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Autore: Layla    20/05/2014    2 recensioni
“Perché mi hai sempre detto di resistere fino a maggio?”
“Perché volevamo portarti con noi in tour e poi – se sei d’accordo – chiederti di vivere con me e Mike.”
“Oddio, è fantastico.
Io.. Grazie, Vic!”
“Di niente.”
Ci baciamo ancora e per la prima volta dopo anni sento che il futuro non è solo una nuvola nera che incombe su di me, ma può essere anche qualcosa di bello se hai qualcuno con cui fare dei progetti.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Vic Fuentes
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Hold on till may

La mia vita non è mai stata facile, o – per meglio dire – è stata una vita normale fino a quando avevo tredici anni.
Il ventisei gennaio di quell’anno è morta mia madre in un incidente d’auto, io purtroppo ero con lei e sono sopravvissuta. Credo che mio padre  non me l’abbia mai perdonato.
Non ero io alla guida, come tutti  gli adolescenti americani pensavo alla patente, ma non l’avrei avuta se non tre anni dopo quindi non avevo ancora cominciato a stressare tutti per avere lezioni di guida.
Io credo che lui pensi che fossi io alla guida – nonostante la polizia gli abbia ampiamente dimostrato che era mia madre che guidava – o forse semplicemente amava mia madre più di me.
Per un certo periodo è stato assillante nel tentativo di rendermi l’adolescente perfetta: una cheerleader, brava a scuola e che non ascoltava band quelle che lui chiama band sataniche.
Quando ha fallito ha semplicemente deciso che non valeva la pena avere alcun rapporto con me e ha smesso di considerarmi. Certo pagava i libri di scuola, le gite e i miei vestiti, ma non faceva null’altro.
Due anni dopo si è risposato e la sua nuova moglie ha avuto un bambino, da allora sono davvero sparita per lui. Per pagarmi qualche uscita, i cd e le sigarette ho iniziato a lavorare in un bar.
È stato allora che la casa mi ha trovata.
È una strana scelta di parole, ma non saprei definire meglio quello che è successo.
Avevo quattordici anni, vestivo sempre di nero e ascoltavo molto i blink e i My Chemical Romance, qualcosa dei Green Day e a volte Marylin Manson e altre band pop punk locali. Non avevo amici, quelli di prima si erano allontanati tutti o li avevo allontanato io con il mio atteggiamento scostante, fumavo molto e quel giorno ero carica di libri.
Dopo il lavoro avrei dovuto occuparmi di un sacco di compiti ed è stato allora che l’ho vista: era una vecchia casa sull’albero che sembrava sul punto di crollare.
Non so perché abbia deciso di andarci – forse speravo che, complice il cedimento di qualche vecchia asse, riuscissi a lasciare questo mondo – ma è stata la migliore decisione della mia vita.
Quando sono arrivata in cima alla scala mi sono accorta che era arredata, qualcuno aveva portato una coperta, un tavolo e una sedia da campeggio e una buona scorta di candele.
Erano le sei, avrei dovuto sbrigarmi ad andare a casa per la cena, invece rimasi lì. Chiamai la mia matrigna e le dissi che una mia collega mi aveva invitata a cena, lei disse di sì, distratta e io rimasi lì a fare i compiti. Ero distratta solo ogni tanto dal magnifico tramonto o dallo sferragliare di qualche treno che faceva tremare tutto: la casa dava su una linea ferroviaria che portava a nord, verso la città degli angeli.
Le prime volte sono stata sempre da sola, la terza volta ho trovato lui: Vic Fuentes.
È stata una grande sorpresa per me trovare qualcuno in un posto che avevo iniziato a sentire solo mio, ma è stata una sorpresa piacevole, da allora Vic è il mio unico amico.
