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Autore: Io_me stessa    04/05/2014    2 recensioni
Dal testo:
"...Pioveva anche allora. Pioveva, lo sentivo dallo sgabuzzino vuoto e buio in cui stavo rannicchiata, o forse la memoria confonde le lacrime del cielo con e mie. Fu quello il giorno n cui la mia bellezza fu distrutta per sempre..."
P.s. Qualche recensione? Ne accetto anche di critiche
Genere: Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Johanna Reyes, Marcus Eaton, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Plic, ploc. Piove

Osservo le gocce scorrere lungo il vetro, lasciandosi dietro minuscoli rigagnoli dalla breve vita. Il mio respiro regolare si dissolve in pallide nuvolette di vapore, unica prova certa della mia esistenza in questo limbo irreale. Sono sola, nella serra, solo il ticchettio della pioggia rompe il silenzio.

Quando il temporale è cominciato tutti sono corsi a ripararsi. Ma non si dovrebbe temere la pioggia. La pioggia rinnova e ripulisce, la pioggia lava e da l’impressione di  portare via con sé i nostri errori, i nostri peccati. I segni del nostro passato. Eppure alcuni sono incancellabili, non è vero? Come quel solco innaturale che mi offusca la vista dell’occhio sinistro. Perché i ricordi di ciò che l’ha originato sono impressi a fuoco nella mia mente.

Nessun Pacifico mi ha mai chiesto in che modo un Candida avrebbe potuto procurarsi una ferita del genere. E’ difficile, per chi è vissuto all’insegna dell’onestà e della schiettezza, abituarsi alla delicatezza di quelle persone, che hanno saputo tenere a bada la propria curiosità per non mettermi a disagio. Gli sono grata per questo. Gli sono grata per molte cose.

Plic, ploc. Piove.

Pioveva anche allora. Pioveva, lo sentivo dallo sgabuzzino vuoto e buio in cui stavo rannicchiata, o forse la memoria confonde le lacrime del cielo con le mie. Fu quello il giorno in cui la mia bellezza fu distrutta per sempre. Quella bellezza tanto odiata  e disprezzata, perché troppo simile a quella della madre che non avevo mai conosciuto. Della madre morta dandomi alla luce. Io sapevo di assomigliarle perché altri me lo avevano detto, e conservavo gelosamente l'unico ricordo (se così lo a vogliamo chiamare) di lei. Mio padre non ne era altrettanto compiaciuto. A volte lo capivo: che diritto avevo di assomigliare alla mamma, se ero stata la causa della sua morte? Ma si trattava di radi e tristi momenti. In genere, ero fiera del mio aspetto e non ho mai finto umiltà (una dote che ho imparato a coltivare solo in seguito), ero coerente con i principi della fazione che pensavo sarebbe stata mia per tutta la vita. Poi un giorno feci qualcosa di imperdonabile. Attorno agli 13 anni, il primo brufolo mi comparve sulla fronte. È incredibile come tutto ciò che venne in seguito possa essere stato originato da qualcosa di così insignificante. Era piccolo, forse invisibile, ma io lo vedevo e decisi di correre ai ripari. Mentii. Mentii sul mio volto, dicono, ma per me non era così. Era quel difetto a mentire; io, invece ero bella come mia madre, questa era la verità. Io, con quella terra scura illegale fra i Candidi, stavo solo cancellando la bugia. Mi sbagliavo; vorrei tornare indietro e impedire a quella stupida, frivola ragazza che ero di fare un grosso errore, ma ormai è troppo tardi. Mio padre mi scoprì, e delle due ore seguenti ricordo solo sangue e lacrime.

Mi era sempre piaciuto l’ospedale. Molte persone dicono che è un luogo triste, ma io non guardavo i malati sofferenti nelle loro camere. Avevo occhi solo per i camici immacolati dei medici. Quel giorno avrei voluto essere anch’io così pulita, ma il mio abito nero e bianco era sporco di rosso. Una dottoressa Erudita (aveva un fazzoletto azzurro legato al collo) sia avvicinò a noi. Sembrava davvero allarmata. Dovevo avere un aspetto orribile, con l’improvvisata benda che mi copriva un lato del viso. Non ho mai capito perché mio padre  mi avesse fatta salvare. Rimorsi di coscienza? Vorrei crederci, ma più probabilmente sarebbe sembrato strano se sua figlia fosse morta dissanguata per un incidente domestico. Sì, perché fu questo che raccontò. Fu una delle poche parole che colsi. Incidente domestico. Aveva mentito. Anzi, aveva fatto di peggio: aveva punito me per aver mentito e poi aveva detto lui stesso una bugia. Ipocrisia. L’ipocrisia era il delitto peggiore, mi avevano detto, era la ragione di tutti i mali del mondo. O forse no?

