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Autore: cin75    28/04/2014    13 recensioni
Può un bacio donare pace? Può il ricordo di un amore donare conforto?
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jared Padalecki, Jensen Ackles, Misha Collins
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Di sogni, di baci e di destino.'
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N.d.A.: Sentite, non lo so! Davvero…non lo so!! Forse sarà il fatto che ieri era il compleanno di mio marito ed anche il nostro 12° anniversario e lui era fuori per lavoro. Sarà il fatto che i miei due Sam e Dean erano fuori per tutta la giornata per una gita scolastica. Sarà che la casa era troppo vuota e silenziosa, ma stamattina mi sono svegliata con le parole che sto per scrivere, stampate nella mente. Una dopo l’altra. Dovevo farle uscire, farle andare via in qualche modo e metterle “nero su bianco” è l’unico modo che conosco. Spero vi piaccia, anche se non è da me il “deep angst!” ( ammesso che esista!)
 
“Sono un po’ nervoso!” bisbigliò Jared nello studio medico del dott.  Beaver. Lo conosceva da quando era piccolo, lo aveva fatto nascere. Era stato il suo pediatra e poi il suo medico curante. Era quasi un secondo padre e il fatto che lo avesse chiamato per farlo andare al suo studio invece che a casa sua come di solito faceva quando aveva bisogno di parlargli, lo metteva a disagio.
“Sta’ tranquillo. Vedrai, vorrà solo comunicarti gli esisti degli ultimi esami che hai fatto. Sai che ci tiene a fare le cose per bene e dato che in questi mesi non sei stato in forma, come dire…ti ha fatto il tagliando completo e adesso vuole darti i risultati!”, provò a rassicuralo Jensen, anche se, non poteva negare, che anche lui era alquanto in ansia.
Se tutto era a posto, perché chiamare Jared allo studio. Perché chiamare anche lui.
Quando entrarono dottore e paziente si abbracciarono amichevolmente  e poi dopo aver stretto la mano anche a Jensen, l’anziano dottore gli chiese di sedersi.
“Ok!, Doc. sputa il rospo. Come mai mi hai fatto venire?!”
“Ho i risultati dei tuoi controlli. Di tutti i tuoi esami.”
“E ?”
“…” non rispose, ma lo sguardo che si dipinse sul suo viso fu come una pugnalata in pieno petto per i ragazzi seduti di fronte a lui.
“Jim…” fece Jensen. “ Che cosa c’è?!”
“C’è qualcosa nella risonanza che hai fatto, Jared!”
“Cosa?!” sussurrò il giovane.
“ Una macchia. Alla base del cervello.”
“Cosa?!” ripetè quasi come incantato
“Mio Dio!” fu invece l’angoscia di Jensen.
“E’ un tumore, Jared.”
“E’ sicuro…forse…forse dovremmo ripetere gli esami e vedere se…”, provò a chiedere Jensen, mentre stringeva la mano del compagno rimasto senza parole, e perso tra i miliardi di pensieri che si erano improvvisamente materializzati nella sua mente.
“Li ho già ripetuti e ricontrollati. E li ho anche fatti controllare da altri miei colleghi e uno specialista oncologo. Non ci sono errori o dubbi.”
“Ok!, come lo risolviamo. Cosa devo fare.” fece all’improvviso Jared come ripresosi da quella sua momentanea trance
“Mi dispiace, Jared. Tu non sai quanto mi dispiace!”
“Ti dispiace….cosa?!” non capendo quel dispiacere e fissando il dottore con gli occhi stretti in una  fessura su di lui.
“Che vuoi dire Doc?!” si accodò Jensen.
“Il tumore è in una posizione che non può essere toccato. È letteralmente aggrovigliato al nervo centrale. È inoperabile ed è… all’ultimo stadio!”
“Mi stai dicendo che sto morendo?!” e quasi gli sorrise consapevole.
“No…no, no. Lui non sta dicendo questo, Jared. Lui sta’ dicendo che sarà un bel casino, ma che ne verremo fuori. Che tu ne verrai fuori. Vero ?!” fece allarmato e disparatamente speranzoso Jensen, guardando l’amico dottore.
“Jensen…” cercò di calmarlo il medico, mortificato.