“Chi sei?”
Gli chiesi, osservando quel ragazzo abbronzato, magro e non tanto alto, con dei bellissimi capelli castani e un piercing al naso.
Mi disse il suo nome e mi disse che andava alla mia stessa scuola, io non l’avevo mai notato, ma lui aveva notato me.
“Come ti chiami?”
Mi chiese.
“Dahlia.”
“Come la Dalia Nera?”
Io annuii.
“Mia madre era una fanatica di quel delitto.”
Lui mi aveva sorriso.
Da allora iniziammo a parlare di tutto e di  più. Lui era messicano, amava suonare la chitarra e cantare e aveva due anni in più di me.
Mentre parlava continuava a tirarsi giù i polsi della felpa, io sapevo perfettamente cosa significava quel gesto: si tagliava anche lui.
La prima volta non gli ho chiesto niente perché, mi sembrava una domanda troppo privata da fare a un estraneo.
Solo dopo qualche mese che ci conoscevamo e che avevamo iniziato a girare insieme a scuola, sollevando un mare di pettegolezzi, gliel’avevo chiesto.
Mi aveva detto che non si sentiva a suo agio nella sua pelle e che, a volte, tagliarsi era l’unica soluzione per far fronte a quel dolore.
Io ho annuito, lo sapevo benissimo cosa si provava e mi ero accorta che qualcuno lo picchiava, ogni tanto aveva qualche livido. Io non gli ho mai chiesto chi fosse, mi sembrava indelicato, se voleva sapeva benissimo che poteva parlare con me.
Tutto questo lungo prologo mi serve per chiarire le idee intanto che lo aspetto. Ho sedici anni e lui ne ha diciotto, è all’ultimo anno e presto non lo vedrò più a scuola.
La cosa mi fa stare male, non solo perché perderò il mio unico amico, ma anche perché perderò il ragazzo per cui ho una cotta.
Ora è arrivato il momento di smetterla con i ricordi, sento il rumore dei suoi piedi che salgono la scala e ben presto la sua testa fa capolino, ma non è da solo.
Con lui c’è un ragazzo alto e magro con un piercing al labbro e uno sopra il labbro, regge un Vic semi incosciente.
Spaventata gli do una mano a tirarlo su e poi lo facciamo stendere sulla coperta.
“Cosa è successo?
Chi sei?”
“Sono Mike, suo fratello.”
“Oh, sì mi ha parlato molto di te. Ma cosa è successo?”
“La squadra di football l’ha pestato.”
“Merda!”
Cerco freneticamente la cassetta del pronto soccorso, mentre Mike cerca di farlo rinvenire. Alla fine ce la fa.
“Dahlia, Mike…”
“Buono Vic!”
Gli dico severa, gli medico le varie ferite costatando che non sembrano gravi e metto una pomata sui lividi, spero non gli abbiano incrinato o rotto qualche costola.
“Cosa è successo?”
“La squadra di football mi ha pestato, dicono che un piccolo emo come me non ha il diritto di andare alla loro stessa scuola.”
Mike stringe le nocche, ho il sospetto che stasera la squadra di football se lo ritroverà alla calcagna.
“Sono stati dei bastardi ad attaccarti tutti insieme, perché non me l’hai mai detto?”
“Mi vergognavo.”
Dice lui abbassando gli occhi.
“Sono loro che dovrebbero vergognarsi! Non tu, tu sei … perfetto, non hai nulla che non vada.”
Mike inizia lentamente a rollarsi una canna.
“Scusate, ma devo mantenermi calmo in qualche modo.
Grazie per esserti presa cura di lui.”
“Siamo amici.”
Rispondo rossa come un peperone e lui mi lancia uno sguardo eloquente, ha capito al volo la situazione, ma anche avuto il buon senso di tacere.
“Vuoi un tiro, Dahlia?”
“Sì, perché no?”
Lui mi passa la canna e io mi faccio il tanto sospirato tiro.
Tra chiacchiere, treni che passano e canne in cielo spuntano le prime stelle. Mio padre forse si infurierà, ma per una serata come questa ne vale la pena.
“Vuoi venire a vedere la nostra band?”
Mi chiede Vic, io accetto con un sorriso.
Penso che sarà divertente.

