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Autore: Valentina_1D_98    21/05/2014    34 recensioni
« Se io adesso saltassi, cosa succederebbe, Niall? »
« Uccideresti l’unica persona che meriterebbe di vivere, e di conseguenza uccideresti anche me. »
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Sono sul tetto, adesso.
Lo stesso tetto dal quale lei avrebbe voluto saltare, quel pomeriggio di fine Marzo.
Che ragione ho io di continuare a vivere, ora?
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Niall Horan
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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BLOOD CANCER



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LEUCEMIA: tumore al sangue che porta al progressivo aumento dei globuli bianchi a danno di quelli rossi.
Provoca la morte dell’individuo.
Beh, in questo caso sono morto anche io, morto dentro insieme a lei.


Erano belli, veramente belli i momenti trascorsi con Destiny.
Lei non era come le altre, lei era lei e basta.
Era rilassante e divertente allo stesso tempo parlare con lei.
E passavamo ore a parlare sul quel letto, troppo grande per una sola persona, troppo piccolo per due.
E così, il più delle volte, poggiava la testa sulla mia spalla, o sulla mia pancia, o adagiava l’orecchio sul mio petto.
Diceva che il battito del mio cuore la rilassava. Ed era vero. Il più delle volte si addormentava, era improvvisamente stanca e si addormentava lì, sul mio petto.
E la guardavo, potevo fissarla per ore senza mai stancarmi, seguivo i tratti delicati del suo viso con la punta del mio dito, sorridevo.
Mia madre trovava strano il suo comportamento, il passaggio quasi istantaneo dalle risate al sonno profondo.
Non l’aveva nemmeno mai vista, eppure non la considerava una cosa normale.
Ogni pomeriggio, dopo scuola, andavo da lei e stavo lì finché non si addormentava. Per me era normale.
La madre di Destiny lo capiva che quando me ne andavo era perché lei dormiva.
Mi salutava sorridendo, ma, il suo, non era un sorriso felice, vero. Era un sorriso stanco e forzato.
Ora capisco perché.


Erano belli, veramente belli i momenti trascorsi con Destiny.
Mi ricordo di quella sera, sulla spiaggia.
Glielo avevo promesso che, prima o poi, non si sarebbe addormentata col battito del mio cuore, ma con il rumore delle onde che si scontrano contro il bagno asciuga e che, pian piano, tornano indietro, nell’immensità del mare.
Glielo avevo promesso, e ogni promessa è un debito.
Me la ricordo bene, quella notte.
Arrivati sulla spiaggia, mano nella mano, Des si era fermata per un attimo ad osservare il tramonto, si era fermata ad osservare quella striscia azzurrina, quella che divide l’infinità del cielo con quella del mare.
Si era fermata ad osservare. Osservare, perché lei non guardava mai.

« Lo stesso colore dei tuoi occhi, Niall, lo stesso colore. »

Me la ricordo la sua voce, mi rimbombano ancora nella testa quelle parole, se ci penso.
Avevo steso sulla sabbia soffice e calda, a causa del sole che, fino a poche ore prima c’aveva battuto sopra, l’asciugamano enorme che c’eravamo procurati.
Al fattorino, alla domanda “La pizza dove la porto?”, avevamo risposto “Al mare.”
Che poi, quella pizza, non c’è nemmeno mai arrivata.
Ci nutrimmo di baci quella sera. Di baci, sguardi, carezze.
Piccolezze. Potrebbero sembrare piccolezze.
Oramai uno sguardo lo evitiamo, una carezza potrebbe anche darci fastidio.
Ma quello che di Destiny adoravo, era la semplicità, l’amore per le piccole cose, la spontaneità e il fatto che non avesse pretese, aspettative.
Il sole tramontava lentamente quella sera.
Sembrava volersi fare ammirare in tutti i suoi colori, in tutta la sua meravigliosa maestosità.
E, beh, io e Destiny, quella sera, eravamo grati di farlo. Grati di poterci godere uno spettacolo simile, io e lei, da soli, su una spiaggia.
Mi ricordo di quella chioma rossa e riccia che, ad un certo punto, si era allontanata dalla mia spalla, diretta verso la riva.
Mi ricordo di essere rimasto seduto ad osservare i suoi movimenti, ma di averla raggiunta, poco dopo, perché di starle lontano, quella sera, proprio non ne volevo sapere.
Mi ero messo a fianco a lei e, senza dire una parola, avevo guardato dritto, dando ai miei occhi la stessa meta dei suoi.
L’attimo di silenzio che ci fu dopo pareva interminabile.
Si sentiva il rumore delle onde, il garrito dei gabbiani, il nostro respiro, regolare e coordinato.
Era la prima cosa che avevo notato di noi, il respiro coordinato.
Quello si, mi pareva strano.
Ero andato alla biblioteca a fare delle ricerche, mi ricordo. Faceva parte della mitologia greca. “La persona con lo stesso vostro respiro, quella, sarà la vostra anima gemella.

