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Autore: elyxyz    29/07/2008    20 recensioni
Scritta per partecipare al Contest ‘Pets’ su WA, che poi è stato annullato.
NB: rating giallo per linguaggio colorito.
Questa storia è assolutamente, incredibilmente autobiografica e vera dall'inizio alla fine.
I canarini bastardi dentro esistono. Rari, ma esistono. Io ce l'avevo.
Genere: Comico, Introspettivo, Satirico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Volatiles Memoriae

Ho scritto questa storia con la precisa intenzione di vincere un concorso. Scrivere Original non è il mio campo, ed è per questo che ci ho lavorato sopra un sacco, con impegno e devozione. Ne è uscito qualcosa di cui sono orgogliosa.
Purtroppo, dopo che l’avevo postata, tutte le altre partecipanti si sono ritirate e il contest è stato annullato, con mio sommo dispiacere.
La fic ha ottenuto comunque una valutazione dai giudici, che potrete leggere alla fine.
Il suo punteggio alto non mi fa togliere dalla testa che avrei potuto vincere, ma pazienza. Dopo tutta questa faticaccia… Mi considero comunque la vincitrice morale! XD


<>O<>O<>O<>



"Quanto più ci innalziamo, tanto più piccoli sembriamo a quelli che non possono volare."

Friedrich Wilhelm Nietzsche



*****



Volatiles Memoriae


- Autobiografia scandalo di un pennuto bastardo dentro -

 


Alla memoria di quel figlio di buona canarina.