“Jensen, un cazzo!!” sbottò. “Jim, è di Jared che stiamo parlando. Non puoi chiamarci qui, dirci una cosa del genere e poi non dirci cosa fare per uscirne fuori…. Tu non…”
“Jensen…” e questa volta fu Jared a richiamare il compagno. Quel compagno con cui aveva diviso gli ultimi cinque anni della sua vita. Gli anni più belli della sua vita. I più divertenti, sereni, spensierati appaganti ed eccitanti della sua vita.
“Quanto ?!” chiese soltanto.
“Cosa?” fece Jensen guardandolo sconvolto. “ Cosa??!” fece più forte.
“Quanto?” ripetè al dottore.
“Due mesi…al massimo tre se proviamo a rallentarlo con un attacco massivo di radioterapia.”
Jared deglutì. I pensieri che gli giravano per la mente facevano a gara per mettersi in fila e dargli la possibilità di formulare almeno un solo pensiero decente. “Ok! Meglio della chemio! Non mi va l’idea di passare i miei ultimi mesi di vita a vomitare l’anima nel mio bagno e a contare i capelli che mi cadranno!!”
Dio! Che pensiero decente!!, pensò ironicamente.
Quando uscirono dallo studio del dottore, fecero il viaggio di ritorno verso casa in assoluto silenzio anche se Jared vedeva che Jensen era talmente teso e nervoso e sconvolto che continuava a stringere il volante tra le mani ed era sicuro che da un momento all’altro l’avrebbe stritolato o sarebbe esploso.
“Cerca di stare calmo. Vorrei arrivare a casa. Vedi di non uccidermi prima!!” scherzò, anche se era di cattivo gusto come battuta. Infatti Jensen dopo averlo fulminato con lo sguardo, arrancò al lato della strada e frenò di colpo.
“Smettila!!” urlò. “Smettila, Jared! Prima la battuta sulla chemio ora questo. Tu non morirai. Tu. Non. Morirai!” scandì per essere più chiaro possibile. “Io non lo permetterò. Faremo altri controlli. Contatteremo altri specialisti nel campo. Andremo nelle cliniche più all’avanguardia nel settore, ma non permetterò che tu…”
“Jensen, ascoltami!”
“No. Non voglio.” fece tornando a fissare la strada ferma davanti a loro.
“Ascoltami, ti prego.” e si voltò meglio verso il compagno e gli prese le mani fra le sue e cercò di calmare il tremore che sentiva in quelle mani che tante volte lo avevano toccato, sfiorato e reso felice anche con una sola carezza. “Lo faremo. Capito?! Lo faremo. Faremo tutto quello che vuoi, tutto il possibile e vedremo tutti i dottori che riusciremo a contattare. Ma tu, devi promettermi una cosa.”
“Cosa!?”
“Che se, quando avremo finito, la situazione sarà la stessa. Farai le cose a modo mio.”
“Jared , ma…” sussurrò spaventato dalla fredda lucidità che vedeva sul volto del compagno. Sembrava che già avesse pianificato tutto. Infatti.
“Farai le cose a modo mio!” fece più esplicito.
Jensen si arrese. Conosceva il suo compagno e il tono che aveva usato per quella richiesta.
“Va bene!”, promise a malincuore.
Il calvario delle visite, cominciò tre giorni dopo. Prima di iniziare tutte le visite di controllo, Jared aveva voluto fare una piccola riunione tra amici, solo i più cari. Voleva spiegare loro la situazione di persona e non lasciare che voci e chissà cos’altro arrivasse loro per vie traverse. Le reazioni furono più che prevedibili. Chi si strinse a lui, chi pianse di nascosto, chi, come Misha si incazzò contro la stramaledetta vita ingiusta. E paradossalmente fu Jared a doverlo consolare. I due erano amici da tanto, da prima che Jared conoscesse Jensen e poi era diventato anche suo amico.
Da quella sera, i giorni passarono veloci, le settimane anche, i due mesi peggio e ogni porta che si chiudevano alle spalle, li lasciava senza speranza. Jensen era frustrato e cominciava a non vedere una via d’uscita e questo lo atterriva e la paura di perderlo, la notte, gli spezzava il fiato mentre si stringeva al suo Jared.
Jared, dal canto suo, cominciava a mostrare i segni della malattia. La stanchezza, il pallore, gli occhi segnati, l’affatticamento sempre più palese. A volte doveva sedersi anche dopo aver fatto una sola rampa di scale. Il cibo cominciava a dargli fastidio e a malapena teneva nello stomaco un succo di frutta.
