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Autore: Aki_chan_97    10/05/2014    6 recensioni
Antefatto de “Il ritorno del caos” - Jack e Crow sono appena dei ragazzini, ma hanno già capito come funziona la vita al Satellite. Compagni d’avventura e sopravvivenza, presto si ritrovano a che fare con qualcosa che va ben oltre la loro immaginazione. Chi è questo ragazzino? E come mai sembra condividere il loro stesso, strano, misterioso ‘dono’?
[con fanart allegata dell'autrice Aki_chan_97]
Genere: Avventura, Azione, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Crow Hogan, Jack Atlas, Yusei Fudo
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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*nello studio buio e incasinato della scrittrice*

Io: salve a tutti ^o^ bene, avevo detto che avrei postato una oneshot, dunque eccola qua :D allora, vado subito con le precisazioni da fare: se non avete letto la fanfiction “Il ritorno del caos” a cui questo brano è relativo, potreste trovarlo un po’ WTF?!, perciò ora vi spiego in breve-brevissimo: nella storia principale non hanno luogo duelli –si potrebbe dire che il Duel Monsters non esista xD-, ma scontri “reali”, e… leggendo potrete meglio capire di cosa sto parlando :) decisamente AU. Preferirei ci aveste dato uno sguardo, comunque… ci capireste meglio e.e *ahem* dicevo, in questo momento i nostri eroi hanno rispettivamente:

Jack: 12 anni
Crow: 10 anni
Yusei: 11 anni

Evviva l’infanzia XD dritti come treni verso la pre-adolescenza :D … Ragazzi, siete ancora qua?

Aki: *legge la storia* non scriverai nulla sul mio passato, vero? <_<

Io: per il momento non ho piani XD

Aki *fiù*

Io: o meglio, non intendo farne una one shot B]

Aki: o.O

Io: il tuo passato sarà meglio delineato direttamente nella fanfiction >:D

Aki: T_T ti odio ç_____________ç

Yusei: l’ho detto che eri sadica <.<”

Io: *guarda storto Yusei* avevi detto che ci assomigliavamo! èwé

Aki: ò.ò *guarda Yus*

Yusei: *coff coff* ehm, io mi riferivo alla Aki della Fortune Cup <__<”

Aki: ç____ç

Yusei: …cioè… a quella che non sapeva ancora controllare i poteri…

Io: secondo te lo sa fare quella della fanfiction?

Aki: ç________________ç

Yusei: uhm… alla fine c’è riuscita…

Io: -.- vedo che ti sei scordato delle mazzate che ti ha dato, allora XD *coff* mafochifta! *coff*

Yusei: ehi, non ho intenzione di farla piangere (di nuovo) e.e

Io: a-haaaa, ecco cosa >:D

Yusei:  ._.”?

Io: le vuoi trooooppo bene ^W^

Yusei: ò///ò n-no! Cioè… sì, ma… non si fa piangere una ragazza, punto!

Io: che scusa banale =w=

YuseI: è validissima e_e

Io: allora ammetti che è una scusa òWò

Yusei: ò////ò ancora?! No! Ti ho detto che non voglio vederla piangere e basta!

Aki: ç.ç

Io: mi sa che così non funziona, ragazzo mio x.x

Yusei: *sigh* scusa Aki T_T

Aki: c.c *smette di piagnucolare e si appoggia alla sua spalla puccia puccia*

Yusei: *la guarda un po’ rosso*

Io: ehehe forse cosi si =w=

Ah! Prima che me ne scordi… Disclaimer: la qui presente Aki_Chan_97 non possiede Yu Gi Oh 5ds. Altrimenti penso che mi sarei creata un avatar e sarei intervenuta più volte nella storia. Molto probabilmente avrei agito con dubbie intenzioni èwé (??)
 
 
 
 
Pov: terza persona

“Vieni qui, razza di delinquente!”

“Prova a prendermi se ci riesci!”

Voci indistinte e passi veloci riecheggiarono in quella strada semi deserta del Satellite; ombre rapide e furtive correvano sulle pareti di edifici tetri e abbandonati, una dietro l’altra, distorcendosi e scomparendo ogni qual volta muri e porte venivano meno.

“Fermati, moccioso! Quello è mio!”

“Non più! Ah ah!”

Due voci nettamente distinte potevano essere udite in quel viottolo: la prima bassa, cupa e rude, la seconda giovane, allegra e squillante. Stavano correndo già da un po’ ormai. Ma mentre il più grosso dei due arrancava visibilmente, il più piccolo sembrava essere ancora carico di energie. Era abituato a fughe di quel tipo, molto probabilmente. Svicolarono in una zona più illuminata: era già calata la sera, ma alla luce di un lampione malandato per un attimo si poté distinguere nettamente la figura di un bambino, dieci anni al massimo, vestito di pantaloncini, canotta e gilet, con alcune fasciature sull’avambraccio destro, che stringeva tra le mani un sacchetto di carta non ben identificato; aveva dei capelli rossicci tenuti su da una fascia sparati in tutte le direzioni. Difficile da non notare uno scricciolo del genere. Eppure, fare il ladro era la cosa che gli riusciva meglio. Tagliò per l’ennesima volta in un altro incrocio, assicurandosi di non essere visto dal suo inseguitore. All’improvviso tirò il pacchetto in un angolo pieno d’ombra, senza smettere di correre. Si voltò di nuovo: il mercante aveva appena svoltato l’angolo, dunque non aveva visto. Buon segno. Sorrise ancora di più tra sé e sé. ‘Evvai!’

Ormai erano arrivati ad un vicolo cieco però. Il pover’uomo, stremato dalla corsa, tra un respiro e l’altro non poté far altro che rallegrarsi, finalmente aveva spinto il piccolo ladro in trappola. Si sarebbe ripreso ciò che gli spettava, adesso. Si avvicinò, badando che il piccolo non sgusciasse da vie alternative. “Forza ladruncolo, ridammi quello che mi hai preso. Magari dopo ti faccio tornare a casa senza dire niente alla mamma.” Lo prese in giro. Il piccolo si voltò, gli fece un sorrisone e gli mostrò le mani aperte: vuote. Il mercante lo fissava, allibito e iroso: l’aveva fatta franca, il bastardino. Spazientito, gli si gettò al bavero, e lo sollevò schiacciandolo contro la parete: “Dove l’hai nascosto, eh?! Parla! O vedi che ti faccio!” Nonostante la minaccia, il ragazzino rise di gusto. La sua era una risata sorprendentemente spontanea. Ma come poteva essere così tranquillo in una situazione del genere?!