Sono un canarinO. Con la ‘O’, precisiamolo - perché sembra che, sin dalla mia nascita, la gente abbia avuto dubbi sulla mia identità sessuale. Cose pazzesche.
Quella idiota della mia padrona, quando mi acquistò all’Agrizoo - un negozio d’animali di infimo livello - aveva espressamente richiesto una femmina, perché voleva accudire un volatile che, possibilmente, non la disturbasse cantando. E invece ha pigliato me.
A discolpa di tutto ciò, c’è da dire che il commesso aveva chiarito che - a quel tempo - era troppo presto per essere sicuri sul sesso dei pulcini. Perché sì, eravamo praticamente appena usciti dalle uova. E lei già mi voleva separare dalla mia covata.
Conservo un ricordo nostalgico, e allo stesso tempo ingrato, della grande uccelliera dove me ne stavo appollaiato con i miei fratelli, prima che venissero a rompermi le palle.
Era spaziosa, rettangolare, con le sbarre che correvano verticalmente lungo tutti i quattro lati, fino al soffitto. Sulla base c’era un mucchietto di sabbietta, discretamente insozzata dai nostri escrementi semiliquidi - la dieta di un uccellino neonato porta cronicamente alla diarrea - e noi non facevamo eccezione.
Sul lato nord della nostra gabbia-casa, spuntavano gli abbeveratoi, su quello est le mangiatoie. Punto. Niente dondoli, niente specchietti per sollazzarsi o sviluppare un’intelligenza inesistente (mica siamo cocoriti), niente vaschetta per il bagnetto. Avevamo tutti le pulci, e quell’acqua promiscua non avrebbe favorito di certo la nostra igiene.
Non che ci fosse poi molto da lavare: eravamo ancora rivestiti del primo piumaggio, quello tutto arruffato, le ‘false piume’ le chiamano i profani. Ma che cazzo vuoi che ci sia di falso?!
Mah. Andiamo avanti...
La sera dormivamo uno di fianco all’altro, stretti sul trespolo. Non c’era mai un attimo di silenzio completo, un attimo di pace.
Però è la stessa cosa che capita in tutte le famiglie numerose, no?
E poi, malgrado gli ovvi disagi, non si correva mai il rischio di soffrire di solitudine - sai che guadagno! - o di avere un attimo di privacy: non è questione di pudicizia (sotto ai piumaggi, sappiamo tutti come siamo fatti) ma uno vorrebbe dedicarsi alla pulizia del proprio aspetto in santa pace, tipo lisciarsi le penne o pulirsi il becco, e invece... toh, c’è sempre qualcuno che ti fissa o spia ciò che fai. Dannazione.
Se non altro, non eravamo situati al centro della bottega.
La voliera era addossata sul retro del negozio, seminascosta tra vasi di terracotta e sacchi di concime organico e sintetico.
L’unica cosa che non mancava, in quello stanzone, era il caos. Stridii, pigolii e gorgheggi, un casino pazzesco.
E poi c’era l’odore del cibo con cui ci sfamavano, sì. Ma, affianco al nostro - comuni mortali volatili granivori - nei sacchi semiaperti, spuntava anche quello dei cani e dei gatti: crocchette e biscottini e chissà che altro ancora, e ne fuoriusciva un tanfo indescrivibile, un olezzo che ti faceva passar la fame. Forse era anche per quello che evacuavamo semiliquido, perché - se non vomitavamo dallo schifo - da qualche parte doveva pur uscire, no?
Per fortuna che i cuccioli pelosi e bavosi se ne stavano in vetrina, il mio giovane cuoricino non avrebbe gradito particolarmente un rendez-vous con un cugino povero di gatto Silvestro.
E inoltre c’erano le riproduzioni malcresciute di Bugs Bunny: i coniglietti nani, a pelo folto o corto, che ci facevano compagnia, perché confinavano territorialmente con noi - la loro gabbia era più piccola, più stretta ma più lunga della nostra.
Stavano tutto il santo giorno a rosicchiare carote ed erba. Poi muovevano il naso in modo buffo, sollevando i sottili baffi bianchi. Quegli occhietti rossi facevano un po’ impressione, a dirla tutta, però alla fine uno s’abituava...
Non che io fossi un ottimo osservatore, ma - oltre a passare le giornate saltellando da un trespolo all’altro - uno doveva pur ingegnarsi qualcosa per far trascorrere il tempo... e cosa c’era di meglio se non sbirciare e curiosare sulla vita dei vicini?
E se fa molto zitella impicciona... non me ne frega un bel niente. Io sono un maschio. MA-SCHIO. Capito?
