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Autore: Alley    18/05/2014    7 recensioni
“Tu, ehm…Ti serve qualcosa?”
Steve distoglie lo sguardo e Sharon nota che si sta torcendo nervosamente le dita. Lei non sarà una donnicciola svenevole, ma quella situazione le ricorda sempre più da vicino la scena di una di quelle ridicole commedie romantiche traboccanti di stereotipi che piacciono tanto a sua madre.
Quello dei vicini di casa che si innamorano, in effetti, è il più trito e ritrito dei clichè.

[per Alkimia]
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sharon Carter, Steve Rogers
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ad Alki, perchè le voglio bene e perchè voleva un po'di Steve/Sharon





Sharon si reputa un’agente irreprensibile dal punto di vista disciplinare. Ha ancora molto da imparare per quanto concerne il lavoro sul campo ma, in quanto a rigore, sa di non aver nulla da rimproverarsi; è attenta e ligia al dovere, puntuale ed estremamente riguardosa – tratta con rispetto persino gli agenti di livello uno (e che un agente di livello cinque non si beffi dei novellini è fantascientifico, almeno secondo l’agente Barton) -, è efficiente e precisa. Non ha mai trasgredito le regole né agito in maniera sconsiderata.
Per questo, non si spiega il motivo per cui Fury l’ha convocata nel suo ufficio. Si vocifera che gli agenti usciti vivi dallo studio del direttore si contino sulla punta delle dita – di una sola mano, naturalmente – e che nessuno di essi fosse del tutto illeso. Sharon non ha mai dato credito alle dicerie ma, in quel momento, con l’unico occhio buono dell’uomo puntato addosso, non riesce a non provare qualcosa di ben più disagevole della semplice soggezione.
Ha appena cominciato a domandarsi se sia meglio proclamare la propria innocenza o far subito appello all’indulgenza del direttore quando lui tira fuori un fascicolo da uno dei cassetti della sua scrivania.
“Ho un incarico per lei, agente Carter” dice, porgendoglielo.
 
*
 
Sharon fatica a credere che in un condominio così ordinario risieda Capitan America e fatica altrettanto a credere d’esser stata designata per quella mansione. Di sicuro Steve Rogers non necessita di una balia e lei, francamente, non vede l’utilità che un vigilante potrebbe avere. A che scopo tenerlo d’occhio? Se lì c’è qualcuno che nasconde qualcosa, non è di certo Rogers.
Naturalmente ha tenuto per sé questa e le altre perplessità destatele dalla faccenda. Gli agenti non sono fatti per contestare gli ordini né tanto meno per comprenderli; eseguirli è il loro dovere e Sharon ha intenzione di continuare ad adempiervi, come ha sempre fatto.
Quando si china e afferra la prima delle pesanti scatole da trascinare nel suo nuovo appartamento – se proprio ci teneva a farle fare da custode a Rogers, Fury poteva almeno contattare una ditta traslochi per agevolarle il lavoro – una voce cordiale risuona alle sue spalle.
“Posso darle una mano?”
Sharon non ha bisogno di guardarlo in viso per capire di chi si tratti.
 
*
 
L’appartamento sa di nuovo e di chiuso, come tutti gli alloggi disabitati. Non è del tutto spoglio, c’è la parte essenziale del mobilio e ci sono delle tende a coprire l’unica finestra del salotto sito oltre l’ingresso. È lì che sistemano borse e scatoloni. Non si dicono molto mentre li trasportano, solo qualche parola di circostanza atta a riempire il silenzio che aleggia tra gli estranei. 
“Grazie mille.”
Rogers poggia sul pavimento l’ultimo scatolone e le rivolge un sorriso affabile. “Di niente…”
“Kate” dice, e si sorprende di quanto le risulti facile mentire. Non può di certo dire d’essere assuefatta alle bugie – ha lavorato sotto copertura soltanto un paio di volte, precedentemente, ed è passato qualche anno dall’ultima -, eppure attribuirsi un’identità che non le appartiene non richiede alcuno sforzo particolare.  
Sharon gli sorride a sua volta e gli tende la mano.
“Piacere di conoscerti, Kate” risponde lui, stringendola “Io sono Steve.”
Senza dubbio Rogers è il primo a sapere che non occorrono presentazioni – il volto di Capitan America campeggia sulle pagine di quotidiani e libri di storia da tempo immemore, ormai –, e Sharon si chiede se le faccia per educazione o per assecondare l’esigenza di normalità che accompagna chi vive sotto i riflettori.
“Piacere mio, Steve.”
“Se hai bisogno di qualcosa non esitare a chiedere.”
Probabilmente, entrambe le cose.
 