“Così è troppo facile!” ridacchiò lui, lanciando un’occhiata sfavillante all’uomo. L’altro lo guardò incuriosito. Fu allora che accadde l’impossibile: il volto del bambino si incupì visibilmente, diventando sempre più nero insieme al resto del suo corpo. L’uomo sentì che la stoffa che stringeva tra le mani stava mutando di forma e materia insieme al ragazzino. Subito se ne staccò, terrificato. “C-che cos’è?! Cosa sei tu?!” gridò l’omone, in preda al panico, distanziandosi. Cosa stava succedendo? Cos’aveva davanti? Un umano? Un alieno? Un mostro? Forse un fantasma. Ma chissà, poteva essere di tutto. Sperò in cuor suo che non l’aggredisse. Voleva tornare a casa tutto intero.

“Io? Sono un drago feroce! Ah ah! Tremate dinanzi a me!” ghignò il piccoletto. L’uomo non sapeva che fare. Era paralizzato dalla paura. Scongiurò ogni entità superiore che conosceva di salvarlo. Gli occhi brillanti della piccola figura nera si spalancarono, e si slanciarono contro di lui. Il vecchio si coprì il viso e urlò dal terrore, ma stranamente non avvertì dolore. Riaprì gli occhi umidi: sparito. Non c’era più nessuno. Era solo, sano e salvo. Qualcuno l’aveva ascoltato. Ad un isolato da lì il bambino era ricomparso, saltellando dalla gioia e dal divertimento. Quanto gli era piaciuto. Amava fare quel mestiere: gli dimostrava di poter essere più forte dei grandi. Ed era un’emozione di cui non si sarebbe mai saziato.
“Mi hai fatto aspettare un sacco, sai?” Disse una nuova voce. Da un portone scassato emerse un ragazzino forse poco più grande, di circa dodici anni: alcune ciocche di capelli biondi gli coprivano fronte e guance; teneva addosso una felpa leggera e sportiva, bianca, con sotto una maglietta celeste. Indossava dei pantaloni grigi, e delle scarpe da tennis un po’ logore; i suoi occhi erano di un rarissimo color ametista.

“Scusa Jack, avevano spostato le bancarelle più lontano oggi, ho dovuto fare più strada.” Gli rispose un po’ scocciato.

“Vabbè, fa niente. Meglio rientrare, sennò ci beccano.” Gli fece l’altro. In una mano, Jack stringeva un pacchetto di carta. Il piano aveva funzionato perfettamente. Nascose la refurtiva nella maglia, e si dileguò insieme al compagno: “Ehi, aspettami!” Corsero silenziosamente tra i vicoli, ma non a lungo, tanto la destinazione non era lontana. Un altro paio di isolati, ed arrivarono, finalmente. All’apparenza, si trattava di un immenso teatro abbandonato. L’insegna esterna penzolava verticalmente, ed si intravedevano alcune travi dalle numerose crepe che lo decoravano. Il portone sgangherato era sbarrato: sembrava capace di crollare da un momento all’altro. Ma proprio per questo era il rifugio ideale. Passarono dalla tavola lignea che fungeva da porta-nella-porta, larga appena per farci passare un bambino. Una volta dentro, tirarono un sospiro di sollievo. Jack alzò lo sguardo a contemplare l’ampiezza di quella cupola. Inutile, non si sarebbe mai stancato di farlo. I posti per la platea vuoti erano abbastanza inquietanti; eppure, il ragazzino dagli occhi viola li adorava. Non faceva altro che fantasticare di essere re, osservandoli dal palco, e il trono che si ergeva lì in alto faceva assolutamente al caso suo. Più volte il piccolo Crow l’aveva preso in giro perché lo vedeva sempre seduto lì, “a poltrire”. Ma Jack non poltriva, né perdeva tempo: aveva bisogno di stare lì, specialmente quando non si sentiva a suo agio. Quel senso di “potere” gli infondeva sicurezza. Un giorno sarebbe diventato davvero re: per prima cosa avrebbe riunito le due città, poi avrebbe riportato equilibrio nella società ed infine avrebbe costituito una pace eterna. Se solo gliel’avessero lasciato fare… gli adulti erano davvero degli incompetenti. Non avevano fatto nulla per il Satellite, tutto andava alla malora, e a nessuno importava niente. Gli faceva schifo. Tutto. Si fissò pensoso il braccio: lui era diverso dagli altri. Benché sapesse nascondere le sue capacità, lui ne era consapevole. E forse proprio per quello se lo meritava. Ma anche Crow, dal canto suo, lo era. All’inizio, quando Jack lo conobbe la prima volta, si sentì un po’ geloso: pensava di essere l’unico a possedere quello strano marchio e quegli strani poteri, di essere speciale. Dopo un po’ di tempo però aveva imparato ad apprezzarlo: in fondo, stare soli era davvero brutto. Se eri contento, non potevi dirlo a nessuno; se non sapevi qualcosa, non potevi chiedere a nessuno; e se eri triste, non potevi sfogarti con nessuno. Doveva a Crow un grosso favore, questo era certo.

“Tieni.” Disse Jack passando la busta al piccolo Crow. Quello alzò uno sguardo un po’ confuso.

“Non li vuoi?”

“Hm? Certo che li voglio. Però tieni tu in mano la busta.”

“Ah. Vabbè, posso prendermene uno in più?”

“No, facciamo a metà.”

“Eh no, uffa! Io ho fame!”

“Anche io, scemo. Sei tu che ne avresti dovuti prendere di più fin dall’inizio.”

“Non ce n’erano là!”

“Potevi prendere altro.”

“Ma mi hai detto che volevi questi!”

“E stai zitto.”

Entrambi misero il muso, e si sedettero sui gradini vicino all’ingresso a mangiare il contenuto. Non era molto, ma sarebbe bastato per non fargli brontolare la pancia la mattina dopo, o almeno, non troppo.

“Brr… Ehi Jack, non senti freddo?”

“Un po’, ora che me lo fai notare.” L’aria si era fatta improvvisamente più fredda. Forse si trattava di qualche semplice spiffero d’aria. Ad un certo punto però, questo si intensificò, e Crow iniziò a tremare con evidenza.

“BRR! M-ma che succede?! Sto congelando!” esclamò sorpreso il ragazzino, affrettandosi a sfregarsi le braccia spoglie. Jack si avvicinò alla trave della porta e la scostò. Da fuori l’aria sembrava persino più calda.

“Non viene da fuori…” Jack si discostò dal muro per avere una visuale delle pareti più ampia: la porta non aveva nulla fuori posto, e lo stesso valeva per gli infissi del tetto. Si addentrò ad esplorare l’altra metà del palco, e giunto presso il centro per poco non gli scappò un grido.

