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Autore: Fusterya    13/05/2014    13 recensioni
Questa cosa deve finire.
Non so nemmeno come sia cominciata, ma adesso mi sto spaventando. Non è facile che io mi spaventi, o almeno non se non ho qualcosa di letale puntato contro, e neanche allora perdo troppo il sangue freddo, ma stavolta è diverso.
Ho fame.
Ho perennemente fame.
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(Non c'è happy ending, siete avvisati.)
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Questa è la mia prima, tiepida reazione dopo mesi dalla stagione 3, che per me è stata la morte cerebrale.

Mi ha tolto ogni energia e voglia di scrivere, perché uno Sherlock infelice e non amato è il male del mondo, per cui ho lanciato per aria il pc a gennaio e non sono più stata capace di riaprirlo.

Forse questa robaccia che segue è un piccolo raggio di sole (forse) per la sottoscritta, perché almeno sono riuscita a picchiare di nuovo le dita su una tastiera per riempire un minimo file nella mia incompletissima cartella Sherlock.

Spero sia un nuovo inizio, per quanto miserrimo e brutto, ma avevo bisogno di esternare il mio pessimo stato d’animo.

Comunque, chiedo perdono.

 

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Questa cosa deve finire.

Non so nemmeno come sia cominciata, ma adesso mi sto spaventando. Non è facile che io mi spaventi, o almeno non se non ho qualcosa di letale puntato contro, e neanche allora perdo troppo il sangue freddo, ma stavolta è diverso.

Ho fame.

Ho perennemente fame.

Una voragine pulsante come una brutta ferita, appena sotto lo sterno.

Sento la carne viva che si apre come un fiore grumoso: geme, mi impedisce di mangiare anche quel poco che normalmente mangio. Sento i nervi tesi alla bocca dello stomaco, un dolore sordo e carico di impazienza, aspettativa, irritazione.

Tutto questo non mi appartiene, non è bello, non mi piace.

Mi bruciano le tempie, ho il battito accelerato.

Eppure me ne sto fermo alla finestra con le mani in tasca, fingendo come un attore consumato. Ma ho fame… fame… fame…  il mio cervello è un missile impazzito, con il sistema di guida in avaria: punta ad una cosa sola, sempre quella. E vi si dirige contro a velocità folle.

E io non sono abituato. Mi sento misero, impotente, sull’orlo di qualcosa.

Non è da me, non sono io.

Non era questo che mi sarei aspettato, non era così che pensavo fosse.

“Sherlock?”

Fame. Fame.Fame.

Mi giro a guardarlo, è appena entrato in casa e si sta togliendo la giacca. Mi devo raschiare la gola per farmi uscire la voce.

“John”.

Non mi guarda, guarda dappertutto ma non me.

La ferita mi morde con rabbia.

Stamattina all’alba mi guardava, oh… e come! E le notti precedenti… e sorrideva della mia paura come una iena che sta per azzannare. Così disinvolto, John: così all’improvviso padrone della situazione, in un campo che conosce più che bene.

Ma che sorpresa.

Finalmente si ferma al centro della stanza e si rivolge a me.

“Non c’era nessuno a quell’indirizzo, non hanno neanche mai sentito parlare di questo tizio”-

“Ok, bene.” rispondo sforzandomi.

Non me ne importa niente di questo caso, non riesco a seguirlo, non mi eccita, non mi riguarda.

Non riesco a lavorare, nella mia mente è tutto bianco come un tedioso, angosciante, terribile paesaggio sotto la neve.

Lui, invece, fa tutto come se non fosse accaduto niente.

Lui è il solito, normale John. E’ quello di sempre, ride, scrive, mangia, esce.

Già. Esce.

Mi rigiro verso la finestra, non ce la faccio.

“Troveremo un altro modo”.

“E’ tutto ok, Sherlock?”

No. Non è ok.

Mi sento divorare vivo, sento la carne che si scioglie e non so come combattere tutto questo.

Dietro i miei occhi chiusi rivedo la tua faccia, stanotte, vicino alla mia; mi sussurri di stare tranquillo, farai tutto tu, e poi la lingua calda che mi tocca le labbra, si insinua nella mia bocca lasciandomi indifeso, e poi scivola sul mio collo, strappandomi lamenti che non credevo di essere capace di emettere.

