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Autore: Bloomsbury    21/05/2014    9 recensioni
[Storia in revisione] Capitoli revisionati: 14/35.
Jay era un ragazzo come tanti, con qualcosa in più o in meno degli altri, un ragazzo normale, un ragazzo omosessuale: particolare insignificante per ogni persona di buon senso.
Si vergognava di tante cose, tranne che di questo.
Jay bramava la luce, la libertà.
Fece la scelta sbagliata nel contesto meno appropriato e quel particolare insignificante diventò la spada che lo uccise, la macchia scura che lo inghiottì.
«Mio figlio è morto il giorno stesso in cui ha tradito la natura che gli ho donato con orgoglio.»
«La natura che mi hai donato è quella che ti ho confessato…»
«È una natura che mi fa ribrezzo!»
Così comincia la storia di Jay Hahn, fatta di dolori, di abbandoni, di amore, di amicizia, di segreti, di bugie, di tempesta.
E le tempeste intrappolano nel proprio occhio ogni cosa, risputandoti fuori lacerato, diverso, un mostro.
Jay uscirà ed entrerà da quelle raffiche di vento, diventerà lui stesso la tempesta e annienterà ogni cosa al suo passaggio.
Compreso se stesso.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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17. Where to go
 
 
 
Se gli anni non fossero stati conosciuti come ingannevoli veicoli del tempo Jay non si sarebbe mai accorto del loro passaggio inesorabile.
Erano passati, eppure non ne aveva sentito il peso.
Aveva chiuso gli occhi una sera qualunque, due anni prima, e li aveva riaperti, come vittima di un bellissimo sogno, senza sentire la stanchezza delle stagioni che avevano macinato ore, giorni e istanti vissuti senza alcuna preoccupazione.
Aveva in mente immagini ordinarie di una vita straordinaria che avevano scandito lo scorrere della sua nuova esistenza accanto a chi amava.
Non avrebbe mai creduto che la vita potesse essere vissuta con tale semplicità e bellezza nello stesso tempo.
Il suo orologio non era formato da lancette indicanti secondi e minuti, ma di immagini, come foto, che ritraevano momenti che comunamente si sarebbero potuti definire “soliti”.
Per Jay non c’era niente di solito o di scontato e i fiori di ciliegio sbocciati a Tavistock Square parevano più un miracolo che un processo di sviluppo naturale; la fioritura non era altro che l’ennesimo segno che il tempo, effettivamente, era passato.
Chiuse il libro sul quale aveva studiato per i suoi prossimi esami, non poteva sacrificare quel pomeriggio di sole sui libri, e chiuse gli occhi, poggiando la testa sullo schienale della panchina che l’aveva visto ripassare nervosamente leggi, casi e deposizioni, e inspirò lentamente, percependo il profumo dell’estate che, finalmente, era alla porte.
Tutto sembrava andare per il meglio e, stranamente, non aveva nessun tipo di strano presentimento che gli suggerisse che le cose belle non sono fatte per durare a lungo; non aveva dubbi: quel benessere sarebbe durato per sempre.
Per questo la serenità d’animo non lo abbandonava, neanche dopo uno stupido litigio con Izaya o una giornata nera all’università.
Tutto andava a gonfie vele.
Lizzie, che ormai viveva a dieci metri da terra con il suo nuovo ragazzo con il quale, presto, avrebbe convissuto, aveva concesso a Jay la possibilità di lavorare al bar per guadagnarsi qualche soldo, cosa che lo rese enormemente felice dato che la sua prima preoccupazione, da quando aveva occupato casa di Izaya, era proprio il fatto che quest’ultimo non gli avrebbe mai permesso di spendere un centesimo per il mantenimento della casa.
Quantomeno avrebbe badato alle sue spese personali senza sentirsi un peso per Izaya che, però, era contento del fatto che Jay avesse una sua indipendenza: “Perché, diciamocelo, quella persona squisita di tuo padre, prima che tu gli dicessi di essere malato, ti ha cresciuto nello zucchero filato. È ora che tu impari a vivere come le persone normali.”