Il negozio vantava anche un numero imprecisato di esposizioni di pesci tropicali. Belli, sì, per carità! Però avete presente quanto sia fastidioso il mangime per i pesci? Quelle scagliette puzzolenti e dai colori inverosimili, la sbobba ipervitaminica e i gamberetti putrefatti ed essiccati, passati a miglior vita?
Ecco, bene. Se avete presenti quelli, siamo a cavallo.
Ma un canarino su un cavallo fa tanto brutta copia di Pippi Calzelunghe, e Dio ce ne scampi.
Ad ogni modo, fu così che traslocai, volente o nolente, e lasciai il nido natio.
Del mondo, non ho visto poi molto. Il bagagliaio di una Station Wagon, dentro ad una gabbietta che - per quanto pulita e tirata a lucido - era di seconda mano.
Arrivato in quella che, col tempo, avrei definito ‘casa’, decisero che il posto a me riservato durante il giorno fosse un terrazzino al terzo piano di un’abitazione condominiale, con vista sulla strada - una strada trafficata e caotica.
Di sera e di notte, mi avevano riservato un posticino in un cantuccio del salotto, subito sotto alla finestra, di fianco ad un enorme acquario, in cui però non potevo guardare, perché dal mio lato aveva i fianchi oscurati.
A questo punto della mia autobiografia (perdonate la maleducazione), sarebbe il caso che mi presentassi come si conviene. Ma anche il mio nome è una nota dolente, come vi avevo preannunciato all’inizio.
Quella debosciata, idiota, mentecatta... sì, insomma, la tizia che mi sfama, decise che avrei dovuto possedere un nome originale.
Io, se avessi avuto voce in capitolo, mi sarei accontentato di un Cipì, Giallino o Aquila Maestosa, giusto per non peccare di falsa modestia.
Però Titti no, per favore. Ho sempre odiato i palesamenti scontati, volgari e straabusati.
Tuttavia lei, poverina, non aveva ben chiaro che di lì a qualche settimana avrei tirato fuori gli attributi da sotto il piumaggio - le mie poderose corde vocali, che pensavate? Depravati!
E finì per chiamarmi Courteney Cox.
Certo, avete capito bene.
Courteney Cox, come quell’attricetta in voga a quel tempo, quella che recitava in Friends, la moretta carina... ma sì, dai che ve la ricordate tutti...
Chi non si sarebbe sognato di passare un quarto d’ora con lei? Mh?
Ma questa è un’altra storia...
La mia riprende da quel nome infamante che mi aveva affibbiato.
Tuttavia solo lei mi chiamava così, per intero. Per il resto del mondo ero ‘Cox’, o ‘l’uccello’.
La cosa pazzesca era che lei, incurante delle occhiate lanciatele a mezza strada tra lo sconcerto e il compatimento, si divertiva pure a presentarmi alle sue amiche e ai parenti che casualmente facevano visita alla famigliola che mi aveva adottato. Rapito, direi io.
Come altro definire quel ratto delle sabi- del canarino, separato dalla sua nidiata così prematuramente?
Mi offende persino il fatto che mi avessero pagato così poco. Mi avevano scambiato per una femmina; e le femmine, si sa, valgono meno del viril sesso.
Oh, non fraintendete. Io non sono un maschilista. E’ semplicemente un dato di fatto, no?
Sono meno intelligenti, hanno un piumaggio più scialbo, quasi sciatto. Non sanno spiaccicare due note in croce che siano due. Due di numero. E sono buone solo come fattrici. Bestie da riproduzione. Ecco cosa sono... perché mi definite sciovinista?
Non volete più che vada avanti? E pensare che ne avrei di cose da raccontare!
Se pensate che la vita di un canarino sia semplice e noiosa... vi sbagliate di grosso.
Intanto per cominciare, a furia di guardare oltre il pergolato, uno impara per forza le abitudini dei vicini. La tizia della casa di fronte esce ogni giorno alle 10.15, col suo carrellino appresso, e va a fare la spesa. Rientra sempre mezz’ora dopo, carica come un mulo.
Suo marito arriva verso mezzogiorno, e guai se non trova il pranzo pronto in tavola. Lo senti strillare fin qui. Porella.
Non hanno figli, che io sappia; ma forse è una fortuna, visto quel tizio com’è manesco.
A volte, mi verrebbe voglia di tirargli il collo come coi polli!
Quella che sta due case più in là, la pettegola del quartiere, esce di casa otto volte in un’ora, per controllare chi viene e chi va. Fa finta di sbattere il tappeto d’entrata contro la recinzione - ormai sarà tutto consumato, il tapino. Secondariamente, afferra una scopa che risale alla notte dei tempi e spazza i due metri quadri di cortile piastrellato che si ritrova davanti. Una, due, tre volte. Mattino, mezzodì e sera. Manco ci dovesse mangiare o dormire, lì sopra.