 

Due settimane dopo ho di nuovo il permesso di uscire, la mia matrigna non ha gradito che mi fossi presentata per la cena. Questa sera andrò da Vic e finalmente lo rivedrò dopo la scuola e vedrò la sua band.
Arrivo a casa Fuentes verso le nove, busso e mi apre Mike.
“Ciao Dahlia! Pronta per vedere i Pierce The Veil all’opera?”
“Sì, lo sono.”
“Come mai quel tono triste?”
“Maggio si avvicina e con lui il momento in cui Vic smetterà di venire a scuola e sarò di nuovo sola.”
Mike mi batte una mano sulla spalla.
“Ci sarò io e ci saranno i ragazzi. Forza, entra.”
Mi faccio sospingere dentro la casa e poi seguo Mike fino alla porta di quello penso sia il seminterato, si sentono già rumori di strumenti che vengono accordati.
Mike spalanca la porta senza tanti riguardi.
“Ragazzi, è arrivata Dahlia!”
Vic depone la sua chitarra e mi abbraccia forte, io mi perdo un attimo nel suo profumo: rose, vaniglia, con qualcosa di mascolino.
Ci sono altri due ragazzi: uno con i capelli irti e una striscia bionda e uno con un cappellino,da cui escono dei capelli neri e due piercing al labbro.
“Allora, Dahlia… lui è Jaime, il nostro bassista!”
Il ragazzo con i capelli irti si avvicina a me e mi abbraccia fino a togliermi il fiato.
“Wow, sei una persona che ama gli abbracci!”
“Tanto.”
Io rido.
“Lui invece è Tony Perry, detto The Turte perché ama le tartarughe. È il nostro chitarrista.”
Il ragazzo mi rivolge uno sguardo timido e mi stringe una mano, ha una bella stretta e un sorriso meraviglioso.
“Sono contenta di conoscerti.”
“Anche io, Vic ci ha tanto parlato di te.”
Vic sembra arrossire – difficile dirlo con certezza, vista l’abbronzatura – e si avvicina di nuovo a me.
“Forza ragazzi, facciamole sentire qualcosa.”
Suonano qualche canzone, sono tutte molto belle, ti prendono bene, per un attimo mi dimentico dei miei problemi e della mia famiglia.
Poi Vic mi guarda e attacca una canzone più lenta, io ne rimango letteralmente ipnotizzata, il modo in cui dice “Darling, you’ll be okay” a un certo punto mi fa venire i brividi.
Quando smettono li guardo come se fossero creature soprannaturali, angeli, con le lacrime agli occhi, pensando che questa canzone si adatta perfettamente a me e che il modo in cui Vic ha strascicato il Da di Darling ricorda il modo in cui pronuncia il mio nome.
“Dahlia?”
Mi chiede incerto, io gli salto in braccio.
“È bellissima, mi ha emozionato tantissimo! Grazie, Vic.
Ti voglio bene!”
“Anche io te ne voglio.”
Mi scompiglia i capelli e io, per correttezza abbraccio anche gli altri membri della band.
“Deduco che ti sia piaciuta!”
Mi dice Jaime raggiante, io annuisco ancora sopraffatta dall’emozione.
“Sono felice che ti sia piaciuta, è bello vedere le persone emozionarsi per quello che fai.”
Tony annuisce accanto a lui.
Dopo qualche minuto do un’occhiata all’orologio e mi accorgo che è dannatamente tardi.
“Ragazzi, io devo andare!”
“Ti accompagno io, non mi fido a lasciarti andare in giro così tardi.”
Da un piattino vicino alla porta del seminterrato Vic tira fuori le chiavi di una macchina e mi fa cenno di seguirlo. Io eseguo e ben presto ci ritroviamo in garage, Vic mi invita a entrare in una vecchi station wagon e lo faccio ben volentieri.
Durante  il viaggio non parliamo molto, ma è un silenzio confortevole. Arrivato davanti a casa mi si volta come se volesse dirmi qualcosa di molto importante, io sono in trepida attesa, ma poi sembra cambiare idea. Il suo volto si oscura e indica casa mia.
“C’è la tua matrigna sul portico.”
Io sospiro, coprendola mentalmente di insulti.
“Maglio che vada allora, ci vediamo domani a scuola.”
Esco dalla macchina e mi ritrovo ad affrontarla, sono certa che renderà di nuovo la mia vita un inferno.
“Allora, si può sapere dove sei stata, signorina?”
“Da amici, esattamente come avevo detto a te e a papà.”
“Amici… Come se una piccola emo sfigata potesse avere amici! Avresti fatto meglio a morire con quella gran vacca di tua madre!”
“Non tirare in ballo mia madre!”
La mia voce è diventata bassa e tagliente per la rabbia.
“Sei insolente con me, un altro mese di punizione. Così forse imparerai come ci si comporta.”
Io stringo i pugni, conficcandomi le dita nella carne fino a farla sanguinare, per non picchiarla. La puttana è di nuovo incinta e mi fa pesare molto questa condizione.
La odio.
Non vedo l’ora di andarmene da questa casa, così lei può procreare quanti bastardi vuole senza che io ne debba subire le conseguenze.
Entro in casa tremante di rabbia, mio padre rivolge uno sguardo preoccupato alla mia matrigna e poi guarda me, ma è come se non mi vedesse davvero.
“Smettila di far preoccupare Jessica, è incinta.”
Mi dice in un tono meccanico, come se fossi un cane o un gatto e non un essere umano.
Furiosa salgo in camera mia e come prima cosa mando un messaggio a Vic.

“La puttana mi ha messo in punizione per un mese.”

“Mi dispiace, tesoro. Vedrai che dopo il parto sarà più facile.”

“Come no! Farà come ha fatto con l’altro, mi schiafferà in mano un biberon e mi dirà di nutrire lo stronzo ogni volta che ha fame di notte. Lei deve dormire, io posso anche andare a scuola con due occhiaie da record.”