Rannicchiato a terra, sotto una delle pareti del trono, dormiva un ragazzino. Jack fece un passo indietro: attorno al giovane e arrampicate su quella parte della sedia vi erano tanti prismi di ghiaccio appuntiti, che come petali di fiore avvolgevano la sua forma immobile, il loro polline dorato e prezioso.  Il piccolo, molto probabilmente quasi coetaneo, dormiva profondamente. Anzi, sotto le ciocche di capelli neri che gli coprivano gli occhi si potevano intravedere i veli di due sottili occhiaie. Poverino, doveva essere davvero distrutto. Tra le ciocche simmetriche che gli coprivano i lati della testa, facevano capolino due nette strisce gialle; la sua pelle era leggermente abbronzata; indossava una giacchetta blu, dei pantaloni neri e delle scarpe azzurre. Sembrava non essersi accorto di nulla.

“Crow, vieni a vedere!” sussurrò forte Jack. Crow, udito il richiamo, si precipitò a dare un’occhiata. La reazione fu simile a quella del compagno, solo un po’ più enfatizzata.

“Woah! E questo chi è?”

“Non lo so, Crow… guarda questi, piuttosto.” Disse Jack toccando quelle punte purissime. Credeva a malapena ai suoi occhi. Che si fosse trattato di puro caso? Fortuna? Destino? Volontà divina? Forse. Certo che non poteva trovare un modo più diretto per affermare la sua esistenza però. Era appena accaduto l’impossibile. Una domanda sorse speranzosa nelle loro menti: e se anche lui fosse stato esattamente “come loro”? Abbastanza probabile, date le apparenze. Magari ne sapeva anche qualcosa in più.

 “Che dici, lo sveglio?”

“No, lascialo dormire, Jack!”

“Io voglio sapere chi è.”

“E se si arrabbia?”

“E di che ti preoccupi? Tu puoi scappare, io posso stenderlo, non c’è pericolo. Fuoco batte ghiaccio, sai?”

“Non lo so, Jack...” Borbottò Crow. Infine, il biondo, stufo del battibecco, si fece strada su quel tappeto di ghiaccio appuntito e fiondò le mani sulle spalle del moro, scuotendolo freneticamente, ignorando le mezze proteste di Crow. Il ragazzino spalancò gli occhi, e in fretta e furia si rimise in piedi. Si guardò intorno stordito: Jack e Crow notarono subito i suoi occhi blu, assonnati e velati di timore.

“Chi sei tu? Che ci fai qui? Come sei entrato?” Gli fece Jack. Crow guardò il compagno un po’ incerto: non era il migliore dei modi per approcciarsi, quello. In fondo, avevano una cosa importante in comune, un po’ di gentilezza non sarebbe guastata. Anzi, quello più spaventato dei tre sembrava proprio quello dagli occhi blu. Il moro fece per parlare, ma non appena il suo sguardo cadde sul fiore di ghiaccio vitreo, spalancò gli occhi, e si morse il labbro. Guardò di nuovo i due ragazzini, fece dietro front e scese di corsa giù per le scale.

“Ehi, aspetta! Dove vai?!”

Il bambino non lo sentiva, tutto preso dall’ardente desiderio di allontanarsi: era successo di nuovo. Era più frequente quando dormiva. Doveva evitare che altri lo vedessero, altrimenti lo avrebbero chiamato di nuovo ‘mostro’. Aveva perso molte ore di sonno per trovare un posto tranquillo dove riposare, un rifugio dove nessuno lo avrebbe scoperto, ma alla fine non aveva avuto fortuna. Altri bambini. Aveva iniziato a diffidare da tutti quelli che incontrava, negli ultimi tempi. Si costringeva a sopportare la solitudine: aveva già quelle tristi capacità a fargli compagnia, a ricordargli giorno e notte perché in quel momento fosse solo. Le disprezzava profondamente, le accusava del suo dolore, ma allo stesso tempo ci conviveva. E ripensando a tutto questo, la voglia di silenzio attorno a lui cresceva. Sgattaiolò da un altro piccolo remoto ingresso del teatro abbandonato, e si gettò tra le strade vicine correndo il più veloce che poteva.

“È scappato… ah, lo sapevo! Perché sei stato così cattivo, Jack?!”

“Era entrato di nascosto! Questo posto è nostro, gli intrusi non sono ammessi.”

“Ma hai visto cosa c’era attorno a lui?! Scommetto che anche lui ha un segno sul braccio come il nostro. Altrimenti non si spiegano quei cosi!” protestò Crow, indicando il cristallo di ghiaccio che stava lentamente svanendo.

“Non mi dire che vuoi andarlo a cercare.”


“Certo che voglio! Devo chiedergli come ha fatto!” …ed effettivamente, ora che Crow glielo faceva notare, Jack non poteva negare che un po’ curioso lo era riguardo la faccenda. Trattarlo così freddamente forse non era stato necessario…

“Uff... Ho capito, vengo anch’io. Se ci dividiamo facciamo prima.”

“Non ti cacci nei guai, vero?”

“Li faccio tutti a pezzi se mi creano problemi, non preoccuparti.”

“Ok… dunque, il primo che lo trova, lo porta qui. Se entro una quindicina di minuti non si vede, lasciamo perdere. Capito?”

“Capito. Andiamo.”

Fu così che la missione ebbe inizio. Il duo si fece strada sotto la luce spenta della luna, e Crow senza perdere troppo tempo si mimetizzò con le fitte ombre che dipingevano i palazzi storti. Avrebbe fatto decisamente prima se avesse sondato la zona a quella velocità. Si poteva dire che fosse l’unico bambino esistente ad amare il buio. E questo lo riempiva d’orgoglio. Jack invece fu costretto a procedere alla vecchia maniera, percorrendo a piedi i rami di strade vicine che Crow gli aveva lasciato. Ormai era notte, dunque non c’erano troppi rumori ad infastidire la ricerca. I due scrutarono ogni angolo, ogni cestone, ogni finestra per riuscire a scovarlo.
In quegli istanti, il moro, senza fiato, aveva ripiegato su altre vie un po’ più popolate, ma non gli ci volle un colpo di genio per capire che quella zona doveva essere colma di gente dalle dubbie intenzioni. Prima l’avrebbe superata, meglio era. Iniziò a percorrere un porticato buio, ma con sua immensa sfortuna la strada gli venne sbarrata da due uomini, molto più alti di lui, coperti di giacche logore e scalfite.

“Ma quanta fretta, ragazzino! Dove corri di bello?”

“Dai, dicci. Non ti va di fare due chiacchiere?”

Il bambino sbiancò. Già queste parole gli puzzavano di pericolo. Meglio darsela a gambe, questi tizi non gli piacevano proprio. Anzi, in cuor suo sapeva perfettamente che erano cattive. Fece per uscire dal porticato per aggirarli, ma uno di quegli uomini gli si aggrappò con forza alla manica.

“Ehi, dove scappi? Noi volevamo solo parlare un po’!”

“Per esempio: sapevi che chi passa in questo territorio deve pagare una tassa?”

