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Autore: FiveOneTen    26/04/2014    3 recensioni
[The Maze Runner][The Maze Runner]"Se non hai paura, non sei umano". Ben ripensava a quelle parole. Alby le aveva dette a quel Pive spuntato dalla Scatola come se nulla fosse e da lì scoppiò il finimondo. E lui? Beh, lui ora era pronto per l'esilio e per la morte certa. *Dal punto di vista di Ben*
Genere: Avventura, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sorpresa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Corri Pive!

L’aria della sera iniziava a farsi sentire gelandomi il sangue. Il fiatone mi era venuto ancora prima di iniziare a correre: un pive tanto patetico adesso quanto lo ero appena uscito dalla Scatola. Era passato poco, davvero poco tempo. Forse troppo poco, per finire già così. Il collare mi stringeva talmente tanto il collo che a stento riuscivo a respirare. Sentivo la pressione dei bottoni metallici, pensavo a quando lo avrebbero ritrovato, senza però più il mio collo di mezzo. Chissà se mi troveranno appetitoso, pensai ancora. L’atletica figura di Alby era retta davanti a me. Teneva quella fottuta asta in mano, soppesandola, girandosela tra le dita, gustandosi il momento. Da quando la scatola mi aveva sputato con disprezzo, il leader mi aveva sempre odiato. Non fu mai facile cercare di conviverci, fu a causa sua se da Velocista divenni un misero Costruttore. Quella faccia di Caspio, non aveva neanche una gran mira! Come si può centrare una persona in pieno viso con una freccia senza neanche farla fuori? Istintivamente portai una mano sulla benda ben nutritasi del mio sangue. Al minimo contatto con la cavità oculare ormai priva del suo organo provavo una gran fitta, come se migliaia di piccoli aghi di Dolente si infilassero tra le bende. Ecco un’altra bella cosa che avrei affrontato: simpatiche creature, i Dolenti; prima ti pungono e poi ti lasciano lì a morire, tra le mura di quel caspio di labirinto. Sploff di creature. Il mio occhio ancora sano prese a lacrimare appena Alby aprì bocca.
– Ben dei Costruttori, verrai esiliato per il tentato omicidio di Thomas il Novellino!
Io gridavo, imploravo, ma nessuno che osasse ascoltarmi. Gli Intendenti avevano espresso il loro giudizio, loro parlano, noi subiamo. Loro ordinano, noi eseguiamo: manco si trattasse dei Creatori!
– Vi prego, No!
Le mie suppliche, neanche le sentivano. Alby sapeva solo incolparmi, solo incolparmi. Voltai un attimo il capo, cercavo la causa di tutto questo, colui che mi aveva reso il caprio espiatorio della Radura: io quel ragazzo l’avevo già visto, brutto ceffo! L’avevo già visto durante la mutazione. Non fosse per quell’idiota di Alby, adesso legato a questo cappio ci sarebbe lui, non io! Giustizia, chiedevo solo giustizia! Non lo vedete? Crea scompiglio quello là, è la sua natura! I Dolenti non se lo mangerebbero mai, lo inviterebbero al loro banchetto! Ma ai miei pianti, non pensava nessuno. Che nessuno mi amasse nella Radura d’altronde lo sapevo già, ma non mi sarei mai aspettato quello che avvenne dopo. Il silenzio tombale tramutò in qualcosa di orrido, qualcosa che alle mie orecchie suonava come il grido rugginoso e meccanico di un Dolente. I Radurai si erano riuniti in coro, mai stati così coordinati, se non per vedere la Morte. Ma figurarsi, nella Radura solo il bagno nel sangue poteva far sorridere qualcuno.
– Alla Scarpata! Alla scarpata!
Le loro grida, i loro volti deformati dall’odio di un presunto assassino. Che poi, l’avessi ucciso! Era ancora lì a nascondersi tra la folla quel vigliacco. Ero forse l’unico che non conosceva neanche più il gusto della felicità da quando aveva varcato la maledettissima soglia della Scatola? Un clangore metallico mi fece capire che era finita: il mio collare in cuoio unto e ricolorato dal sangue essiccato su di esso si aggancio all’Asta dell’Esilio. Gli undici intendenti presero posizione afferrando con forza l’asta e la terra prese a brontolare come risvegliatasi da un lungo letargo. Le mura della porta Occidentale vibravano riprendendo vita, avvicinandosi sempre più ed emettendo un boato simile al latrato di una belva malnutrita. Le mie grida disperate non le sentiva più nessuno, le mie suppliche finivano nella Sploff secca: ero finito. Gli intendenti iniziarono a spingermi tra le pareti col lungo e diabolico arnese a cui ero legato. Il collo mi faceva male per la spinta eccessiva, il gusto salato delle lacrime mi seccava la lingua. La ferita sulla guancia aveva ripreso a sanguinare e piccole gocce della sostanza rossa di cui le bende erano eccessivamente inzuppate scivolava lungo la