*
 
Sharon bussa e subito un rumore di passi si spande oltre la porta. Pochi istanti dopo Rogers la spalanca e saluta con la stessa gentilezza dimostrata il giorno precedente.
“Ciao, Kate.”
Sharon non riesce a fare a meno di pensare che ogni fibra di Steve Rogers irradi cortesia e la considerazione la fa sorridere. Stando al cipiglio curioso che compare sul volto dell’altro la cosa non dev’essergli sfuggita.
Brava Sharon. Fai la figura della vicina cretina – o ancor peggio invaghita – fin dal primo giorno.
“Ciao” gli risponde, ansiosa di lasciarsi alle spalle la gaffe commessa “Da brava new entry non ho idea di quali siano i giorni in cui buttare l’immondizia. Potresti illuminarmi, per favore?”
“Certo.”
Rogers libera la soglia e indietreggia di un paio di passi “Entra pure. Ho una copia del regolamento di condominio da qualche parte. Posso prestartela.”
Sharon reputava piuttosto banale la scusa dei giorni della differenziata e l’aveva scelta soltanto per cominciare a familiarizzare; non credeva che le avrebbe dato l’opportunità di entrare in casa sua, ma ora che ci pensa non è poi così sorprendente che Steve Rogers conservi gelosamente una copia del regolamento di condominio e che si offra di darla alla nuova arrivata è addirittura scontato. Probabilmente custodisce con altrettanta premura gli scontrini di tutto ciò che ha acquistato da quando si è risvegliato e non è escluso che faccia lo stesso con i volantini delle offerte del supermercato sotto casa. A Sharon ha dato l’impressione di essere una persona straordinariamente meticolosa e metodica – dal modo in cui allineava i bordi degli scatoloni una volta ammassatili e da tanti piccoli dettagli di quel tipo che gli agenti sono allenati a cogliere – e l’interno del suo appartamento, a questo proposito, rappresenta una conferma fin troppo eloquente; regna un ordine impeccabile, eppure l’abitazione non è asettica e impersonale, anzi, è calda ed accogliente come soltanto le case vissute sanno essere. Sarà per i quadri appesi alle pareti o per i dischi in vinile ammucchiati accanto ad una radio risalente ad un’epoca lontana un’eternità – lontana per te, Sharon -, ma sta di fatto che l’ambiente ha un’impronta molto peculiare, seppur discreta, e la fa sentire a proprio agio. 
“Aspettami qui, torno subito.”
Rogers si defila e Sharon ne approfitta per guardarsi intorno. Non si aspetta di scoprire o trovare chissà cosa, in realtà, ma dovrà pur dare un senso a quella missione che continua a sembrarle senza scopo. Si avvicina alle pareti e passa in rassegna i quadri esposti; alcuni raffigurano paesaggi, altri persone di cui non conosce i volti. Le copertine dei cd riportano nomi e titoli sbiaditi dal tempo, contengo le note di una musica che da secoli ha cessato di suonare. Le tracce del passato da cui il Capitano proviene spiccano come luci nella notte ed è solo in quel momento, quando le vede con i propri occhi, che Sharon viene investita dalla consapevolezza di farne in qualche modo parte. È con questo pensiero che si dirige verso il tavolino posizionato sotto la finestra. Pare sia stato messo lì affinché la luce del sole potesse colpirlo. È ricoperto da un mucchio di fogli; su alcuni sono incisi dei semplici scarabocchi, altri riportano segni più articolati e definiti, probabilmente bozze destinate ad esser sviluppate. Sharon scosta i primi e sulle pagine sottostanti scopre disegni splendidi; si tratta principalmente di ritratti ed è impressionante la precisione con cui i tratti dei volti sono incisi, è incredibile l’espressività che anima quei visi. Li sfoglia, ammirando la bellezza e la minuzia di particolari che rende quelle facce tanto autentiche, e quando si ritrova davanti due occhi grandi e scuri e un paio di labbra carnose, incorniciati da boccoli di cui la matita sembra aver colto la morbidezza, non fa fatica ad identificare la donna a cui appartengono.
Nonna
“Eccolo.”
La voce del Capitano la fa sobbalzare e le fa scivolare il disegno dalle dita. Rogers la osserva dalla soglia e se la sua indiscrezione l’ha irritato non lo da a vedere; il suo sguardo è sereno e disteso e riesce a farla vergognare più di un’accusa.
“Scusami” farfuglia, allontanandosi dal tavolino “Io…”
“Non importa” la rassicura lui, avanzando “Puoi guardarli se vuoi. Sono solo disegni.”
Solo non è la parola giusta. Sono bellissimi.”
“Grazie.”
Il Capitano lancia un'occhiata veloce al tavolino. Un'ombra di tenerezza mista a malinconia gli ammanta lo sguardo quando incontra il volto ritratto che giace in cima alla pila; Sharon si domanda se settant'anni prima l'abbia guardato allo stesso modo, prima di perderlo.
“Tieni, questo è il regolamento.”
Sharon afferra il foglio portole e lo ringrazia.
“Oggi è il giorno del vetro.”
“Come?” domanda, aggrottando la fronte.
“I giorni della differenziata. Il Giovedì si butta il vetro.”
“Oh, giusto.”
 
