Hold on till may
La mia vita non è mai
stata facile, o – per meglio dire –
è stata una vita normale fino a quando avevo tredici anni.
Il ventisei gennaio di quell’anno è morta mia
madre in un
incidente d’auto, io purtroppo ero con lei e sono
sopravvissuta. Credo che mio padre
non me l’abbia mai perdonato.
Non ero io alla guida, come tutti
gli adolescenti americani pensavo alla
patente, ma non l’avrei avuta se non tre anni dopo quindi non
avevo ancora
cominciato a stressare tutti per avere lezioni di guida.
Io credo che lui pensi che fossi io alla guida –
nonostante la polizia gli abbia ampiamente dimostrato che era mia madre
che
guidava – o forse semplicemente amava mia madre
più di me.
Per un certo periodo è stato assillante nel tentativo di
rendermi l’adolescente perfetta: una cheerleader, brava a
scuola e che non
ascoltava band quelle che lui chiama band sataniche.
Quando ha fallito ha semplicemente deciso che non valeva
la pena avere alcun rapporto con me e ha smesso di considerarmi. Certo
pagava i
libri di scuola, le gite e i miei vestiti, ma non faceva
null’altro.
Due anni dopo si è risposato e la sua nuova moglie ha
avuto un bambino, da allora sono davvero sparita per lui. Per pagarmi
qualche
uscita, i cd e le sigarette ho iniziato a lavorare in un bar.
È stato allora che la casa mi ha trovata.
È una strana scelta di parole, ma non saprei definire
meglio quello che è successo.
Avevo quattordici anni, vestivo sempre di nero e
ascoltavo molto i blink e i My Chemical Romance, qualcosa dei Green Day
e a
volte Marylin Manson e altre band pop punk locali. Non avevo amici,
quelli di
prima si erano allontanati tutti o li avevo allontanato io con il mio
atteggiamento scostante, fumavo molto e quel giorno ero carica di libri.
Dopo il lavoro avrei dovuto occuparmi di un sacco di
compiti ed è stato allora che l’ho vista: era una
vecchia casa sull’albero che
sembrava sul punto di crollare.
Non so perché abbia deciso di andarci – forse
speravo che,
complice il cedimento di qualche vecchia asse, riuscissi a lasciare
questo mondo
– ma è stata la migliore decisione della mia vita.
Quando sono arrivata in cima alla scala mi sono accorta
che era arredata, qualcuno aveva portato una coperta, un tavolo e una
sedia da
campeggio e una buona scorta di candele.
Erano le sei, avrei dovuto sbrigarmi ad andare a casa per
la cena, invece rimasi lì. Chiamai la mia matrigna e le
dissi che una mia
collega mi aveva invitata a cena, lei disse di sì, distratta
e io rimasi lì a
fare i compiti. Ero distratta solo ogni tanto dal magnifico tramonto o
dallo sferragliare
di qualche treno che faceva tremare tutto: la casa dava su una linea
ferroviaria che portava a nord, verso la città degli angeli.
Le prime volte sono stata sempre da sola, la terza volta
ho trovato lui: Vic Fuentes.
È stata una grande sorpresa per me trovare qualcuno in un
posto che avevo iniziato a sentire solo mio, ma è stata una
sorpresa piacevole,
da allora Vic è il mio unico amico.
“Chi sei?”
Gli chiesi, osservando quel ragazzo abbronzato, magro e
non tanto alto, con dei bellissimi capelli castani e un piercing al
naso.
Mi disse il suo nome e mi disse che andava alla mia
stessa scuola, io non l’avevo mai notato, ma lui aveva notato
me.
“Come ti chiami?”
Mi chiese.
“Dahlia.”
“Come la Dalia Nera?”
Io annuii.
“Mia madre era una fanatica di quel delitto.”
Lui mi aveva sorriso.
Da allora iniziammo a parlare di tutto e di
più. Lui era messicano, amava suonare la
chitarra e cantare e aveva due anni in più di me.