“Torniamo a casa!”, fece una mattina mentre stavano per incontrare l’ennesimo dottore.
“Ma abbiamo un appuntamento, Jared!”, sembrò ricordargli Jensen. “Andiamo, piccolo! Un ultimo sforzo. Vedrai che questo andrà bene!” cercò di incoraggiarlo, anche se vederlo così, con lo sguardo perso e sofferente, gli spezzò il cuore in mille parti.
“Torniamo a casa, Jensen. Per favore!” gli chiese ancora sorridendogli. “Sono stanco!, davvero stanco!”
“Jared, ma…” non finì perché Jared si girò verso di lui e aveva uno sguardo così dolce e così….stanco!
“Ok!, amore. Ti porto a casa.”
Entrarono nell’appartamento e Jared chiese di stare sul divano. Jensen ve lo accompagnò e dopo avergli tolto il giaccone, gli mise sulle gambe un plaid, solo per farlo stare più caldo.
“Ho sete!”
“Ti prendo qualcosa. Torno subito!”, fece mentre gli posava un bacio leggero sulla fronte madida di sudore. Aveva la febbre.
Andò in cucina e prese dell’acqua dal frigo. Riempì il bicchiere e quando stava per portarlo a Jared, si fermò un attimo vicino al bancone della cucina. Strinse la mano a pugno sul bordo del tavolo. Lottava. Stava lottando. Lottando contro la rabbia che sentiva dentro. Contro la disperazione di non riuscire a trovare una soluzione.
Contro il terrore di perdere  Jared. Contro l’impensabile consapevolezza che l’amore della sua vita stesse per morire. E pianse. Pianse silenziosamente, tappandosi la bocca con la mano per non farsi sentire.
E forse avrebbe dovuto coprirsi anche gli occhi dato che le lacrime avevano cominciato a scorrere furiose sul suo viso e..
“Jensen?!” fu il richiamo di Jared. Il richiamo che lo destò da quello stato d’animo. Si dette una sistemata. Si asciugò il viso e cercò di riprendere il controllo sbuffando due o tre volte.
“Eccomi!” e tornò accanto a Jared. Gli porse il bicchiere e aspettò che lui finisse, anche se notò che mandò giù appena qualche goccia. Mentre si guardavano, così, in silenzio, solo per fissarsi uno nella mente dell’altro, il telefono in cucina squillò.
“Vado a rispondere. Non fare casini!!” scherzò il maggiore, baciandolo, questa volta, sulle labbra. Il loro sapore non era cambiato. Nemmeno quell’assurda malattia poteva mutare la loro dolcezza.
“Si, pronto?!”
“…”
“Ciao, Mish!....no. Non ci siamo andati….Lui si sentiva stanco….No, magari, richiamo per fissare un altro appuntamento….certo che puoi passare….”  e mentre parlava con Misha sentì il rumore del bicchiere andare in frantumi. Si affacciò dalla porta della cucina così da poter vedere in salotto.
“Oh mio Dio!!!” sussurrò mentre lasciava cadere la cornetta e correva verso Jared. Il giovane era riverso sul divano, privo di sensi. Jensen gli andò vicino, lo chiamò per farlo riprendere ma quando lo toccò sentì che era ancora più caldo e si allarmò ulteriormente. Prese il telefonino dalla sua tasca e chiamò l’ambulanza e quando mise giù, continuò a chiamare Jared e a cercare di svegliarlo e nemmeno si rese conto che Misha dall’altro capo del telefono stava sentendo tutto, scioccato da quello che sentiva.
L’amico li raggiunse direttamente in ospedale anche perché aveva sentito la chiamata di soccorso fatta da Jensen.
“Come sta’?!” chiese al ragazzo seduto nel corridoio. Ma Jensen non gli rispose. Era distrutto, aveva il capo nascosto tra le mani e le gambe continuavano a tamburellare nervosamente contro il pavimento.
Passò così la notte e anche mezza mattinata.
Misha portò una tazza di caffè a Jensen, sperando di destare l’amico da quell’abisso in cui stava affogando.
“Dio!!, è stato orribile. Continuavo a chiamarlo, ma lui non…” disse all’improvviso, senza rispondere ad alcuna domanda.
“Hai saputo qualcosa mentre ero al bar?!”
