Un grazie a sistolina, per i suoi preziosi consigli su questa storia
Fra le porte
semichiuse, con gli occhi semiaperti
Manca il coro,
avrebbe obiettato Lisa.
Si era
fissata con quella roba poco prima dell'ascesa. A me non ha mai fatto
impazzire, eh, soprattutto dopo che Kieren... dopo quella
volta, è chiaro.
E dopo
c'era
quel gran casino... teste che esplodevano da tutte le parti, e tutti
che facevano le cose più strane per... beh, per rimanere in piedi,
insomma. Tanto che poi nessuno prendeva più per il culo Dean che
cantava le sigle dei
cartoni animati tanto forte che quasi coprivano i grugniti degli
zombie. Beh, Lisa aveva questa mania: tra un ri-morto e l'altro,
citava dialoghi di Euripide.
Una volta le ho chiesto se non lo
trovasse di cattivo gusto; lei ha risposto che disperarsi per le
storie inventate è una buona distrazione, e poi giù a parlare di
tutta la faccenda. Era fatta così, Lisa. Quando si fissava su una
cosa, contagiava chiunque le si trovasse intorno. Grottesco, eh, che
adesso i suoi sperano disperatamente che lei
possa essere stata contagiata.
Ed è quindi
grazie a lei che penso che questa è una tragedia greca, anche se
manca il coro.
'C'è
il coro', risponde
Lisa, da qualche parte accanto a me. 'Guarda meglio.'
E ha
ragione lei, come sempre ce l'aveva in queste cose. Sono le donne
degli zombie, le madri, le
nonne, le sorelle che si sono riunite in gran segreto – e quindi
tutti, in paese lo sapevano: in questo buco di culo non è che si
possa nascondere mai niente – e il cui lamento non è meno forte
solo perché adesso tacciono. Ce le vedo, a cantare insieme della
rovina e della sorte e chissà cos'altro.
Ma non sono state un
buon coro. Non sono state un buon coro, vero Lisa?
Il coro non doveva predire la rovina, avvertire la gente?
Vero,
Lisa?
Lei si limita a
guardarmi.
Guardo
molto, anche se dicono che sono piccola. Mio fratello, in
particolare. È il mio eroe, il mio mito, spero che un giorno sarò
come lui. Oggi quelli più grandi mi hanno rubato la merenda, lui mi
ha difeso e le ha prese di santa ragione. Per poco non piangevo,
mentre quelli urlavano, come una cantilena: Kieren-il-debole,
Kieren-la-femminuccia. Alla fine, la merenda è caduta e
uno di loro l'ha calpestata per sbaglio. Kieren mi ha sorriso:“Vedi,
non l'hanno avuta vinta loro”.
'Lo
vedi', dice Lisa, 'il fato tragico che vince?'
Sono gli occhi di
Kieren, i suoi occhi finti come fondi di bicchiere; è la pelle di
Kieren, la sua pelle finta, troppo abbronzata per la paura. Sarebbe
stato più vero mostrare la sua pelle bianca, crepata. Sarebbe stato
più vero mostrare le sue pupille rotte.
È
rotta la serratura della sua stanza, la porta è sempre un po' aperta
e io guardo da quella fessura. Sono prudente, silenziosa, capace,
dovrei fare la spia da grande, anche se qualcosa negli occhi di mio
fratello dice che non si accorgerebbe di me nemmeno se fossi nella
stanza e urlassi a squarciagola.
“Ma io non sono così!” protesta
Rick con una voce morbida, di cui non pensavo fosse capace.
“Sì,
questo sei tu quando sei con tuo padre” Kieren mostra un ritratto;
poi ne prende un altro, “Questo invece sei tu quando sei con
me”.
Tacciono. Io mi sporgo appena per vedere cosa succede.
Chissà se Kieren si rende conto che gli sta sporcando la faccia di
colore.
Il
colore è ovviamente il nero, perché è una stronzata quella dei
funerali celebrativi, pacifici, e noi lo sappiamo ed è un
paradosso, che tra tutto quello che abbiamo passato – mio
fratello che mangia il cervello della mia migliore amica – la
vera tragedia si consumi qui, nel corpo rigido di Kieren-il-debole
che sembra poter essere mosso da
un fruscio di vento. E invece resta immobile sull'orlo dell'abisso.
L'orlo
della sua maglietta viene afferrato con dolcezza dalle dita sottili e
tirato via. Il ragazzone non si oppone, solleva anzi le braccia, ma
ha negli occhi un'indecisione dilaniante. L'altro toglie anche la
propria maglietta, mostrando il torace pallido e forse troppo magro,
debole.
“Ren...
mio padre...” Rick ha una sofferenza insostenibile negli occhi
mentre lo guarda, come se volesse essere nato tutt'uno con lui, così
da non dover soffrire la frattura e l'impotenza della propria
viltà.
Kieren gli si avvicina e lo abbraccia, come per
proteggerlo. È quasi ridicolo, perché lui è minuto e Rick così
possente e allora, seduto accanto a lui, con il petto che aderisce al
suo fianco, mio fratello lo circonda con le braccia, così stretto
che sembra che voglia inglobarlo o tenerlo insieme. Poi tira su le
gambe e lo cinge anche con quelle. Rick affonda il viso tra il suo
collo e la sua spalla e piange.
Chiudo la porta con attenzione e
ritorno nella mia stanza.