« Dovremmo andare a vivere insieme. »

Non mi guardava, il suo sguardo era sempre rivolto davanti a lei, a quel mare che tanto amava. Eppure quelle parole le erano scivolate di bocca; stava pensando, probabilmente, e invece lo aveva detto ad alta voce.
Lo aveva detto ed io ero rimasto sbalordito.
Non avevamo mai toccato quel tipo di argomento,mai. Infondo avevamo solo diciassette anni, ma ero comunque curioso di sapere dove sarebbe arrivata.

« Dove, Des? »

Si era girata a guardarmi.
Quegli occhi verde smeraldo, così grandi e innocenti, si erano incastrati nei miei.
Aveva questo strano potere, Destiny.
Era ipnotizzante, il colore dei suoi occhi lo era.
Quando lei ti fissava perdevi istantaneamente la capacità di muovere gli occhi, di guardarti intorno.
Come se la sua bellezza sovrastasse tutto ciò che ti circondava.
Si era alzato il vento. Si, quel vento fresco che arriva dal mare.
I suoi capelli avevano iniziato a svolazzare, solleticandole il viso pieno di lentiggini.
Assomigliava al sangue il colore dei suoi capelli.

« Non saprei, Niall. » aveva di nuovo rivolto lo sguardo al mare. « In un abbraccio, per esempio. » sospirò, mentre si strinse nelle spalle.

Mi misi tra lei e quel meraviglioso panorama e stavolta fui io a catturare la sua attenzione.

« Perché proprio in un abbraccio e non per esempio in una bella e agevolata città? In una casetta tutta nostra? »

Sorrideva, sorrideva sempre. E Dio, come posso dimenticarlo quel sorriso?

« Niall, non serve nessuna bella e agevolata città per stare bene. In un abbraccio, lì si che si sta davvero bene. In un abbraccio vieni stretta forte, ti senti come se fossi l’unica cosa di cui l’altro ha bisogno, ti senti protetta, protetta dal male di questo mondo. In un abbraccio nessuno può farti del male. »

In quei momenti, era in quei momenti che dimostrava di essere un spanna sopra agli altri.
E così ho mantenuto la mia promessa: quella sera si era addormentata cullata dal rumore delle onde del mare, ma non aveva rinunciato al rumore del battito del mio cuore.


Una cosa che Destiny amava particolarmente era il gelato. Ne avrebbe mangiato quantità industriali senza mai fermarsi.
Glielo portavo sempre, il gelato. Anche in pieno inverno, anche alle due di notte.
Come quel 2 Gennaio.
Mi ero stranamente svegliato nel bel mezzo della notte, di soppiatto.
Avevo fatto un incubo. Lo stesso che mi perseguitava da notti, lo stesso a cui non avevo mai dato importanza, lo stesso che, alla fine, era diventato una crudele realtà.
Mi ricordo di essere andato in bagno e di aver poggiato le mani tremanti sul lavabo.
Avevo il fiatone, si, e anche i sudori che mi colavano dalle tempie. Probabilmente avevo anche qualche linea di febbre.
Stavo davvero male, quella notte.
Ero tornato a letto, rassegnato all’idea che non sarei più riuscito ad addormentarmi.
Il bagliore della luna illuminava tutta la mia stanza, creava un gioco di luce sul muro che, per un po’, riuscì a catturare la mia attenzione.
Rimasi a fissare la stella più grande, la più luminosa, quella che ci eravamo promessi.
La nostra stella.
Pochi minuti dopo il mio telefono aveva iniziato a vibrare sul comodino.
Erano le due di notte, insomma, le due di notte! Non avevo nemmeno guardato il nome sullo schermo, avevo risposto e basta.

« Non riesco a dormire. » aveva detto.

« Nemmeno io, Des. »

« E cosa facciamo? »

« Pensiamoci. Io a te, tu a me. »

« Ma io lo faccio sempre, Niall. »

« Anche io, ma non mi stanco mai. »

Poi mi era venuta l’idea.
L’avevo lasciata in attesa, mi ero messo una felpa pesante, una delle sue preferite, un cappellino di lana e avevo preso l’ultima vaschetta di gelato nel freezer.
Avevo preso il casco e, dopo aver acceso il motorino, avevo percorso quel pezzo di strada buio che divideva casa mia con casa sua in cinque minuti o poco più.
Mi ricordo di essere arrivato proprio quando lei, col cellulare all’orecchio, era uscita in balcone.

