe
Albert," dice, facendo una voce tutta altezzosa, "è venuto a
cena." Anna sta affondando nel fieno, ma non fa niente per evitarlo,
fissa
solamente il soffitto delle stalle e sputa fili di paglia a caso via
dalla
bocca. Una ciocca di capelli si era sciolta nel suo attacco di collera,
e
adesso è proprio nel bel mezzo della fronte. Allunga la mano
per portarla
all’indietro, e poi pensa no, non lo fare,
e poi pensa basta—no,
vai—no—così, la sua mano
barcolla incerta per tutto il tempo e alla fine
cade dietro di lui.
"Dovrei
conoscerlo?" chiede. E poi sobbalza. Quante altre prove di non
sono
nobile gli servivano?
"è
il fratello del
principe Hans."
Si
siede, totalmente e completamente
sveglio. "E tua sorella l’ha ammesso a palazzo?"
"A
quanto pare si è
perso l’incoronazione per sbaglio, ma
l’ho smascherato in meno di un
minuto Arendelliano. Fa la parte dell’ingenuo di
campagna—"
"A
palazzo?"
"Kristoff,
per
favore." Gli occhi di Anna trovano i suoi. "Tieni il passo."
"Beh,
e lo sa? Quello
che ha fatto suo fratello?" le chiede piano. La spada levata contro la
schiena della regina era stata orribile, terribile, ma non era stato
tanto
quello—non era stato tanto quello che
l’aveva tenuto sveglio di notte
nell’ultima settimana, ma immagini di Anna barcollante nella
tempesta di neve,
mani di ghiaccio, braccia di ghiaccio, cuore di ghiaccio—
"Non
ancora. Elsa dice
che gliene parlerà." Anna sospira, agitando le braccia ai
due lati, come
se stesse facendo un angelo nel fieno. Una di loro gli colpisce il
petto.
"Non lo so proprio. Mi piace avere i cancelli aperti, ma rende le cose
più—complicate. Ma ehi! Almeno ho te!"
"E
questo che
significa?"
"Sai.
Questo," si
volta sul fianco, e alza gli occhi verso di lui. Deglutisce;
l’unica cosa che
lo tiene coi piedi per terra è il masticare di Sven. Si
lecca le labbra. Vuole
dire questa cosa è tutt’altro che lungi
dall’essere complicata, ma lei è
stesa lì e lui non ce la fa, quindi non lo fa. Si limita a
stendersi accanto a
lei, le mani dietro la testa. Vuole chiederle cos’è
questo, ma non ci
riesce.
"Beh,
andrà via presto,
no?" dice invece. "Non mi piace avere qualcuno, chiunque delle Isole
del Sud che ti gira attorno. Voglio dire attorno al palazzo. Attorno ad
Arendelle."
"Oh,
Kristopher. Ma
allora ti importa."
"Stai
zitta."
Anna
sorride.
"Alle
cucine il
ghiaccio sta per finire," mormora rivolto al soffitto.
"Dovrò
partire, presto."
"Posso
venire con
te?"
"Dopo
l’ultima volta?
No."
"Psh.
Come vuoi. Ti perderai
le mie magnifiche capacità di cavare il ghiaccio. So cavarne
così tanto. Tanto
così. Stai guardando? Guardami, tanto così.
Kristoff, guarda."
Come
risposta le lancia in
faccia un po’ di fieno. Sputacchia quando le va a finire in
bocca e nei capelli
e si vendica lanciandoglisi addosso. Non sa di preciso, quando gli
crolla
distesa sul petto, cosa voglia fare, finchè lei non ne
prende una manciata
vicino alla testa e glielo lancia negli occhi. "Porca—"
Le
afferra le braccia. Un
polso sottile, in ognuna delle sue grosse mani. Dalle risate le manca
il
respiro. A lui manca solo il respiro. La lanterna brilla di luce calda,
e i
cavalli nitriscono nei recinti. Si poggia su di lui come un
colibrì, e si rende
conto che praticamente lo è, e non
atterra mai, non si ferma mai. Può
contare le lentiggini che ha sul naso.
Vuole
chiederle, posso
baciarti, ma lei si sporge all’ingiù, le
labbra che quasi sfiorano le sue.
Anna muove la testa, mordendosi il labbro. Le sistema le mani sul
proprio petto
e lascia andare quei polsi sottili e appoggia le dita ai lati del viso,
i
polpastrelli che le scivolano sulle guance, raggiungendo la massa
liscia,
rossiccia dei capelli. Dice, "Non farla complicata, huh?"
"Molto
non-complicata," risponde con un sorrisetto veloce. "Vedi, è
semplice.
Io voglio baciarti. Tu vuoi baciare me. Quindi dovremmo solo—"
Kristoff
si allunga all’insù
e le cattura le labbra con le sue. Il suono che Anna fa si trasforma da
indignato a compiaciuto, fermandosi da qualche parte nel retro della
gola. Le
mani di lei stringono la camicia tra i pugni, poi percorrono il suo
petto-è
tutto così nuovo, pensa piuttosto
lucido, la sensazione di un’altra
persona, con le labbra che si muovono contro le sue, mani e piedi
e—la cosa più
importante—batticuore—si stacca,
tracciando un percorso di baci giù per
il collo, fino alla liscia e lentigginosa distesa della spalla, e lei
sussurra,
"Kristoff."
