Questione
di punti di
(inter)vista
Marco’s
POV
Invece del suo solito,
gioviale, rassicurante sorriso perenne, l’ho trovato con le
sopracciglia
aggrottate, gli occhi ridotti a due fessure e la mascella contratta in
una
smorfia accigliata.
È arrabbiato, e di brutto,
anche. Spero che non ce l’abbia con me.
«Così non va beno, Marco!»
Ok, ce l’ha con me.
Lo lascio entrare in casa,
chiudo la porta, dopodiché mi volto e mi preparo ad
affrontare la sua sfuriata
per qualsiasi cosa io gli abbia fatto, anche se non ho la
più pallida idea di
cosa sia.
«Su, avanti» lo sprono, a mio
rischio e pericolo «che t’ho fatto?»
Lui mi punta il dito contro,
sbarrando gli occhi. «Non fare finta che tu non sa. Ho visto
tutto!»
“Ho visto tutto”. Le peggiori
parole che un uomo possa mai sentire dopo “Dobbiamo
parlare”.
Cerco di fare mente locale e
di passare in rassegna tutti gli atti più o meno
sconvenienti fatti di recente
(o nel corso della mia intera esistenza, se è per questo),
per capire a cosa si
riferisca. Non mi viene in mente nulla eccetto quando l’altro
ieri ho usato il
rasoio di Marta per farmi la barba.
Quando si dice vivere
pericolosamente, eh?
A ogni modo, non credo proprio
che sia questo il motivo della sua ira.
Mi vedo costretto a
insistere: «Dai avanti, dimmelo, non
farmi…»
Michael mi zittisce con un
gesto stizzoso, tira fuori il tablet dalla custodia e, dopo aver
premuto
qualche tasto, me lo piazza davanti al naso.
«L’intervista, Marco»
sussurra come se stesse pronunciando una grave accusa nei miei
confronti.
«L’intervista.»
Guardo lo schermo: si tratta
di un’intervista che ho fatto qualche giorno fa, in cui mi
è stato chiesto
com’è stato rincontrare “Mika”
(non mi riabituerò mai a sentirlo chiamare in
quel modo: per me è solo Michael ormai) dopo tanto tempo.
«Non vedo dove sta il
problema» ammetto. «Non ho detto niente di strano,
non ho minimamente accennato
a noi due,
non…»
«Tu ha parlato male di me!»
sbotta.
Ora è il mio turno di
aggrottare le sopracciglia. «Ma non è
vero.»
«Ah no?» punta il dito sul
tablet, leggendo e indicando col dito: «L’artista
definisce Mika “parecchio
tosto, un po’ cattivello, più critico di quanto
possa sembrare”… Così non va
beno, Marco!»
Ah, giusto, quello.
Ho detto proprio così?
Già, l’ho detto.
Oddio, sono un cretino. Un
cretino coi fiocchi e i controfiocchi.
Va bene, facciamo mente
locale. Visto che ormai il danno è fatto, l’unica
cosa che mi rimane da fare è
cercare di rimediare alla bell’e meglio.
«Non pensavo che te la
saresti presa!» ammetto, alzando le mani. «E
comunque, guarda che l’ultima
frase me l’ha messa in bocca
l’intervistatrice.»
Michael, già sconvolto di per
sé, mi rivolge una faccia stranita e chiede lamentoso:
«Che tu ha detto,
Marco?»
Ops, devo fare attenzione a
non usare i modi di dire italiani con lui. Non li capisce tutti quanti.
Mi correggo: «Intendevo dire
che è stata lei a dirla, io l’ho a malapena
ripetuta, e poi…» tocco lo schermo
del tablet in modo da far partire il video dell’intervista.
«Senti. Senti, dico tante altre cose buone su di
te.»
«L’ho già sentito
quel…»
«No» insisto, esibendo un
sorriso a trentadue denti. «Sentilo di nuovo.»