L’ironia di Izaya, tagliente come un rasoio, gli aveva dato la spinta giusta per iniziare da zero ed imparare a vivere senza doversi affidare necessariamente a qualcuno.
La strada per la completa indipendenza sarebbe stata lunga, ma la volontà era l’ultima a mancare e Jay, felice di essere stato considerato al pari di un ragazzo normale e non di un principino ripudiato, si era rimboccato le maniche, riconoscendo, però, l’importanza della presenza di Lizzie che, con ogni mezzo, aveva fatto di tutto per aiutarlo.
Aprì leggermente gli occhi cristallini lasciando che la luce filtrata dagli alberi lo ferisse tanto da dargli una mossa, costringendolo ad alzarsi di scatto, strofinandosi le palpebre assonnate.
Prese le sue cose e si incamminò verso la metro che l’avrebbe portato al bar dove, certamente, avrebbe trovato tutti ad aspettarlo.
La sua nuova famiglia.

***
 
Il bar era sempre più vuoto e sempre più simile ad un appartamento che ad un locale pubblico, cosa che pareva non dispiacere nessuno.
In molti se n’erano andati ed il jukebox, dopo l’ennesima canzone riprodotta stancamente, aveva deciso, una sera, di morire definitivamente.
A nulla erano servite le percosse di Izaya e le parole dolci di Lizzie che gli chiedevano disperatamente di non abbandonarla; quel jukebox aveva scelto: sarebbe diventato un piacevole ricordo e nulla più.
La decadenza dell’arredamento e dei poster ingialliti, però, non avevano affatto un aspetto triste, anzi, il bar pareva invecchiare con loro e, a poco a poco, solo per loro.
Robert, dopo aver superato i primi momenti di diffidenza e di gelosia di Jay, era diventato a tutti gli effetti un componente della famiglia.
Il giorno in cui il nuovo arrivato fece ingresso nella vita di Lizzie, si presentò ad Izaya come se non lo conoscesse, in realtà la sua presenza e la conseguente conoscenza con quella che sarebbe diventata la sua ragazza non era stata per nulla casuale poiché si scoprì, dopo qualche giorno, che Robert ed Izaya erano colleghi e che quest’ultimo aveva combinato il tutto per farli incontrare, per cui, l’incontro non era stato fortuito, cosa che infastidì Lizzie che aveva creduto nella magica forza del destino.
“Non puoi arrabbiarti per una cosa del genere, Lizzie. Cerca di essere un tantino più pratica e meno romantica. Destino o no, il risultato non cambia. Tu e Robert siete felici, che vuoi di più?” aveva sbottato Izaya, una sera, semplificando la cosa.
“Tu e Jay vi siete conosciuti perché il destino l’ha voluto. Perché io non posso avere una cosa romantica come la vostra?”
“No! L’abitudine di Izaya di guardare il culo ai ragazzini li ha fatti conoscere, non il destino.” concluse Robert, scatenando una risata del tutto fuori luogo di Izaya che, supportato dalle risatine sommesse di Jay, riuscì a ridimensionare la cosa e a calmare Lizzie che, avvilita, si lasciò cadere sulla sedia.
Da quel giorno le cose non erano più cambiate.
Ognuno aveva trovato il proprio posto nella vita dell’altro e Jay, nonostante non avesse alcun dubbio del fatto che le cose non avrebbero potuto fare altro che migliorare, a volte, nel silenzio dei propri pensieri, sperava che anche per Chaz, ovunque si trovasse, potesse essere così.
Delle volte lo immaginava tornare, magari con qualcuno, felice come non era mai stato.
Non lo cercò più, deciso a rispettare le sue scelte, anche se, spesso, ne sentiva la mancanza.
Segretamente sognava per lui una vita piena e completa come la propria e l’ottimismo che, ormai, era diventato parte di sé da tempo, gli suggeriva che, certamente, anche Chaz aveva trovato qualcuno al quale donare la sua vita.