“No. È passata un infermiera prima, ma niente…è ancora in osservazione!” gli disse fissando ancora il pavimento.
“In osservazione?!”
“Si. Lo stanno visitando. Ancora. C’è anche Beaver con loro e sto’ aspettando che qualcuno mi dica qualcosa!” gridò all’improvviso, esasperato. Disperato.
“Ok!, sta calmo. Vedrai che tra un po’ ci verranno a dire come stanno le cose!”, cercò di mediare con la frustrazione di Jensen. In quel momento il dott. Beaver uscì dalla stanza di Jared.
“Jim!” fece Jensen andandogli incontro.
“Come sta’ ?!” fece Misha.
Beaver li guardò mortificato e scosse dolorosamente il capo. “Mi dispiace, ma ormai non c’è più molto da fare. Gli abbiamo dato qualcosa per tenerlo tranquillo e sopportare il probabile dolore, ma ormai è solo questione di tempo!”
Jensen rimase senza fiato. Avrebbe voluto urlare, piangere , prendere a pugni qualcuno se fosse servito a cancellare le parole che aveva appena sentito. Misha, invece, trovò solo il coraggio di chiedere “Quanto tempo?!”. Jensen lo guardò. Che strano!, la stessa domanda di Jared. Come se fosse normale per quei due chiedere quanto ancora gli era concesso di vivere.
“Qualche giorno!” sentenziò con la morte nel cuore. E Misha sospirò. Non si aspettava un tempo così breve. Troppo breve.
“Jensen, vuole vederti!”, fece poi verso il ragazzo.
Jensen cercò di riprendere il controllo. Provò a reprimere i singhiozzi del pianto che sentiva furiosi dentro di se e facendosi coraggio e costringendosi con tutte le sue forze a sorridere, entrò nella stanza.
Jared lo vide e gli sorrise perdendosi in quegli occhi verdi così brillanti e quando il compagno si avvicinò, capì perché brillavano in quel modo. Le lacrime, anche se costrette a nascondersi, non potevano sparire completamente. Erano il lago di quelle splendide isole smeraldine in cui lui si beava ogni volta.
“Ti avevo detto di non fare casini!” scherzò Jensen e subito dopo gli diede un bacio leggero e dolcissimo sulle labbra.
“Mi dispiace!” rispose solo il giovane.
“Come ti senti!?” chiese accarezzandogli la fronte e sistemandogli i capelli solo per poterlo toccare ancora.
“Uno schifo!”
“Beh! In effetti non hai un bell’aspetto!!” e sorrise entrambi. Era assurdo sentirsi in imbarazzo tra di loro. Ma quella situazione era così assurda. Così devastante e incontrollabile.
“Jensen?!”
“Dimmi, piccolo!”
“Voglio andare a casa.”
“Tra qualche giorno. Devono prima metterti di nuovo in sesto!!” si costrinse a mentirgli Jensen.
“Non ho qualche giorno, Jensen. Lo so e lo sai tu. Voglio andare a casa. Non voglio che tutto finisca qui dentro…ti prego…ti..” e si fermò a causa della voce rotta dall’emozione.
Jensen gli strinse le mani. Le strinse forte tra le sue e se le appoggiò prima al cuore e poi alle labbra, baciandole e accarezzandole con la pelle della sua guancia.
“Va’ bene. Va’ bene. Ma tu sta calmo. Vado a preparare i documenti!” e lo lasciò riposare.
Quando uscì dalla sua stanza, riferì il desiderio di Jared  e mentre l’amico dottore sembrò assecondare l’idea, Misha esplose.
“Ma che ti salta in mente. Non puoi portarlo via….qui possono aiutarlo…cosa credi di poter fare da solo a casa…..” lo rimproverò.
“Lui non …”
“Lui non è in grado di decidere adesso!!”continuò.
“Lui sa quello che gli sta accadendo, Mish…” cercò invece di spiegargli, Jensen.
“Beh!..lo sappiamo tutti, ma questo non vuol dire che….”
“Sta’ morendo, Misha!!” gli gridò addosso disperato e con le lacrime agli occhi. “Ma lui…non…non vuole morire qui.” Concluse dolorosamente.
Misha lo guardò furioso incapace di accettare l’idea. “E’ una stronzata. È una grandissima stronzata!!” sbottò e andò via, lasciando Jensen a farsi consolare dalla stretta premurosa sulla spalla, che il dottore gli stava donando, vedendolo così sconfitto.