E lui si ritrova ad ascoltare
la parte in cui lo definisco una persona squisita, allegra e molto easy. Sposta lo sguardo su di me, ancora
lievemente scettico. Io continuo a mantenere il sorriso
finché non sento che la
mascella mi si sta spaccando in due.
Alla fine, di fronte al mio
tentativo (patetico, aggiungerei) di intenerirlo, cede. «Oh,
va beno. Per
questa volta sei perdonato. Per questa
volta.» mette via il tablet, sbrigativo, poi cambia
completamente
espressione e sembra anche parecchio preoccupato. «Ma
dimmi… sono davero così cattivo
come tu dice?»
Mi scappa una risata,
mannaggia a lui e al suo italiano del cavolo! «Beh
sì, un po’ lo sei. Qualche
volta.»
«Sul serio?!»
Sto per continuare, ma mi
blocco nel guardare il suo volto: aria contrita, occhi pieni di ansia
e… che
fa, si morde il labbro? Oddio, è nervoso, che carino!
Certo, sarei nervoso anch’io
se il mio ragazzo dicesse a tutto il popolo italiano che io sono
cattivo. Ma
credo che non sarei altrettanto carino nel farlo.
Mi dispiace davvero per lui. Certo,
è vero che è critico praticamente su qualsiasi
cosa, ma evidentemente non lo fa
apposta. Ora mi sento in colpa.
Credo che rimanderò la
sincerità a un altro giorno e per questa volta ci
passerò sopra. «Ma no, non sei
proprio cattivo, sei... severo, ecco.»
Sul suo volto affiora un piccolo
sorriso di sollievo. «Tu dici?»
«Certo che sì, ovviamente!»
A questo punto si rilassa,
abbandona tutto quel nervosismo e quella rabbia immotivata, che non gli
appartengono affatto, e torna il Michael dolce e allegro di sempre.
E mentre tiro un sospiro,
pensando di averla scampata bella, lui mi attira a sé, senza
preavviso. Finalmente
mi rilasso un po’ e, tra le sue braccia, lascio andare tutta
la tensione.
«No mi piace litigare con te
per stupide interviste.» dice, e dal suo tono intuisco che
sta sorridendo. «Tu
lo sa, vero?»
Come
si fa a non amarlo? Sì, magari a volte è
impulsivo, ma ha questi scatti di
tenerezza che mi fanno sciogliere.
Quasi
mi dimentico il motivo per cui è venuto qui. O, per lo meno,
in questo preciso
istante non me ne frega più niente. «Certo che lo
so.»
D’altronde,
a chi non capita di dare di matto, una volta ogni tanto?
Mika’s
POV
Posso già scrivere il
testamento, chiamare il becchino e farmi preparare una bella bara su
misura.
L’ho combinata proprio
grossa.
Sono un uomo morto. Sono
morto e sepolto, non mi resta che aspettare.
Sento bussare, è lui.
Raggiungo a malincuore la porta, afferro la maniglia e mi preparo
psicologicamente
a essere strangolato a mani nude. Apro lentamente.
«A’ Michael, ma che cazzo
stai a dì?!»
Marco entra a passo di marcia
nell’appartamento e si piazza di fronte a me, infuriato come
non l’ho mai visto
prima. Ha tutte le ragioni di esserlo.
«Ok, so che tu mi vuole
uccidere, ma prima io…» comincio.
Lui però mi interrompe.
«Prima me fai una testa tanta co’
l’intervista mia –e così non va beno, e hai parlato male di me e
quant’altro– e mo’ me fai di
‘ste cazzate in mondovisione e manco me dici
niente?!»
Ma che cos’ha detto, si può
sapere? Lo sa che non lo capisco quando parla così,
perché si ostina a farlo? Certo
è che ora non ho proprio il coraggio per chiedergli di
ripetere. Tanto si
capisce benissimo che non ha detto nulla di buono.
«Sì, tu ha ragione, ma mi è
venuto… spontaneo!» trovo finalmente il termine
che mi serve. «Io e il
presentatore stavamo parlando e ho detto quella cosa in modo spontaneo.
Non ho
fatto apposta.»