Si
ferma. Guarda in alto.
C’è una specie di calore che aumenta nel suo
ventre. Lei è lì, sopra di lui,
delineata dalla luce delle lampade, il fieno nei capelli, e la treccia
scompigliata. C’è qualcosa intorno agli occhi di
Anna che non riesce a leggere,
e pensa, con una paura improvvisa, e un’improvvisa stretta al
petto, di aver
fatto qualcosa di male—ma le mani le aveva mantenute
all’altezza della vita, e
la bocca al di sopra del seno, e—
"Sono
stanca,"
dice in fretta, con uno sbadiglio poco convincente. "Devo proprio
ritornare a un ritmo di sonno normale, ha." Si siede. Il suo corpo lo
lascia. Cerca di ritrovare il respiro, e di ricomporsi.
"Certo.
Sì,
sicuro."
"Solo
che—"
Si
ferma. Lui fa,
"Sì?"
"Niente."
Anna
sorride. Si piega in avanti e gli dà un bacio sulla guancia.
Gli sussurra
"Buonanotte," all’orecchio. Poi scappa via dalla stalla,
lasciandosi
alle spalle la porta che sbatte.
"Cosa
ho fatto?"
Kristoff geme, guardando Sven. La renna alza le spalle. "Non ne ho
idea," risponde il suo amico. "Forse baci solo da schifo."
Kristoff
fa una specie di
suono strangolato e si lascia cadere nel fieno. "Ti ricordi quando il
ghiaccio era la mia vita?"
Sven
annuisce comprensivo.
"Ghiaccio.
La mia vita.
Perché è.." Kristoff fa un cenno alla porta,
infilandosi il cappello in
testa e considerando l’idea di farsi una doccia fredda, e
decide che deve
andarsene di nuovo.
E
presto.
"Perdoni
mia sorella,
Principe Albert," Elsa dice piano. Sono in piedi sulla balconata fuori
della sala da pranzo, nella tiepida, balsamica notte estiva, e le
stelle si
accendono, una per una. "Di recente si è ferita la testa,"
continua
in tono piatto.
Il
principe è dritto e
rigido accanto a lei, con le mani dietro la schiena. Lei mantiene le
sue di
fianco, lottando contro l’impulso di evocare il vento freddo.
Chiede,
"Parecchio grave?" Poi, "Aspetti, no, volevo dire—non
c’è niente
da perdonare." La guarda in tralice e sorride. "Davvero."
Sbatte
le ciglia e guarda
avanti, fino al fiordo, e il mare che scintilla. Riesce appena a
distinguere
gli alberi di alcune navi. Si chiede quale sia quella del principe. Si
avvicina
alla ringhiera, impaziente di richiamare il vento, e sistema le mani
sulla
superficie piatta. Le si contorce lo stomaco. La cena non stava
giù.
"Regina
Elsa? Se—se mi
è concesso," Il Principe Albert inizia, avvicinandosi a lei.
"Forse
non dovremmo aspettare fino a domani. Forse dovrebbe dirmi quello che
ha fatto mio
fratello adesso, in modo da poter porgere le mie scuse in sua vece."
"Che?"
Elsa
sobbalza. Quando lo guarda, il principe la sta fissando serio con
quegli occhi,
i suoi verde-blu in quelli di lei, color
ghiaccio—cos’erano mai? Non pensava
fossero percettivi. Non si era mai considerata così un libro
aperto. Non è
pronta. Ritorna a guardare il fiordo. "Qualunque cosa lei
possa—"
"Sa
che," il
principe inizia, imitando la sua posizione, "che una volta era convinto
che avrebbe sposato la delfina di Francia? Le mandò pegni
d’amore, doni e altre
cose. Poi un giorno ci giunse la notizia che era destinata a sposare il
principe di Albion, e lo trovai nei quartieri della servitù,
che stava rompendo
il naso a un uomo." Si afferra il pollice della mano destra con la
sinistra,
guardando dritto davanti a sé. "Quindi, per favore, me lo
dica. Non
riesco—" tenta un sorriso, ma si spegne. La mano pizzica,
scatta verso la
manica. "Non riesco a sopportare l’attesa più a
lungo."
"Sarò
franca,
allora," Elsa inizia lentamente, immaginando Hans e il rumore
dell’osso
che si spezza. "Mi perdoni, non è mia intenzione offenderla."
"La
prego,
continui."
Così
educato. Così formale.
Dice, "Hans ha tentato di promettersi in matrimonio a mia sorella. Dopo
che è tornata a casa—" Elsa si ferma, non sa come
continuare. "Era
ferita. Hans l’ha data per morta, e mi ha dichiarata
traditrice."