Poi, non contenta, annaffia i gerani anche se piove. Sì, giuro. Li bagna sette volte al giorno, persino sotto al diluvio universale. Generalmente lo fa quando s’avvicina l’ora del rientro di Mister Fagiolo. Io non so come si chiami realmente, ma è alto come un legume, e l’ho soprannominato così. Secondo me, c’è pure un intrallazzo tra loro.
Come faccio a saperlo?
E’ semplice. Nessuno nella via sopporta la Pettegola, eppure lui si ferma sempre a salutarla e a scambiarci due paroline. Io credo che lui nasconda dei problemi sotto al suo piumaggio, se fa il filo ad una racchia così. Per di più stagionata.
Scorrendo i numeri civici, arriviamo all’appartamento dove sta una simpatica signorina, che ha il bellissimo vizio di cambiarsi d’abito senza tirare le tende della sua camera che, guarda caso, sta esattamente in linea d’aria col mio trespolo più alto. Ma su di lei non posso fare pensieri sconci. Ha già il fidanzato. Un tipo muscoloso, con una grossa macchina sportiva. Forse non piace del tutto ai genitori di lei, perché passano serate intere ad amoreggiare contro il muro perimetrale della casa, anziché entrarci dentro.
Subito di seguito, abbiamo una famiglia con due bambini piccoli, che schiamazzano tutto il santo giorno in cortile. Peste & Corna, li chiamo io. Due angioletti (boccoletti biondi da cherubino compresi) bastardissimi e assatanati, che ne combinano di tutti i colori. Ti fanno venire voglia di strozzarli. Loro, e pure i genitori rimbambiti che si ritrovano. La genialata migliore l’hanno avuta quando hanno deciso che un cane sarebbe servito a rompere le palle a mezzo circondario e hanno acquistato un botolo rognoso, rognoso-rognoso, che abbaia e ringhia ad ogni piè sospinto: per le vetture di passaggio, per la vecchina col bastone che arranca in salita, per i marmocchi che vanno o tornano da scuola, le moto, le bici, gli altri animali. E’ un cane deficiente. Endemicamente deficiente. Come altro definirlo?
C’è poi il gatto persiano dei coniugi del piano di sotto, che ogni tanto mi sbircia malevolo dal suo pergolato. Ma tanto non ce la farà mai ad arrivare fin quassù, pace all’anima sua (benché infima e infida).
Al quinto piano vive un cocorito, tuttavia ogni buon canarino sa che non deve mescolarsi con gli esseri inferiori, è questione di casta. D’altra parte, con quel suo gracchiare insistente... chi volete che lo prenda sul serio?
Mi ero dimenticato del canarino dei Martines, ma quello è così scemo che sta così in basso, ma così in basso, in un’ipotetica scala gerarchica da me stilata, che non nominarlo non è peccato. E’ legittimazione.
Forse dovrei portargli rispetto, perché è più anziano di me, ma non se lo merita proprio.
Quando sono arrivato qui, ha cercato di attaccar bottone con me, ma - nel momento in cui ha spalancato il becco - gli è uscita una valanga di ovvietà e stupidità che mi hanno fatto temere che fosse affetto da demenza senile acuta. In realtà, ho scoperto che non era molto più vecchio del sottoscritto, e quindi è deficienza congenita e irreversibile.
Si chiama Penny, e lo dico per dovere di cronaca, non per gentilezza.
E’ di color rosso-arancio, almeno in teoria. Per un certo periodo, i suoi padroni gli hanno messo il colorante nel mangime, come da prassi, e quindi il pennuto appariva come un’arancia sanguinella.
Poi hanno smesso, e si sta letteralmente sbiadendo come una maglietta troppo usata e lavata alla temperatura sbagliata. Fa pena, poverino. Sembra persino malaticcio.
Madre Natura non è stata molto generosa con lui: è tonto e pure brutto. E io gli sto lontano.
So che non ha una malattia infettiva, ma è più forte di me.
E’ un canarino idiota. Stop. Ti sa irritare non appena spiaccica due parole. Indi per cui, è meglio non dargli confidenza. Io ho deciso di ignorarlo. Sì, lo ignoro e così la smette di cercarmi, il tardone.
Ahimè, a volte mi sento incompreso. Sono circondato da esseri inferiori.
Ci fosse mai qualche bella canarina disponibile con cui divertirsi un po’!
Del buon, sano sesso. Ecco cosa mi manca.