Jensen portò Jared a casa quel pomeriggio stesso. Dai paramedici che eseguirono il trasporto si fece aiutare a sistemarlo in camera loro. Gli applicarono le flebo e spiegarono a Jensen come utilizzarle, in caso di bisogno.
Quando rimasero soli, il maggiore andò a sedersi sul bordo del letto, accanto a Jared.
Il giovane aprì gli occhi e felice capì di essere a casa sua. “Siamo a casa!” disse soddisfatto.
“Si, piccolo! Sei a casa!” e glielo disse mentre gli accarezzava la fronte spaziosa e lo vedeva sorridere, incredibilmente felice. Quasi non stesse accadendo quello che stava accadendo.
Passò il primo giorno e arrivò il secondo e poi, quasi come un miracolo anche il terzo. Quel pomeriggio, Jensen, notò che Jared soffriva più degli altri giorni e aumentò le dosi dei sedativi. Non potevano usare la morfina, poiché Jared era allergico e quindi i dottori avevano dovuto ovviare su altri metodi.  Quando lo stordimento cominciava ad arrecare il suo sollievo, Jared si calmava e Jensen poteva riprendere il posto che aveva da giorni. Accanto a lui. Non lo aveva mai lasciato. Né giorno, né notte e quando di tanto in tanto la stanchezza lo vinceva, si appisolava con la testa sul braccio del giovane.
“Jensen?!”
“Si, piccolo. Che c’è?!”
“Wow!!, dovresti provare questa roba. È fantastica. Manca solo che cominci a vedere elefanti rosa e…”, ma una smorfia di dolore lo fermò e con lui soffrì anche Jensen.
“Drogato che non sei altro!!”, allora cercò di scherzare Jensen per distrarre il compagno da quella sofferenza.
Jared sorrise e respirò profondamente per cercare di riempire il più possibile i polmoni. “Ti amo, Jensen.”
“Ti amo anche io, Jared. Ma ora riposa.” Rispose anche se sapeva che quello che stava per cominciare non era altro che un addio. E questo lo terrorizzò. Non era pronto. Non era ancora pronto.
Mentre, forse, Jared, lo era.
“Ti amerò per sempre. Sei stato l’amore della mia vita. E grazie a te, in questa mia vita non ho nessun rimpianto.” E lo disse con un infinita dolcezza.
Jensen sentì i suoi occhi pulsargli come se stessero per esplodere. Sentì il bruciore lancinante delle lacrime vincere la resistenza delle sue ciglia e bagnargli il volto.
“Jared, ti prego…no!”, bisbigliò in un singhiozzo.
“Non piangere. Io non ti lascerò mai. Sarò sempre con te.”, provò a rassicurarlo mentre cercava la sua mano da stringere e portarsela al petto. Jensen, assecondò quel suo movimento.
“No, per favore…no!...non lasciarmi…non….ancora!!” continuava a supplicarlo mentre gli si faceva più vicino.
“Sono stanco, Jensen!, sono tanto stanco!” gli disse sorridendogli appena.
“Amore mio!!” mormorò l’altro mentre gli baciava l’altra mano.
“Posso chiederti un favore?!”, chiese poi, quasi sorprendendolo.
“Tutto quello che vuoi, piccolo!”
“Un tuo bacio.” Chiese, fissando i suoi, nonostante tutto, splendidi occhi, negli occhi di Jensen. “Un tuo bacio, da portare con me!”
Jensen, non potè non accontentarlo, anche se sapeva che molto probabilmente, quello sarebbe stato il loro ultimo bacio. Il più bello. Il più dolce. Il più disperato. Il più triste.
 Si avvicinò al viso di Jared, gli sorrise con infinita dolcezza e sorrise alla dolcezza che vide nello sguardo del compagno.
Si abbassò su di lui, sulle sue labbra e le baciò. Lentamente. Dolcemente. Lasciando che il suo calore portasse conforto alle labbra di Jared. Le baciò ancora e ancora ma sempre con una dolcissima leggerezza.
Poi, con terrore, sentì la mano che Jared aveva stretta sul suo petto insieme alla sua, perdere vigore. Vide il suo petto fermarsi. Sentì il suo respiro farsi silenzioso e sparire del tutto. Lo guardò, terrorizzato.
I lineamenti del viso erano sereni, gli occhi dolcemente chiusi e le labbra ancora piegate in un dolcissimo sorriso.