Dio! Fallo adesso, John. Fallo adesso!

Placa la mia fame. Saziami. Cicatrizza questo fiore carnivoro nel mio stomaco che mi sta masticando senza riguardo, un pezzo alla volta.

Sento il cavallo dei pantaloni tirare, sospiro profondamente.  

“Sì,  è tutto ok.”

Non va bene, non va bene, questo lavoro è la mia vita.

Ho puntato tutto su questo, ho costruito me stesso attorno alla imprescindibile necessità di tenere impegnato il mio cervello ed essere utile alla società senza essere costretto a prendervi parte. Avevo il mio equilibrio, il mio mondo.  

Non avevo mai provato il bisogno, il vero bisogno fisico di qualcosa. Tranne che delle sigarette.

Sono 16 giorni che non suono il violino.

Una volta ho detto a Mycroft che il sesso non mi spaventa. Stavo mentendo. E avevo ragione.

E’ una prigione soffocante e oscura. Mi fa respirare male, mi fa dolere il basso ventre.

Avevo ragione a non voler averci a che fare: all’università, per esempio… sprezzante e superiore a tutto ciò che di animalesco facevano i miei compagni, ho solo fatto in modo di costruirmi un’aura fredda e distante, che è quella che mi fa essere me stesso ancora oggi.

Avevo molti fans, per questo. Me ne accorgo subito se qualcuno si innamora di me, mi fa sorridere di un sorriso non benigno. E non mi è mai interessato.

Fino all’arrivo di un anonimo coinquilino.

Uno in apparenza senza caratteristiche particolari, con una storia di feroce violenza nascosta dietro un maglione beige e un taglio di capelli da uomo di mezza età.

Percepisco un lieve spostamento d’aria dietro di me, si è avvicinato.

Sento i palmi delle sue mani sulle mie spalle, chiudo gli occhi, lo stomaco si contrae pericolosamente.

Sono patetico. Patetico.

“Cosa c’è che non va?”

Non mi sono mai sentito patetico in tutta la mia vita, non comincerò adesso.

Mi sottraggo alla sua presa e comincio a vagare per la stanza.

“E’ tutto ok, John” .

“No, non lo è” mi segue con lo sguardo, mi entra dentro con lo sguardo, insospettito dalla mia totale mancanza di interesse per lo sviluppo del caso.

Io mi avvicino al leggio dello spartito, lo tocco appena, cerco di essere disinvolto. Dovrei dire qualcosa, la prima cosa che mi viene in mente.

Non mi viene in mente NIENTE.  

Forse tra poco uscirà di nuovo. Come fa in media ogni 4 sere.

Mary? Mi è sembrato di sentirlo parlare al telefono l’altra sera, mi è sembrato di udire quel nome, di nuovo.

Che bisogno c’era?

Perché?

L’impossibilità oggettiva di capire queste dinamiche mi sta mandando in corto circuito.

Ma devo mantenere un contegno.

“Sherlock…”

“Andrò… in camera. A leggere.” mi sforzo di sorridere, ma credo di aver fatto più che altro un ghigno spastico.

Lui si guarda attorno perplesso, mi riguarda, la sua sottintesa domanda è: non puoi leggere qui? C'è il divano, c'è la tua poltrona.

No, non posso stare qui.

Ovvio.

Esco velocemente dalla stanza dopo aver agguantato la prima cosa che trovo sul tavolo accanto a me, e che in ogni caso credo essere la guida illustrata a tutte le specie di conifere esistenti, e vado velocemente nella mia stanza, chiudo la porta, mi getto sul letto con un sospiro disperato - si, la parola è quella - e chiudo gli occhi.

Mi sembra che il materasso voglia inghiottirmi, tanto mi sento pesante e annullato.

Ed eccitato.

Dio, basta. Voglio che il sangue smetta di pompare, che torni indietro, verso il cuore, che si coaguli tutto lì e congeli queste pulsioni insopportabili. A costo di provocare la mia morte.

Forse dovrei assumere qualcosa che mi distragga.