Mentre parlava continuava a tirarsi giù i polsi della
felpa, io sapevo perfettamente cosa significava quel gesto: si tagliava
anche
lui.
La prima volta non gli ho chiesto niente perché, mi sembrava
una
domanda troppo privata da fare a un estraneo.
Solo dopo qualche mese che ci conoscevamo e che avevamo
iniziato a girare insieme a scuola, sollevando un mare di pettegolezzi,
gliel’avevo chiesto.
Mi aveva detto che non si sentiva a suo agio nella sua
pelle e che, a volte, tagliarsi era l’unica soluzione per far
fronte a quel
dolore.
Io ho annuito, lo sapevo benissimo cosa si provava e mi
ero accorta che qualcuno lo picchiava, ogni tanto aveva qualche livido.
Io non
gli ho mai chiesto chi fosse, mi sembrava indelicato, se voleva sapeva benissimo
che
poteva parlare con me.
Tutto questo lungo prologo mi serve per chiarire le idee
intanto che lo aspetto. Ho sedici anni e lui ne ha diciotto,
è all’ultimo anno
e presto non lo vedrò più a scuola.
La cosa mi fa stare male, non solo perché perderò
il mio
unico amico, ma anche perché perderò il ragazzo
per cui ho una cotta.
Ora è arrivato il momento di smetterla con i ricordi,
sento il rumore dei suoi piedi che salgono la scala e ben presto la sua
testa
fa capolino, ma non è da solo.
Con lui c’è un ragazzo alto e magro con un
piercing al
labbro e uno sopra il labbro, regge un Vic semi incosciente.
Spaventata gli do una mano a tirarlo su e poi lo facciamo
stendere sulla coperta.
“Cosa è successo?
Chi sei?”
“Sono Mike, suo fratello.”
“Oh, sì mi ha parlato molto di te. Ma cosa
è successo?”
“La squadra di football l’ha pestato.”
“Merda!”
Cerco freneticamente la cassetta del pronto soccorso,
mentre Mike cerca di farlo rinvenire. Alla fine ce la fa.
“Dahlia, Mike…”
“Buono Vic!”
Gli dico severa, gli medico le varie ferite costatando
che non sembrano gravi e metto una pomata sui lividi, spero non gli
abbiano
incrinato o rotto qualche costola.
“Cosa è successo?”
“La squadra di football mi ha pestato, dicono che un
piccolo emo come me non ha il diritto di andare alla loro stessa
scuola.”
Mike stringe le nocche, ho il sospetto che stasera la squadra di
football se lo
ritroverà alla calcagna.
“Sono stati dei bastardi ad attaccarti tutti insieme,
perché non me l’hai mai detto?”
“Mi vergognavo.”
Dice lui abbassando gli occhi.
“Sono loro che dovrebbero vergognarsi! Non tu, tu sei
…
perfetto, non hai nulla che non vada.”
Mike inizia lentamente a rollarsi una canna.
“Scusate, ma devo mantenermi calmo in qualche modo.
Grazie per esserti presa cura di lui.”
“Siamo amici.”
Rispondo rossa come un peperone e lui mi lancia uno sguardo eloquente,
ha
capito al volo la situazione, ma anche avuto il buon senso di tacere.
“Vuoi un tiro, Dahlia?”
“Sì, perché no?”
Lui mi passa la canna e io mi faccio il tanto sospirato
tiro.
Tra chiacchiere, treni che passano e canne in cielo
spuntano le prime stelle. Mio padre forse si infurierà, ma
per una serata come
questa ne vale la pena.
“Vuoi venire a vedere la nostra band?”
Mi chiede Vic, io accetto con un sorriso.
Penso che sarà divertente.
Due settimane dopo ho di nuovo il
permesso di uscire, la
mia matrigna non ha gradito che mi fossi presentata per la cena. Questa
sera
andrò da Vic e finalmente lo rivedrò dopo la
scuola e vedrò la sua band.