Jared era morto. Se ne era andato. Accompagnato da un respiro condiviso con l’amore della sua vita. Accompagnato dal dolcissimo respiro di un bacio.
“Jared?!”, lo chiamò Jensen, una volta….due…tre…infinite volte mentre un pianto disperato prendeva il sopravvento su di lui e lo lasciava sfinito a stringere il volto del giovane. Quel volto che non avrebbe mai dimenticato e che mai avrebbe voluto dimenticare.
Il mattino dopo, un Jensen sfinito da tutto quello che era successo, bussò sconsolato, alla porta di Misha. Questi gli aprì e lo guardò duramente ancora palesemente infuriato, ma del tutto all’oscuro della notte appena finita.
“Che vuoi Jensen?!, non credere che mi sia passata perciò te lo puoi scordare che venga a casa vostra e ti aiuti a sistemare il letto in qualche posizione assurda!!” lo investì, ma si bloccò quando vide il ragazzo abbassare la testa e cominciare a piangere convulsamente, ma in silenzio.
Capì. Dio!!, se capì.
Non disse niente, allungò il braccio verso il ragazzo disperato che gli stava di fronte, lo attirò a se e lo abbracciò. Lo abbracciò forte e lasciò che piangesse tutte le lacrime che poteva piangere. E in quel pianto, pianse anche lui l’amico scomparso.
Due settimane dopo, Misha passò per casa di Jensen. Bussò e la voce del ragazzo lo invitò ad entrare.
“Sono in camera!” fece Jensen.
Misha passò nel salotto e si soffermò a guardare un bella foto di Jared, sorridente e felice e inghiotti l’amaro che sentì salirgli in gola. Raggiunse Jensen e lo vide intento a preparare un paio di borse da viaggio.
“Allora è vero?!” chiese sorpreso.
“Cosa?!”
“Volevo vedere come stavi e credevo di trovarti in ospedale. Ma lì mi hanno detto che ti sei licenziato e che stavi per partire!”
“Già!”
“Perché?!” domandò semplicemente, anche se infondo conosceva la risposta.
“Perché non ce la faccio Mish!, lo vedo in ogni stanza. Lo vedo mentre si ostinava ad usare quell’assurda macchinetta per il caffè. Lo vedo accanto a me mentre guardo la televisione. Lo vedo in ogni posto in cui siamo stati insieme. E se non vado via, impazzisco. Riesci a capirlo?!!” fece supplichevole chiedendo comprensione per quella sua scelta.
“Dove te ne vai!?”
“Un mio amico ha uno studio tecnico a Vancouver. L’ho chiamato e ho chiesto se aveva bisogno di qualcuno. Mi ha detto di sì e così parto stasera con il primo volo utile.” Riferì con la voce ancora tremante.
Misha inspirò profondamente per accettare quell’idea. L’idea di perdere un altro caro amico, anche se in maniera diversa, ma comprese il perché di quella scelta.
“Ok! Credo che sia la cosa giusta da fare e che ti farà bene.” Lo rassicurò sorridendogli. Si avvicinò e lo abbracciò, salutandolo.
“Abbi cura di te, Jensen.”
“Anche tu, Misha. Anche tu, amico!”
“Fatti sentire, ogni tanto, ok?!” chiese dandogli una pacca amichevole sulla guancia e che fece sorridere il giovane.
Quella sera stessa, Jensen prese il volo per Vancouver e quando atterrò chiamò Misha, come gli aveva promesso.
Fu l’ultima volta che lo chiamò. Perché sapeva che l’amico ogni volta, solo per pura amicizia, gli avrebbe chiesto come stava e lui non poteva mentirgli. Non c’era mai riuscito. Quell’uomo era capace di leggerlo dentro, capiva se stava mentendo anche a distanza.
Così sapeva che gli avrebbe dovuto dire che non stava bene, che non stava affatto bene.
Che, sì, aveva ripreso a lavorare. Che era riuscito a farsi anche qualche nuovo amico anche se erano per di più, colleghi di lavoro.
E che , sì, la mancanza e l’assenza di Jared, gli pesavano ancora come un enorme macigno su quello che era rimasto del suo cuore. Poiché, la parte dove viveva e pulsava l’amore, la felicità e la vita stessa, Jared se l’era portato via con quell’ultimo bacio.
   
 
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