Il ragazzino cercò di divincolarsi, ma quell'altro lo prese con più vigore a due mani, piegandogli un po’ il gomito. Strinse i denti. Il cuore gli batteva impazzito in petto. Male, si era definitivamente cacciato nei guai. Sperava almeno di riuscire ad usare quei poteri, in extremis…

“2000 yen, per essere esatti. Ma per te possiamo fare uno sconto, 1000 andranno bene. Ce li hai?”

Lui ignorò la domanda, cercando piuttosto di trovare un modo per defilarsi da quella situazione. Diede uno strattone al braccio, riuscendo a far perdere l’appiglio all'uomo; non fu però abbastanza veloce per schivare la presa da dietro che ne conseguì. Il secondo sopraggiunse a dare una mano al complice, tenendogli fermo un altro braccio.

“Ehi, non ignorarmi! Guarda che sarà peggio per te se non ci darai nulla. Non hai niente niente con te?”

“Lasciatemi! Lasciatemi stare!” Ormai si dibatteva disperatamente tra le loro braccia, ma non era abbastanza forte per contrastarli. La situazione stava gradualmente peggiorando. Doveva riuscirci, erano la sua unica speranza… doveva ricorrere subito a quei poteri, altrimenti si sarebbe fatto male… ma non ci riusciva, sembravano scomparsi tutti d’un tratto, dannazione!

“Vuol dire che adesso passiamo alle maniere forti!” Uno dei due lo lasciò, facendo spazio al secondo che lo tirò di schiena contro una parete. Il ragazzino batté con forza spalle e nuca, scivolando a terra, stordito. Si tenne testa e collo premuti tra le mani, sperando di alleviarne il dolore, timoroso di sollevare ancora lo sguardo: probabilmente lo avrebbero solo preso a schiaffi. Ma all'improvviso, iniziò a soffiare un poderoso vento bollente che illuminò violentemente il buio tra le sue palpebre chiuse. Sentì i due uomini di prima gridare, e decise di alzare gli occhi: fiamme bruciacchiavano la polvere annidata qua e là tra gli infissi; i due tizi erano stesi a terra, ed entrambi gridavano per via dei loro vestiti al fuoco. Uno di quelli cercava disperatamente di levarsi di dosso la giacca i il berretto ancora in fiamme.

“Brucia! Aiuto, aiuto! levatemelo di dosso! Bruciaaa!” L’altro era in condizioni simili, buttato a terra cercando di spegnere le fiamme sulla giacca e i pantaloni steso sul terreno parzialmente annerito. Sembrava fosse appena passata di lì una fiammata… ma come?

“Tu?” esclamò il moro.

In piedi, a pochi metri da lui, stava il ragazzino biondo che lo aveva svegliato in teatro, un po’ senza fiato. Teneva le maniche rimboccate sui gomiti, e dai pugni tremanti e tesi salivano due sottili strisce di fumo. ‘Come fanno a fumargli le mani così tanto? Non è mica inverno…’ si disse. Eppure, non fu questo dettaglio a turbarlo maggiormente: sul suo braccio destro uno strano segno rosso cremisi a forma di Y brillava misteriosamente. Spalancò gli occhi Sentì il suo marchio pizzicare. ‘N-non può essere…’

“Serve una mano?” gli fece il ragazzino dagli occhi viola. Il più piccolo esitava. Chi cavolo era quello?!

“S-sei stato tu a…?”

“Tsk, certo che sono stato io!” Il moro rimase colpito dal tono orgoglioso del più grande. Lui se ne vantava, addirittura? E pensare che lui invece lo detestava… ma l’altro, almeno, riusciva a padroneggiarlo.

“Vieni con me, sbrigati!” Il giovanotto, scavalcati in fretta i dubbi, non se lo fece ripetere due volte e si alzò, un po’ instabile; aveva dato una botta di schiena piuttosto forte. Però, dopotutto era contento di aver trovato qualcuno che poteva capirlo. Si sentì subito scaldare il cuore, al pensiero. Non sarebbe stato più l’unico. Non sarebbe più stato l’unico ad essere chiamato ‘mostro’. Si schiaffeggiò mentalmente: non si doveva gioire del male altrui, non era cosa buona. Meglio non pensarci.

“Ehi, voi due! Che diavolo avete fatto?!”

Altra gente si stava avvicinando dalle vie opposte, forse compagni di banda che avevano assistito alla scena, o che ne avevano visto la sola conclusione. Jack afferrò bruscamente il polso del moro, e iniziò a correre trascinandolo con sé. Il piccolo ne rimase sorpreso, ma cercò di stare al passo. Jack si guardò intorno: quella gente sembrava sbucare fuori da ogni angolo.

“Fermi dove siete!”

“Brutti mocciosi, la pagherete cara!”

Quelle minacce appartenevano a gente che definitivamente si era persa lo spettacolo. Il problema però era che adesso ne avevano troppi alle calcagna. Uno sbucò fuori da un angolo ombroso vicino, tuffandosi sul duo. Jack non appena se ne accorse, mollò la presa del compagno sperando di schivare l’attacco più rapidamente. Ma l’uomo, fallito il primo attacco, cambiò direzione e si concentrò sul ragazzino dagli occhi blu, a lui più vicino.

“Attento!” gridò Jack.

Lui si preparò ad attaccare ancora col fuoco, ma venne colto impreparato: fu letteralmente travolto dall’uomo che era stato spinto all’indietro da una grossa costruzione di ghiaccio comparsa dal nulla. Entrambi gli sfortunati si schiantarono sull’asfalto, il più alto praticamene di peso addosso a Jack. Rotolarono l’uno a pochi metri dall’altro e lì rimasero, ai piedi di una specie di enorme mano fiorita di scaglie di ghiaccio. All’origine della struttura, il ragazzino più giovane era rimasto rigido, con una mano alzata davanti a sé, leggermente ansimante. Sul suo braccio si era illuminato un bizzarro simbolo, sembrava munito di occhio e denti. C’era riuscito... Si era riuscito a difendere… però aveva colpito anche il biondo. Sperava solo di non avergli fatto male. Jack, dal canto suo, era rimasto sdraiato faccia in giù a terra: i suoi polmoni erano stati bruscamente privati del loro ossigeno, e lui aveva battuto la testa per colpa di quel tizio; il dolore gli stava impedendo persino di muoversi. Rimase lì per un po’, a denti stretti e occhi chiusi, mani alla testa, sperando che il male iniziasse a scemare il prima possibile. L’altro uomo invece giaceva immobile: dove era atterrato, lì era rimasto, e uno degli altri scagnozzi vicini si era appena precipitato a controllare le condizioni del compare.

“Ehi, Koda! Koda! Rispondimi, Koda! Svegliati!”