Arrivo a casa Fuentes verso le nove, busso e mi apre
Mike.
“Ciao Dahlia! Pronta per vedere i Pierce The Veil
all’opera?”
“Sì, lo sono.”
“Come mai quel tono triste?”
“Maggio si avvicina e con lui il momento in cui Vic
smetterà di venire a scuola
e sarò di nuovo sola.”
Mike mi batte una mano sulla spalla.
“Ci sarò io e ci saranno i ragazzi. Forza,
entra.”
Mi faccio sospingere dentro la casa e poi seguo Mike fino alla porta di
quello
penso sia il seminterato, si sentono già rumori di strumenti
che vengono
accordati.
Mike spalanca la porta senza tanti riguardi.
“Ragazzi, è arrivata Dahlia!”
Vic depone la sua chitarra e mi abbraccia forte, io mi
perdo un attimo nel suo profumo: rose, vaniglia, con qualcosa di
mascolino.
Ci sono altri due ragazzi: uno con i capelli irti e una
striscia bionda e uno con un cappellino,da cui escono dei capelli neri
e due
piercing al labbro.
“Allora, Dahlia… lui è Jaime, il nostro
bassista!”
Il ragazzo con i capelli irti si avvicina a me e mi
abbraccia fino a togliermi il fiato.
“Wow, sei una persona che ama gli abbracci!”
“Tanto.”
Io rido.
“Lui invece è Tony Perry, detto The Turte
perché ama le
tartarughe. È il nostro chitarrista.”
Il ragazzo mi rivolge uno sguardo timido e mi stringe una
mano, ha una bella stretta e un sorriso meraviglioso.
“Sono contenta di conoscerti.”
“Anche io, Vic ci ha tanto parlato di te.”
Vic sembra arrossire – difficile dirlo con certezza, vista
l’abbronzatura – e
si avvicina di nuovo a me.
“Forza ragazzi, facciamole sentire qualcosa.”
Suonano qualche canzone, sono tutte molto belle, ti
prendono bene, per un attimo mi dimentico dei miei problemi e della mia
famiglia.
Poi Vic mi guarda e attacca una canzone più lenta, io ne
rimango letteralmente ipnotizzata, il modo in cui dice
“Darling, you’ll be
okay” a un certo punto mi fa venire i brividi.
Quando smettono li guardo come se fossero creature
soprannaturali, angeli, con le lacrime agli occhi, pensando che questa
canzone
si adatta perfettamente a me e che il modo in cui Vic ha strascicato il
Da di
Darling ricorda il modo in cui pronuncia il mio nome.
“Dahlia?”
Mi chiede incerto, io gli salto in braccio.
“È bellissima, mi ha emozionato tantissimo!
Grazie, Vic.
Ti voglio bene!”
“Anche io te ne voglio.”
Mi scompiglia i capelli e io, per correttezza abbraccio anche gli altri
membri
della band.
“Deduco che ti sia piaciuta!”
Mi dice Jaime raggiante, io annuisco ancora sopraffatta
dall’emozione.
“Sono felice che ti sia piaciuta, è bello vedere
le
persone emozionarsi per quello che fai.”
Tony annuisce accanto a lui.
Dopo qualche minuto do un’occhiata all’orologio e
mi accorgo
che è dannatamente tardi.
“Ragazzi, io devo andare!”
“Ti accompagno io, non mi fido a lasciarti andare in giro
così tardi.”
Da un piattino vicino alla porta del seminterrato Vic tira
fuori le chiavi di una macchina e mi fa cenno di seguirlo. Io eseguo e
ben
presto ci ritroviamo in garage, Vic mi invita a entrare in una vecchi
station
wagon e lo faccio ben volentieri.
