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Autore: Saphira_Baby    29/04/2014    3 recensioni
Esco, lasciando il monitor del computer acceso, la siringa ancora sul tavolino e mi dirigo verso la zona dei tatuaggi.
Il ragazzo che ora vi lavora mi guarda stupito, ma non fa domande.
Fa quello che gli chiedo veloce, senza obiettare.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Four/Quattro (Tobias)
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Questa storia è ambientata DOPO l'epilogo di Allegiant, ultimo capitolo della saga di Divergent. 
Quindi, per chi non abbia ancora letto i libri e non voglia spoilerarsi un paio di cose, prego smettere qui.
Divergente avvisato, Divergente mezzo salvato u_u


POST EPILOGO
QUATTRO/TOBIAS
 

Due anni e mezzo sono passati, ma ancora non riesco a dormire bene la notte. Mi sveglio sempre con lo stesso incubo: io, impotente, senza poterla salvare.
Due anni e mezzo senza di lei.
Mi sveglio, e la cerco affianco a me. Cerco le sue forme da stringere, ma le mie braccia avvolgono sempre il vuoto.
Tolgo le lenzuola e mi vesto. Indosso abiti neri, ma non rappresentano più il colore degli Intrepidi, la fazione della quale facevo parte: rappresentano il colore del lutto che provo costantemente, ogni minuto di ogni giorno.
Mi stringo le scarpe e chiudo la porta dell'appartamento nel quale abito da quando siamo ritornati a Chicago. Isolato, lontano dai due posti nel quale ho abitato fino a quando non ho scoperto la verità: la mia casa nel quartiere degli Abneganti e il quartiere degli Intrepidi.
Ma è proprio in quest'ultimo che sento i miei piedi, la mia testa, muoversi.
Devo andarci.
Solo in quel posto si trova l'unica cosa che cerco in questo momento: il siero della paura.
Amar ha ragione. Sono ossessivo.
Mi viene a trovare insieme a George diverse volte per assicurarsi che io stia bene, ma le visite si sono fatte sempre più rade. La colpa è mia che non parlo, che non gli esprimo i sentimenti che provo. Ma in realtà sento un vuoto enorme che non si vuole riempire.
Le prime volte mi teneva compagnia, poi quando ha capito che non avrei parlato facilmente, ha iniziato a spronarmi, ad insultarmi per farmi reagire. A volte ci cascavo, altre no.
Alla fine ho deciso di ignorarlo finché non si stancava.

Mi avvicino alle rotaie del treno. Adesso la sua corsa non è continua, si ferma a delle fermate precise, in modo tale che tutti possano raggiungere un determinato luogo senza rischiare di farsi male a qualche arto – se non peggio - , ma le vecchie abitudini non sono sparite e , quando compare, inizio a correre e mi aggrappo a una maniglia e là rimango fino a quando non arrivo al palazzo di sette piani dove gli iniziati Intrepidi sono costretti a saltare nel Giorno della Scelta.
Quel giorno. Il mio primo atto di ribellione verso mio padre.
Mi sembra giusto tornare oggi, il giorno del funerale di Tris. Ho salutato gli altri perché non ce la facevo più a stare con così tante persone che me la ricordavano, mentre loro sono rimasti ancora un po' insieme, dopo aver fatto la zip-line partendo dall'Hancock. Le sue ceneri si sono sparse al vento grazie a me, che tenevo l'urna argentata che le contenevano.
Non ci salirò mai più. Questo è sicuro.
L'ho fatto per lei. E di questo sono felice.
Salto giù come ho fatto mille altre volte e atterro facilmente sul tetto. Non sono sicuro che ci sia ancora la rete che tenga gli iniziati, ma se non c'è e morissi, almeno andrei da lei.
Spero quasi di non trovarla.
Mi butto.
Il senso di vuoto e di altezza mi aggroviglia, ma, per la prima volta, non ho esitato a saltare.
Ho così tanta voglia di morire?
Trovo la rete e dopo qualche secondo riesco a scendere e a ritrovarmi nel posto che per diversi anni ero riuscito a chiamare rifugio, casa.
E' in questo stesso posto che vidi per la prima volta Tris, non più Beatrice. La vidi per quella che era: una giovane donna che sapeva fare le sue scelte.
Risento ancora la mia voce che la annuncia.