Questo pensiero lo aveva aiutato a non cercarlo, credendo che più gli sarebbe stato lontano e più avrebbe fatto il suo bene, come Chaz aveva chiesto.
Arrivato al locale, vide Lizzie indaffarata con i pochi clienti e in fondo, al solito tavolo, c’era Izaya, immerso nella lettura del suo testo preferito: gli appunti universitari di Jay sui sistemi giuridici comparati.
«Una lettura diversa, vedo.» esordì Jay, dopo avergli scompigliato la barba ed essersi seduto difronte a lui.
«I tuoi appunti sono oro per me. Da quando vai all’università riesco, anche, a lavorare meglio.»
«Come dice il professor Tucker: “un buon avvocato non smette mai di studiare”.»
«Parole sante! Non avevi detto che saresti stato tutto il giorno in biblioteca?» chiese Izaya, sorseggiando il suo caffè annacquato.
«Sì, l’avevo detto, ma ho cambiato idea. Il sole non me lo permette, mi fa venire voglia di non fare niente e poi mi mancavi.» disse quelle ultime parole distrattamente, come se volesse far passare inosservato il loro peso.
Izaya sorrise, lasciando intravedere, tra i folti baffi, denti perfettamente allineati.
«Penso che dovrei tagliarti la barba.» disse Jay, convinto del fatto che se l’avesse fatto avrebbe potuto godere appieno di un sorriso solare che desiderava poter vedere nella sua interezza.
Il malcapitato si coprì il viso con le mani, pronto a difendere una delle cose più care della sua vita: «Dovrai passare sul mio cadavere. La barba è mia e ci faccio quello che voglio.»
«Scendiamo a compromessi: io ti lascio la barba, ma ti levi la tinta argento dai capelli, voglio un uomo con dei capelli normali!»
«Stai tentando di cambiarmi? Non va per niente bene, Hahn.» rispose, mettendosi sulla difensiva.
«Non voglio cambiare te, voglio cambiare il colore dei tuoi capelli. Non posso pensare di non averti mai visto al naturale.»
Il discorso si protrasse per minuti e minuti finché, all’arrivo di Robert, Lizzie interruppe la discussione senza alcun garbo e sedendosi tra loro, esordì con prepotenza: «Mentre voi litigate su argomenti intellettuali come la fame nel mondo ed il riscaldamento globale, io ho da darvi una notizia.»
Robert, con aria stanca e stravolta come se fosse passato attraverso un uragano, sfilò la cravatta dal colletto della sua camicia e sedendosi accanto a Lizzie, la fissò con attenzione.
Sapeva cosa avrebbe detto e Jay, scrutandolo, capì che la notizia che li stava per investire non sarebbe stata per nulla semplice da digerire.
Robert, difronte a Lizzie, affondò i suoi occhi neri in quelli di lei, deciso a darle forza e annuendo leggermente per incoraggiarla la incitò a continuare.
Izaya e Jay, come se fossero l’uno lo specchio dell’altro, poggiarono entrambi i gomiti sul tavolo, pronti ad incassare qualsiasi colpo.
Nonostante Lizzie non avesse mai espresso l’importanza di quella notizia, erano riusciti a percepire, attraverso i suoi silenzi, che ciò che stavano per sentire avrebbe certamente cambiato qualcosa.
«Il bar chiude.»
Il tonfo che sentì Jay nel cuore fu più assordante di qualsiasi altra cosa e, istintivamente, si voltò a guardare il jukebox spento, il primo ad essersene “andato”.
«Ma come?» chiese Jay, incapace di accettare di doversi separare da quei tavoli.
«Sì, purtroppo. Il proprietario che, come si era capito, non ha mai dato molta importanza a questo bar, ha deciso che, ormai, tenerlo aperto non serve a niente. Non ha intenzione di spendere neanche una sterlina per rimetterlo a nuovo. Ha già altri locali in giro per Londra e crede che questo sia solo un peso per le sue finanze.»