*
 
I traslochi comportano incombenze a cui Sharon preferirebbe non dover far fronte – un altro buon motivo per maledire Fury e la brillante idea di nominarla tata di Capitan America. Ha passato l’intera giornata a compilare documenti e firmare scartoffie e quando è andata dall’amministratrice per consegnarle il tutto la donna l’ha ammonita dicendole che la documentazione era incompleta. Quando ha aggiunto che quello stesso pomeriggio sarebbe passata a ritirare il materiale mancante l’ha fatto con un tono minatorio che a Sharon ha ricordato terribilmente quello del suo primo supervisore, un uomo severo e arcigno che non ha mai digerito.  
Quello è stato il momento in cui ha deciso che spedirla in Uganda da sola per una missione che non prevedesse piani d’estrazione sarebbe stato molto più misericordioso, da parte del direttore. Anche gettarla in una vasca piena di squali lo sarebbe stato.
La simpatica amministratrice bussa alle diciassette in punto, mentre Sharon è in bagno – naturalmente. Continua a picchiettare la porta con insistenza e Sharon deve sforzarsi per impedire agli improperi che le risuonano nella testa di venir fuori.
La ragazza non sa se sia il suo umore o il suo aspetto a versare nelle condizioni peggiori; indossa un paio di pantofole a forma di maialino e una tuta larga e sformata, ha i capelli raccolti in una crocchia disordinata e non ha un filo di trucco – considerate le occhiaie che ha incontrato specchiandosi ne avrebbe proprio bisogno. Il trasferimento ha risucchiato tutte le sue energie fisiche, quelle mentali le hanno prosciugate Fury e la donna che prosegue imperterrita a bussare.
“Un attimo!” grida, vinta dalla stizza, e s’avvia verso l’ingresso con falcate ampie e nervose. Ha sempre avuto un ottimo autocontrollo, ma quel picchiettare indefesso congiunto alla prospettiva di dover avere di nuovo a che fare con quella serpe riesce a farle saltare i nervi. “Non le viene in mente che se non vengo subito ad aprire potrebbe esserci un moti-”
L’espressione mortificata del Capitano le blocca le parole in gola.
“Steve!” esclama e complimenti Sharon, sei un genio “Perdonami, non credevo fossi tu.”
“Scusami tu, non avrei dovuto insistere.”
“No, figurati, non c’è nessun proble-”
Sharon si blocca di colpo, improvvisamente conscia delle proprie condizioni. Delle proprie pessime condizioni.
“Steve, mi dispiace, davvero. Non volevo essere scortese, pensavo fosse quella megera dell’amministratrice, invece sei tu e io ho un aspetto orribile e-”
Sharon, santiddio, smettila di straparlare e di comportarti come un’adolescente.
“Kate, tranquilla. Va tutto bene, davvero, e…”
Lo sguardo si abbassa a fare una panoramica della sua figura e Sharon prega che s’apra una voragine nel pavimento e la inghiotta seduta stante – o almeno prima che gli occhi di lui si posino sulle pantofole.
Purtroppo, non accade.
“…non hai un aspetto orribile. Anzi.”
C’è qualcosa di diverso nella voce del Capitano, una nota di genuinità che nulla ha a che vedere con l’apatia dei convenevoli. Sharon s’accorge con terrore del pizzicore che ha preso a solleticarle le guance.
Si rifiuta di credere d’essere arrossita davanti a Capitan America.
È impossibile. Assolutamente impossibile.
Lei è un’agente dello S.H.I.E.L.D., non una donnicciola svenevole.
“Tu, ehm…Ti serve qualcosa?”
Steve distoglie lo sguardo e Sharon nota che sti sta torcendo nervosamente le dita. Lei non sarà una donnicciola svenevole, ma quella situazione le ricorda sempre più da vicino la scena di una di quelle ridicole commedie romantiche traboccanti di stereotipi che piacciono tanto a sua madre.
Quello dei vicini di casa che si innamorano, in effetti, è il più trito e ritrito dei clichè.
Sharon, SMETTILA
“Sì, beh, volevo chiederti se per caso hai delle uova.”
Pistole e nemici armati fino ai denti non le sono mai apparsi così desiderabili.
 