Come ho lasciato che accadesse? Chi è stato il primo di noi due ad abbracciare l'altro, ad accarezzarlo, a togliergli i vestiti?

John.

Il ricordo di quel primo momento mi procura quasi un dolore fisico.

E sento bussare lievemente.

Riesco appena in tempo ad aprire il libro tra le mani che lui ha aperto la porta con circospezione.

"Sherlock, adesso basta." dice serio.

Viene verso di me, mi toglie il libro dalle mani, che restano in aria con le dita aperte, e si siede sul letto.

Sento il suo fianco premere all'esterno della mia gamba destra. Vorrei emettere un ululato, giuro.

Ma incrocio le braccia e giro il capo dall'altra parte. Conterò di nuovo le intersezioni deliranti della carta da parati liberty.

"Insomma, che hai?"

Incrocio le braccia di più, devo sembrare un bambino di prima elementare.

"Perchè non te ne vai?"

Un attimo di silenzio.

"No, finchè non mi avrai parlato."

"Non ho niente da dirti."

"Non mi sembra. Sei strano e si vede" e mi appoggia una mano sul petto, appena sopra le mie braccia incrociate.

Mi tocca in continuazione.

Dovrei esserne contento, e invece mi fa male.

Mi sollevo bruscamente, togliendogli la mano, e mi metto seduto: riesco a malapena a guardarlo negli occhi

"John... Sono un attimo fuori di me e vorrei riflettere".

Dal modo in cui mi guarda, potrei sospettare che sappia qual è il punto. Patetico. Patetico!

Ma non mi chiede altro, si fa solo più vicino, io indietreggio con le spalle, lui si sporge verso di me prendendomi il viso tra le mani e bloccandomi la respirazione.

"No.. no... no" riesco a sussurrare mentre mi bacia in un modo che non ammette repliche, mi scivola addosso, mi costringe a risdraiarmi e ora è su di me con tutto il suo peso, tutto il suo calore, e spinge la lingua dal sapore dolce nella mia bocca come se volesse togliermi l'ultimo filo d'aria, mi tiene per il collo con una mano e con l'altra mi accarezza il fianco, la gamba, mi agguanta la coscia e mi costringe a far aderire il mio bacino al suo... Dio, sto per smettere di respirare davvero, la contrazione sotto lo sterno mi fa gemere, il calore che si irradia dal mio inguine mi avvolge e si fonde con quello di John, che mi ha completamente in suo potere come mai nessuno ha potuto.

E lo sa.

"No, no ... John"

"Dovresti resistere con un po' più di convinzione..."

"Queste sono molestie..." sussurro mentre mi morde le labbra.

"Denunciami..."  

 

Dopo qualche minuto finalmente resto immobile e silenzioso: mi sento prosciugato, vuoto, un involucro inutile e leggero. Non sento più niente, ho la faccia bagnata e il cuore stranamente calmo, liberato.

John mi tiene ancora stretto senza allentare la presa.

"Io..." esordisco provato "non sono io questo... Mi dispiace..."

"Sei anche questo" mi risponde subito lui, la sua voce mi accarezza l'orecchio destro "o lo sarai, è inevitabile."

"No, se tu mi lasci stare.... Questo... Questo mi distrae, mi confonde..."

"Questo evidentemente è quello che vogliamo, non credi?"

"Io si, che dio mi aiuti" sospiro con voce malferma.

“Io, anche.” mormora lui.

Il suo fiato è come una carezza calda.

E io dovrei sentirmi felice.

Invece è come se tutta lo sconforto del mondo mi stesse gravando sullo sterno.

Il panico arriva di botto, come ogni volta.

Un buco nero che mi inghiotte intero, perché… perché le mie dita si stringono attorno alle sue braccia sempre più inconsistenti, cercano la presa e la trovano sempre meno, e il suo sussurro si allontana insieme al suo calore, e il freddo ritorna attraverso l’immagine ora sempre più confusa, rarefatta, che diventa un miscuglio di forme e colori senza significato.

 

E poi John è andato.

Adesso come mesi fa.

 

Come ogni mattina quando apro gli occhi.

Come mi succederà ogni mattina per tutte quelle a venire.


 
  
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