Il giorno seguente a scuola non mi parlò nessuno, neanche i miei pochi amici. Forse la mia nuova, terribile faccia li intimoriva troppo, forse alcuni di loro sospettavano quello che era realmente successo. Se così fosse avremmo altri bugiardi fra i Candidi, perché nessuno ha mai denunciato mio padre. Cercavo di coprirmi la ferita con i capelli, senza badare al fatto che anche quest’azione costituiva una forma di menzogna. Solo un ragazzino si avvicinò al mio banco. Era un’Abnegante e io non avrei dovuto diventare sua amica. Ma avevo infranto regole ben peggiori ormai. Da allora parlai quasi solamente con lui. Si chiamava Marcus Eaton.

È possibile che la mia memoria sia così ingannevole da saltare quasi tre anni di vita? Eppure è così, mi sembra che non sia intercorsa più di una settimana dal mio primo incontro con Marcus al giorno del test.
Un uomo stava per cadere in un crepaccio e io dovevo aiutarlo, ma il terreno era cedevole e rischiavamo di cadere dentro entrambi. Pensai per un po’, sforzandomi di mantenere la calma e di non ascoltare quelle grida di terrore. Mi stesi sul terreno, cercando di distribuire uniformemente il mio peso, e strisciai sino al dirupo. In qualche modo, riuscii a tirarlo su. Lì per lì, credetti di aver finito, ma poi accadde una cosa che non mi sarei mai aspettata: l’uomo che avevo appena salvato mi sbatté a terra con forza. Incombeva minaccioso sopra di me, gridando cose incomprensibili, solo la domanda finale era chiara: “Hai paura di me?”. Questo mi stava chiedendo. Avrei voluto risponderli di sì e pregarlo con tutta me stessa di lasciarmi andare, ma qualcosa che non avevo mai provato prima scattò dentro di me. Mi girai, afferrai una manciata di terra e gliela gettai negli occhi. Si allontanò da me e cominciò a sfregarsi gli occhi imprecando. Approfittando del momento, mi alzai in piedi e gli tirai un calcio sul petto. Era molto più alto di me, ma anche più pesante, e cadde a terra come un sacco di patate. Ora avevo io il potere. Ero gonfia di rabbia per l’ingratitudine di quello sconosciuto che mi ricordava tanto (troppo) mio padre, e avrei voluto colpirlo di nuovo, per assicurarmi che non potesse più farmi del male. Ma non lo feci. Non lo feci perché nei suoi occhi arrossati rividi la mia stessa paura. Non lo feci perchè la sola idea di colpire qualcuno al solo scopo di fargli del male (meritato o meno) mi fece rivoltare lo stomaco. Al contrario, agii nel modo più assurdo che mi potesse venire in mente: gli tesi la mano. “Ora siamo pari” dissi. “Pace?” domandai, come facevo a volte da bambina. Aprii gli occhi.

L’Abnegante che mi aveva esaminata parlava concitata. Era andato storto qualcosa nel test, ma non capivo cosa. Ero ancora scioccata per la simulazione, decisamente più lunga di quanto mi fossi aspettata. Colsi poche parole che discorso che mi fece. Ma il succo lo avevo capito. Ero una Divergente e dovevo nascondermi. Sarebbe stato più sicuro per me restare nella mia fazione d’origine, anche se non avevo dimostrato nessuna predisposizione per i Candidi. Invece, ero Erudita, Pacifica e Intrepida. Pacifica e Intrepida… parole che raramente si sentono insieme.


La Cerimonia della Scelta. Cominciai a pensare alla mia futura fazione quando chiamarono il mio nome. Non avevo fatto programmi, non avevo riflettuto su niente. Vivevo concentrandomi sul momento presente, abbandonando futuro e passato nei meandri più bui della mia mente. Mentre avanzavo verso il centro della sala mi resi finalmente conto della portata della decisione che dovevo prendere. Sapevo che non potevo rimanere fra i Candidi. Mio padre era solo uno dei motivi: non avrei mai superato l'iniziazione. Non diedi retta alla mia parte Erudita. Non feci nulla di logico. Incontrai lo sguardo di un Pacifico, che mi sorrise. Mi sorrise senza indugi, senza remore e soprattutto senza compassione. Mi sorrise senza guardare la cicatrice. Mi sorrise e mi diede coraggio. Guardai mio padre dritto negli occhi e feci gocciolare il mio sangue sulla terra.     

Plic, ploc. Piove.
  
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