«Nun te voglio sta’ a sentì!»
urla.
Poi si ricorda della mia
totale inettitudine per quanto riguarda i dialetti laziali e ripete, in
italiano corretto stavolta: «Non voglio starti a
sentire.»
«Ma io…»
«Hai detto in un’intervista in
diretta, su un canale nazionale,
che tu sei venuto a casa mia
a mangiare il risotto e per di più ‘sto risotto ti
ha pure fatto schifo!»
«Alt!» gli paro una mano
davanti alla faccia e fermo il suo sproloquio. «Primo, non ho
detto che io ho
venuto a casa tua. Ho detto che io ero a casa di una
persona.»
Marco sbuffa e si mette a
braccia conserte, sa che ho ragione. «Sì,
però quando il presentatore ti ha
chiesto a casa di chi avevi
mangiato
questo famoso risotto che ti aveva tanto sconvolto
l’esistenza, sei stato
pessimo.»
Non posso che essere
d’accordo.
Mi sono lasciato sfuggire,
durante questa fatidica intervista in diretta televisiva, che circa una
settimana fa sono stato a casa di qualcuno
e che lì ho mangiato per la prima volta il risotto italiano.
Sinceramente, io
amo il cibo di questo paese, ma il risotto è un piatto che
non ha senso. È
sbobba, non è un pasto. O forse è il modo in cui
l’hanno preparato Marco e
Marta che non mi è piaciuto.
Comunque, quando il
presentatore mi ha chiesto a casa di chi avessi avuto il dispiacere di
assaggiarlo, invece di reagire in modo naturale e pacato come mio
solito, mi
sono messo a ridacchiare come un idiota, a balbettare e a ripetere che
“non
potevo dirglielo”.
Di certo non potevo
rispondergli dicendo che ero stato a casa del ragazzo con cui
attualmente
tradisco il mio fidanzato e dal quale mi sono fatto promettere che non
avremo mai fatto alcun accenno
alla nostra
storia, almeno non pubblicamente.
Ed ecco che proprio io,
adesso, mi ritrovo a venir meno al nostro accordo.
La sostanza dei fatti non
cambia, sono un idiota. Ma non ha senso adesso rivangare.
«Secondo, non ho detto che mi
faceva schifo il risotto» mento.
Lui si mette a braccia
conserte, con sguardo severo. «Ah, no? Perché mi
sembrava di aver sentito, e
cito testualmente: “Non è buono, non mi piace,
è solo riso crudo con la
salsa”.»
Beccato. Beccato in pieno e
senza possibilità di rimangiarmi quello che ho detto.
Sposto lo sguardo verso il
basso e cerco di impietosirlo con il migliore (e più
sincero) sorriso di scuse
in cui riesco a esibirmi.
Marco cerca di trattenersi
dal commentare, ma non ci riesce.
«La prossima volta che io e
Marta ti invitiamo a pranzo ti ordini una pizza, punto e basta. E te la
paghi
pure da solo, Mika.»
Oh, mi chiama col mio nome
d’arte.
La cosa è seria.
«Tu mi vuole perdonare,
vero?» cerco di accattivarlo come meglio posso.
«Neanche un po’.»
Niente da fare, per ora. Sbuffo.
«Ma perché litighiamo sempre per interviste, noi
due?»
Di fronte a queste parole,
Marco sembra addolcirsi un po’ ed esitante borbotta:
«Non è che è proprio un
litigio questo… è un chiarimento, ecco.»
Un chiarimento? Perfetto! «Quindi
mi perdoni!»
Marco fa repentinamente
marcia indietro: «No.»
Scuoto la testa. Cercare di
ragionare con lui è pressappoco impossibile, ma questo non
mi impedisce di
provarci.
Anzi, più fa il testardo, più
mi viene voglia di perseverare nel mio intento. Quindi, lui mi
perdonerà. Che
lo voglia o no.
Gennaio 2014
Marco’s
POV
Ma come potrei fare
altrimenti?!