Oppure qualcuno che abbia un quoziente intellettivo (non dico al mio livello, perché sarebbe pretendere troppo) quantomeno un filino superiore allo zero assoluto, con cui possa scambiare qualche cinguettio, fare un discorso sensato dall’inizio alla fine.
Non voglio mica perdermi in sofismi sull’Insostenibile leggerezza dell’essere, o riportare i pensieri di qualcun altro. Così parlò Zarathustra, ha detto la mia Padrona, l’altra sera, bestemmiando contro un certo Nietzsche: un filosofo, o qualcosa del genere. Non ho capito bene perché questo Nietzsche si fosse appropriato delle parole di Zarathustra. Lui non ne aveva di sue?
Ogni tanto, la scema che mi nutre blatera a vanvera, e mi tocca pure starla a sentire. Qualche giorno fa, parlava di una guerra tra pollai. Sì, continuava a nominare un certo Cesare, e il De Bello Gallico, senza sapere che, a me, i galli stanno pure sulle uova. Sì, rotte.
Per la miseria d’un semino!, esigo troppo?!
A volte, c’è qualche passerotto che viene ad elemosinare qualche beccata del cibo che io avanzo. Ed, essendo il sottoscritto un essere oltremodo generoso, (in cambio di qualche novità) gli permetto di sfamarsi con i miei rimasugli, benché un po’ vecchiotti. Quando si ha fame, non si dovrebbe fare gli schizzinosi, giusto?
In tutta sincerità, il cibo qui non manca.
La Carciofa Occhialu- la mia Padrona... mi sfama con diverse leccornie.
L’acqua fresca e pulita ogni giorno, il mangime sostituito regolarmente. Non fosse altro perché glielo lancio addosso, quando non mi piace più. Davvero, non è mica difficile. Col becco sputi fuori dalla mangiatoia i semini e, quando lei se li ritrova per terra, capisce che è il momento di rinnovare il pasto principale.
Riempie il contenitore e poi mi dice: “Courteney Cox! Avanti, Courteney. Muoviti, vieni a mangiare!” manco fossi un cane da riporto.
M’avesse dato un nome decente, almeno. Courteney Cox è lungo, ha una sua musicalità, lo ammetto; però... sa di femmina.
Il mio sogno segreto (e irraggiungibile, a questo punto, almeno fino alla prossima reincarnazione) è sempre stato possedere un appellativo altisonante, un po’ come quello dei cavalli di razza, che ci metti mezz’ora a leggerlo tutto. Ovviamente non starò qua a citarvene uno vero, però immaginatevelo.
Tipo: Wellcott Minst Firewall. Oppure... Winster Applehyte Ashton Wipple Terzo.
Fanno una bella figura, eh?
Sì, lo so. Io ho sempre ragione.
Certo è che, a volte, è proprio difficile educare i proprio padroni.
La mia, per esempio, si ostinava a volere che le rispondessi, quando mi fischiava contro suoni incomprensibili, vagamente troppo acuti.
Ma dico io! Sai che un neonato non ti comprende se gli parli, però pretendi che un canarino ti risponda?!
Generalmente, intanto che lei mi sorride ebete, io cinguetto beato ricoprendola bellamente di insulti. Tanto lei non capisce una mazza, e in più la accontento.
Ma a volte lo faccio. Le rispondo.
Rispondo ai suoi fischi per spirito di pietà.
“Mi ribatte!” starnazza lei, piena di un infantile entusiasmo. Che altro dovevo fare?
Di regola, succede quando mi mette di buonumore variando la mia dieta.
Da quando ha capito che mi piacciono le fette biscottate - meglio se quelle integrali - me ne mette una ogni giorno tra le sbarre e la fissa con una molletta da bucato.
Di solito, mi piace rosicchiarla partendo dal centro, fino a formare un cerchio completo con la parte più secca di contorno. Giotto a me fa un baffo, modestamente.
Ammetto però che non mi è venuto perfetto al primo colpo. Ma neanche a lui.
E così mi sono esercitato, talvolta rompendo la crosta; e così la fetta cadeva sulla sabbietta, diventando inutilizzabile. In quei casi mi arrabbiavo, bestemmiando in tutte le lingue che conosco.
Di tanto in tanto, se ne accorgeva persino lei, e rideva di questo fatto. E’ fortunata a non capire cosa dicevo, o sarebbe rimasta traumatizzata a vita.
La cosa buona era che, vedendomi un tantino alterato, lei correva a metterne una nuova. E il gioco ricominciava. Finché non ho raggiunto la perfezione assoluta.
Ad un bel mentre, sua sorella decise di farmi assaggiare una fetta biscottata con la marmellata di fragole. Non l’avesse mai fatto!