'I Greci dicevano
che tutto ritorna, che la storia è destinata a ripetersi sempre
uguale a se stessa un indeterminato numero di volte', dice Lisa, 'che
noi siamo destinati a ripetere sempre le stesse azioni, in miliardi
di mondi diversi, ma identici, uno dopo l'altro'.
'Questa è proprio
inopportuna', immagino di rispondere con asprezza, ma non ce
la faccio a trattenere una lacrima – anche se ora i suoi polsi
sono indistruttibili. La nascondo subito con la mano, prima che
mi coli il trucco.
Ho il trucco
pesante che mi preme forte gli occhi, anche a casa, anche mentre mi
fermo sulla porta aperta della sua camera. Gli parlo sottovoce, anche
se non c'è nessun altro che possa sentire.
“A volte penso che
tu saresti dovuto nascere femmina e io maschio”.
È vero: lui ha
un tipo di coraggio femminile, io sono spaccona e spavalda come un
uomo.
Lui ride: “Sei convinta di essere più virile di
me?”.
Esito.
“Ma se tu fossi donna Rick non...”
“Shh... Jem, va tutto bene.”
sorride, ma lo vedo dalla curva delle spalle che è turbato.
Le sue
spalle sono dritte oggi, forse perché se piegasse anche un solo
muscolo crollerebbe, tutto quanto dritto nell'abisso ai suoi piedi,
nella terra – di nuovo.
Forse Kieren sa sopravvivere solo
se deve proteggere qualcuno, mettersi davanti a un grilletto per
quello che ritiene giusto, anche quando non è sicuro che il fucile
non sparerà.
Si piega molto
lentamente, prende una manciata di terra – le mani gli tremano, mi
è evidente – la lascia andare sul legno grezzo e porta la mano
sporca lungo il fianco.
Kieren, proteggi
me. Ho bisogno di te, non sono davvero cresciuta: proteggi me.
Gli afferro il
braccio. Lui non si muove.
Non ti muovi quasi, lo sento. Ho
l'orecchio appoggiato alla porta chiusa della tua stanza, come quando
ero bambina, anche se ora la serratura non è più rotta. Non fai
quasi nessun rumore, oltre a quel tuo respiro troppo graffiato per
poter essere profondo. Lo interrompi solo per pochi minuti,
condensati in sussurri di panico troppo veloci perché io possa
cogliere tutte le parole.
Ti plachi per un momento, fai il primo
vero respiro profondo e ti dici con più chiarezza che lui non
morirà. Che lui tornerà. Magari non da te, magari non per te, ma
tornerà.
C'è sempre quello stesso nome, quel nome che maledico
sottovoce, perché in pubblico, benché tutti sappiano, in questo
modo non lo pronuncerà nessuno.
E nessuno ha detto
la parola “amore”.
Né quando sei
morto – quella volta – né quando lui è morto – di
nuovo – e neppure quando hai provato a rompere nebbia e timpani
in casa loro, a urlare a suo padre che l'aveva ucciso – di
nuovo. E nemmeno quando ti sei messo davanti a quel grilletto,
per proteggere quello in cui credevi, per proteggere il suo cuore.
Chissà com'è
fatto, il cuore. Il tuo lo conoscevo: era come un uovo, e quando si è
rotto nessuno avrebbe mai più potuto rimettere insieme i pezzi,
perché il contenuto era già colato via. Ma il tuo cuore di
non-morto, adesso, com'è? Come hai fatto a ricostruirlo?
Forse è
solo diventato nero, è “parzialmente deceduto” come il resto. E
ti si vede dagli occhi.
I tuorli un po' sbattuti e neri delle tue
pupille, quegli albumi torbidi che le circondano...
Eppure nessuno ha
detto amore.
Ma so che lo pensi
tu, adesso. So cosa pensi dall'espressione fissa delle tue
sopracciglia, dal dito di stanchezza che ti copre le ciglia come
polvere.
'Gli sta chiedendo perché non l'ha portato con lui,
anche questa volta' sussurra Lisa, 'lo chiama amore mentre
lo dice.'
Io annuisco, secca. È una tragedia tragicamente
incompleta, lo so. Nelle tragedie greche morivano tutti, non è
vero, Lisa? Gli amanti non sopravvivevano così. Qui chi è
l'autore che, nel completare l'opera, ha esitato?
Non hai esitato
neppure quella volta, davanti alla canna di un fucile che
impugnavi tu stesso, quando il prezzo per la tua sopravvivenza era la
perdita del ricordo di Rick.
“Ci ho tenuti in vita”
Allora ti sei messo tra te stesso e
lui, guardandoti negli occhi vecchi con i tuoi occhi nuovi.
E tutti sappiamo com'è finita,
quella volta.
Hai sparato.
Questa breve storia è in gran parte un esperimento. In primo luogo, perché io non ho quasi mai scritto storie non originali; in secondo luogo perché credo che una delle sfide maggiori nella scrittura sia quella di riuscire a raccontare un dolore così forte senza essere banali né offensivi verso quello stesso dolore. Per me, la risposta è senz'altro lo sguardo obliquo. Non è questo che la Letteratura, in fin dei conti, fa? Guardare con uno sguardo obliquo la vita quotidiana?
Con queste elucubrazioni, vi lascio in attesa del 4 Maggio.
Grazie per aver letto fin qui! (: