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Autore: _brancamenta    13/05/2014    14 recensioni
Con spensieratezza, in quella radura verdeggiante, meravigliosa e fiorente, Harry era steso sulle gambe di Louis che distratto gli accarezzava i capelli stretti in una corona di margherite, primule e genziane. Glieli accarezzava dolcemente, passando le dita tra i ricci morbidi che profumavano di primavera e sapone fatto in casa, belli come non ne aveva mai visti. Occhi negli occhi, parlavano in silenzio del loro amore, se lo raccontavano senza bisogno di dire nulla, a Harry e Louis bastava guardarsi per capire che quel legame non aveva nessun’altro nome che il loro.
[...]
Ricordava finalmente le sue mani sul suo corpo quando fecero l’amore in quella steppa infinita, sotto quell’albero, sopra alla coperta di lana grezza. Finalmente ricordava le sue labbra, il dolore, il piacere intenso, le lacrime di felicità e gioia, la sensazione di pienezza e completezza.
Louis. Era Louis.
Le labbra di Harry si distesero in un sorriso stanco, ma sincero. Alzò il volto verso il cielo e sussurrò «Louis, amor mio.» con voce roca, di chi non parla da anni.
| Larry | -- 12.5k
Genere: Angst, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Alle ragazze a cui voglio bene.

Sì, proprio voi.




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Leiden.

Dachau, numero 99135

 

 

 

PARAGRAFO 175

▪ 175 Affettuosità tra uomini

I. Un uomo che ricopre un ruolo attivo o passivo in affettuosità con altri uomini è punito con la reclusione.
II. Se nell'attività è coinvolta una persona che, all'epoca del fatto, non aveva ancora raggiunto il venticinquesimo anno d'età, la Corte non può non emettere una sentenza di condanna, anche nei casi lievi.

▪ 175a Gravi affettuosità (Schwere Unzucht) 

La reclusione fino a dieci anni, ridotta di tre mesi laddove ricorrano circostanze attenuanti, è comminata:

1. all'uomo che, attraverso l'uso della forza ovvero la minaccia dell'altrui incolumità, costringe un altro uomo ad avviare un rapporto nel quale riveste il ruolo di compagno attivo o passivo;

2. all'uomo che, abusando di una posizione di superiorità legata a servizi, lavoro o impiego, costringe un altro uomo ad avviare un rapporto nel quale riveste il ruolo di compagno attivo o passivo;

3. all'uomo che, compiuti i ventun anni, persuade un uomo di età inferiore ai ventun anni ad avviare un rapporto nel quale riveste il ruolo di compagno attivo o passivo;

4. all'uomo che offre a pagamento sé stesso per un rapporto nel quale riveste il ruolo di compagno attivo o passivo.

▪ 175b Bestialità

La fornicazione innaturale tra un uomo e un animale è punita con la reclusione. Può essere emessa anche una sentenza di interdizione dai diritti civili.

 

 

 

Settembre, 1935   

Un ragazzo, dai capelli scuri e le occhiaie marcate di un viola opaco, fece il suo ingresso nella sala dell’udienza, le mani legate da manette in acciaio inossidabile – che gli avevano rovinato i polsi magri – e spinto malamente da due guardie naziste vestite con abiti militari ed, in un certo senso, particolarmente eleganti e ufficiali, in perfetto contrasto con i suoi stracci incrostati di sangue e maleodoranti.

Perché sono qui?, era la domanda che Harry si era posto quando un gruppo di uomini con un passamontagna calato sul volto lo aveva preso e dichiarato colpevole di alto tradimento. Non aveva fatto nulla per meritare quel trattamento meschino e crudele, se non amare incondizionatamente una persona importante in quella vita che gli aveva dato e tolto tanto. Eppure Harry era lì, davanti a un vecchio di oltre settant’anni con la cataratta a velargli le iridi chiarissime – tipiche degli ariani – e i radi capelli bianchi come la neve invernale che solitamente ricopriva la vetta del monte Nebelhorn. Questo sedeva su un trono immenso, troppo per il suo corpicino secco e rattrappito, davanti a una cattedra regale in legno scuro, probabilmente mogano pregiato; teneva un blocco spesso di fogli stampati in una calligrafia sterile e pulita stretto tra le dita rugose, chiazzate di un bianco più chiaro del normale, segnate dall’età, mentre lo sguardo apparentemente vacuo era fisso sulla targhetta dorata con su scritto “Giudice R. T. Scholz” , probabilmente sporca di sangue incrostato, come il pavimento che portava ancora qualche goccia rossastra confusa tra le crepe del marmo.

Forse era dell’uomo che era stato lì prima di lui.

Quando il signor Scholz parlò, Harry era stato obbligato a inginocchiarsi, nonostante le ossa rigide fossero doloranti, e le articolazioni urlanti per quei giorni passati chiuso in una cella puzzolente e sozza, steso a terra e obbligato al silenzio più assoluto. La voce gracchiante e anziana che uscì dalle labbra rugose e avvizzite del vecchio lo avrebbe fatto ridere se fosse stato ancora un comune abitante di Oberstdorf – città quasi al confine con l’amata sorella Austria. Harry poteva ancora sentire la risata di Louis risuonargli nelle orecchie, lontana, ma ancora cristallina e dolce, quasi rassicurante in tutta quella disperazione, solitudine, desolazione. In tutta quella sofferenza gratuita.

«Harold Edward Styles» enunciò Scholz, con aria ufficiale, il labbro inferiore leggermente tremulo che però non modificò la fierezza delle parole. «è giudicato colpevole di alto tradimento. Lei è stato aggiunto alla lista del comandante delle Squadre di Protezione, Heinrich Himmler, capo dell’Ufficio Centrale del Reich per la Lotta all’Omosessualità e all’Aborto. Le accuse sono relative alla violazione del Paragrafo 175 del nostro Codice, il quale vieta l’affettuosità tra uomini in ogni forma, soprattutto  però quella relativa ai rapporti omosessuali.»

Harry si morse il labbro con prepotenza, sentendo il sangue scorrere piano nella sua gengiva. Serrò le palpebre, il sapore ferruginoso lo disgustò, insieme al ricordo del sangue vivo e rosso che aveva visto uscire dalla sua carne stanca a forza di bastonate il giorno prima, rinchiuso nella sua cella buia e fredda. Essere stato condannato per omosessualità non lo aveva sconvolto perché prima o poi sapeva sarebbe successo, sapeva che lo avrebbero stanato; lo aveva sconvolto la violenza delle SS, il divertimento dipinto nei loro occhi, l’odio, l’intolleranza.

«Pertanto, se lei non negherà la sua omosessualità davanti a questa Corte, verrà punito con la pena massima. Ha qualcosa da dire in sua discolpa, signor Styles?»

Finalmente, gli occhi verdi e pungenti di Harry si aprirono e guardarono l’uomo vecchio e nerboruto che lo fissava con disgusto e disprezzo. Era la rappresentazione standard degli sciovinisti altolocati, che amano giudicare e puntare il dito, e godono nell’altrui sofferenza senza provare emozioni. Preso dalla totale indifferenza – nata dalla consapevolezza che per lui ormai era finita – sputò a terra, il riccio, proprio ai piedi di uno dei comandanti delle SS che aveva davanti e infine sorrise, amaro e compiaciuto, nonostante dentro avesse paura.

Nonostante il suo cuore tremasse e sussultasse a ogni rumore.

Il calcio di un fucile colpì forte la sua nuca, e fu costretto ad abbassare il capo per il dolore acuto che pervase e inibì la sua mente.

«Bene.» sentenziò Scholz, un tono di voce apparentemente compiaciuto all’idea di poterlo condannarlo. Per lui, Harry non era altro che un detenuto, lì soltanto per grazia e che occupava una cella in più. «Il signor Harold Edward Styles verrà trasferito con effetto immediato a Dachau, nel campo di lavoro, e lì resterà fino alla morte. Verrà marchiato con un numero, la sua mancanza di rispetto verrà punita severamente e il suo operato verrà valutato costantemente, e se egli sarà inconcludente, verrà terminato immediatamente. L’udienza è conclusa. Heil Hitler!»

 

____________

 

Mio amato Louis, cuore mio,

per quanto la mia fede sia in bilico ora che mi trovo all’inferno dei sospiri e delle speranze, ogni giorno ringrazio questo Dio crudele per aver salvato te dall’ingiustizia. Le mie gambe tremano al ricordo di quella notte, la fortuna ha assistito te, proteggendoti dalle mani sporche di sangue dei nazisti, che un tempo erano i fratelli più cari che avevamo, prima della morte del nostro compagno Röhm* – che egli riposi in piace.

In questa stanza, con almeno cinquanta persone stese nei letti sopra, sotto e affianco al mio, la solitudine mi attanaglia lo stomaco. Non riusciamo a dormire, i letti sono fatti solo di legno decomposto e questo posto puzza fino a sfinire il nostro olfatto, ormai debole e insensibile.

Mi manchi Lou, e mi sento completamente solo in questo mare di disperazione. Sono abbandonato a me stesso; siamo cinquanta uomini nella stessa stanza che camminano come morti senza linfa vitale, troppo sofferenti per davvero renderci conto che giorno dopo giorno un pezzo di noi si stacca, distruggendoci pian piano.

Siamo in cinquanta, ma ciascuno fa per se stesso.

Da un paio di giorni mi chiamo 99135, hanno tatuato questi numeri sulla mia pelle e non ho altro che questo a ricordarmi chi sono ora. Una volta, la tua voce pronunciava “Harry” con una tale fluidità da lasciarmi il fiato corto. Amavo tutto quello che dicevi, in realtà, ma il mio nome era qualcosa di meraviglioso quando erano le tue labbra a muoversi per dirlo e tutt’ora tiene vivo il ricordo della mia identità, che sembra volersi dissipare ogni giorno che passa; che sembra volersi annullare per non sopperire a tutta questa nostalgia.

Ricordo così bene il nostro ultimo viaggio in macchina che se chiudo gli occhi posso ancora immaginarmi nell’abitacolo, al posto del passeggero, vicino a te che profumavi di gelsomino. Mi urlavi sempre che ero il tuo fiore più bello, quello autunnale che cresce nell’arida sabbia, o nel cemento, come uno scherzo della natura che si batte per la sopravvivenza; vorrei essere il tuo fiore anche qui, Louis, tra le macerie delle persone che muoiono ora dopo ora e tra i frammenti di passato che gli zombie sotterrano, ma inevitabilmente anche io sto appassendo, nonostante il mio amore per te in qualche modo rinvigorisca parte dei miei sensi. Ringrazio che non sia tu qui ad appassire per me, perché non lo meriti, non meriti il dolore della pelle strappata, delle ossa a pezzi, del cuore ferito e a brandelli. Ringrazio ogni giorno perché tu vivi e sarai i miei occhi, le mie orecchie, le mie mani e toccherai, guarderai e sentirai per me d’ora in poi, perché io sono con te in ogni momento di ogni giorno, con il pensiero.

Ti amo come i raggi del sole amano i più belli, quelli come te, dagli occhi azzurrissimi, screziati e impreziositi da striature di un colore più chiaro dell’oro fuso. Amo la tua pelle come la luna ama le sue stelle che la accerchiano per farla sentire meno sola nonostante la sua immensità. Amo il tuo collo lungo e magro, le vene leggere che formano un percorso infinito sotto il velo roseo e fino come la seta. Amo le tue mani grandi, le tue dita affusolate che ricordo ancora sui miei fianchi quando ci baciavamo; posso ancora sentire il tuo tocco leggero e amorevole, per nulla pretenzioso o troppo bramoso.

Vorrei averti qui, egoisticamente, ma sono felice che tu non ci sia.

Spero tu abbia avuto il coraggio di partire per sempre; questo posto non fa per te, come non fa’ per me, non fa per noi. Spero tu sia scappato lontano da tutti, dai nazisti, dai ribelli, da chiunque insegua ideologie carnefici e un odio irrazionale per tutto ciò che è amore e che cresce con spine – deboli, ma pur sempre spine in grado di difendersi.

Il ricordo di te mi aiuta ad andare avanti ogni giorno, nonostante sia difficile, nonostante sia straziante.

 

Una voce alta e seccante, maleducata, urlò che era ora di alzarsi dal “letto” e andare a lavorare. A malincuore, Harry nascose i fogli di carta che era riuscito a rubare in quei pochi, ma lunghi giorni di reclusione e il carboncino ridotto a un mozzicone dentro a una trave rotta del muro. Scrivere era l’unica cosa che poteva fare per non perdere se stesso, e scrivere a Louis era l’unica cosa che poteva fare per non perdere i suoi ricordi più belli e cadere nella disperazione più totale.

Con una spinta, Harry scese dal suo giaciglio, i soliti vestiti sporchi e nauseanti addosso che ormai puzzavano di sudore, sangue secco e fumo.

Il giorno in cui era arrivato era stato pestato con venticinque bastonate di benvenuto, alle quali era sicuro non sarebbe sopravvissuto visto il dolore che si irradiava lungo la schiena, le braccia e le gambe, esili dopo la malnutrizione della sua prigionia. Venticinque bastonate, dolorose come nemmeno suo padre – prima di morire – aveva osato dargli, ma il male più grande fu la sensazione di impotenza, l’incapacità di reagire a tutto quello, la debolezza e la sottomissione involontaria. Era stato rasato, subito dopo, e i suoi ricci scomparvero insieme a parte dei suoi ricordi – quelli in cui Louis lo accarezzava per ore, innamorato della sua testa castana e morbida.

 

Seduti nella radura più bella e fiorita di tutta Oberstdorf, Louis e Harry parlavano con complicità, immersi nei loro pensieri più semplici, puri e incontaminati dalla guerra e dall’odio puritano che si stava diffondendo in quel periodo. Non c’erano nazisti attorno a loro, le cose scivolavano addosso all’amore semplicemente meraviglioso e incondizionato che stavano coltivando con dedizione, ma soprattutto non c’era aridità e tristezza nei loro cuori che traboccavano di sentimento.

Louis era una di quelle bellezze che non si dimenticano. Lui e Harry si conobbero in un bar dove spesso gli omosessuali segretamente – ma non troppo – s’incontravano per passare una serata in compagnia, per sentirsi meno soli. Harry stava bevendo un bicchiere di vino rosso, mentre parlava animatamente con un uomo sulla quarantina, direttore del giornale locale e fidato sostenitore dell’ideologia nazista contro gli ebrei – prima della caduta di Röhm. Proprio di quello stavano discutendo, quando Louis entrò con grazia dalla porta in compagnia di una ballerina di Charleston, vestita con un abitino nero, una piuma che svettava dalla fascia che le stringeva il capo coperto di capelli biondi accuratamente acconciati. A Harry però non importava nulla della ragazza, probabilmente sulla ventina, che si atteggiava sul bancone del bar flirtando con la cameriera; a Harry, l’unico che gli importava, era l’uomo dai capelli castani accuratamente laccati, con la riga a destra, il viso magro dalla pelle chiara rilassato e sorridente, bellissimo.

Harry, disteso con la testa sopra le gambe del suo amato in quella radura, non poteva evitare di pensare che Louis era bello proprio come mesi prima, in quel pub così frequentato. Aveva amato subito le rughe d’espressione che gli contornavano il volto magro e spigoloso, i capelli solitamente curati erano di un castano che gli ricordava il tronco degli alberi, mentre la pelle liscia era chiara, splendente sotto il sole di cui raccoglieva i raggi. Era meraviglioso, ma tutta quella bellezza facevano da cornice a una bellezza ancora più grande: i suoi occhi grandi e aperti erano di un azzurro seducente, intrigante, e Harry ne era attratto con ogni sua cellula, con ogni suo senso. Quel colore chiaro gli ricordava il lago della baita in cui passava tutte le estati con sua sorella Gemma e sua madre Anne, nella casa di sua nonna che, malata da tempo immemore – che lo pregava di lottare per ciò che riteneva più giusto. Quel pozzo cristallino era così nitido da ricordargli l’emissario che passava per Oberstdorf, e giurava di poterne vedere i fondali da quanto quelle iridi erano limpide e liquide.

In quel pub, Harry si era innamorato di Louis per quegli occhi, striati da pagliuzze più chiare, belle da farlo impazzire.

Con spensieratezza, in quella radura verdeggiante, meravigliosa e fiorente, Harry era steso sulle gambe di Louis che distratto gli accarezzava i capelli stretti in una corona di margherite, primule e genziane. Glieli accarezzava dolcemente, passando le dita tra i ricci morbidi che profumavano di primavera e sapone fatto in casa, belli come non ne aveva mai visti. Occhi negli occhi, parlavano in silenzio del loro amore, se lo raccontavano senza bisogno di dire nulla, a Harry e Louis bastava guardarsi per capire che quel legame non aveva nessun’altro nome che il loro.

Erano uomini che nutrivano sentimenti leciti che non erano riconosciuti. Le dita delle loro mani libere si intrecciarono calorosamente sotto quel cielo limpido e senza nuvole, che prometteva nient’altro che il sole più caldo.

 

Dopo l’ingresso, la rasatura, la violenza psicologica e la procedura standard, era stato marchiato. Il suo nome era scomparso insieme alla sua identità. Harry Styles non era più Harry Styles, era scomparso insieme a quel poco in cui sapeva di potersi riconoscere; da quel momento, Harold Edward Styles era stato rimpiazzato con il numero 99135, scritto sul braccio in una calligrafia secca, sotto la pelle chiara e una volta meravigliosamente morbida e pulita.

Erano passati solo sei giorni e già si sentiva stremato dalle continue punizioni che riceveva. Nonostante ci fosse di molto peggio, Harry era stato picchiato e malmenato con bastoni e frustini per la sua lentezza, per i cedimenti continui delle sue gambe stanche, per i suoi secondi di riposo, per le sue flebili richieste di acqua e sostentamento. Mangiava un pezzo di pane e un bicchier d’acqua due volte al giorno e non gli bastava. Viveva di ricordi e cercava di nutrirsi di quello, perché Louis era tutto ciò ci cui aveva bisogno nei suoi momenti di tristezza, nella solitudine, nella disperazione.

Quando Harry uscì dalla baracca numero 16, la puzza di carne bruciata che usciva dalla fornace a pochi chilometri da lui infettava il suo ossigeno impedendogli di respirare. Quella situazione era invivibile e Harry non era a suo agio lì. Ricordava a malapena i prati verdi di casa sua e provava nostalgia per l’aria di montagna, pura e semplice, meravigliosamente fresca.

Il calcio di un fucile colpì il suo polpaccio e un dolore sordo si irradiò lungo il muscolo.

«Al lavoro, frocio!» gli urlò un soldato delle SS, guardandolo e deridendolo con il suo compagno che lo affiancava qualche centimetro da lui. La loro bellezza stava solo nei vestiti che indossavano, i loro visi deturpati dalla guerra erano lindi e puliti, ma inguardabili. Nonostante la rabbia, Harry abbassò lo sguardo, orripilato, e fece ciò che gli era stato ordinato.

Camminò verso il resto del gruppo in direzione della fabbrica, e iniziò a trasportare i blocchi di metallo da fondere pesanti mezzo quintale. Era un lavoro estenuante, la struttura era calda oltre l’inimmaginabile e lui indossava i soliti abiti, con le maniche lunghe e i pantaloni lunghi di una stoffa ruvida come il velcro. La sua mente vagò, come faceva sempre; il suo corpo agiva come un automa mentre prendeva spostava, camminava e appoggiava.

 

La mano di Harry si intrecciò a quella morbida di Louis, aperta e rilassata lungo il fianco. Era una bellissima mattina di marzo e stavano camminando lungo un sentiero ripido, in direzione di una steppa rigogliosa dove poter fare un picnic in tranquillità, lontano dagli sguardi indiscreti e indagatori. Louis teneva saldamente il cesto stretto nella mano destra, mentre la sinistra era legata a quella del ricciolino che non sembrava per nulla a suo agio in quella stradina rocciosa e – forse – piuttosto pericolosa visto il suo poco equilibrio.

«Se cado io, cadi anche tu.» gli ricordò stizzito Harry, quando questo lo vide ridere. Come sempre quando metteva in mostra i suoi bellissimi denti bianchi come perle e con i canini aguzzi, perfettamente dritti, il cuore del più piccolo rimbalzava nel petto. Harry era terribilmente innamorato e tutto quello gli sembrava nuovo, bello da morire, ma surreale; quella complicità apparente, la sensazione di completezza era appagante. Non sapeva cosa fosse l’amore, prima di Louis. Harry aveva conosciuto uomini senza mai provare nient’altro che un leggero interesse. Louis era stato un fulmine a ciel sereno, che coglie di sorpresa, ma illumina il buio più totale.

Il maggiore si fermò e si girò verso Harry, slegando l’intreccio delle loro dita e risalendo lungo il suo braccio con l’indice. Il riccio rabbrividì a quel contatto, ma forse furono le iridi fredde come l’acqua del mare, ma calde e sensuali come poche, a scuoterlo. Il palmo della mano di Louis accarezzò il collo longilineo di Harry, memorizzandone la bellezza, il colore della carnagione, la morbidezza. «Allora cadremo insieme e faremo l’amore fino al crepuscolo.» sussurrò, avvicinandosi alle labbra di Harry e posandovi con leggerezza le sue, pallide e leggermente screpolate. I loro cuori batterono all’unisono in un tumulto di emozioni in tempesta, creando un ritmo che urlava i loro nomi a squarciagola.

Era stato un bacio semplice, uno sfioramento minimo e lieve, ma era bastato a entrambi per sentirsi meglio, sereni come mai prima di allora e forti abbastanza poter superare ogni cosa, ogni brutto momento, ogni difficoltà. Insieme avrebbero potuto fare tutto e Harry, solitamente debole e remissivo, si sentiva un miliardo di volte più forte, in grado di dominare ciò che lo sottometteva, e sottomettere ciò che lo faceva sentire inetto.

 

Un colpo di frusta e Harry cadde a terra. Sbattè violentemente l’osso del fianco sul cemento ed ebbe la sensazione che qualcosa dentro di lui si spezzasse, ma forse fu soltanto un altro frammento dei suoi ricordi che gli veniva strappato via da quel posto orribile e senza Dio.

«Più veloce!» gli urlò uno dei supervisori, la frusta adagiata lungo il pavimento e sporca di sangue. La schiena gli bruciava terribilmente, era certo che quell’arma gli avesse tranciato i vestiti e la pelle diafana.

Harry si alzò, nonostante la sofferenza, le lacrime che ormai non riusciva a versare più e il dolore più acuto. Si fece coraggio, ricordandosi di quell’amore fortificatore che lo aveva fatto sentire più forte, rinvigorito, e ricominciò a lavorare, la mente nuovamente persa nei suoi ricordi.

 

____________

 

Quando ritornò alla baracca, Harry si sentiva troppo stanco perfino per dormire. Le articolazioni gli dolevano incredibilmente, mentre sentiva la pelle strapparsi dalla carne, gli occhi asciutti e la pancia in subbuglio per la fame e la nausea.

Nuovamente, Harry prese da sotto la trave di legno la lettera a Louis e il carboncino. L’unica cosa di cui aveva bisogno era scrivere ancora un po’ del suo amore eterno, nella speranza che gli tornasse un po’ di forza per il giorno successivo, nella speranza che le sue preghiere si esaudissero e la vita dell’uomo che amava fosse migliore della sua in quel momento buio che era il capolinea.

 

Ricordo ancora quando mi baciasti la prima volta. Eravamo al mare, avevi guidato per ore intere pur di andarci, con me. Zayn e Liam sedevano nei posti dietro, si baciavano come amavano fare e noi li guardavamo con la coda dell’occhio, un po’ imbarazzati, ma invidiosi di tutta quella naturalezza.

Ricordo che giocammo tutto il giorno a volano sulla sabbia, mentre Liam faceva l’amore con Zayn sul bagnasciuga lontano da noi e dai nostri sguardi. Erano belli come il tramonto che in quel momento colorava le loro pelli variegate, le riempiva di sfumature chiare e scure, di ombre e luci spettacolari che giocavano con nostri occhi. Fu lì, nel crepuscolo, quando il giorno si incontra con la notte, che mi baciasti, sopra a uno scoglio nelle rive del Mar Baltico. Mi guardasti con gli occhi azzurri pieni di un amore sciocco e sconsiderato, ma giusto per noi, perfetto, e posasti le tue labbra sulle mie, con sicurezza, senza tentennamenti, perché sapevi che era la cosa giusta da fare.

Fu il momento più bello della mia vita, Louis. Questo ricordo non riusciranno a portarmelo via perché tutto quell’amore non si dimentica, e io – che nella mia infanzia di amore ne ho avuto poco – mi crogiolo in esso anche ora.

Soprattutto ora.

Ringrazio Dio ogni giorno, nonostante io sia certo che Dio non mi veda qui; lo ringrazio comunque perché sei salvo, lontano dall’orrore. Ringrazio Dio, Josh e Niall ogni giorno perché ti hanno salvato senza pensarci due volte. Ringrazio Zayn e Liam che si sono sacrificati per noi quella notte, prima della cattura; ringrazio che tu sia a casa, o in qualunque altro posto, ma non qui.

 

Gli occhi di Harry bruciarono al ricordo dei suoi amici e di quella notte, la notte della loro cattura.

Era stata una serata bella come molte altre, passata tra risate e baci dati di sfuggita, lontani da occhi indiscreti. Louis e Harry, insieme a Liam, Zayn, Niall e Josh avevano giocato insieme a calcetto nel parco vicino alla chiesa per poi uscire a bere una birra e festeggiare la vittoria incontrastata di Louis, Harry e Josh, i soliti esaltati, amanti del calcio e tifosi assidui. Niall e Josh quella sera avevano litigato; non si parlavano nonostante quest’ultimo cercasse in ogni modo di baciare le labbra del biondino, più piccolo di età, ma più alto di statura.

Erano belli insieme, anche se teneramente sbadati. Niall, timido con il suo viso angelico, ariano proprio come i canoni standard tedeschi stabilivano, dalla pelle diafana e le guance tonde, belle da morire, rosse come le labbra piene, era perfetto per Josh, un uomo ormai vissuto – ma allo stesso tempo bambino – nonostante i sui ventidue anni, estroverso e altrettanto meraviglioso con i capelli castani, gli occhi chiari e la bocca fina, pallida. Portava con sé le sue medaglie di guerra, che sfoggiava spesso quando cercava di flirtare con Niall, il quale cedette senza troppi ripensamenti. Il loro amore nacque per caso in febbraio; si conoscevano da amici di famiglia quando ancora Niall aveva otto anni e Josh undici, ma si persero di vista quando scoppiò una faida tra le madri dei due ragazzi. Si rincontrarono nella biblioteca di Oberstdorf undici anni dopo e passarono l’intero pomeriggio a discutere del sciovinismo tedesco e di Röhm, capo delle SA e comandante in seconda di Hitler, capo del plotone di Josh. Cominciarono a conoscersi così, dopo un incontro dettato dal destino, amandosi con solo gli occhi – all’inizio – e poi con il corpo.

Non era dato sapere per quale motivo stessero litigando. Louis era buono, Harry lo pensava da sempre quando lo guardava, e cercava in ogni modo di farli riappacificare, scatenando nel riccio gelosia mista a divertimento. Mentre loro quattro giocavano a fare Cupido – tra battute di scherno e risate –, Liam e Zayn erano nel loro mondo, come sempre.

Per Zayn non esisteva altri che Liam. Il loro amore era qualcosa d’indecifrabile, molto più silenzioso e discreto, molto più intimo di quanto non fosse quello di Louis e Harry. Se l’amore tra Josh e Niall era chiassoso, fatto di uno scherzare continuo, giocoso – proprio come era Josh, un bambino cresciuto – e sereno, quello tra Zayn e Liam non contava parole, né giochi. I loro sguardi erano qualcosa che nessuno era in grado di capire; chiunque li osservasse attentamente per dei minuti interi, provava imbarazzo, disagio, perché il loro legame era indissolubile e inesplicabile, qualcosa che non poteva essere spezzato o rotto. Ogni volta che Harry vedeva Liam accarezzare la pelle leggermente ambrata di Zayn, anche solo uno sfioramento leggero, il cuore gli doleva sofferente, colpito dall’affetto disperato che sembrava avvolgerli stretti, con catene troppo forti. Vivevano la loro passione con la consapevolezza che tutto quello non sarebbe durato per sempre, che i momenti belli andavano vissuti fino infondo, con l’unica persona che si ama veramente, per questo erano in sei, ma in realtà vivevano come se fossero stati in due; anche in mezzo ad una folla esistevano solo Liam e Zayn, che amavano senza limiti o vincoli.

Quella sera uscirono dal bar tutti insieme alle due di notte, i muscoli a pezzi, ma soddisfatti, le labbra lievemente tumefatte per i baci dati di nascosto negli angoli bui del locale. Camminarono per un paio di minuti lungo il viale buio dove spesso le prostitute dormivano quando pioveva, diretti alla Volkswagen di Louis e alla Fiat di Josh.  Successe tutto così velocemente che Harry non ebbe il tempo di assimilare. Meno di dieci uomini uscirono da un furgone scuro e presero Zayn per le spalle e lo gettarono a terra, bastonandolo. Liam urlò e cercò di colpirli e difendere il suo uomo, mentre Harry, preso dal panico, si raggelò sul posto; anche lui venne buttato a terra, mentre Louis si dimenava tra le braccia di Niall e Josh che lo trascinavano via da quel vicolo, inseguiti anche loro da altre guardie che fortunatamente riuscirono a seminare.

Steso in quel letto della baracca, Harry si rigirò ricordando il dolore dei copi, le urla strazianti di Zayn, i gemiti di Liam nel sentire il suo uomo soffrire così tanto. Erano stati portati via dopo un’ora di pestaggio in quel viottolo buio, stretto e maleodorante.

Zayn non era mai arrivato al campo di Dachau; era stato ucciso il giorno prima, dichiarato inutile per il suo cuore debole e la malformazione ai muscoli che sembrava progredire velocemente. Liam invece era arrivato con Harry, ma era uno zombie e il secondo giorno si era lasciato morire in uno dei vicolo del lager, dopo una fustigazione troppo dura per aver disubbidito agli ordini del comandante. Harry non aveva lacrime per piangere, non aveva altra forza se non quella che usava per prendere i cubi di metallo da mezzo quintale e trasportarli; non provava pena per lui, solo rispetto e felicità: Liam aveva smesso di soffrire, e avrebbe rivisto il suo Zayn in un posto migliore di quello.

Quel destino non spettava ancora a Harry, che in quei pochi giorni era stato punito e frustato. Non era ancora pronto a morire, nonostante dentro di lui fosse già morto; nonostante il suo cuore battesse solo per i ricordi di Louis che amava perdutamente, senza riserve.

 

____________

 

Seduti nella coperta di lana grezza, Harry e Louis mangiavano una mela, rossa come le loro guance sotto il sole del meriggio. Occhi verdi su occhi azzurri, una prateria immensa che si scontra con il cielo in una linea orizzontale perfetta, compatibile come un puzzle. Era stato il loro giorno più bello forse, passato in totale tranquillità per conoscersi e approfondirsi – come se non l’avessero mai fatto prima di allora.

«Ti piacerebbe andartene da qui, Harry?» gli chiese Louis con tono carezzevole, mentre disegnava un cerchio sul palmo liscio del riccio seduto al suo fianco.

Harry morse la mela e sorrise, annuendo emozionato. Aveva gli occhi di un bambino, glielo dicevano sempre; brillavano di una loro luce, di un’ingenuità pura e vera, e forse a Louis piacevano perché ogni volta si avvicinava a baciargli le palpebre, come se quel gesto potesse andare oltre la pelle sottile e raggiungere quel verde spensierato che gli trasmetteva speranza.

E lo fece anche quella volta: Louis si sedette sopra Harry, le gambe a circondargli le cosce magre, e gli prese il viso tra le mani morbide. La bellezza di quell’uomo dagli occhi azzurrissimi come il Lech era disarmante e il cuore di Harry prese a palpitare forte e prepotente, come pugni mirati a fargli perdere il respiro. Le labbra morbide di Louis si posarono sulla palpebra destra di Harry, che in un gesto involontario prese ad accarezzare i suoi fianchi torniti, coperti da un paio di pantaloni di tela; poi Louis gli baciò la palpebra sinistra, senza esitare, ma indugiando più del previsto su quella piccola porzione di pelle che a quel contatto aveva cominciato a scottare.

La bocca di Louis scese piano lungo le guance calde di Harry che il sole aveva colorito, e poi baciò quella bocca fresca che sapeva di mela e di lui. Fu un bacio semplice, leggero, che bloccò definitivamente il respiro irregolare del riccio. Le dita di Louis gli strinsero i capelli dietro la nuca e lo avvicinarono a sé, bramose di qualcosa di molto più intimo, vero, sincero. I boccioli di Louis si schiusero e con essi anche le labbra di Harry e quel bacio si fece più intenso, trasformandosi in uno strusciarsi lascivo di lingue, creando un sapore che inebriò i sensi di entrambi; ogni volta era come la prima per loro che vivevano quell’amore come qualcosa di sacro. Si erano trovati, per il caso o per il destino, e tutto quello che stavano passando si imprimeva indelebile sui loro corpi che ancora erano territorio inesplorato.

Quando si allontanarono dopo uno schiocco sordo, si sorrisero, sinceri.

«Amami come se fosse l’ultima occasione che abbiamo per sentirci vivi.» sussurrò Harry sulla bocca del maggiore che lo guardò, con gli occhi di non aspettava nient’altro che quelle parole da quelle labbra.

Fecero l’amore con una passione che non avevano mai provato. Harry fu travolto dalle sensazioni, dal dolore misto al piacere più grande, immenso, che minacciava di implodergli nel petto con tutta la forza che possedeva. Le mani di Louis si prendevano cura di lui con delicatezza e dedizione, lo guardavano come se fosse l’oggetto più prezioso, la cosa che gli era più cara; lo accarezzava senza mai trascurare i dettagli del suo corpo, lo baciava dove sapeva voleva essere baciato, e Harry impazziva, gemeva… Piangeva per la gioia più sincera, sentendosi troppo piccolo per contenere tutto quell’amore.

Raggiungere insieme il nirvana fu meraviglioso: i loro visi contratti dal piacere, gli occhi liquidi per le emozioni più intense, le loro pelli nude, calde, appagate.

Si accoccolarono, dopo aver fatto l’amore in quella steppa rigogliosa, all’ombra di un cipresso e nel caldo del meriggio.

 

Quando Harry si svegliò, come al solito molto prima dell’alba, sentì il cuore straziato dal dolore. Il ricordo di Louis in quel prato, su quella coperta, era forse l’unico che non aveva intenzione di riportare in superficie, ma contro la sua volontà esso si era fatto largo tra le altre memorie, cercando la luce nel suo sogno.

Nonostante l’ora, Harry non provò nemmeno a tornare a dormire. Si sedette, la schiena appoggiata al muro in legno da cui aveva estratto i fogli di carta e il carboncino.

«I fantasmi tolgono tutto.» sussurrò una voce greve, rompendo il silenzio. Harry alzò il capo, spaventato e sorpreso. L’uomo che parlò aveva un accento italiano e ostentava un tedesco grezzo e poco curato, ma comunque comprensibile. Nella penombra poteva vederlo, era nella colonna di letti davanti a lui, un piano più sotto; era steso a pancia in giù, il braccio che penzolava nel vuoto e la testa rasata – ma da cui era visibile il nero dei capelli che stavano crescendo – rivolta verso di lui. «Il passato ti toglie tutto quando sei qui dentro. Devi dimenticarti chi eri. Ricordati che sei una macchina, per loro.»

Dette quelle parole, l’uomo si girò, dandogli le spalle. Harry non volle replicare, perciò prese i fogli e iniziò nuovamente a scrivere.

 

Ricordarmi di te è l’unica cosa che mi rende ancora un po’ vivo, è l’unica cosa che mi aiuta a rimanere attaccato alla realtà, a non lasciarmi andare completamente. Liam ha ceduto a tutto questo perché ha perso Zayn, l’unico uomo che credeva di poter amare, ed è stato meglio così. Il loro amore era cieco, molto più del nostro forse, lo ricordi? Ricordi quanto si amavano?

Tu sei l’unica cosa che ancora mi tiene attaccato alla realtà.