“Mi dispiace, ti voglio bene.
Ci vediamo domani a scuola.”

“Grazie, anche io.
Sì, ci vediamo domani a scuola.”

Dalla rabbia piombo subito in una tristezza senza fondo: questa sarà una delle ultime volte che gli scriverò che ci vedremo a scuola.
Tra qualche mese sarà impegnato con il college e la band e sparirà.

 

Sono passato due anni e sono stati due anni di inferno.
Per due volte ho ripreso a tagliarmi e per due volte Vic mi ha fatto smettere. Come avevo previsto la vacca ha partorito e mi ha accollato il peso del bambino, adesso è di nuovo incinta, solo che questa volta c’è una differenza: tra due mesi me ne andrò di casa.
I soldi che ho tenuto da parte dovrebbero permettermelo, anche se il college è fuori discussione e non ne faccio mistero. Jaime e Tony fanno almeno finta di dare un’occhiata agli opuscoli, io semplicemente li butto via.
Per me nessuno sprecherà un soldo per il college, inutile illudersi. La band di Vic va bene, sono stata a tutti i loro concerti, anche quando la mia adorata matrigna mi aveva messo in castigo.
Non mi sarei persa per nulla al mondo quel “Darling, you’ll be okay” cantato da Vic, è la mia droga, la mia ragione per andare avanti.
Non lo vedo più come una volta perché si presenta sempre meno spesso alla casa sull’albero, adesso sono solo io a sussultare ogni volta che passa un treno.
Mi chiedo perché devo resistere fino a maggio, per quale motivo?
Per vivere ancora all’inferno?
A quanto pare i Pierce The Veil quest’estate non saranno nemmeno qui, perché sono riusciti a diventare la band di apertura di una band abbastanza famosa qui e gireranno per tutta la California.
Passerò quei mesi da sola e poi, anche quando torneranno, sarò da sola ancora. Vic e Mike sono al college e credo che anche Jaime e Tony finiranno per andarci, almeno per avere un piano B.
Io non ho nessun piano, se non trovare un lavoro che mi faccia pagare l’affitto a un appartamento, non è esattamente una prospettiva gratificante, ma è l’unica che ho.
A scuola sono sempre più distratta e nemmeno Jaime riesce a tirarmi su di morale, passo molto tempo nei bagni, piangendo. Ormai le troie mi prendono in giro davanti a tutti e mi chiamano piagnucolona, vorrei che vivessero almeno un giorno nella mia vita per capire come ci si sente.
Ho una famiglia per cui sono invisibile, un ragazzo che mi piace da due anni e a cui non ho il coraggio di dire nulla e la prospettiva di una vuota routine.
Vorrei morire.
Vorrei morire anche di più il giorno in cui Jaime si fa sfuggire che Vic sta con una certa Drella, non so chi sia – probabilmente una incontrata al college – ma la odio.
Passo pomeriggi a immaginarmela e a confrontarla con me. Io ho lunghi capelli neri, gli occhi verdi molto truccati di nero, un piercing al naso e due al labbro e due tatuaggi: due rondini sul petto.
Lei immagino sarà alta, bionda, intelligente, sicuramente competente in fatto di musica e brava a letto, non certo come me che sono ancora vergine.
Un giorno, presa dalla disperazione, ho tagliato i miei capelli fino a ridurli a un caschetto storto, Jaime e Tony hanno preso un colpo vedendomi così.
“Dahlia, stai bene?”
“Sì.”
Questa domanda me la fanno tutti i giorni e io mento sistematicamente, non voglio che su preoccupino o che gli faccia pena.
Ho la mia dignità io, anche se molti la scambiano per eccesso di orgoglio.
Finalmente la scuola finisce e io riesco ad andarmene senza che Jaime o Tony mi seguano, voglio solo andare alla casa.
Arrivo lì e la trovo puntualmente vuota, così mi metto a fare i compiti, un paio di treni passano mentre mi concentro su mate.
Finiti, mi chiedo che senso abbia avuto farli, non andrò al college e non ho un futuro. Decido di scendere dalla casa e mi avvicino ai binari stando attenta a non calpestare i rifiuti che ci sono nel tratto di prato che separa la casa dalla ferrovia.
Tra poco dovrebbe passarne un altro, questa volta potrei prenderlo anche io e vedere dove mi porta. I suicidi vanno all’inferno o in paradiso?
Aspetto con calma, ormai non ho una sola ragione valida che mi tenga attaccata alla vita.