« Se mi fai un po’ di spazio riesco a salire da te. »

Aveva guardato giù e, appena i nostri sguardi si erano incontrati, le si era allargato in volto un sorriso enorme.
Mi ero arrampicato su per il muro, grazie alle edere rigogliose di sua madre e l’intonaco venuto a mancare che lasciava nel muro piccole fessure alle quali potevo aggrapparmi.
Avevo imparato a farlo l'anno prima. Lo facevo spesso.

« Non smetterai mai di sorprendermi, scemo! »

Mi aveva buttato le braccia al collo e mi aveva baciato e baciato, dolcemente.
Amavo quella sua delicatezza, l’amavo alla follia.

« Guarda cosa ti ho portato … »

Le avevo passato la vaschetta di gelato alla nocciola, il suo preferito, e le si erano illuminati gli occhi.
Lo adorava, e io adoravo lei.

« Aspetta qui … »

Mi ero seduto ad aspettarla, ma fortunatamente l’attesa non era durata tantissimo, anzi.
Anche questo amavo di lei: non si faceva aspettare, non era lenta, come il resto delle ragazze. Ho sempre odiato aspettare, l’attesa mi ha sempre dato ai nervi, e lei sapeva come trattarmi.
Era arrivata con due cucchiaini.
Quella sera, su quel balcone, al freddo di Gennaio, tutte le stelle ci guardavano, la luna ci illuminava e l’arietta fredda e pungente ci costringeva ad abbracciarci, pur sempre mangiando gelato.
E mi amava, lei, me lo ripeteva sempre.
E io lo ripetevo a lei.
E ci baciavamo, ci baciavamo sempre, ogni volta che ne avevamo occasione.
Adorava stringere i miei capelli biondi con le sue esili e lunghe dita mentre i nostri nasi si sfioravano, le nostre labbra si assaporavano, mentre i brividi ci percorrevano la schiena, mentre eravamo noi, io e lei, vicini, insieme.


Erano belli, veramente belli i momenti trascorsi con Destiny.
Finché la sua stanchezza non era cominciata ad aumentare.
Diventava ogni giorno più pallida, ma non sapevo il perché.
E così adesso si addormentava prima, ma io andavo via sempre allo stesso orario.
E così rideva, si, ma non con la stessa forza con la quale rideva prima.
E adesso mangiava il gelato, ma non lo finiva, non arrivava nemmeno a metà.
Però mi amava sempre, non a metà.

E c’è stato quel pomeriggio.
Il tempo freddo era oramai trascorso da un po’.
Eravamo arrivati a fine Marzo oramai, quando il sole fuori ti invita ad uscire e ad accogliere il suo ritorno.
E noi il suo ritorno lo accogliemmo dal terrazzo della signora dell’ultimo piano.
Avete presente quelle verande sopra al tetto, sul culmine del palazzo? Quelle dalle quali vedi tutto, dalle quali se sei felice rimani a fissare il panorama, se sei triste salti?
Ecco, lì eravamo io e Destiny quel pomeriggio.
Lei era sdraiata sulla poltrona pieghevole, esposta ai raggi del sole a cercare di riprendere un po’ di colorito. Io ero seduto al limite del palazzo, con le gambe a penzoloni a canticchiare la sua canzone preferita.
Lo vedevo, me ne accorgevo che qualcosa in lei stava cambiando. Era inevitabile non accorgersene, ma non volevo farla sentire in imbarazzo, quindi non le ho mai detto nulla, mai.
Un’ombra dietro di me aveva attirato la mia attenzione.
Era lei, in piedi, che guardava in un punto vuoto, dritto davanti a lei. Era in lacrime.

« Non ho motivo di rimanere ancora qui, Niall. »

Aveva fatto un passo in avanti, me lo ricordo bene quanto è stato lungo quel passo. Talmente da farmi salire il cuore in gola.
Mi ricordo di aver cercato di mantenere la calma. Se mi fossi agitato io, sarebbe stata la fine per lei, quel pomeriggio.

« A cosa stai pensando, Des? »

Cercavo di mantenere ferma la voce, in modo da sembrare più tranquillo di quanto in realtà ero. Ma che dico? Io non ero tranquillo affatto.

