Freddo.
La
morsa impietosa dell'inverno stringeva la foresta da mesi in una bianca,
splendente immobilità. Il manto di neve gli sfiorava le caviglie, e lenti
fiocchi candidi si staccavano dal cielo per posarglisi sulle spalle nude.
Non
sembrava importargli, nella sua lenta avanzata tra gli alberi.
Sollevò la destra, dalle lunghe,
snelle dita, e lasciò scorrere una carezza sul tronco contorto di una quercia,
cancellando la brina che ne imbiancava la corteccia. Scolpito nel legno
apparve, liberato dal ghiaccio, un volto di donna. Gli occhi erano chiusi, come
se dormisse. Più in basso, liberò il collo sottile, elegante, la morbidezza del
seno, la curva stretta dei fianchi. La donna emergeva dall'albero con la
presenza fisica di una polena di una nave.
Le
driadi si stavano risvegliando.
Sospirò
e avvertì la morsa della paura artigliargli il cuore. Per un istante, la folle
idea di opporsi all'inevitabile lo sfiorò, strappandogli un mesto sorriso di
rassegnazione.
Fuggire
alla volontà di un Dio, della Potenza stessa della primavera era inutile. Non
poteva negare ciò per cui era stato scelto.
Tra
non molto avrebbe ancora una volta perso sé stesso.
Si
guardò attorno, di nuovo. I Malevoli, piccoli, fragili spiriti della foresta,
parte dell'anima della foresta stessa, lo fissavano tra gli alberi, colmi
d'aspettativa, i corpi sinuosi e glabri che dopo tanto biancore cominciavano a
riprendere i vividi colori della primavera.
Un
leggero scricchiolare di ghiaccio calpestato spinse l'elfo a voltarsi, con un
leggero sussulto.
-Vaire..-
sussurrò, la voce quasi spezzata dalla sorpresa. Raccolse attorno a sé una
sicurezza che sentiva di non provare e
aggiunse, severamente – Non dovresti essere qui..-
La
giovane elfa sussultò, appoggiandosi ad un albero, quasi desiderasse scomparirvi
all'interno. Non portava ornamenti, se non la cintura di cuoio tinto d'azzurro
che le stringeva sui fianchi un abito bianco, corto, privo di ricami, troppo leggero forse per affrontare l'ultima
gelata prima del Risveglio.
-Volevo...
salutarti... prima che...- l'elfa non riuscì a continuare, la frase infranta
dai singhiozzi. Le lacrime le scorrevano sul viso pallido, sconvolto dal
dolore, i capelli color del grano sparsi sulle spalle esili tradivano come
fosse uscita precipitosamente di casa, forse precedendo i Cavalieri di Kurnos.
E dallo sguardo dell'elfa capì che era esattamente così.
Non
gli restava molto tempo.
il
ciclo stava per volgere al termine.
Per
lui.
Per
Orion, Volto e Ira di Kurnos, Sovrano Ardente di Athel Loren, un nuovo cerchio
stava per essere tracciato.
Era
soltanto il Portatore Prescelto, che avrebbe sacrificato sé stesso perchè la
primavera portasse nuova vita alla foresta, perchè l'estate portasse i propri
frutti. Soltanto un involucro per il Potere della divinità, finchè il suo esile
corpo d'elfo non si fosse infranto, spezzato dal Cerchio,
Allora,
sarebbe stata la volta di un altro Portatore.
Forse.
L'elfo
strinse la compagna a sé con forza, cercando quell'ultimo contatto con avidità,
cercandone le labbra con devozione, imprimendosi il sapore di lei nella mente e
nel cuore, per farne baluardo alla propria anima. Percorse il suo corpo con le
mani, sfilandole via l’abito per avvertire ancora una volta contro di sé la
morbidezza della sua pelle. Poteva avvertire il suo stesso cuore scandire il
tempo che gli restava per abbracciarla, stringerla, sentirla parte di sé.
Desiderò disperatamente che quel semplice contatto bastasse a trattenerlo lì,
accanto a lei.
La
prese così, contro la quercia, sotto gli occhi delle immobili driadi paralizzate
dall’inverno, sotto lo sguardo vacuo dei Malevoli, nel gelo che mordeva la
pelle.
Tremava,
ma non di freddo quando abbandonò il capo contro il seno di lei, perdendosi
nell’illusione di poter restare così per sempre.
Il
suono di un corno, profondo come un tuono lontano, infranse il silenzio di
quella mattina d'inverno. L'elfo si distaccò dalla compagna, per sfilarsi dal
capo l'unico ornamento che indossava, un ciondolo a forma di foglia appeso ad una sottile catenella
d'argento. Lo depose nel palmo dell'elfa, chiudendovi poi sopra le dita e
portandosi delicatamente la mano di lei alle labbra.