“Prima a saltare: Tris!
Benvenuta tra gli Intrepidi”

Mano a mano che mi avvicino nella stanza delle simulazioni, ripercorro i corridoi e i relativi ricordi che la coinvolgono. Non passo per la mia stanza, voglio fare il prima possibile.
I nostri baci, i nostri complotti, le litigate e le riappacificazioni.
Mi costringo ad andare avanti, a puntare un piede davanti all'altro e a camminare il più silenzioso possibile quando sento delle voci vicine: non è disabitato come posto, ma io non voglio vedere nessuno adesso.
Devo incontrare le mie paure. Solo quelle.
Non trovo nessuno fare da guardia o altro, le telecamere sono state tutte distrutte, quindi nessuno mi può vedere. Forse da fuori sì, ma ho imparato a fregarmene di quelli di fuori.

Rivedo lei la prima volta che fece la prima simulazione della paura e ne uscì vincitrice.

La paura non ti paralizza, ti accende”

Fu in quel momento che mi convinsi fosse una Divergente. Solo io ero andato così bene. All'epoca ero convinto che fosse perché ero un Divergente anche io, ma in realtà sono solo un Anomalia.

Lei era quella speciale. Lei non meritava la fine che ha fatto.

Faccio tutte le procedure e alla fine mi infilo l'ago nel collo.
Chiudo gli occhi.

Li riapro.
Sono dentro alla scatola, che si sta restringendo sempre di più. Premo contro le pareti. Non sono pronto, di solito la prima era l'altezza. Fatico a pensare, a calmarmi. Poi penso a quando la portai nello scenario della paura e mi fece sincronizzare il respiro con il suo. Mi calmo, e la paura svanisce.
Mi ritrovo nella stanza con lo specchio, alto quanto me, la cornice appoggiata a terra, dove vidi che il mio riflesso corrispondeva a quello di mio padre. Mi affaccio, ma questa volta lo vedo alle mie spalle, come un fantasma. La paura di dover portare sempre il suo cognome come fardello, le sue azioni malvagie. Di non poter costruire una vita senza la sua presenza, senza rimembrare la mia infanzia.
Lo specchio rievoca tutte le volte che mi ha colpito con la cinghia dei pantaloni, tutte le volte che ha riservato lo stesso trattamento con mia madre.
Provo l'istinto di chiudere gli occhi, ma non ci riesco.
Decido di rompere lo specchio, e di far cessare le immagini.
E mentre i vetri cadono sul pavimento, dall'altra parte della cornice dello specchio vedo Tris che mi sorride.
Faccio un passo verso di lei, ma lei ne fa un altro all'indietro.
Inizio a correre e lei si volta, e la distanza tra noi rimane la stessa, senza mai allungarsi , senza mai diminuire. E la sua figura inizia a dissolversi sempre di più mano a mano che il tempo passa.

Mi fermo e così fa lei.
La mia paura non è quella di perderla; l'ho già persa.
E' quella di dimenticare ogni ricordo.

Chiudo gli occhi, e immagino le sue braccia attorno a me che disegnano i contorni dei miei tatuaggi, il suo sorriso che si forma e i suoi piedi che si mettono sulle punte per potermi baciare.
Quando li riapro, vedo la stanza della simulazione e sono sulla solita sedia di metallo di sempre.

Respiro a fondo e mi concentro su quello che ho appena visto.
Gli spazi chiusi.
Lo spettro di mio padre.
Tris che si allontana da me.

Niente paura dell'altezza. Niente Hancock con il tempo ventoso che ero solito immaginare.
Dopo qualche secondo di sorpresa, mi ritrovo a sorridere.
Sorrido perché le mie paure non sono più quattro.
Sono tre. Tris.

Se fossimo nel tuo scenario della paura, ci sarei anche io?”
Non ho paura di te.”
“Naturalmente no. Non è questo che intendevo.”


Io non sono più Quattro. E Tris è dentro di me.

Esco, lasciando il monitor del computer acceso, la siringa ancora sul tavolino e mi dirigo verso la zona dei tatuaggi.
Il ragazzo che ora vi lavora mi guarda stupito, ma non fa domande.
Fa quello che gli chiedo veloce, senza obiettare.
E ora, anche io ho un uccello in volo sulla clavicola.

 

“Ti amo”
Ti amo anche io. A presto”




Storia uscita di getto dopo la lettura di Allegiant.
E' da un po' che non scrivo, quindi abbiate un po' di pietà ahahah 





 

  
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