Quello disteso tossicchiò, facendo tirare un sospiro di sollievo al compagno: era ancora vivo, ma si vedeva del sangue sgorgare da alcune ferite sul suo torace. Le punte diamantate di quei ghiacci dovevano avergli lasciato ferite considerevoli. Tutti gli altri spettatori erano rimasti paralizzati come pietre. Alcuni si diedero alla fuga senza pensarci due volte, altri indietreggiarono ma non scapparono, impauriti e incuriositi allo stesso tempo. Il giovane moro, una volta che il ghiaccio si dissolse, osservò meglio la scena: Jack buttato a terra, un uomo chino su quello che lo aveva aggredito, e… sangue. Sangue, lì per terra. Impallidì all’istante. Era stato lui…?

“TU! Che cosa gli hai fatto?!” gli urlò colmo di rabbia il soccorritore.

“I-io… Non volevo… Non l’ho fatto apposta…” supplicò il piccolo, a occhi lucidi. Jack, rimasto a terra, non poté far a meno che osservare il volto del coetaneo: era terrorizzato. Aveva paura di quei poteri. L’uomo, dall’altra parte, si alzò e, cacciato fuori un pugnaletto, si fiondò di corsa sul moro.

“LA PAGHERAIII!” gridò a squarciagola. Ignorò invece i vari richiami alla ragione dei compagni.

“Takeru, calmati! Vattene via!”

“Che diavolo fai?! Scappa! Quello ti ammazza!”

Inutile, ormai gli era praticamente addosso. Il ragazzino istintivamente, cercò di ripararsi con le braccia, paralizzato sul posto. Adesso moriva, adesso moriva, adesso moriva… Dio, no. Eppure, sentì il grido dell’altro mozzarsi, e una lama tintinnare a terra fragorosamente. Sbirciò con gli occhi: una specie di ombra nera e fitta tratteneva il suo assalitore dagli arti, immobilizzati da lunghe fasce di… una sostanza vischiosa non ben identificata. Cosa cavolo era? Quello non riusciva a muoversi, tentava, ma sembrava che qualcosa lo stesse bloccando con delle corde. A Jack, invece, steso dov’era, scappò dapprima un mezzo sorrisetto, poi una sonora risata.

“Sarai veloce, ma ci metti sempre un sacco di tempo, Crow!”

“Ehi, mi avevi mandato a controllare l’altra parte degli isolati! Ho dovuto percorrerli tutti, prima di venire qua!” disse una voce dal fascio di tenebre che avvolgeva la zona. Da lì, emerse il piccolo Crow, che con una mano immersa nel buio –letteralmente- teneva sotto controllo l’attentatore. Quello si era congelato lì sul posto dall’orrore. Adesso di mostri ce n’erano due! Ma cos’era questa, fantascienza? Non c’era più nessun’altro in giro, tutti erano scappati via, ritornando nelle loro tane o prendendo le direzioni più remote. Gli unici rimasti erano lui e Koda, ferito –se l’erano date a gambe levate persino i due a cui erano andati misteriosamente a fuoco i vestiti-.

“L-lasciami andare!” lo pregò il ragazzone.

“Mmh… Non so, ci devo pensare.” Borbottò il piccolo Crow, con faccia indispettita.

“T-ti prego! Farò tutto quello che vuoi.” Supplicò l’altro. Rischiava che quel piccolo capriccioso lo ammazzasse. Oramai Crow lo stava tenendo sollevato da terra, e stava gradualmente aumentando la pressione della presa.

“Mh, tutto tutto?”

“Sì sì! Tutto!”

“Allora abbandonate immediatamente questa zona, tu e la tua banda. Adesso è nostra.” Gli fece serio Crow. Due piccioni con una fava, insomma. Mai farsi scappare occasioni d’oro come queste, specialmente se così potevano avere
diritto ad altri beni e provviste.

“D- D’accordo! Va bene! Ma adesso lasciami, per favore!” supplicò l’altro, lacrime agli occhi. Crow, impietosito, lo lasciò cadere, senza perdere il suo volto serio. Anche Jack ormai si era rimesso in piedi, e si era riavvicinato all’amico.

“Portati via il tuo compagno. E non fatevi più vedere.” Terminò il rosso. L’altro annuì senza protestare, corse a sollevare di peso il compagno svenuto e passo dopo passo, svanì dietro l’angolo. Era finita.

“Grazie, Crow. Ce la siamo vista brutta.”

“Hai visto? Sono stato un grande!”

“…Crow?” l’altra voce veniva dal moro. I due si voltarono: era ancora seduto a terra, e li guardava un tantino spaesato. Quanti altri ce n’erano con quegli strani poteri, oltre a loro? Sembravano sbucare da ogni angolo, adesso! Dove si erano cacciati per tutto questo tempo?! Perché non li aveva incontrati prima?!

“Sì, io sono Crow. Tu come ti chiami?” gli chiese gentilmente Crow, dando una leggera gomitata a Jack. Il riferimento doveva essere alla presentazione nel teatro. Non ricevette altro che uno sguardo seccato.

“Yusei… piacere.” Disse lui, inchinando un po’ il capo al posto di stringergli la mano.

“Lui è Jack. Jack Atlas. Futuro re di Neo Domino, spera lui.” Lo prese in giro.

“Ehi! Guarda che ho intenzione di diventarlo davvero. Aspetta e vedrai.”

“Jack, Crow… posso chiedervi una cosa?”

“Dicci pure.”

“…anche voi avete questo?” mormorò timoroso Yusei, sollevando la manica destra. Sul suo braccio sottile si delineava uno strano marchio molto stilizzato, che ricordava la testa di un coccodrillo, o magari di un drago.

“Sì.” Gli rispose Jack, mostrandogli il suo. Era a forma di Y, o forse V, un po’ decorata ai lati. Difficile dire cosa simboleggiasse. Anche Crow aveva calato le bende che aveva messo appositamente sul braccio, per rivelare l’inquietante disegno. Sembrava una strana maschera, oppure… qualcos'altro. Era ancora più difficile capire cosa fosse.

“Da quand'è che ce l’avete?”

“Da quel che ricordo, l’ho sempre avuto…”

“Stessa cosa io.”

Yusei abbassò il capo, ma poi si alzò, un po’ più deciso. Sembrava aver riacquisito un po’ di fiducia. Offrì la mano a Jack, sorridendo.

“D’ora in poi possiamo fare squadra, allora?”

In un primo momento Jack lo fissò un po’ sorpreso, ma poi rispondendo con un sorrisetto, accettò la mano. Immediatamente, la luce sui marchi di tutti e tre si intensificò fino a diventare di un cremisi accecante, e i segni cominciarono a bruciare ferocemente, costringendoli a piegarsi in due dal dolore.

“AH! Jack, che sta succedendo? Perché brucia così tanto?” gridò Yusei, cercando di controllare il tono di voce, appoggiandosi su un ginocchio a terra.

“Non lo so, Yusei, era successo anche l’altra volta…- AH!”

“Quando?”