Durante il viaggio
non parliamo molto, ma è un silenzio confortevole. Arrivato
davanti a casa mi
si volta come se volesse dirmi qualcosa di molto importante, io sono in
trepida
attesa, ma poi sembra cambiare idea. Il suo volto si oscura e indica
casa mia.
“C’è la tua matrigna sul
portico.”
Io sospiro, coprendola mentalmente di insulti.
“Maglio che vada allora, ci vediamo domani a
scuola.”
Esco dalla macchina e mi ritrovo ad affrontarla, sono certa che
renderà di
nuovo la mia vita un inferno.
“Allora, si può sapere dove sei stata,
signorina?”
“Da amici, esattamente come avevo detto a te e a
papà.”
“Amici… Come se una piccola emo sfigata potesse
avere
amici! Avresti fatto meglio a morire con quella gran vacca di tua
madre!”
“Non tirare in ballo mia madre!”
La mia voce è diventata bassa e tagliente per la rabbia.
“Sei insolente con me, un altro mese di punizione.
Così
forse imparerai come ci si comporta.”
Io stringo i pugni, conficcandomi le dita nella carne
fino a farla sanguinare, per non picchiarla. La puttana è di
nuovo incinta e mi
fa pesare molto questa condizione.
La odio.
Non vedo l’ora di andarmene da questa casa, così
lei può
procreare quanti bastardi vuole senza che io ne debba subire le
conseguenze.
Entro in casa tremante di rabbia, mio padre rivolge uno
sguardo preoccupato alla mia matrigna e poi guarda me, ma è
come se non mi
vedesse davvero.
“Smettila di far preoccupare Jessica, è
incinta.”
Mi dice in un tono meccanico, come se fossi un cane o un gatto e non un
essere
umano.
Furiosa salgo in camera mia e come prima cosa mando un
messaggio a Vic.
“La puttana mi
ha
messo in punizione per un mese.”
“Mi dispiace,
tesoro. Vedrai che dopo il parto sarà più
facile.”
“Come no!
Farà
come ha fatto con l’altro, mi schiafferà in mano
un biberon e mi dirà di
nutrire lo stronzo ogni volta che ha fame di notte. Lei deve dormire,
io posso
anche andare a scuola con due occhiaie da record.”
“Mi dispiace,
ti voglio bene.
Ci vediamo domani
a scuola.”
“Grazie, anche io.
Sì, ci vediamo
domani a scuola.”
Dalla rabbia piombo subito in una
tristezza senza fondo:
questa sarà una delle ultime volte che gli
scriverò che ci vedremo a scuola.
Tra qualche mese sarà impegnato con il college e la band
e sparirà.
Sono passato due anni e sono stati
due anni di inferno.
Per due volte ho ripreso a tagliarmi e per due volte Vic
mi ha fatto smettere. Come avevo previsto la vacca ha partorito e mi ha
accollato il peso del bambino, adesso è di nuovo incinta,
solo che questa volta
c’è una differenza: tra due mesi me ne
andrò di casa.
I soldi che ho tenuto da parte dovrebbero permettermelo,
anche se il college è fuori discussione e non ne faccio
mistero. Jaime e Tony
fanno almeno finta di dare un’occhiata agli opuscoli, io
semplicemente li butto
via.
Per me nessuno sprecherà un soldo per il college, inutile
illudersi. La band di Vic va bene, sono stata a tutti i loro concerti,
anche
quando la mia adorata matrigna mi aveva messo in castigo.
Non mi sarei persa per nulla al mondo quel “Darling,
you’ll be okay” cantato da Vic, è la mia
droga, la mia ragione per andare
avanti.
Non lo vedo più come una volta perché si presenta
sempre
meno spesso alla casa sull’albero, adesso sono solo io a
sussultare ogni volta
che passa un treno.
Mi chiedo perché devo resistere fino a maggio, per quale
motivo?
Per vivere ancora all’inferno?
A quanto pare i Pierce The Veil quest’estate non saranno
nemmeno qui, perché sono riusciti a diventare la band di
apertura di una band
abbastanza famosa qui e gireranno per tutta la California.