"Perché?"
La
posizione rigida del principe si scompone. Sbatte le palpebre, con la
bocca
aperta, dice, "Non riesco a vederla colpevole di tradimento." Poi
tossisce a disagio, distogliendo lo sguardo.
"Ho
congelato Arendelle
in un inverno perenne. È stato un incidente," si corregge in
fretta.
"Ma congelata, nondimeno. Ha tentato di uccidermi." È una
versione
così breve, semplificata, che si trova a dissentire in
fretta da essa. Sembra
irreale, come se fosse accaduto a qualcun altro, e non a lei.
"Regina
Elsa," Il
Principe Albert fa serio, voltandosi a guardarla. "Sono dispiaciuto.
Non—sembra molto, non è così? Ma lo
sono. Sinceramente."
"Adesso
dovrebbe essere
già tornato nel vostro regno."
"Sono
sicuro che il re
si sta occupando di lui. Alfons ha sempre avuto una certa influenza su
di
lui," finisce, parlando quasi a sé stesso.
Si
sente come se si fosse
tolta un peso dal cuore. Era stato breve, veloce; l’aveva
fatto, aveva detto le
fatidiche parole, e l’uomo accanto a lei non era diventato
pazzo di rabbia.
Sembrava sperduto, mentre fissava la città, le spalle
leggermente ricurve, come
se volesse essere invisibile. Dice, "Grazie per le sue scuse,"
perché
cosa rimane da fare?
Il
principe si strofina la
nuca. "Vorrei solo che ci fosse qualcosa in più da poter
fare. Poter dire.
Non—Sapevo che era grave, ma non capivo—non
capisco."
"Potere,"
risponde, premendo i polpastrelli l’uno contro
l’altro. "Cosa c’è da
capire?"
Il
principe dice, ugualmente
piano, "Andrò via da Arendelle il prima possibile. So che
se—se fosse—se i
ruoli fossero invertiti," alla fine trova le parole giuste, "Non
sopporterei la mia faccia. Mi sorprende che è riuscita a
farlo così bene così a
lungo." Il suo sorriso è auto-denigratorio.
"E
la sua nave?"
Non lo negherà, e non dirà che non è
quello che vuole.
"Problemi
con l’albero,
e lo scafo. La tempesta ci ha praticamente distrutti." I suoi
occhi—quegli
occhi—sono distanti. "Bene, Regina Elsa,
spero—solo—riposi tranquilla,
Hans verrà punito. Confermerò qualunque resoconto
raggiungerà le Isole del Sud
riguardo al suo comportamento." Fa per andarsene.
Non
può farne a meno. Gli
chiede, "Perché mi ha creduto subito?"
Si
volta, ed è nella sala da
pranzo a metà strada verso la porta, dove la guardia
aspetta, sempre all’erta.
Il suo viso è tremendamente serio, delineato dalla luce che
c’è dentro.
"Perché
si tratta di
Hans."
E
se ne va.
Ecco
come era successo.
Non
riusciva a
dormire, ed era andato in libreria. Suo padre era lì, il
fuoco vivo nel
caminetto. Ecco
come era
successo.
Suo
padre aveva
detto, forza, figliolo. Siediti. Non riesci a dormire?
No,
papino.
E
suo padre
aveva preso la scacchiera da uno degli scaffali, e aveva preparato il
gioco.
Aveva detto, questo non è un gioco di potere. O di forza.
È tutto astuzia. Il
fuoco scoppiettava nel caminetto. Controllava i pezzi bianchi, e suo
padre i
neri. Il pedone poteva avanzare di due caselle al primo turno.
Gli
piaceva
muovere i pezzi. Suo padre diceva, no, pensa prima, ma era troppo
seducente il
pensiero di prenderli, muoverli e basta. Suo padre lo teneva quasi in
scacco
matto. La porta si era aperta. La porta si era aperta, e suo fratello
era lì, e
la porta si era chiusa. Suo padre aveva detto, Alfons, che—
Alfons,
che—
Alfons,
che—
Non
era stata
una morte pulita. Non era stata una morte bella. C’era stato
del sangue, ed era
finito sulla scacchiera. Suo fratello l’aveva spintonato
contro il muro di
fronte, urlando, non avresti dovuto essere qui, non avresti
dovuto—lo stava
spingendo contro il muro con l’elsa della spada e diceva, non
dirlo a nessuno,
sentito? Sentito? Ho la tua completa e totale collaborazione?
Hans
si sveglia sudando
freddo, con lo stomaco che brucia. Vomita bile al lato della brandina.
Non faceva
quel sogno da molto, molto tempo.
Si
ristende. Chiude gli
occhi. Attende il sonno.
(E
poi Alfons aveva
rovesciato il re nero sulla scacchiera e aveva detto, è
così che prendiamo il
potere. E se poteva farlo suo fratello, poteva farlo anche lui. Andava
bene, se
poteva farlo suo fratello. Papino, papino. Andava bene.)
Attende
il sonno, nella sua
cella sudicia.
Attende.