Ti ho sognato mentre facevamo l’amore stanotte e il mio cuore si è incendiato di passione. Non sono un poeta, non sono come te, Lou, che con le parole sai scuotere chiunque, perfino la stessa pietra fredda, ma questa notte mi sentivo di poter poetare per te e solo per te, perché quel giorno era perfetto per noi e riviverlo – per quanto orribile – mi ha fatto capire ogni cosa.

Io ti amo, Louis. Con ogni parte di me, ti amo profondamente e senza limiti. Ti ho amato quando entrando in quel bar mi offristi da bere prima che potessi farlo io; ti ho amato quando scavalcasti il recinto di casa mia per potermi chiedere di uscire; ti ho amato quando mi rincorresti sotto la pioggia, dopo aver litigato quella sera, alla radura più bella di Oberstdorf; ti ho amato quando mi regalasti una rosa rossa un mese dopo il nostro primo bacio, nella stessa spiaggia, al crepuscolo.

Ti ho amato sempre, Louis, anche quando io stesso non lo sapevo. E se mai leggerai tutto questo, sappi che ti amerò fino al giorno in cui il mio cuore smetterà di battere, o la mia mente si rifiuterà di ricordare. Se cederò davanti alla morte, ricordati che non sarà per la mancanza di amore per te, ma perché la distanza sarà troppo straziante per me che, qui dentro, non vedo altro che morte.

 

Di nuovo la voce di un soldato a interrompere i pensieri di Harry, di nuovo l’odio cieco per quella routine estenuante e invivibile.

Di nuovo la nostalgia e il ricordo.

Harry si alzò dal letto, come al solito il corpo indolenzito, pronto per farsi picchiare di nuovo senza versare nessuna lacrima.

 

____________

 

Ottobre, 1935             

Le foglie secche arrivavano da chissà dove dentro il campo di concentramento di Dachau, dove la vegetazione nei dintorni era rasa al suolo. Le foglie morte arrivavano, si depositavano nel suolo e venivano calpestate maldestramente da un altro tipo di foglie morte, prive di radici già da giorni, mesi, anni.

Gli uomini e le donne sterminati erano aumentati, come il numero dei deportati. Il fumo che Harry aveva sempre guardato a distanza era diventato più scuro, frequente e maleodorante, ma ormai non ci faceva nemmeno più caso.

Era passato un mese ed era morto dentro.

Harry aveva spento la mente a metà del mese di settembre, quando il lavoro gli aveva offuscato i ricordi fino a seppellirli, quando le ferite e i tagli delle frustate gli avevano portato via gli ultimi frammenti di lui.

Ormai, Harry aveva dimenticato chi era. Camminava tra le baracche aride e desolate barcollando, rispondeva solo al numero 99135 e ormai le offese non lo toccavano più, come anche le bastonate non lo facevano più gemere dal dolore. Era una desolazione quel luogo, ma anche dentro di lui c’era la desolazione più totale. Era vuoto, come il suo stomaco; non mangiava se non quello che gli veniva concesso, nonostante non gli bastasse mai. Il suo corpo aveva perso le curve che amava, e che qualcun altro amava al posto suo.

Ma chi è che lo aveva amato?

Harry non ricordava più il suo passato. Viveva nella nebbia più totale, la lucidità era scomparsa dalla sua vita in poco tempo.

Eppure qualcuno lo aveva amato. Qualcuno lo aveva apprezzato e aveva cantato per lui, un tempo. Qualcuno aveva intrecciato per lui i fiori più belli e glieli aveva  adagiati tra i capelli.

Ma di che colore erano i suoi capelli, un tempo?

Come ogni giorno, Harry camminava trasportando i soliti blocchi di metallo da mezzo quintale. Il tempo era fresco e autunnale, non più troppo caldo e arido; era il 27 settembre ed era soltanto mattina quando la sua schiena cedette. Era normale cadere, almeno una volta al giorno qualcuno cadeva, e veniva frustato per questo, ma quella volta Harry cadde definitivamente. Si accasciò a terra, incapace di rialzarsi, impotente davanti all’evidenza: il suo corpo stremato non  poteva sopportare oltre.

Un frusciare sordo e poi uno schiocco. La schiena di Harry si imbrattò di sangue e i vestiti si strapparono quasi completamente. «Alzati, idiota!» urlò un soldato con il suo tedesco impeccabile, la frusta che vibrava nella mano per il desiderio di essere usata. «Forza, datti una mossa se non ne vuoi un’altra!»

Harry provò a fare leva sulle braccia magre e tutt’ossa, ma la schiena non collaborò, e anche i polsi cedettero; il mento sbattè contro il pavimento sporco di polvere e detriti, ma niente gli fece male quanto la seconda frustata che passò sopra il taglio fresco che la prima gli aveva lasciato.

Un terzo colpo e un quarto. Harry rimase a terra, sconvolto dal dolore, ma nessuna lacrima percorse le sue guance.

«Abbiamo una checca permalosa qui.» lo canzonò l’uomo, passando una mano coperta dal guanto nero sulla frusta, pulendola dal sangue di Harry, che finì a terra e schizzò sul volto smunto del ragazzo. Il soldato si avvicinò a lui e si abbassò quasi al suo livello, così che Harry potesse vederlo: era sulla quarantina, gli occhi chiarissimi stridevano con il un viso deturpato, orribile e rivoltante. Quando parlò, il suo fiato caldo sfiorò la pelle dell’orecchio di Harry, che rimase disgustato. Poche parole, di un’eloquenza cristallina: «Ormai non ci servi più, tesoro.»

Un paio di braccia lo sollevarono di peso. Le punte dei piedi strisciarono sul pavimento mentre veniva trasportato nel vicolo dove di solito gli uomini venivano fucilati a sangue freddo. In un certo senso, era stato graziato: niente frustate o bastonate, un proiettile era più veloce.

I soldati lo misero in ginocchio, la testa rivolta verso il muro. Harry appoggiò la fronte contro i mattoni duri e freddi e riaprì gli occhi, che durante il tragitto aveva tenuto serrati per il dolore che sentiva in tutto il corpo.

Rigogliosa e bella, una genziana di un viola scuro era cresciuta tra le crepe del cemento. Un meraviglioso spettacolo da vedere in punto di morte.