“Guarda la mia intervista di
stasera” mi ha detto lui, appena poche ore fa “Ho
un regalo per te”
Così ho fatto. E mentre me ne
stavo lì, buono buono sul divano, con la faccia incollata al
televisore, all’improvviso
chiedono a Michael di parlare dell’amore.
E qui mi si mozza il respiro
e mi va la birra di traverso, tanto che rischio seriamente il collasso.
Ma
cerco comunque di trattenermi, con l’intento di ascoltare
quello che lui ha da
dire al riguardo.
L’amore, a detta sua, cambia.
Perché è un’evoluzione
continua, perché anche lui è sempre in
cambiamento.
Perché se l’amore muta, e gli
viene data questa possibilità, allora sì che ha
una vera chance di continuare
per davvero.
Parole
sue.
Ho sentito solo a grandi
linee, naturalmente, tra un colpo di tosse e l’altro, ma
ciò che sono riuscito
a cogliere mi basta e avanza.
Anche se non posso avere la certezza matematica che stesse parlando
anche di me
(oltre a parlare del suo odioso fidanzato, Mister Perfezione,
ovviamente), non
posso non ammettere che ci spero da morire. Glielo chiederò,
presto.
Per ora, tutto quel che posso
fare è restarmene qui sul divano ad ammirare
l’uomo che, in questo momento, non
esiterei a definire come la perfezione assoluta, mentre mi dona il suo
regalo.
Forse il più prezioso che lui potesse farmi.
Un regalo che parla di amori
impossibili e straordinari, del sogno di lasciarsi tutto alle spalle e
di non
tornare mai più.
Mi dedica una canzone, e non
una qualsiasi. Appartiene a lui ma sembra parlare di noi. Chiudo gli
occhi e mi
perdo immediatamente tra quelle note.
Underwater.
Non può essere andato a
dormire. Sono solo le tre di notte. Lui è un nottambulo, lo
sanno tutti, no?
Al quarto squillo comincio a
pensare che forse, dopo l’intervista, era stanco ed
è andato a dormire.
Rispondi,
dai!
Al quinto squillo comincio
a
spazientirmi. Mi metto a tamburellare con le dita sul ginocchio, in
un’attesa
snervante.
Se
non mi risponde ora, lo crocifiggo.
«Allô?»
biascica finalmente la sua voce, in
francese.
«Parlavi
di me, sì o no?» mi affretto a dire.
Lui
mugola appena. «Marco?»
«Prima,
nell’intervista, quando ti è stata fatta quella
domanda sull’amore, parlavi anche
di me?» gli chiedo di nuovo, tutto d’un fiato. Devo
saperlo in questo preciso
istante.
Pausa.
Una
lunga pausa.
Ma
è ancora in linea?
«Michael?»
«Va te faire foutre, Marco!»
Non
sembra che abbia detto una cosa molto carina. Anche se in francese
risulta
comunque adorabile.
«Quindi
è un sì?»
Sbuffa
sonoramente. «Sì, Marco. Certo che parlavo anche
di te.»
Mi
scappa un sorrisetto eccitato. «Ok grazie, scusa il disturbo.
Buonanotte, ti
amo.»
«Aspetta,
mi hai chiamato per chiedermi questo?»
Ops.
Mi
ero dimenticato che appena sveglio Michael è in fase
“mostro di Loch Ness” e
qualche volta fa l’acido. Certo, forse influisce il fatto che
io l’abbia
svegliato alle tre del mattino, ma può darsi anche di no.
«Sì.»
ammetto, alla fine.
«Va t’empaler encule!»
Questa
volta l’ho capito, cos’ha detto. Faccio per
replicare, ma lui mi ha appena
attaccato il telefono in faccia.
Questo
è stato davvero poco carino da parte sua.
È
mai possibile che riusciamo sempre e comunque a litigare per via di
qualche
intervista? Bah. Questo ragazzo è impossibile.
Va
t’empaler encule…
volgare ma di classe.
Dovrò usarlo anch’io, qualche volta.
Aprile 2014
Mika’s
POV
Faccio come mi ha detto. «Sì,
porca miseria, è ufficialissimo!» esclamo,
ridendo. «L’hai vista sì o no
l’intervista al programma di Alessandro? Sì, io
faccio X Factor di nuovo.»
In realtà gliel’avevo già
anticipato da tempo, ma lui pare non farci caso, anzi, sembra aver
appena
realizzato che passerò ancora molti altri mesi in Italia, a
Milano, insieme a
lui.
Gli spunta un sorriso ebete
sulle labbra, sorriso che cerca di trattenere senza riuscirci. Alla
fine,
scuote le spalle e si rassegna a tenersi quella stupida espressione
stampata in
faccia.
Dio, quanto lo amo.
Nel frattempo piazza sul
tavolino del suo salotto un quartetto di regine, guardandomi con aria
di sfida.
Fingo indifferenza, quando invece sono irritato da morire:
perché a burraco mi
batte sempre?!
Lui continua a fissarmi con
quel sorrisetto sghembo, dondolandosi sulla sedia.
«Che tu vuoi?» gli chiedo
direttamente, ricambiando il sorriso.
Non risponde subito, fa una
lunga, lunghissima pausa prima di dire: «A’
Michael, ora che sei in Italia lo
facciamo o non lo facciamo ‘sto duetto, io e te? Se lo
aspettano tutti!»
Scuoto la testa,
sghignazzando. «Scordatelo, Marco. Te lo ripeto per
l’ultima volta: io e te non
duetteremo mai. Non mi voglio
esponere troppo con te, lo sai bene.»
Invece di sbuffare o di protestare,
come mi sarei aspettato da lui, Marco scoppia a ridere gettando la
testa
all’indietro e tenendosi la pancia.
Capisco immediatamente di
aver sbagliato a dire qualcosa.
«Ma che “esponere”, Michael? Esporre, si dice, esporre!»
«Oh, cazzo, questa lingua è
troppo difficile!» mi lamento, ma questo non fa che far
aumentare le risa di
Marco, che per poco non cade giù dalla sedia. Per un attimo,
ho seriamente
paura che si faccia male. «Ora che ti prende?»
«Mi prende che non dovevo
insegnarti a imprecare in italiano» riesce a dire tra le
risate. «Sei troppo
buffo quando lo fai!»
Io lo ignoro elegantemente (o
almeno spero) e tento di combinare qualcosa con le carte che ho in
mano.
Doppioni. Solo e unicamente doppioni. Che tristezza. Devo decisamente
insegnarli un altro gioco con le carte. Un gioco in cui vinco, magari.
A un certo punto, mentre io
predo rassegnato un’altra carta e Marco si riprende dal suo
attacco di
ridarella, un amaro aroma familiare inizia a farsi sentire nella stanza.
«Oh, caffè è pronto» sospiro,
pregustandolo già. Dio, adoro il caffè italiano.
Marco storce il naso, mentre
si alza dalla sedia per andare a spegnere la caffettiera e a versare il
caffè
in due tazzine. «Sai, magari a fare il caffè non
sarò bravo quanto quella bella ragazza
che somiglia tanto a Katy
Perry» sottolinea, con una punta di veleno nella voce
«ma spero comunque che
non ti faccia schifo quello che preparo io.»
«Ecco qua, ancora non avevamo
litigato per questa ultima intervista!» sbotto, ma in
realtà non sono affatto
arrabbiato con lui. Al contrario, trovo il tutto esilarante.
«Ma è vero. Tu hai fatto
apprezzamenti sulla ragazza dei cappuccini… e ti ci sei
fatto pure la foto
insieme!» mi punta il dito contro.
«Perché somiglia davvero a
Katy Perry. Ammettilo!» puntualizzo.
Lui si limita a sbuffare,
borbottando qualcosa in dialetto che non capisco.
Certo, come se non avessi
capito cosa gli è appena preso: è trasparente. Mi
volto a guardarlo, poggiando
il mento su una mano. Sogghigno tra me e me.
«Marco, tu sei geloso per
caso?»
Posa i caffè sul tavolino, accanto
alle carte e, con una calma disarmante, risponde:
«Assolutamente sì. Ovvio che
lo sono.»
Rimango attonito per qualche
secondo.
Non è la cosa più adorabile
di questo mondo?
Senza pensarci troppo su, gli
afferro il mento e gli stampo un bacio su quelle tenere labbra, che
parlano
decisamente troppo, e menomale che lo fanno, altrimenti sarebbe una
noia. Lui
nemmeno si stupisce, è abituato ai miei slanci passionali.
E, a ogni modo, non
è che gli dispiacciano più di tanto, a giudicare
dal modo in cui ricambia.
Continuiamo a baciarci da
sopra il tavolino, pericolosamente instabili, ma in questo momento non
ci
importa. Abbiamo del tempo perso, un sacco di tempo che dobbiamo
necessariamente recuperare, in qualsiasi modo e in qualsiasi momento.
«A’ Michael, se litighiamo
sempre così me faccio l’abbonamento»
sussurra tra le mie labbra, inebriato dal
momento.
«Zitto e baciami» è tutto
quel che mi esce di bocca.
Il bacio si fa sempre più
profondo, più intenso, più bisognoso,
finché non è Marco stesso a interrompere il
contatto,
gettandosi ansante sulla sedia.
«Non puoi capì quanto me fai
sangue, Michael.»
Ridacchio, senza capire. «Che
tu ha detto?»
«Poi te ‘o spiego» sussurra
appena.
Mi guarda dritto negli occhi,
e io mi ci perdo praticamente dentro. Ogni volta rimango incantato
dalla profondità
del suo sguardo, da quegli occhi scuri, mediterranei e…
«A’ Michael, e te sbrighi a
mettere giù ‘ste benedette carte?! Qua facciamo
notte.»
… e ha appena rovinato il mio
momento di romanticismo.
Sgrano gli occhi e spalanco
la bocca (e già che ci sono prendo ancora un’altra
carta, visto che le mie sono
completamente inutili). «Tu sei tremendo.»
«Mai quanto te, enfant terrible»
mi prende in giro, per
poi mettere giù tutte le carte che aveva in mano fino a poco
fa e chiudere così
la partita. «E comunque ho vinto ancora.»
«Complimenti, ancora» mi
congratulo.
«Che cosa vinco, Michael?» mi
chiede, in un sorriso.
Nonostante il suo
atteggiamento sia del tutto innocente e senza malizia, ciò
che leggo nel suo
sguardo è “Prendimi adesso”.
O almeno, questo è quel che
mi sembra di vedere. Potrei anche sbagliarmi, ovvio: magari in
realtà allude a qualcos’altro
e sono io che in questo momento ho gli ormoni in circolo praticamente
ovunque. Potrebbe essere
soltanto una questione di punti di vista.
Ma, come ho già detto,
abbiamo del tempo perso da recuperare. E, nel dubbio, di certo non mi
farò
pregare.
Magari lo scopro da solo che vuol dire “fare
sangue”.
La
soffitta dell’autrice:
Che
dire? Ogni coppia ha
i suoi alti e bassi, perfino ‘sti due. E quale occasione
migliore per litigare,
se non delle dichiarazioni sconvenienti? Essere personaggi di spicco ha
i suoi
svantaggi, belli de zzia.
A parte questo, era da
tempo che volevo scrivere una Mirco un po’
“leggera”, con quel pizzico di humor
inglese che ti fa appena appena accennare un sorriso… Spero
di esserci riuscita
e, in caso contrario, esigo che mi massacriate.
Oh, e se vi siete persi
una di queste interviste, andate a vederle di corsa, mi raccomando!
Perdonatemi il bislacco
nonché pessimo gioco di parole del titolo, ma è
stato proprio quel bislacco
nonché pessimo gioco di parole a farmi balzare in testa
l’idea di una OS del
genere.
Un male? Un bene? A voi
l’ardua sentenza.
Baci, risotti e caffeina
a tutti voi