-Conserva
per me il mio cuore... amore mio..-
Qualche
istante dopo, era già scomparsa tra gli alberi ancora incrostati di neve e di
ghiaccio, senza lasciare una sola impronta sul candido manto, se non la pallida
traccia delle lacrime salate cadute al suolo dov'era stata fino a qualche
istante prima.
Il
Portatore si volse verso il varco nella radura. Lontano, il canto sommesso dei
Cavalieri di Kurnos scandiva gli ultimi istanti della sua esistenza come elfo.
Era
nudo, e spire di rovo gli immobilizzavano i polsi. Faceva parte del
rituale, ma nessun elfo prescelto aveva
mai temuto lo svolgersi della cerimonia.
Nessuno
era mai sopravvissuto per poter ricordare e tremare nell'aspettativa di
smarririsi.
Quante
volte, ancora, avrebbe dovuto sopportarlo?
Che
l’intera Athel Loren ricordasse, non v’era nessun Portatore che fosse sopravvissuto all’incarnazione di Orion.
Non
vi era mai stato nessuno che fosse tornato. Orion era destinato al Sacrificio e
con lui il suo Portatore Prescelto. L’anno successivo, i Cavalieri sceglievano
il nuovo elfo che avrebbe portato il manto della Regalità.
Lui
l’aveva fatto, nello sconcerto dei Cavalieri di Kurnos.
Due
volte.
Non
poteva vederli, avvolti in tuniche color della foresta raggelata, dietro
maschere di cuoio e cappucci tirati ad adombrare le espressioni dei volti, ma
poteva udirne il canto. Le vibrazioni dei tamburi si accordarono al battito
accelerato del suo cuore.
Le
spine gli affondarono nella carne, riaprendo le cicatrici lasciate all’ultimo
rituale. Il sangue sgorgò scarlatto, a impregnare la lastra su cui era
inginocchiato, coperta di simboli e volute, troppo antiche perché chiunque
potesse ricordarne il significato.
Avvertì
muoversi qualcuno dietro di sé e chiuse gli occhi, preparandosi all’inevitabile
sofferenza, che ormai conosceva bene.
Una
mano delicata gli percorse la schiena, come una carezza, sfiorando le cicatrici
che già una volta erano state riaperte, e strinse i denti.
Un
istante dopo, la punta di un pugnale tornò a tracciare l’elaborato sigillo che
avrebbe schiuso la via ad Orion e al potere di Kurnos.
Gridò
e gridò, ma ben presto la voce non fu più sua.
L’ultima
cosa che avvertì, come elfo, furono le proprie grida di strazio mutarsi in un
ruggito di collera, e chi ancora gli era alle spalle premergli qualcosa di
freddo sulla schiena coperta di sangue.
Il
dio sorse nel cerchio della radura, come sempre alto, maestoso come un cervo
maschio nel pieno delle proprie forze. Si guardò attorno, gli occhi
fiammeggianti di fiera ferocia. Tralci di rovo gli avvolgevano il busto e le
braccia senza ferirlo, portati quasi come un regale ornamento. Non notò nemmeno
uno dei suoi Cavalieri, che in silenzio, a capo chino, stringeva una foglia
d’argento macchiata di sangue. Sollevò le braccia e lanciò un nuovo ruggito,
come di richiamo.
La
Foresta esplose di luce e di colori.
Le
driadi presero ad animarsi dagli alberi, distaccandosi dal legno per danzare
attorno alla radura, mentre la neve si scioglieva a vista d’occhio, ritraendosi
dalla presenza di Kurnos Incarnato.
Il
Sovrano fece un passo indietro, liberando il sigillo macchiato del suo stesso
sangue. Le incisioni parevano contenere lava fusa, impregnate di tutta l’energia
della primavera finalmente liberata. Forgiata in quella luce una figura di
donna si levò e prese forma al centro della pietra.
Forse
era stata elfa, un tempo.
Ora,
era Potere. Gli occhi contenevano tutta la saggezza delle stagioni, il corpo
nudo la bellezza splendente della Vita. Ripiegate sulla schiena vibravano ali
di farfalla, d’ogni colore della foresta.
Fece
due passi leggeri sull’erba e piccoli fiori azzurri sbocciarono sul suo
cammino, così come si aprì un sorriso etereo su quel volto dalla bellezza
devastante. Poggiò entrambe le mani sul petto del Re Consorte, sollevandosi in
un vibrare di ali per baciarlo sulle labbra.
-Ariel…
mia signora…ad ogni Estate ritorno…finchè mi aspetterai.- mormorò, la voce
profonda come un tuono lontano.
- Vaire..mia signora...Ad ogni Inverno…. Ritorno…finchè mi
aspetterai…-