*
 
Dopo una settimana Sharon torna alla base per la prima volta e fa rapporto all’agente Hill. Le sviscera una serie di informazioni assolutamente irrilevanti, relative alle abitudini e alla routine del Capitano. La donna l’ascolta senza interromperla e alla fine le rivolge una domanda che Sharon non comprende.
“Allora?”
Allora cosa?
“Gliel’ho detto. Il Capitano conduce una vita estremamente ordinaria. Non ho nulla di particolare da riferire.”
“Ti piace?”
Sharon sgrana gli occhi e Dio, da quando arrossisce così facilmente?
“Prego?” domanda, e la voce fuoriesce molto più strozzata di quanto avrebbe voluto.
“Che ne pensi di lui?”  
A Sharon continua a sfuggire l’utilità del quesito.
“È una persona molto a modo. È gentile, educato, carino e-”
Carino è decisamente blando come aggettivo, Sharon.”
Sharon sbatte le palpebre, perplessa. Non le è chiaro il motivo per cui il discorso è virato sulla prestanza del Capitano e non le è chiaro nemmeno il motivo per cui tutti i pezzi grossi dello S.H.I.E.L.D. stiano dando evidenti segni di squilibrio.
Molte cose non le sono chiare, in quel momento.
“Beh, insomma, è molto carino, è decisamente un bel ragazzo, probabilmente – sicuramente – il ragazzo più bello con cui abbia mai avuto a che fare, forse il ragazzo più bello sulla faccia della terra, ma non capisco cosa c’entri questo con...”
L’espressione della Hill è subdola e inspiegabilmente compiaciuta. A confronto, sostenere lo sguardo dell’unico occhio di Fury era una bazzecola.
“Possiamo concludere questa conversazione, per favore?”
La donna la congeda con un cenno.
 