Passerò quei mesi da sola e poi, anche quando torneranno,
sarò da sola ancora. Vic e Mike sono al college e credo che
anche Jaime e Tony
finiranno per andarci, almeno per avere un piano B.
Io non ho nessun piano, se non trovare un lavoro che mi
faccia pagare l’affitto a un appartamento, non è
esattamente una prospettiva
gratificante, ma è l’unica che ho.
A scuola sono sempre più distratta e nemmeno Jaime riesce
a tirarmi su di morale, passo molto tempo nei bagni, piangendo. Ormai
le troie
mi prendono in giro davanti a tutti e mi chiamano piagnucolona, vorrei
che
vivessero almeno un giorno nella mia vita per capire come ci si sente.
Ho una famiglia per cui sono invisibile, un ragazzo che
mi piace da due anni e a cui non ho il coraggio di dire nulla e la
prospettiva
di una vuota routine.
Vorrei morire.
Vorrei morire anche di più il giorno in cui Jaime si fa
sfuggire che Vic sta con una certa Drella, non so chi sia –
probabilmente una
incontrata al college – ma la odio.
Passo pomeriggi a immaginarmela e a confrontarla con me.
Io ho lunghi capelli neri, gli occhi verdi molto truccati di nero, un
piercing
al naso e due al labbro e due tatuaggi: due rondini sul petto.
Lei immagino sarà alta, bionda, intelligente, sicuramente
competente in fatto di musica e brava a letto, non certo come me che
sono
ancora vergine.
Un giorno, presa dalla disperazione, ho tagliato i miei
capelli fino a ridurli a un caschetto storto, Jaime e Tony hanno preso
un colpo
vedendomi così.
“Dahlia, stai bene?”
“Sì.”
Questa domanda me la fanno tutti i giorni e io mento sistematicamente,
non
voglio che su preoccupino o che gli faccia pena.
Ho la mia dignità io, anche se molti la scambiano per
eccesso di orgoglio.
Finalmente la scuola finisce e io riesco ad andarmene
senza che Jaime o Tony mi seguano, voglio solo andare alla casa.
Arrivo lì e la trovo puntualmente vuota, così mi
metto a
fare i compiti, un paio di treni passano mentre mi concentro su mate.
Finiti, mi chiedo che senso abbia avuto farli, non andrò
al college e non ho un futuro. Decido di scendere dalla casa e mi
avvicino ai
binari stando attenta a non calpestare i rifiuti che ci sono nel tratto
di
prato che separa la casa dalla ferrovia.
Tra poco dovrebbe passarne un altro, questa volta potrei
prenderlo anche io e vedere dove mi porta. I suicidi vanno
all’inferno o in
paradiso?
Aspetto con calma, ormai non ho una sola ragione valida
che mi tenga attaccata alla vita.
Finalmente dopo un quarto d’ora sento in lontananza il
rumore del treno in arrivo e mi preparo vicino ai binari, pronta a
salutare il
mondo.
Il convoglio si fa sempre più vicino e sento delle urla,
ma non mi importa. Sto per buttarmi sotto quando qualcosa mi ributta
indietro e
il passaggio del treno mi fa cadere a terra, tra i rifiuti.
Sono niente meno che un rifiuto tra i rifiuti.
Ancora in stato di shock sento delle braccia sollevarmi e
portarmi di nuovo alla casa, dai muscoli direi che è Vic.
Lui mi depone su una sedia e mi guarda, con gli occhi
pieni di dolore.
“Perché?”
“Perché a nessuno interesso davvero. Mio padre
preferirebbe vedermi morta, così smetterebbe di pensare a
mia madre e lo stesso
vale per la mia matrigna.
Tu hai il college, la band e la tua ragazza: non hai
bisogno di me. Lentamente mi avresti lasciata da sola e dimenticata.