E’ stato amore. Amore alla prima papilla gustativa del mio becco sopraffino.
Da quel giorno, rompevo meticolosamente tutto il pane tostato che non avesse sopra un abbondante strato di delizia rossa. Fui chiaro e perentorio. E loro intuirono in fretta i miei gusti.
Forse li aiutava anche il fatto che mangiassi solo le parti con la confettura e lasciassi sistematicamente da parte il resto. Ma non sempre ci capivamo.
Una volta, feci saltare delle gocce di fragola sulle tende bianche del salotto per chiederne di più, come forma di protesta perché mi sembrava fossero stati troppo taccagni nella farcitura.
Non fu una grande idea. S’incazzarono come iene e mi tolsero la mia marmellata.
E intanto arrivò la stagione dell’erba, come amo definirla: foglie di radicchio e insalatina fresca ogni giorno, ma... Perché c’è sempre un ‘ma’.
Da quanto ho capito, il pennuto - che la mia Padrona ha accudito prima di me - era stato addestrato a mangiare l’insalata direttamente dalla sua mano.
Ok, però a me già gira male che lei entri nella mia gabbietta - in casa mia! - senza permesso, se poi le lasciamo anche decidere quando devo mangiare, beh... dove finiremo?
Così mi sono opposto. Ci ha provato diverse volte, restando per un tempo indefinito - e infinito - con le dita a una spanna da me, stuzzicandomi con l’erbetta davanti al becco.
Ma io niente. Duro e cocciuto, ho rifiutato e aspettato.
E alla fine ho sempre vinto. Lei si arrendeva prima di me, borbottava qualcosa del tipo: “Bastardo ingrato” e poi chiudeva la porticina e appendeva il cibo alla mia portata.
Solo una volta è stata una vera, infame carogna, e non esagero.
Avevamo dato vita alla nostra solita schermaglia, e come sempre stavo vincendo io, anche se avevo parecchia fame quella volta, e una punta d’ingordigia, lo ammetto.
Eppure ho la mia integrità, io. Un orgoglio a cui sottostare. ‘Fanculo anche l’insalata.
... anche perché... sapevo che me l’avrebbe consegnata di lì a poco...
E invece lei ha sfoderato un ghignetto strafottente, proferendo un: “Stavolta vinco io.” E ha buttato il radicchio nell’immondizia.
Lì non c’ho più visto. Mi sono aizzato come una bestia, gonfiando penne, piume e spalancando le ali e fischiando la mia indignazione. Sembravo un’aquila.
Credo di averla seriamente spaventata, anche se il termine più corretto è scioccata, forse perché non era mai stata abituata ad assistere ad uno dei miei eccessi d’ira.
D’altra parte, per mia natura sono un essere moderato e pacifista. Capita raramente che io perda le staffe.
Tranne quando mi si contraddice, chiaro. O quando vedo i ragazzacci screanzati dei vicini, certo. O il loro cane idiota. Ovvio. Oppure se sento Penny-il-tordo (senza offesa per i tordi, niente di personale) cercare di infastidirmi, però quella è una reazione dovuta.
Per il resto, sono un canarino esemplare, perché vorrei far notare che le mie incongruenze caratteriali posseggono ugualmente una certa linearità.
Io resto fedele a me stesso. Ed è l’unica cosa che conta, che m’interessi.
E lei non sapeva che rara fortuna avesse a possedere me. Poco, ma sicuro.
Anche se, ripeto, non è stato tutto sempre idilliaco.
Il servizio di pulizie, ad esempio, lascia un po’ a desiderare. Eppure non si può pretendere tutto dalla vita.
Qualche mese dopo avermi acquistato, con l’arrivo dell’estate, dell’afa e del caldo, l’Occhialuta Talpona decise che meritavo di rinfrescarmi anch’io.
Il fatto che mi fossi mezzo annegato nell’abbeveratoio, cercando di lavarmi la testa, forse l’aveva fatta giungere all’illuminazione. Eureka.
E così, mi si presentò con una vaschetta di plastica per fare il bagnetto.
Devo riconoscere che, almeno, ha avuto il buonsenso di sceglierne una col colore che fosse in tinta con il resto della gabbietta. D’altronde, anche l’occhio vuole la sua parte, no?
Ed era di un bel marrone castagna, tendente alla gradazione dello sterco secco di vacca. Un bijou.
Ovviamente senza tendine o vetrata oscurata, quindi avrei dovuto mettere i gioielli di famiglia in bella mostra. Alla faccia della privacy.
Credo lei abbia frainteso il mio malcontento, il che - lo ammetto - è dovuto anche al fatto che il sottoscritto è parecchio restio alle novità. Lo sono sempre stato, e sempre lo sarò.