“Quando ha toccato il mio segno la prima volta, ecco quando!” gli strillò Crow, con la faccia contorta dal dolore. Tutti e tre pregarono che smettesse presto. Invece, attorno a Yusei cominciò a soffiare un vento freddo, e tanti piccoli ghiacci iniziarono a sbocciare come fiori attorno a lui, sull’asfalto. Yusei, non appena se ne accorse, spalancò gli occhi.

“Allontanatevi, presto!”

“Perché?”

“Non voglio farvi male, andatevene!”

I due dopo una rapidissima occhiata d’intesa, si allontanarono. Yusei, rimasto solo al centro della strada deserta, si teneva la testa tra le mani, profondamente chino su se stesso. Il cranio gli stava iniziando a pulsare dolorosamente… e il male al braccio non lo aiutava a gestire la situazione. Sempre più cristalli ghiacciati crebbero attorno a lui, man mano più grandi. Stava letteralmente crescendo un giardino di diamanti freddi, con alberi grandi e vitrei che si innalzavano di sempre più metri. Yusei era lì al centro, in mezzo a quel vento gelido che stranamente non gli dava fastidio: piccole schegge di ghiaccio stavano iniziando a formarsi sulle sue braccia, spalle e schiena, ricoprendolo man mano. Sbarrò gli occhi. Sembrava che quei poteri fossero impazziti all'improvviso, non si erano mai scatenati fino a quel punto… il panico si stava lentamente impossessando di lui. Come avrebbe fatto a fermarlo? Che sarebbe successo?

Jack contemplò la scena davanti ai suoi occhi, prima scioccato, poi risoluto: non gli piaceva lo sguardo di Yusei. Lo trovava miserabile. Lo capiva, vero, ma al tempo stesso lo accusava: non sarebbe mai arrivato da nessuna parte senza affrontare a viso aperto il problema. Magari poteva aiutarlo a fargli trovare il suo coraggio. Iniziò ad avvicinarsi al tappeto di cristalli, ignorando i richiami prudenti di Crow. Adesso ci avrebbe pensato lui, altroché. Il vento soffiava forte, frigido, ma a Jack non importava, il freddo non poteva scalfirlo. Concentrandosi, sollevò la mano destra affianco a sé, e la tirò a mo’ di ceffone: fiamme scaturirono dal movimento, diffondendosi tra i grandi prismi che costellavano il giardino ghiacciato. Il fuoco divoratore si insinuò tra le gemme che, sfavillando di mille luci diverse, lentamente si assottigliarono sotto la furia di quegli artigli rossi e gialli. Yusei si accorse presto del caldo improvviso: Jack gli stava tirando addosso fiammate? Ma era impazzito?! Poteva ammazzarlo così!

“Jack, fermati!”

“Non se ne parla! Devi darti una svegliata, Yusei! O preferisci scottarti?”

Yusei a quelle parole rimase completamente basito. No che non voleva scottarsi! E poi sapeva già, e bene, che si doveva svegliare, ci aveva meditato su tante volte, sapeva che il segreto per padroneggiarli si trovava da qualche parte nella sua testa… ma non aveva la più pallida idea di dove fosse! E adesso Jack pretendeva che lo scoprisse in una frazione di secondo?! Ma era matto?!

“Jack, fermati e basta! Ti ho detto che non lo so fare!”

“E io ti dico che invece puoi farcela! Credi in te stesso, stupido!”

‘C-credere…in me stesso?’ Nuove fiammate dall'aria poco amichevole si apprestavano a raggiungerlo: doveva sbrigarsi a fare qualcosa. Eppure, nel dubbio, preferì abbassarsi a terra coprendosi il capo con le braccia: non ce l’avrebbe mai fatta a proteggersi, tanto valeva sperare di evitare le fiamme. Per sua fortuna, le lingue di fuoco si diramarono troppo in alto, lasciandogli solo la schiena caldissima, inerme. Gli era andata bene, ma Jack doveva piantarla, o avrebbe rischiato ancora!

“Jack, smettila!”

“No, scordatelo! Fai qualcosa tu, prima! Ti ho detto che devi credere in te stesso!”

Yusei non sapeva più cosa fare: sapeva solo che la testa gli girava da morire, e che il ghiaccio attorno a lui si stava arrampicando perfino sui palazzi vicini, fuori controllo. Si tenne le tempie pressate tra i palmi delle mani, dita fra i capelli: di questo passo sarebbe impazzito. Oppure morto al rogo. Qualcosa doveva pur riuscire a farlo!

“Fermi… per favore, fermatevi…!” sussurrò tra sé e sé, sperando che l’ordine espresso in parola riuscisse a produrre più risultati. Eppure, niente. Il mal di testa stava solo crescendo dolorosamente. Non riusciva più nemmeno a pensare. Voleva solo farlo smettere. Il ghiaccio, il dolore, tutto. Il marchio ardeva ancora, ma quel bruciore era passato in secondo piano rispetto al suo stordimento. Di questo passo non avrebbe più retto. Nessuno lo sentiva. Si ostinavano a restare tutti sordi alle sue suppliche e al suo dolore. E così, di punto in bianco, si mise a gridare. Agli altri ragazzini si gelò il sangue nelle vene. Il vento a cavallo della sua voce infuriò ancora di più, trascinando con sé pezzi di ghiaccio e vetro dalle finestre rotte circostanti. Crow, data la situazione, richiamò a sé il compagno sperando di riuscire almeno a proteggerlo.

“Jack! Jack! Vieni qui, sbrigati!”

Jack conosceva già il piano di Crow, ed effettivamente era la soluzione migliore da attuare in quel momento. Scagliando altre fiamme alle sue spalle, sperando di contrastare in qualche modo il vento e i suoi detriti, si avviò rapido verso il rosso, che vicino all'ombra dell’edificio, lo aspettava prontamente. Qualche scheggia gli graffiò i vestiti durante la corsa, ma fece comunque in tempo ad afferrare la mano del compagno, che lo tirò a sé avvolgendolo con un immenso strato d’ombra a mo’ di coperta. Circondato dal buio, anche i rumori sembravano essere spariti. Crow, conscio della situazione fuori, stava proteggendo sé stesso e Jack dal farsi altro male, celandoli in quel velo di oscurità palpabile, concreta, che solo lui poteva maneggiare. Jack, mettendo alla cieca una mano sulla spalla del compagno, poté vedere proiettati nella sua mente tutti gli eventi che accadevano all'esterno: Yusei stava ancora urlando, e i ghiacci si erano ingigantiti ovunque; lui stesso ne era ricoperto su tutta la schiena e le braccia, ma sembrava non essersene accorto. Le sue pupille erano divenute sfocate, e tutto il giardino di cristalli attorno a lui stava tremando. Poi, all'improvviso, smise di gridare, e spalancò gli occhi azzurri ancora di più: infinite crepe comparvero sui diamanti freddi che lo circondavano, ed infine saltarono tutte in aria, infrangendosi in milioni di pezzi. Il tempo sembrava essersi fermato. Innumerevoli cristalli popolavano l’aria sopra di loro, danzando armoniosamente tutti assieme. Poi, si frammentarono essi stessi in altri, minuscoli pezzi, fino a polverizzarsi. Il vento se li portò via tutti dolcemente, illudendoli con una leggera nevicata sulle loro teste. Sotto quelle chiare nuvole, Yusei collassò, esausto. Crow sollevò la cortina che li proteggeva, e insieme a Jack corse immediatamente dal compagno caduto.