*
 
Tutti hanno in casa oggetti con cui fronteggiare le temporanee assenze di corrente elettrica: torce, candele, fiammiferi…
Insomma, è un’evenienza estremamente comune, tutti sono attrezzati al fine di affrontarla.
Tutti. Tranne Sharon.
Incespica al buio da quasi un’ora – ad occhio e croce deve aver accumulato all’incirca cinque lividi e  un numero imprecisato di graffi sbattendo contro più o meno tutto quello che c’è in casa – quando finalmente si decide a recarsi da Steve.
Raggiunge faticosamente la porta di casa – procurandosi un’altra bella lividura all’altezza del fianco –, trova a tentoni la maniglia, esce e raggiunge l’appartamento del Capitano.
Prende a bussare e come al solito lui non la fa attendere. L’accoglie con una candela tenuta all’altezza del viso e le rivolge il consueto sorriso intriso di cordialità e calore. Sharon si rende conto d’averci fatto in qualche modo l’abitudine e ricorda a se stessa che quel sorriso non è diretto a lei, ma alla persona che sta fingendo di essere. È la prima volta che si ritrova a fare una riflessione di quel tipo e la sorprende l’amarezza che l’accompagna.
“Ciao Steve” lo saluta, cercando di scacciare quei pensieri molesti “Per caso avresti una candela da prestarmi?”
“Purtroppo no, ho soltanto questa” risponde lui, e Sharon si complimenta ancora una volta con se stessa per essere l’unica persona nell’universo a non avere in casa qualcosa con cui far luce in caso d’emergenza “Ma, se vuoi, posso ospitarti fino a quando non torna la corrente.”
“Sicuro che non disturbo?”
“Sicurissimo” la rassicura “Entra pure.”
Rogers indietreggia e Sharon varca la soglia. La luce della fiammella è fioca e non la raggiunge, per questo avanza con cautela – la sua collezione di lividi è già abbastanza ricca. Probabilmente l’incertezza con cui si muove è più evidente di quel che pensasse, perché il Capitano le si avvicina e le afferra la mano per guidarla. È una stretta gentile ma al contempo salda, è…rassicurante, e piacevole, e Sharon si lascia condurre fino al divano.
“Posso offrirti qualcosa?”
“No, grazie. L’ospitalità è più che sufficiente.”
Steve si siede e la invita a fare lo stesso. La luce della candela rischiara i loro volti e disegna i contorni del divano e del tavolino su cui il primo giorno che è entrata in quella casa ha trovato i disegni.
“Che ne dici di ammazzare il tempo facendo quattro chiacchiere?”
“Dico che è un’ottima idea.”
È Sharon a cominciare. Glissa volontariamente sul lavoro, perché per qualche strano motivo mentire adesso non è facile come lo era stato al suo arrivo. Fa l’infermiera, dice, e ha scelto quel mestiere perché aiutare le persone – proteggerle - è sempre stata la sua vocazione. Lo precisa perché è vero, perché è Sharon e non Kate ad aver sempre covato quel sogno, e Sharon in quel momento sente il bisogno di venir fuori, di togliere la maschera, di affiancare qualcosa di suo alla bugia confezionata che la vede lavorare in ospedale come paramedico da quattro anni a questa parte. Liquidato in fretta quel capitolo si sofferma sulla sua infanzia e sui suoi interessi, su tutto ciò che può essere rivelato senza omissioni e senza menzogne. Parla a raffica e Steve l’ascolta in silenzio, annuendo di tanto in tanto, e Sharon è sorpresa dall’interesse che legge negli occhi accesi dal riverbero della candela. Non le è capitato spesso di conquistare l’attenzione di qualcuno in maniera così totale – è una ragazza riservata e tutt’altro che appariscente, il carattere non le manca ma è molto più brava ad ascoltare che a farsi ascoltare – ed è una sensazione bella ed appagante.
“Tocca a te” dice alla fine “Parlami di Steve.”
“Immagino tu sappia già tutto.”
Il suo tono vorrebbe esser leggero, invece lascia trasparire un dispiacere amaro che a Sharon non sfugge.
“Ti ho chiesto di parlarmi di Steve, non di Capitan America.”
La giovane capisce dal mutare della sua espressione che quelle parole per Steve sono inaspettate. Inaspettate e gradite. Probabilmente è abituato ad avere a che fare con persone più interessate a ciò che rappresenta che a quello che è.
Tu non sei diversa da loro
Sharon allontana quel pensiero e si concentra su Steve. Lui le parla di un ragazzo gracile con tanti sogni e poche possibilità di realizzarli, della svolta improvvisa che ha cambiato la sua vita e dei giorni al fronte, dei compagni d’arme, della guerra che gli ha tolto molto – cosa? si chiede Sharon, perché i suoi occhi in quel momento riflettono un vuoto che le fa stringere il cuore nel petto, ma sa che non le spetta sapere di più e quindi soffoca la domanda – ma gli ha anche dato e poi della passione per il disegno, delle Domeniche passate a pescare con suo nonno, dei libri che ha letto e dei programmi televisivi che segue, di sua madre che gli ha insegnato a credere e a cucinare – potresti venire a pranzo, uno di questi giorni. Se ti va, naturalmente – e del mondo che è cambiato ma in fondo è rimasto lo stesso, ed è tutto così naturale e vero che Sharon si dimentica di essere Kate e si culla nell’illusione che sia davvero lei la persona con cui Capitan America – Steve – sta condividendo i propri ricordi e il proprio presente.
La corrente è già tornata da ore quando smettono di parlare.
 