Finalmente dopo un quarto d’ora sento in lontananza il rumore del treno in arrivo e mi preparo vicino ai binari, pronta a salutare il mondo.
Il convoglio si fa sempre più vicino e sento delle urla, ma non mi importa. Sto per buttarmi sotto quando qualcosa mi ributta indietro e il passaggio del treno mi fa cadere a terra, tra i rifiuti.
Sono niente meno che un rifiuto tra i rifiuti.
Ancora in stato di shock sento delle braccia sollevarmi e portarmi di nuovo alla casa, dai muscoli direi che è Vic.
Lui mi depone su una sedia e mi guarda, con gli occhi pieni di dolore.
“Perché?”
“Perché a nessuno interesso davvero. Mio padre preferirebbe vedermi morta, così smetterebbe di pensare a mia madre e lo stesso vale per la mia matrigna.
Tu hai il college, la band e la tua ragazza: non hai bisogno di me. Lentamente mi avresti lasciata da sola e dimenticata.
In quanto agli altri della band mi frequentano perché glielo hai chiesto tu o gli faccio pena.”
“Non è vero!”
“Hai Drella, cosa te ne fai di me?
È la tua ragazza!”
Il volto di Vic si acciglia.
“Chi ti ha detto di Drella?”
“Ha davvero importanza?”
“Sì.”
Io sospiro, vuota come una conchiglia senza la perla.
“Jaime. Ho sentito che ne parlava a Tony, diceva che avevi iniziato a uscire con questa Drella.”
“Beh, Jaime dovrebbe farsi i cazzi suoi.”
“Non sono nemmeno più degna delle tue confidenze?”
Gli chiedo acida.
“No, non è questo.
È che Drella non è la mia ragazza, è la ragazza del mio compagno di stanza. Sì, ci sono uscito una volta per farlo ingelosire e mi sono beccato un pugno in faccia.”
Io non dico nulla.
“Dahlia, di’ qualcosa!”
“Cosa vuoi che ti dica? Che mi dispiace che ti siano andate male le cose?”
“No, cazzo! Vorrei che tu mi credessi quando ti dico che non mi piace Drella!”
“Tu non l’hai detto.!
“Lo dico ora: non mi piace.”
“Bene.”
Rispondo fredda.
“C’è un’altra ragazza che mi interessa.”
“Fermo, non voglio sentire.”
Lui mi guarda senza capire.
“Sono due anni che sono innamorata di te e non ho voglia di sentirmi raccontare di quanto sia perfetta un’altra!”
Lui mi guarda sorridendo e questa volta sono io a non capire. Non dovrebbe essere imbarazzato o qualcosa del tipo che è forse è meglio sentirci per un po’?
“Perfetto, questo semplifica le cose.”
Mi prende una mano tra le sue.
“Sono due anni che mi piaci.”
Lo guardo con gli occhi sgranati.
“P-puoi ripetere?”
“Sono due anni che mi piaci, ma non trovavo il coraggio di dirtelo.”
Non so cosa mi prenda, ma mi fiondo in braccio a lui, facendolo cadere per terra e iniziando a piangere. Lui mi accarezza i capelli.
“Va tutto bene, va tutto bene.”
“No, che non va bene. Mi stavo per ammazzare senza dirti tutto.”
“Sei viva e solo questo conta. Vuoi essere la mia ragazza?”
Io lo guardo dritto negli occhi: sono grandi e sinceri, sono gli occhi che amo e che cerco sempre tra la folla.
“Sì.”
Rispondo piano.
“I put your body to the test with mine.”
Mi risponde ridacchiando, poi si fa serio e appoggia le mani sulle mie guance e lentamente mi attira verso di sé.
Erano anni che aspettavo questo momento, anni che aspettavo di assaporare le sue labbra.
Ci baciamo in silenzio per un tempo che mi sembra infinito.
“Perché mi hai sempre detto di resistere fino a maggio?”
“Perché volevamo portarti con noi in tour e poi – se sei d’accordo – chiederti di vivere con me e Mike.”
“Oddio, è fantastico.
Io.. Grazie, Vic!”
“Di niente.”
Ci baciamo ancora e per la prima volta dopo anni sento che il futuro non è solo una nuvola nera che incombe su di me, ma può essere anche qualcosa di bello se hai qualcuno con cui fare dei progetti.
Non vedo l’ora di andare in tour e di vivere con Vic.
Rimaniamo abbracciati fino a che spunta la luna e Vic mi trascina in un Mac Donald a mangiare qualcosa.
Ho resistito fino a maggio e ho vinto.
Ora ho davvero in mano il mio futuro e sta andando in una direzione che mi piace.
Sorrido alla casa sull’albero e la ringrazio mentalmente, senza di lei nulla di questo sarebbe possibile.
Grazie, casa, non ti dimenticherò!


   
 
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