“Yusei! Yusei!” Una volta da lui, tentarono di scuoterlo, ma invano. Delicatamente lo voltarono facendolo stendere di schiena, scoprendo con sollievo che era assolutamente illeso, sudato e pallido come un cencio, ma illeso. Respirava leggermente a fatica, e aveva un’espressione un po’ tesa. Ma almeno, in qualche modo si era fermato.

“Che dici Jack, si sveglierà? Non mi sembra stia perfettamente bene…”

“Secondo me sì, diamogli un po’ di tempo.”

“Era pazzesco… secondo te come ha fatto a fare una cosa del genere?”

“Non lo so Crow. Però se non impara a controllarsi potrebbe fare anche di peggio…”

“Peggio di così?! No, è impossibile!”

“…Come facciamo?”

“Non lo so… io non ho mai avuto problemi…”

“Io all’inizio sì, ma con un po’ di esercizio sono riuscito a capire come usarli.”

“Ti sei dimenticato della catapecchia andata a fuoco?”

“Quello è stato un incidente!”

“Mmh… Oh! Magari tu potresti dargli una mano!”

“No, non se ne parla! A me non ha dato retta!”

“Ovvio, si sarà preso un accidente! Ti sei messo a tirargli fiammate!”

“Speravo che qualcosa di più drastico lo aiutasse!”

“Bel tentativo allora, genio!”

“Grrr… dunque, che si fa?”

 “Non lasciamolo qui, innanzitutto. Troviamo un posto dove farlo stendere.”

“Allora dammi una mano.”

Subito i due si fecero in carico di Yusei, e si avviarono verso uno degli edifici della zona abbandonata dalla gang che più ispirava loro fiducia. Non appena trovarono una branda adatta –quei tizi avevano lasciato in giro un sacco di cose utili! -, lo adagiarono disteso. Lui non batté ciglio per tutto il tempo, perso nel suo inconscio.







Pian piano, sentì che stava cominciando a rinvenire. Mosse un po’ le sopracciglia, e schiuse pigramente un occhio per guardarsi intorno: un tetto, un armadio, un tavolo, una coperta… stava dormendo in una casa. Ma come ci era arrivato? Era troppo confuso per ricordare… Non ne aveva nemmeno molta voglia… Tentò di alzarsi, ma subito sentì la testa girare: preferì tornare disteso per alleviare un po’ lo stordimento. Aveva un po’ freddo. Tenendosi una mano sulla tempia, aspettò che gli angoli del soffitto smettessero di oscillare, e si rialzò. Scese silenziosamente dal giaciglio, e si avviò verso la porta, un po’ incerto. Si affacciò nella stanza affianco: due ragazzini dormivano agli apici dello stesso divano, il secondo dei due in maniera abbastanza scomposta. I ricordi tornarono a velocità fulminea: sapeva chi erano. Di conseguenza, fu costretto a richiamare alla memoria anche gli eventi della nottata prima. Non era stata una notte qualunque. E doveva essere accaduto un vero disastro, se le ultime immagini erano vere. Si morse il labbro: adesso avevano visto anche loro di cosa era capace. Sperava di non averli spaventati troppo. Di questo passo non ce l’avrebbe mai fatta a controllare i suoi poteri. Doveva opporsi, fare loro resistenza, altrimenti non ci sarebbe mai riuscito. Si sentiva quasi inferiore a Jack e Crow; usare quei poteri per loro era facile quanto respirare. Non era giusto. Gli dava fastidio il pensiero di dover avere a che fare con loro di nuovo. Probabilmente anche quei due, sotto sotto, lo disprezzavano per questo, o si sentivano migliori. Poi però, scosse la testa: erano gli unici amici che aveva, e adesso che finalmente li aveva trovati, aveva intenzione di tenerseli stretti. Poco importava se gli veniva la tentazione di pensar male, lui non avrebbe fatto nulla per separarsene. Era comunque troppo contento per lasciarli. Quanto aveva aspettato per questo? Forse tutta la sua giovane vita. Decise di uscire fuori per un po’, e di approfittarne per capire dove si trovassero esattamente. Si avvicinò alla porta d’ingresso, e uscì fuori: una brezza leggera gli carezzò la frangia; davanti a lui, sorprendentemente, c’era il mare. Doveva trovarsi vicino al porto. Era l’alba, e la luce rosseggiante del sole rifulgeva sulle increspature dell’acqua. Quelle scintille sembravano restituire un’anima persino quel deserto di edifici caduti, che costellavano i confini della terra adiacente. All'orizzonte, si ergeva la gloriosa Neo Domino. Un miraggio, un sogno irraggiungibile. Alla luce di quel sole, sembrava il paradiso in Terra, la stella più radiosa, l’apice di ogni desiderio, lontana anni luce dalla realtà. Un mondo a sé, che guardava con sprezzo l’umiliato Satellite. Una realtà troppo lontana per essere vera. Benché fosse lì, davanti ai suoi occhi, pareva ancora un’illusione. Ma un giorno, lui lo sapeva, l’avrebbe scoperto. Avrebbe scoperto se quello davvero era un semplice ologramma, una mera bugia, oppure un regno concreto e raggiungibile. Con un ponte, magari. Un ponte di ghiaccio, nel suo immaginario. Però, tra sé e sé, la considerava ancora una fantasia. Se un giorno davvero fosse riuscito ad imparare, allora lo avrebbe creato lui un ponte vero, che ricoprisse il mare. Fuggire da quell'isola dannata, e raggiungere quel regno che ai suoi occhi era divino sarebbe stato il suo obiettivo, di lì in poi. Fissò intensamente le onde sulla superficie dell’acqua grigia: un giorno, le avrebbe coperte di ghiaccio, e sarebbe passato dall'altra parte. Un po’ di sano allenamento, e ci sarebbe riuscito. Avrebbe dimostrato al mondo che non era un mostro, ma un eroe.

“Ti sei alzato prestissimo, eh? Mi hai svegliato.” Si lamentò una giovane voce alle sue spalle. Yusei si voltò: due occhi ametista lo osservavano assonnati, una spalla della manica era leggermente calata rispetto all'altra. Nelle mani stringeva due mele. Avvicinandosi, ne tirò una a Yusei, che l’afferrò prontamente al volo, ancora seduto sull'asfalto.