D’altra parte... le penne sono mie, e me le gestisco io!
Fatto sta che, un bel mattino, quando mi sono svegliato, mi sono ritrovato tutto l’ambaradan già bello che montato: il catafalco-vaschetta che se ne stava dove, fino alla sera prima, si trovava l’entrata di casa mia. Senza contare che, dato il suo peso, tutta la gabbietta pendeva dalla sua parte. In pratica, aveva sconvolto il mio personale asse terrestre.
La cosa più idiota che poteva fare, però, l’aveva fatta dopo.
Aveva messo una foglia di insalata dentro l’acqua, perché nella sua mente perversa (e limitata, senza dubbio), questo sarebbe servito ad invogliarmi ad entrare in quel territorio sconosciuto.
Evidentemente, ha fatto male i suoi conti.
Anzitutto, lo sanno anche le formiche nane del Terzomondòkistan che non si mangia mai la verdura a colazione, sennò poi scoreggi flatulenze pestilenziali per mezza giornata.
E lei viene ad offrirmela adesso, che non sono neanche le otto?!
Alla mattina fanno bene i cereali, che ti regolano l’intestino. E’ cosa universalmente riconosciuta. Perché non guarda mai la pubblicità intelligente? Ho qui un elenco pronto di marche e sottomarche, che ti promettono la felicità eterna a colpi di cucchiaio, manco vincessi un terno al Lotto o un viaggio alle Canarie, anziché andare semplicemente di corpo.
Ma ritorniamo alla prima, memorabile balneazione, e a me, che me ne stavo lì a realizzare quanto fosse cretina.
Al di là della mancanza di buongusto nel mettere del cibo nella vasca... E’ scema. Lo sanno tutti che fare il bagno dopo mangiato fa male!
E che? Mi vuole ammazzare tra atroci dolori?! Quella vipera!
Forse ha anche manie di voyeurismo, perché sarà venuta cento volte a controllare se mi ero finalmente deciso. Ovviamente le sue speranze sono state disilluse.
Colta da disperazione, aveva anche tolto la verdura, per vedere se la cosa andava a buon fine.
Io ho aspettato che lei se ne andasse a pranzo e poi ho immerso le zampe nell’acqua. Tiepidina, grazie ai raggi del sole. Non era certo la temperatura ideale, ma poteva anche andare.
Quando è tornata a spiarmi, mi stavo già scrollando le gocce di dosso, inzaccherando i suoi panni stesi di fianco a me. Avevo schizzato acqua dappertutto, non c’era modo che fraintendesse: avevo usato la vaschetta e mi ero anche divertito parecchio (più a sporcare ovunque che a lavarmi, ma questo resti tra noi).
E così, una volta a settimana - generalmente il sabato - lei mi permetteva di darmi una rinfrescatina che facilitasse la mia toilette, poi io passavo il resto del tempo a lisciarmi le penne col becco.
Modestamente, ero un gran bel canarino giallo. Giallo dorato, bello grosso, più robusto e massiccio della media. Ero il ritratto della salute. Almeno finché non successe un grave incidente.
A ben vedere, potrei anche farle causa. Signorsì.
Dovete sapere che, lo scorso autunno, quell’imbranata mi ha lasciato tutta la notte fuori all’aperto. Si è dimenticata di tirarmi dentro.
Mi sono preso un raffreddore pazzesco, credevo di morire!
A questo punto, dovreste sapere che io sono ateo. Però, mosso a disperazione, ho pregato Il Grande Uccello, affinché mi guarisse.
E, se siete qui a seguirmi, è perché effettivamente alla fine sono guarito. Tuttavia... forse la mia miscredenza non gli è garbata parecchio. E mi è rimasto un fastidioso problema. Un problema... imbarazzante.
Da allora, di notte, russo.
Sì, avete capito bene. Io russo.
E non parlo di un ronfare soffuso, mimetizzabile coi rumori di casa. No, no. Quando dormo, faccio da contraltare a suo padre, che è un vero trombone. E’ l’unico della famiglia che mi sta simpatico, forse perché condivide con me questa sorte ingrata.
Russo così forte che, se stanno guardando un programma alla televisione, devono alzare il volume perché altrimenti non sentono niente. Ma mica è colpa mia!
Sono un povero uccello incompreso. Ecco.
Incompreso e sfruttato.
Però questo mi fa ricordare un’altra cosa... Quella che avete tra le mani è l’anteprima del primo capitolo della mia autobiografia. Se volete sapere come prosegue... dovrete pagare!
Correte in libreria a prenotare la vostra copia. Sarà un bestseller assicurato.
Sinceramente Vostro (ma solo metaforicamente), Courteney Cox.