«Possiamo rilevarlo se lui non lo vuole più.» tentò Izaya, fissando negli occhi Lizzie che, più di chiunque altro, stava perdendo un pezzo della sua vita.
Più che per se stesso, era tremendamente in pena per lei che, per anni, aveva dato la sua vita per portare avanti un locale dimenticato dal suo stesso proprietario.
Difatti, ogni piccola cosa presente in quella stanza apparteneva proprio a lei.
Una volta assunta aveva cercato il più possibile di abbellirlo, di renderlo accogliente; con Izaya e Jay stesso avevano, a loro spese, ridipinto i muri e acquistato cianfrusaglie per camuffare un po’ la trasandatezza nel quale riversava.
Alzando lo sguardo, Lizzie riusciva ancora a vedere Izaya, appeso su una scala, intento a scambiarsi animate opinioni con Jay sul colore da stendere sulle pareti.
Anche per loro era diventata una casa, qualcosa di loro che, con immenso affetto, avrebbero curato e difeso con ogni mezzo ma, purtroppo, ciò che era diventato visceralmente di loro appartenenza, in realtà non lo era e dovettero ammette di avere meno voce in capitolo di quanto avessero sperato.
Avrebbero fatto di tutto per tenere in vita il locale, come se si trattasse di un amico stanco, ma l’ultima parola l’aveva chi davvero ne era il proprietario e loro, inermi, avrebbero dovuto accettare senza poter avanzare alcun diritto.
«Non è nostro e non potrebbe esserlo, non è in vendita. Il proprietario ha già trovato un acquirente che ha intenzione di farci tutt’altro.» rispose Robert.
Aveva già lavorato sulla cosa, parlando con il diretto interessato, cercando di trovare una soluzione soddisfacente ma le trattative, ormai, erano già state avviate da tempo, all’insaputa dei suoi dipendenti.
«Ma lui non può buttare Lizzie in mezzo ad una strada senza assicurarsi che lei venga assunta dal prossimo proprietario.»
«Sì che può, Izaya. Può farlo perché il nuovo possessore non rileva il locale. Semplicemente, il vecchio ha chiuso l’attività, vendendo le mura a chi le userà per altro. Per i diritti di Lizzie si può fare qualcosa e, infatti, per quanto riguarda lei non c’è da preoccuparsi ma il locale chiuderà. A prescindere.»
Il locale, la loro casa, il loro punto di ritrovo, il bar che aveva salvato Jay facendogli incontrare chi avrebbe amato per il resto della sua vita, avrebbe chiuso i battenti e, quasi, non poté crederci.
Per Jay significava l’ennesimo distacco da qualcosa che amava.
Prima la sua casa, poi il suo migliore amico e ancora, seppur inutile agli occhi di chiunque, il bar che lo aveva accolto, liberato e sostenuto nei momenti più dolorosi della sua vita.
Il nodo nella gola che aveva catturato le parole, si sciolse poco a poco e le lacrime di Lizzie, combattute, scelsero di rimanere nei suoi occhi, senza rigarle il volto: «Forza, ragazzi! Pazienza! Non è questo locale che ci tiene uniti. Certo! Ha avuto il merito di farci incontrare e di farci vivere i momenti più intensi della nostra vita, ma noi ci siamo ancora, no? Non c’è nulla per cui disperarsi.» si alzò posizionando i palmi delle mani sul tavolo e accarezzando dolcemente il viso inespressivo di Jay, sorrise: «organizzeremo una gran festa di addio!»
«Che bello! Saremo io, Jay, tu, Robert e Juky. Una festa col botto!» rispose Izaya ironico, indicando il vecchio jukebox dietro le sue spalle.
«Certo che lo sarà. Berremo come un tempo, ci divertiremo, taglieremo la tua barba e porteremo i tuoi capelli ad una colorazione accettabile. Stai certo che queste mura non si dimenticheranno di noi.»