“Dai, mangia. Possiamo prendere quanto ci pare dalle loro provviste. Tanto quei tizi qua non ci tornano più. Nemmeno la Sicurezza crederebbe loro se raccontassero ciò che hanno visto.” Effettivamente, non aveva torto. Yusei guardò un po’ la mela verde, luccicante, ma si decise lo stesso a darle un morso. Era buona, e poi era l’unico cibo che metteva sotto i denti da molte ore. Il biondo gli si sedette affianco, facendogli compagnia nel pasto.

“È bello il sole all’alba. Non l’ho visto molte volte, ora che ci penso. Di solito ci sono troppi palazzi intorno.” Disse Yusei.

“Già. Anche a me piace. E poi da qui si vede anche la città.”

“Tu dici che un giorno ci arriveremo? Oppure resteremo qui per sempre?”

“Certo che ci andremo! Io, almeno, ne ho tutta l’intenzione. Voglio diventare re, ricordi?” ribatté Jack. Yusei sorrise tra sé e sé. Certo che aveva un carattere deciso. Avrebbe fatto bene a prendere esempio. Gli leggeva addosso anche un pizzico (un pizzico?) di egocentrismo, ma gli sembrava lo stesso una brava persona. Più di tutto, gli ispirava lealtà. Se fosse vissuto in un altro mondo, o in un’altra epoca, sarebbe davvero stato un re acclamato da tutti.

“Come pensi di fare allora?” gli domandò Yusei, incuriosito.

“Beh… non ho ancora pensato ai dettagli, ma sono abbastanza sicuro che l’occasione giusta arriverà.” Affermò Jack. Yusei ridacchiò un po’ sotto i baffi. L’amico non aveva idea di come fare, era palese. Ma nonostante tutto… non perdeva la speranza. Al contrario, si ostinava a sbandierarla orgogliosamente.

“Ehi, perché ridacchi? Tu avresti qualche idea?”

“Forse.”

“Sentiamo, allora.” Gli questionò Jack sospettoso. Yusei avrebbe preferito tenere l’idea per sé, ma poteva ancora accontentarlo restando vago sulla materia.

“Stavo pensando ad un ponte.”

“Un ponte? Impossibile da solo. Come pensi di costruirlo?”

“Aspetta e vedrai.” Gli ribatté il moro; non fu un caso il fatto che scelse le stesse parole di cui si era servito Jack nel teatro. L’altro se n’era accorto, ma non aveva aggiunto nulla. Non aveva il diritto di giudicare i desideri più ambiti degli altri, visto che al suo ci teneva così tanto. Ritornò a fissare il mare, buttando il torsolo finito in acqua, in mezzo agli altri detriti vicini alle rocce. Il sole si era ormai staccato di molto dalle onde, disperdendo il rossore del cielo con più luce azzurra. Qualche barca clandestina salpava in lontananza, probabilmente di scarico merci. Di pescherecci non ce n’era traccia, in quelle acque avvelenate. Che brutto posto. Presto se ne sarebbero andati, decisamente. Un giorno, sarebbero diventati forti abbastanza per compiere quella traversata, in un modo o nell'altro, e avrebbero realizzato i loro sogni. Chi se ne importava se il fato non li avrebbe favoriti! Lo avrebbero fieramente combattuto, se necessario, pur di conquistare il loro ambito tesoro. Un giorno ci sarebbero riusciti per davvero.

“Ops…” mormorò Yusei. Jack si voltò verso il compagno: il torsolo della mela che teneva tra le mani si era… ghiacciato. Completamente chiuso in un blocchetto squadrato. Yusei lo fissava immobile, ma teneva gli occhi nascosti dalla frangia, con la bocca leggermente schiusa che accennava un sorrisetto nervoso. Senza dire una parola, tirò la mela in acqua, che fece un “pluf” sonoro almeno come quello di un sasso. Jack ridacchiò alla scena.

“Eh eh eh… prima pensa ad allenarti come si deve, però.”







 
*nello studio buio e incasinato della scrittrice*

Io:ed eccoci qua :D a dirla tutta, pensavo di aver reso Yusei un po’ troppo OOC in questa one-shot, però poi mi sono detta che effettivamente il Yusei grande che conosciamo tutti, con la sua mania dei discorsoni e quant’altro, molto probabilmente ha prima bisogno di esperienza e radici, di sicurezza acquisita, no? XD Cioè, non può essere sempre stato così, dev’essersi forgiato attraverso riflessioni ed esperienze è.é *e se fosse solo una scusa per giustificare eventuali tratti OOC?*

*Parlando di denaro e filosofia*

Io: ah, ne approfitto per dire che 2000 yen dovrebbero essere circa una quindicina di euro XD o almeno da quel che ho capito dal tg delle borse della mattina ‘-‘

Aki: tg?

Io: si, facendomi camminare il cervello ho scoperto cosa vogliono dire quel mucchio di cifre XD un euro nostro vale tipo 125 yen, boh, cambia tutti i giorni il valore esatto è^è sai, ci sono rimasta scioccata quando mi sono accorta che su
Pokèmon per Nintendo i soldi che usavamo erano effettivamente Yen veri! °_____°

Aki: …beh ovvio, no? ._.”

Io: no, non me n’ero mai accorta D: credevo fossero valute inventate per il gioco!

Aki: …non ci posso credere -_-“

Io: ditemi che non ero la sola, vi prego çWç

Aki: ma c’era persino il simbolo, come facevi a non essertene accorta?!

Io: non sapevo che quello fosse il simbolo degli Yen...

Aki: *facepalm*

Io: l’ignoranza è l’origine di tutti i mali, borbottava Socrate ^^”

Aki: infatti aveva ragione -.-“

Io: una rara, utile perla appresa nell'ora di filosofia xD mmh, sai, alla fine non è troppo male come materia u.u

Aki: parli così perché ci hai preso 8.

Io: boh, forse *w* ma vabbè, davvero, ogni tanto ti fai anche due risate X’D pensa, Anassimandro credeva che la terra fosse cilindrica e che l’uomo fosse nato dai pesci X°D

Aki: ma cos… ._.”

Io: ciò ci dimostra che la scuola alla fine può essere anche divertente :D

Aki: ah sì? Allora ripetimi che programma di latino, greco e italiano avete per la prossima interrogazione.

Io: …*gulp* ok, questa volta hai vinto tu… ma sappi che mi prenderò la rivincita e.e







Creazione fatta a scuola, si vede? XD Sono presenti sia matita che....penna biro. Yeah. Mah, per le sfumature è eccezionale °^° cooomunque, è un disegno piccolo, nulla di eccezionale, che comunque essendomi venuto bene ho deciso di allegare ^^ i ghiacci sono giusto uno sfondo :) ho tentato di rappresentare i nostri eroi a quest'età, ma non sparatemi se non vi piacciono, fare tutto a memoria/improvvisato non è facile x'D









  
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