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Autore: LokiSoldier    05/05/2014    2 recensioni
E se Sherlock e John non fossero due uomini adulti e vaccinati ma due giovani studenti liceali? Come sarebbe la loro vita? Come sarebbe stato il loro incontro e il loro rapporto se si fossero conosciuti all'età di diciassette anni?
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Quasi tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ed eccomi qui con una nuova fan fiction che spero davvero di portare a termine xD Lo scopo di questa storia è di analizzare un giovane John e un giovane Sherlock -che per comodità ho reso coetanei altrimenti mi sarei trovata in difficoltà in alcuni punti- alle prese con la loro adolescenza. Il loro incontro in una tappa così precedente rispetto alla storia originale ha sicuramente ripercussioni serie su tutta la loro vita. John andrà comunque in guerra? Come evolverà la vita di Sherlock ora che potrebbe trovare un amico durante la sua giovinezza? Quando è ancora facilmente influenzabile e sensibile?

 
Essere un adolescente fa davvero schifo. E parlo da ragazzo che sta affrontando il fiore di questo periodo della vita, il momento in cui solitamente si colgono tutti i lati negativi della giovinezza desiderando di essere già adulti, già cresciuti. Io non faccio eccezione, a parte il fatto che guardo alla mia vita con gli occhi di un adulto e non quelli di un ragazzino quale sono. Chiuso, introverso, mi ritrovo a dovermi ambientare in una nuova scuola dopo essermi trasferito da un’altra città. Mio padre, che fa il soldato, aveva avuto un cambio di residenza per alcune faccende di lavoro e io e mia madre –assieme a mia sorella- l’abbiam dovuto seguire. Harriet è abbastanza tranquilla all’idea, è una tipa così… moderna, spumeggiante, le piace cambiare. Io invece, più piccolo di pochi anni, sono molto più vecchio di lei per modo di agire e pensare e non ho mai amato molto i cambiamenti. Preferivo le mie sicurezze, i soliti posti, i soliti volti, la solita routine. Odiavo e odio ancora le novità, mi fanno paura. Assurdo, ma vero. Ho solamente diciassette anni eppure mi sento così diverso dalla maggior parte dei miei coetanei! Sarà per questo che di amici ne ho davvero pochi e tutti parecchio più grandi di me.
A scuola mi sento molto più a mio agio parlando con un professore piuttosto che con un compagno e gli unici con cui parlo in genere sono quelli che come me hanno un carattere tranquillo, mite, niente affatto appariscente. Non amo circondarmi di bulletti, di ragazzi presuntuosi e sfacciati che credono tutto gli sia dovuto. Preferisco una compagnia serena, piacevole, più affine al mio carattere pacato e introverso. Devo ammettere che gradisco anche la compagnia delle ragazze, ma questa è una faccenda un po’ particolare… da adolescenti le ragazze preferiscono i ragazzi belli, quelli che ti portano fuori e pagano loro e suscitano le invidie delle altre. Preferiscono il ragazzo trofeo da ammirare e farsi invidiare rispetto al vero e proprio compagno che possa supportarle e aiutarle in quel momento della loro vita. Ma devo dire che anche noi ragazzi non siamo molto diversi… per quanto sembri brutto da dire, anche io mi avvicino alle ragazze che trovo più carine anche se approfondisco la conoscenza solo di quelle che trovo compatibili. Ad ogni modo, questo sono io. John Watson, diciassette anni, nuovo studente del quarto anno di liceo. Un ragazzino introverso e tranquillo ma abbastanza pericoloso se infastidito. Sono figlio di un soldato e la violenza scorre nelle mie vene anche se viene lasciata libera solo in caso di vera necessità e bisogno. Non amo ricorrere alle mani se non è strettamente necessario e la mia corporatura abbastanza robusta lo lascia facilmente intuire. Non sono molto piazzato, in verità sono bassino per la mia età –il che è abbastanza imbarazzante per un ragazzo- ma ho spalle larghe e muscoli leggermente accennati. Le mie mani sono forse un po’ troppo grandi se consideriamo la mia altezza ma non sproporzionate.
Giunto a scuola, cartella penzoloni su una spalla, mi guardo attorno alla ricerca della segreteria. Un professore, amico di famiglia, mi ha selezionato nella classe che aveva ritenuto migliore per me e mi aveva chiesto di passare da lui appena giunto a scuola per salutarmi e indicarmi l’aula. Ero grato della sua gentilezza anche se non sapevo quanta differenza avrebbe potuto fare una classe da un’altra. Voltando il capo castano da un lato e dall’altro, le mie iridi grigie alla fine trovano la porta che cercavo.
Knock Knock.
Busso un paio di volte prima di aprire la porta e varcare la soglia trovando il professore che cercavo intento a bere una tazza di caffè mentre chiacchierava con la segretaria.
- Buongiorno professor Stanford.
- Oh ragazzo mio, buongiorno! Come ti senti? Agitato per il primo giorno?