In quanto agli altri della band mi frequentano perché
glielo hai chiesto tu o gli faccio pena.”
“Non è vero!”
“Hai Drella, cosa te ne fai di me?
È la tua ragazza!”
Il volto di Vic si acciglia.
“Chi ti ha detto di Drella?”
“Ha davvero importanza?”
“Sì.”
Io sospiro, vuota come una conchiglia senza la perla.
“Jaime. Ho sentito che ne parlava a Tony, diceva che
avevi iniziato a uscire con questa Drella.”
“Beh, Jaime dovrebbe farsi i cazzi suoi.”
“Non sono nemmeno più degna delle tue
confidenze?”
Gli chiedo acida.
“No, non è questo.
È che Drella non è la mia ragazza, è
la ragazza del mio
compagno di stanza. Sì, ci sono uscito una volta per farlo
ingelosire e mi sono
beccato un pugno in faccia.”
Io non dico nulla.
“Dahlia, di’ qualcosa!”
“Cosa vuoi che ti dica? Che mi dispiace che ti siano
andate male le cose?”
“No, cazzo! Vorrei che tu mi credessi quando ti dico che non
mi piace
Drella!”
“Tu non l’hai detto.!
“Lo dico ora: non mi piace.”
“Bene.”
Rispondo fredda.
“C’è un’altra ragazza che mi
interessa.”
“Fermo, non voglio sentire.”
Lui mi guarda senza capire.
“Sono due anni che sono innamorata di te e non ho voglia
di sentirmi raccontare di quanto sia perfetta
un’altra!”
Lui mi guarda sorridendo e questa volta sono io a non
capire. Non dovrebbe essere imbarazzato o qualcosa del tipo che
è forse è
meglio sentirci per un po’?
“Perfetto, questo semplifica le cose.”
Mi prende una mano tra le sue.
“Sono due anni che mi piaci.”
Lo guardo con gli occhi sgranati.
“P-puoi ripetere?”
“Sono due anni che mi piaci, ma non trovavo il coraggio di
dirtelo.”
Non so cosa mi prenda, ma mi fiondo in braccio a lui, facendolo cadere
per
terra e iniziando a piangere. Lui mi accarezza i capelli.
“Va tutto bene, va tutto bene.”
“No, che non va bene. Mi stavo per ammazzare senza dirti
tutto.”
“Sei viva e solo questo conta. Vuoi essere la mia
ragazza?”
Io lo guardo dritto negli occhi: sono grandi e sinceri,
sono gli occhi che amo e che cerco sempre tra la folla.
“Sì.”
Rispondo piano.
“I put your body to the test with mine.”
Mi risponde ridacchiando, poi si fa serio e appoggia le
mani sulle mie guance e lentamente mi attira verso di sé.
Erano anni che aspettavo questo momento, anni che
aspettavo di assaporare le sue labbra.
Ci baciamo in silenzio per un tempo che mi sembra
infinito.
“Perché mi hai sempre detto di resistere fino a
maggio?”
“Perché volevamo portarti con noi in tour e poi
– se sei
d’accordo – chiederti di vivere con me e
Mike.”
“Oddio, è fantastico.
Io.. Grazie, Vic!”
“Di niente.”
Ci baciamo ancora e per la prima volta dopo anni sento che il futuro
non è solo
una nuvola nera che incombe su di me, ma può essere anche
qualcosa di bello se
hai qualcuno con cui fare dei progetti.
Non vedo l’ora di andare in tour e di vivere con Vic.
Rimaniamo abbracciati fino a che spunta la luna e Vic mi
trascina in un Mac Donald a mangiare qualcosa.
Ho resistito fino a maggio e ho vinto.
Ora ho davvero in mano il mio futuro e sta andando in una
direzione che mi piace.
Sorrido alla casa sull’albero e la ringrazio mentalmente,
senza di lei nulla di questo sarebbe possibile.
Grazie, casa, non ti dimenticherò!