*
 
Sharon ha appena messo la caffettiera sul fuoco quando il campanello prende a trillare. Si domanda chi possa essere a quell’ora del mattino – probabilmente l’amministratrice. Buttare giù dal letto i condomini dev’essere un nuovo strumento di tortura – e si rassetta in fretta prima di raggiungere l’ingresso.
Fortunatamente, non è l’amministratrice.
“Buongiorno Kate.”
Un recondito angolino del suo subconscio pensa che sarebbe bello avere sempre il buongiorno di Steve ad inaugurare le sue giornate, ma è una riflessione che la Sharon coscienziosa sa di non potersi permettere.
“Buongiorno Steve. Hai finito lo zucchero?”
“Ehm, no, non proprio.”
Una nota di disagio piuttosto evidente gli incrina la voce, e prima che Sharon abbia il tempo di domandarsi a cosa sia dovuta Steve le porge un foglio. La ragazza s’accorge soltanto allora che fino a quel momento aveva tenuto una mano nascosta dietro la schiena. L’afferra, un po’titubante, e quando riconosce il soggetto rappresentato non può fare a meno di sgranare gli occhi.
“Quando lo hai fatto?”
Considerando che ha lasciato casa sua quasi a mezzanotte…
“Stanotte.”
Appunto.
“Se l’avessi fatto guardandoti sarebbe venuto molto meglio. Gli occhi sono troppi piccoli e la fronte troppo larga e forse anche il naso non è perfetto e…”
“Steve-”
“…non ti rende giustizia, lo so, ma il tuo viso alla luce della candela era così...Era qualcosa che valeva la pena di disegnare. Tu sei qualcosa che vale la pena di disegnare” dice, e malgrado anche questa sembri la scena di una delle commedie romantiche che piacciono tanto a sua madre e che lei trova ridicole ritrovarsene protagonista non le dispiace affatto.
“È magnifico.”
Non è un commento di circostanza; è davvero magnifico e sono magnifiche l’attenzione con cui Steve ha ricordato e riportato ogni dettaglio e la cura con cui ha riprodotto il gioco di luci ed ombre che la candela proiettava sul suo volto.
È magnifico più di quanto sia lecito per una finzione, ma non è quello il momento per fronteggiare scrupoli e sensi di colpa.
“Posso offrirti un caffè per ringraziarti?”
“Non ce n’è bisogno, ma lo accetto comunque volentieri.”
Forse quella missione non è poi così tremenda come le era parsa. 













Note
Questo perchè io non shippavo Steve e Sharon
Niente, è una storia scritta appositamente per far flirtare (anche se in realtà faccio fatica ad associare Steve a questo verbo, vabbeh) due personaggi, quindi niente di particolarmente elaborato nè di particolarmente sensato, ma volevo scriverla perchè loro sono BBBelli e non poteva non esserci nemmeno una Steve/Sharon nella sezione (soprattutto perchè zia Alki la voleva).
Non ho molto da precisare: nel film non si fa menzione alla parentela tra Peggy e Sharon, ma qui mi sono attenuta al fumetto. Non so se in America ci siano dei giorni stabiliti per la raccolta differenziata, ma è il primo pretesto che m'è venuto in mente e I do what I want l'ho utilizzato. 
Grazie a tutti coloro che hanno avuto la bontà di arrivare fin qui. Spero che la storia sia stata di vostro gradimento *scuoricina* 
  
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