Due splendidi occhi azzurri lo guardarono trasognato. Due mani avvolsero il suo collo, leggere e amorevoli. «Tu sei il mio fiore più bello, Harry. Quello che cresce nei posti più disparati. Tu sei abbastanza forte per me e per te. Ricordalo.»

Una parte della sua mente tornò lucida e il respiro di Harry si fece più forte e prepotente, mozzato di tanto in tanto per il dolore. Nuovamente serrò gli occhi, per poi riaprirli nuovamente. Un volto spigoloso, bello come il sole e fresco come la primavera invase il suo campo visivo.

Due labbra fine, amorevoli, si posarono su quelle di Harry che sorridevano ancora dalla felicità. Il cipresso muoveva i suoi rami sopra di loro, quasi felice di essere stato testimone di un amore così puro e vivo, semplice. Sincero.

«Ti amo, Harry.» sussurrò quell’angelo, la bocca davanti alla sua. «Ti amerò sempre.»

Le dita di Harry si chiusero in un pugno stretto. Raddrizzò un po’ la schiena ferita, rinvigorito da una nuova forza, quella che il ragazzo di cui ancora non ricordava bene il nome gli stava infondendo. Si strusciò per tutto il muro in cerca di un appiglio, che trovò in un’altra crepa.

Stesi tra i papaveri rossi e gialli, le mani abili di quel ragazzo castano, dai capelli lunghi accuratamente acconciati in una riga a destra, intrecciavano gambi lunghi e fini creando una coroncina di margherite.

«Amo i tuoi capelli.» disse il suo amato, un sorriso aperto e bianco come perle, e dopo aver appoggiato la coroncina sull’erba, passò le dita nei morbidi capelli castani. «Amo te.»

Con gli occhi chiusi per le fitte, Harry finalmente riuscì ad arrampicarsi fino a reggersi sulle gambe deboli.

Delle risate sguaiate giunsero dalle sue spalle, delle battute di scherno sulla sua morte, altre sul suo amore cieco per l’uomo che era morto un mese prima e amico suo. Liam lo avevano chiamato.

Ma Harry era certo che l’uomo che amava non si chiamasse Liam.

Era sera, ormai si erano fatte le undici e seduto in quel bar, Harry si sentiva solo. Un uomo dai capelli castani, le labbra sottili e la pelle chiara entrò dalla porta con una bellissima ballerina di Charleston. Gli occhi azzurri studiarono i muri variopinti del locale, i quadri di cattivo gusto e i tavoli, in parte occupati.

Poi si guardarono, Harry e il giovane. I loro occhi si incrociarono e si incatenarono. Con movenze aggraziate, il nuovo arrivato si avvicinò al riccio, il cui cuore batteva all’impazzata. «Sono Louis. Spero ti lascerai offrire un drink, pumpkin

Con un gesto involontario, Harry si portò una mano al cuore, colto di sorpresa.

Il volto spigoloso, le labbra color cremisi che aveva baciato, i splendidi capelli castani, il collo allungato e magro, la pelle chiara baciata da un sole meraviglioso.

Era Louis.

Ricordava finalmente le sue mani sul suo corpo quando fecero l’amore in quella steppa infinita, sotto quell’albero, sopra alla coperta di lana grezza. Finalmente ricordava le sue labbra, il dolore, il piacere intenso, le lacrime di felicità e gioia, la sensazione di pienezza e completezza.

Louis. Era Louis.

Le labbra di Harry si distesero in un sorriso stanco, ma sincero. Alzò il volto verso il cielo e sussurrò «Louis, amor mio.» con voce roca, di chi non parla da anni.

Non prestò attenzione a nient’altro se non ai suoi ricordi.

Il generale smise di ridere e ordinò al comandante in seconda di mettersi in posizione con un «Pronto a sparare!» che però il ragazzo dagli occhi verdi non sentì, concentrato ancora sul volto di Louis che non faceva altro che infondergli coraggio.

La testa vorticò, mentre il sorriso si fece più largo e sincero.

«Mirare!»

Ancora una volta Harry sussurrò «Louis.» con un trasporto che avrebbe fatto male al cuore di chiunque. Chiuse gli occhi e rivide la spiaggia, le rive del Mar Baltico, lo scoglio in cui le labbra di Louis incontrarono le sue. Rivide la prateria di Oberstdorf, dove le dita di Louis lo accarezzavano amorevoli, e poi la steppa e il cipresso sotto al quale fecero l’amore.

Il generale urlò «Fuoco!», che Harry però non sentì. Questo aprì gli occhi per vedere il cielo un’ultima volta, poi li richiuse immediatamente.

Vide due occhi del color della primavera.

Un lampo di luce, prima del buio.

 

 

 

 

 

 

 

*Ernest Röhm era a capo delle SA, un omosessuale. Hitler non aveva nulla contro gli omosessuali all’inizio, ma iniziò a perseguitarli perché Röhm lo ostacolava ed era una minaccia. Perciò a Hitler serviva un motivo per poterlo attaccare, ecco perché iniziarono le persecuzioni durante la Notte dei coltelli.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell’autrice.

Questa OS è storica, ma potrebbero esserci delle inesattezze, e vi prego di passarci sopra.

Ammetto di aver quasi pianto leggendola, e non mi ritengo del tutto soddisfatta perché volevo piangere, ma non ho pianto. Maledizione a me.

Spero comunque vi sia piaciuta. L’argomento mi ha ispirata molto perché la mia tesina tratta appunto di questo. Non è molto lunga come OS, sono solita scrivere più di 15000 parole, ma questa è di poco più di 7000, ma credo sia mille volte più emotiva di tutte le altre.

Sta a voi ora dirmi che ne pensate. Gradirei leggere dei commenti al riguardo, sia positivi che negativi!

Colgo l’occasione per spammare le altre mie storie.

·         Seven minutes in heaven

·         Close to each other (seguito dell’OS “Seven minutes in heaven”)

·         Skinny jeans and tight underwear

·         Never let me go

Detto questo, grazie mille per aver letto tutto!

Vi adoro, giuro!

Un bacio e seguitemi su twitter (@ila3b) e facebook (il link è nel mio profilo)

Buona serata :*

 

  
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