guancia assieme alle lacrime. Il mio viso, la mia pelle provata, le mie mani incallite dagli sforzi che ogni Costruttore è portato a fare tutte le sante mattine: il mio intero corpo strisciava lungo le pareti umide e crudeli  della porta. Se solo avessi provato a fermarmi a metà strada le porte mi avrebbero schiacciato e la mia sorte sarebbe stata anche peggiore di quel che volessi: ero fottutamente finito. Voltai ancora una volta la testa e finalmente, quando tra le porte rimase giusto una fessura, quando l’asta era oramai stata sganciata, lo vidi. Vidi quella sua faccia contorcersi in uno smarrimento, un’emozione strana che non seppi riconoscere. Pareva gioia nel vedermi perire, ma allo stesso tempo senso di colpa che lo stringeva tra le sue grinfie acuminate. Quegli occhi castani: io li avevo già visti nel mio passato, quello che avevo cancellato, quello per cui mi ero ripromesso di voler uscire dalla Radura, ma ora, la Radura mi sembrava un posto così sicuro. Le porte si chiusero e con esse il nostro ultimo contatto cessò. Per sempre. Avrei voluto rivederlo. Le mie visioni spiritate da assatanato mi avrebbero consigliato ancora una volta che quel giovane era la quintessenza del male, il diavolo reincarnato in un Fagio, ma nel mio animo sapevo che quella non era una cattiva persona. I suoi occhi, loro parlavano di libertà. Troppo tardi ormai. Le pareti del labirinto dai confini vaghi e sfocati andavano a mischiarsi col buio della notte divenendo un’unica coltre nera. Nella Radura non aveva mai fatto freddo, lì, per una volta, lo sentivo. Mi incamminai verso la mia triste sorte, qualunque essa fosse. Scalzo com’ero sentivo la terra nuda e cruda, quei lastroni di pietra ricoperti d’edera ferirmi o solleticarmi i piedi in una continua sofferenza. I tetri rumori delle creature non arrivarono subito alle mie orecchie, ma la prima cosa che vidi fu la loro massa informe avvicinarsi in lontananza. Le loro forme senza volto presero a muoversi più svelte, mi squadrarono chiedendosi forse come osassi infrangere i limiti imposti dal labirinto. La morte non l’avevo scelta, mi era stata imposta. Come spiegarlo però a quei cangianti involucri di viti, bulloni e carne? Vagai correndo, piangendo, incespicandomi e ferendomi tra i rami traditori che spuntavano qua e là tra l’edera. Scappare era inutile, ma alle volte l’istinto umano ti spinge a cercare la sopravvivenza, battersi per essa, anche quando si trasformerebbe solo in pura agonia. Corri Pive! Corri Pive! Solo una frase si ripeteva nella mia testa, ma non sempre si trova un lieto fine alla vicenda. Non seppi se essere gioioso o terrorizzato quando sentii il freddo di un braccio meccanico tapparmi la bocca. Salutai i vecchi ricordi di una vita passata che riaffioravano come sulla superficie di un laghetto. Salutai i ricordi di una vita che invece ricordavo ben meglio: le fatiche, le sgridate e la solitudine che solo questa vita aveva potuto preservarmi, l’unica che ricordavo, forse quella che avrei preferito dimenticarmi. Infine, salutai con rammarico quelle due strane creature dai corpi esili, gli ultimi due Fagio che la Scatola aveva sfornato, persone insolite loro. Lei e quei suoi bei capelli neri che ero riuscito a vedere di sfuggita passando per i corridoi del Casolare e lui con quel suo visetto da bravo bambino che nascondeva chissà cosa. Bravi o no, avrebbero aiutato quella banda di traditori: meglio così. Avrei preferito che i giovani Ben, quello vecchio e quello nuovo, fossero morti in maniera diversa, ma poco importa, finalmente l’agonia sarebbe finita. I versi della belva furono i soliti, sembrava un macinino andato in tilt, poi i suoi strani strumenti di tortura entrarono in azione e dopo tutto si fece nero, più di quanto già fosse.

Nota dell’autore: Ei, Runners J Ieri ho iniziato a leggere il primo capitolo della saga di The Maze Runners e non ho potuto non innamorarmi della storia. Me lo son divorato in poco tempo e mi manca qualche capitolo alla fine. Non so se riescano poi a trovare Ben alla fine della storia, dubito fortemente, ma ci son talmente tanti colpi di scena che non si sa mai. Anyway, nella mia versione Ben se ne va con dignità. L’immagine che han voluto dare di questo ragazzino non mi è piaciuta un granché: un piccoletto pieno di colpe che poveraccio neanche aveva, mandato in esilio perché nella sua follia aveva incolpato il Novellino e infine scomparso tra le mura del Labirinto senza poter più far ritorno... Sfiga, poveraccio! Spero vi sia piaciuto questa OneShot e grazie mille per averle dato un occhiata.
Vittorio
  
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