Fine

 

 

Disclaimer: Trama, personaggi, luoghi e tutti gli elementi che questa storia contiene, sono una mia creazione e appartengono solo a me.
Ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti è da ritenersi casuale e privo di alcuno scopo di lucro.


Credits: La citazione del libro ‘L’insostenibile leggerezza dell'essere’ non mi appartiene, è di M. Kundera e degli aventi diritto.
Idem per il libro ‘Così parlò Zarathustra’ e la frase d’introduzione del filosofo tedesco F. Nietzsche.
E anche per ‘Pippi Calzelunghe’, sia il libro (scritto da A. Lindgren) che la successiva serie televisiva.
Il ‘De Bello Gallico’ è di Cesare. (E, benché non credo egli possa pretendere i diritti d’autore, io non me ne approprio).
‘Eureka’ è un’esclamazione attribuita allo scienziato siracusano Archimede.
I personaggi Bugs Bunny, Gatto Silvestro e Titti non sono anch’essi miei; sono dei rispettivi proprietari e aventi diritto. Lo stesso vale anche per il telefilm ‘Friends’.
L’attrice Courteney Cox e il Maestro Giotto appartengono a se stessi, è quasi superfluo da specificare. E il mio scritto NON è sfruttamento d’immagine.


Note dell'Autore: Il titolo della fic, preso dal latino, ha una doppia valenza: Memorie, Racconti Volatili (inteso in senso effimero), oppure Memorie, Racconti di Uccelli.
Il piccolo di canarino è comunemente definito ‘pulcino’ dagli allevatori, benché non sia propriamente corretto.
L’Ambaradan è un termine spiritoso, che sta a definire una grande confusione di elementi posti fuori ordine, per creare sconvolgimento.

 

 

 

 

 

- Partecipante al Contest Original Pets indetto da Writers Arena –

 

 

Mi sembra giusto riportare il giudizio ricevuto dai giudici:

 

Punteggio: 8,6
Giudizio: La storia è l’autobiografia del canarino Courteney Cox, ironica e pungente, che sottolinea il modo spesso superficiale e giocoso con il quale trattiamo i nostri animali domestici, che non è detto che venga sempre apprezzato.
I commenti sarcastici del protagonista scandiscono tutta la narrazione e mi hanno fatto sorridere più di una volta; ogni tanto però si ha l’impressione che siano un tantino forzati.
E’ molto ben strutturata sia da un posto di vista sintattico che grammaticale e l’autrice ha saputo sviluppare la traccia in modo adeguato, seppur umanizzando alquanto il punto di vista dell’animale.
Si nota la cura usata sia per i dettagli, sia per la rifinitura generale riservata al testo, che contribuisce a rendere solida quella che senza dubbio è un’ottima storia.


Un ringraziamento alla Giuria: Fantafree, Miss Balalaika.

 

E un abbraccio a quanti mi hanno su/opportata XD sia mentre la scrivevo, sia dopo, per la cocente delusione.

Grazie a Flà, Arianna, Andrea e Anna.

 

 

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Molti dei lettori di EFP sono al momento in vacanza. (Buon per loro! XD) Ed è per questo che prego sentitamente chi è rimasto, e sta leggendo, di sopperire alla diminuzione estiva di recensioni.
I writers non vanno in ferie, e continueranno a regalarvi momenti piacevoli nella canicola, se le loro storie rimarranno supportate dai commenti.

 

 

Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit:

 

Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro recensioni.

Farai felice milioni di scrittori.

(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede)


Come sempre, sono graditi commenti, consigli e critiche.


Grazie (_ _)

elyxyz

 

   
 
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