Mike Stanford è un uomo alto attorno al metro e settanta con una pancia decisamente pronunciata e corti capelli scuri. Gli occhiali dalla spessa montatura di tartaruga sono gli stessi da davvero tanto tempo, non ricordo di averlo mai visto senza, e sono quasi un suo segno distintivo. E’ un uomo alla mano e spiritoso, mio padre lo trova davvero gentile. Dal canto mio non ho mai avuto motivi di pensare il contrario.
- Un po’.
- Stai tranquillo, andrà tutto bene. Tuo padre ha detto che sei un ragazzo sveglio e intelligente, non ho dubbi che ti troverai bene. La tua sezione è la B, secondo piano.
- Grazie Mik... oh, ehm, scusi, professor Stanford.
Così, con una risata da parte del professore, esco dalla segreteria chiudendomi la porta alle spalle. Secondo piano, aula B. 4B. L’ansia si fa crescente adesso che devo affrontare una nuova classe e non ho davvero idea di cosa aspettarmi, ma in fin dei conti sarà un giorno di scuola come un altro, quindi cerco di calmarmi prendendo un profondo respiro e pensando a quel che avrei fatto una volta tornato a casa dopo le lezioni. Le scale sono abbastanza lunghe ma i gradini sono bassi quindi non risultano molto faticose. In un paio di minuti sono al secondo piano e, seguendo l’orda di studenti cerco sulle porte delle aule il cartellino che indichi la mia classe.
1A ,2A, 3A, 4A, 4B. Perché poi l’ordine delle classi sia questo non ne ho idea, ma d’accordo.    
Entrato nella classe subito mi accorgo di come sia già piena. Sono tutti ai loro posti, tutti presenti. Sembra che nessun banco sia libero e inizio già ad andare nel panico perché, naturalmente, tutti si sono voltati a fissarmi, fermo sulla soglia, con la mia faccia da scemo. Deglutisco mentre sicuramente la mia faccia si colora di un rosso violento prima di accorgermi di un solo banco libero, in fondo alla classe, accanto a un ragazzo che guarda fuori dalla finestra. Senza guardare nessun altro cammino dritto fino a lì quasi come sperassi di diventare invisibile durante il cammino e, ignorando il borbottio tutto attorno, mi fermo davanti al banco vuoto, schiarendomi la voce.
- Ehm… posso sedermi qui? O il posto è occupato?
Magari non sono l’unico ad essere in ritardo e, in cuor mio, spero davvero che non ci sia nessuno che debba sedersi a quel posto perché l’idea di andare a cercare un banco e attirare ancora di più l’attenzione mi mette i brividi.
Ti prego, ti prego, ti prego, ti prego.
- No, è libero.
Yes!
- Grazie.
Mi siedo poggiando lo zaino sul banco e lo vedo voltarsi verso di me con un modo di fare così tranquillo e leggero che quasi mi stordisce. Movimenti lenti, quasi cadenzati che sembrano fin troppo delicati per la volgarità dei nostri compagni che, ora noto, sono tutti stravaccati ai loro posti, stesi sui banchi o poggiati ai muri con malagrazia. In una classe di confuse chiacchiere e occhi scintillanti di vita e frivolezze, lui sembra quasi estraneo. Silenzioso, isolato, con quel suo sguardo cristallino e distante. Le labbra perfettamente chiuse, le mani poggiate sul banco, chiuse a pugno, e i capelli ricci che vengono appena illuminati dalla luce della finestra accanto a lui. Neri, neri come la notte, ingarbugliati ma non in disordine. Veste di un paio di pantaloni neri e una camicia bianca sotto la quale fa capolino una t-shirt grigia.
- I-io sono John, comunque.
Mi presento quando mi sento in soggezione sotto il suo sguardo indagatore. Mi sento osservato, come se mi stesse studiando e la cosa mi innervosisce un po’. Un po’ tanto, in verità.
- Sherlock.
Risponde solamente prima di voltarsi a puntare i suoi occhi gelidi sulla professoressa appena entrata in classe. La classe si acquieta, io rimango solo col cuore che mi martella nelle orecchie rosse dall’imbarazzo ancora fresco e il respiro grosso. I riflettori stanno per puntarsi su di me e al solo pensiero mi sento la bocca asciutta. Ma, in qualche modo, mi rendo conto del fatto che, con ogni probabilità, sono finito accanto all’unico ragazzo in tutta la classe che potrebbe rivelarsi una interessante e adeguata compagnia per me. L’unico a non apparire sopra le righe, rumoroso e logorroico. Un tipo solitario e introverso. Come me.
 
Forse il primo giorno non sarà tanto male.
 
 
Ed eccoci qui! Fine prima parte ^^
Come avrete notato ho scritto tutto dal punto di vista di John ma non è detto che durante la storia
non cambi e diventi quello di qualcun altro. Ho intenzione di inserire un po' tutti per come mi sarà possibile
stravolgendo un po' tutto, ma sperando di rimanere abbastanza IC (in character) per quanto possa farcela
visto che non si sa come loro siano da ragazzi.
Beh, mi auguro che l'idea vi interessi e che questo primo capitolo vi sia piaciuto.
Come sempre, se l'avete letta, lasciate una recensione anche piccolina per farmi sapere cosa ne pensate <3

xxx
  
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