Le risatine di scherno di Robert e la positività forzata di Lizzie, riuscirono a rendere la questione meno pesante e Jay, dopo aver subìto minuti e minuti di silenzio e riflessione sulla propria pelle, sorrise rassegnato: «Se solo ne avessi il potere, cambierei le cose, ma non posso.»
Il tono della sua voce fece scattare in Izaya il solito senso di protezione che l’aveva spinto, da sempre, a ridimensionare le cose, a renderle leggere abbastanza da farle digerire con più semplicità: «Hahn, stai tranquillo. Come dici sempre tu: “sono le persone a fare una casa”. Per questo locale vale la stessa cosa. Significherà che occuperemo l’appartamento di Robert per bere e giocare a poker. Porteremo anche Juky con noi.»
«Nonostante io dica sempre che sei un’idiota, stavolta non posso fare altro che darti ragione. Chiudiamo il locale e, dopo la festa, ci daremo ad atti di sciacallaggio belli e buoni. Prenderemo tutto quello che ci appartiene. Daremo alle nostre case un aspetto decisamente vintage.» concluse Robert, concedendosi, per la prima volta, la possibilità di sentirsi davvero parte di quella piccola e nuova famiglia.
Arruffò la cresta di Jay, il più piccolo di loro, quello che pareva il più fragile ma che, in verità, ne aveva solo i connotati.
Jay era uscito indenne da ogni tempesta, nonostante la giovane età era riuscito a rifarsi una vita e sebbene sembrasse il più provato di tutti da quella notizia, qualcosa gli diceva che, come era già successo, sarebbe stato quello più forte.
Lizzie aveva finto ottimismo ma, nel retro del locale, aveva dato sfogo al suo dispiacere proprio con Robert; Izaya, come di consueto, nascondeva il rammarico dietro all’apparente superficialità mentre Jay, diversamente da tutti gli altri, dimostrava ciò che sentiva senza nascondersi ma, sorprendentemente, era davvero l’unico a riuscire ad affrontare le cose con grazia e forza.
Quel locale, quel pezzo di vita, sarebbe rimasto un ricordo e lentamente, sempre meno dolorosamente, si sarebbe allontanato dai loro pensieri, sostituito da qualcos’altro.
Lo spirito di sopravvivenza è l’istinto più forte per qualsiasi uomo e Jay era colui che ne conservava più di chiunque.
Robert rimase a lungo a studiarli, ad osservare ognuno di loro.
Izaya, Lizzie e Jay avevano imparato a contare l’uno sull’altro e sapeva che non sarebbe stata la chiusura di quel bar a dividerli.
«Ragazzi, come stabilito, stasera ripuliremo Izaya e, con lui, il locale.» dichiarò spiccia Lizzie, con una punta di sarcasmo.
«Acconsento.» rispose Jay, fissando il suo uomo che li sfidava con spavalderia: «Dovrete prima riuscire a prendermi».




Angolo autrice.
Ciao a tutti! Perdonatemi per il ritardo e anche se ho fatto qualche errore ma il tempo è poco anche per scrivere. Vi ringrazio per l'affetto e per la spinta che mi date ad andare avanti.
Non mi dilungo molto, sono stanchissima T_T
Ringrazio le magnifiche sei, Babbo Aven, Bijouttina e tutti coloro che non mi fanno mai mancare un commento. Amo le vostre considerazioni, il vostro sostegno e le shippate varie XD (sono troppo trasgry e pervy con questi verbi moderni. *coniuga il verbo shippare ad alta voce*). Ringrazio Nebulas che mi ha espresso in una sua recensione il suo punto di vista che ho apprezzato moltissimo e tutti quelli che mi seguono.
Ringrazio chi ha messo la storia nelle Preferite/Ricordate/Seguite.
Se dimentico qualcuno cazziatemi per favore! :P
Un abbraccio.
Bloomsbury

 
   
 
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