« Questo mondo è … Cattivo. Si Niall, è cattivo. E’ pieno di sofferenza, di lacrime, di gente egoista. Perché non sono tutti come te, Niall, eh? »

Mi ero alzato, si. O forse prima una lacrima aveva rigato il mio viso.
Le avevo preso delicatamente una mano, me l’ero portata sul cuore, sul battito irrefrenabile di quel cuore che si sarebbe frantumato se lei avesse fatto quello che stava pensando.

« Non ti importa di come sono gli altri. Fa si che ti importi solo di me, che sono qui con te. Ora e per sempre. »

« Se io adesso saltassi, cosa succederebbe, Niall? »

« Uccideresti l’unica persona che meriterebbe di vivere, e di conseguenza uccideresti anche me. »

Aveva abbassato la testa.
Aveva guardato i suoi piedi nudi, bianchi, su quel cemento grigio e impolverato.
Non respiravo.

« Ricordati solo una cosa, lo faccio solo per salvare te. »

Il mio cuore aveva ripreso a battere, accompagnato da un sospiro di sollievo.
Mi era saltata addosso, lì, sul quel tetto. Mi aveva abbracciato e l’avevo stretta talmente forte da farle male alle costole.
Ma che importa se fa male alle costole quando fa bene al cuore?

Quella notte mi aveva pregato di passarla da lei.
La luce della luna la illuminava, ed era bellissima, ed era lì tra le mie braccia, fragile, ma forte come un aeroplano.
Si era girata verso di me, ad un tratto, e mi aveva catturato nel suo sguardo.
Come di consueto aveva iniziato ad accarezzarmi i capelli, le tempie, le guancie, fino alle labbra. Dopodiché si era accostata al mio orecchio.

« Voglio essere tua stanotte. »

E quella notte, per la prima volta, facemmo l’amore.
Perché di amore si trattava. Non era sesso. Era amore.
E non ero mai stato meglio in tutta la mia vita, e anche lei.
E ci eravamo addormentati nudi, uno di fianco all’altro, abbracciati, quella notte.
Quella notte, che fu l’ultima volta in cui la vidi.

Il pomeriggio successivo mi ero presentato a casa sua e ad accogliermi ci fu sua madre, distrutta. Piangeva.
E io non sapevo di cosa si trattasse, non sapevo cosa fosse successo.
Mi ero diretto subito in camera di Destiny, scioccato. Era vuota. Tutto era messo al proprio posto, era tutto perfetto. Ma non era completa quella camera, quel pomeriggio di fine Marzo. Mancava la fonte di luce viva, mancava quella ragazza.
Ma quella ragazza, ora, dov’era?

«Dov’è lei? » avevo chiesto con gli occhi lucidi e il cuore in gola alla madre di Destiny.

« Lei … Lei se n’è andata. »

Non capivo.
Non capivo nulla.
Vedevo le lacrime e il pianto disperato di una donna, sentivo il vuoto prendere il sopravvento sul mio corpo, le gambe mi cedevano, aveva iniziato a girarmi la testa.
Ma non mi arresi.
Avevo iniziato a correre, correre senza mai fermarmi.
Quando ero arrivato alle porte dell’ospedale, ero oramai in lacrime, ma me ne ero accorto solo quando, nell’ascensore, avevo rivolto lo sguardo allo specchio.

« Destiny Marshall … »

Il dottor Gray aveva abbassato la testa, i suoi occhi erano diventati lucidi e io non volevo più sapere nulla.


Sono passati due anni, oggi, dalla morte di Destiny.
Il giorno del suo funerale sono tornato in camera sua, in quell’appartamento al secondo piano di un palazzo vecchio.
Volevo solo prendermi le nostre foto, dato che erano l’unica cosa che mi rimaneva di lei, di noi.
Ma sulla scrivania, quel giorno, trovai una lettera.
La sua calligrafia diceva “Per Niall, con amore.


27 Marzo 2012
Ciao amore,
ti scrivo questa lettera, a pochi gironi dalla mia morte, perché a parole, certe cose, proprio non riesco a dirtele.
Non voglio piangere, non con te, perché so che dopo anche i tuoi occhi si riempirebbero di lacrime, e non vale la pena rovinare una tale bellezza.
Ti amo come mai ho amato nessuno e farei qualsiasi cosa per rimanere al tuo fianco.
Perché noi il “per sempre” ce lo meritiamo.
Ti ringrazio per tutte le volte che sei rimasto, per tutte le volte che mi hai aiutata a sorpassare i cattivi momenti, per tutte le volte in cui hai cercato di dipingermi un sorriso sul volto.
Lo hai sempre amato il mio sorriso, hai sempre amato me, ripetendomi ininterrottamente che anche io avrei dovuto amare me stessa.
Eppure a me è sempre bastato il tuo amore.
Quell’amore colorato e vivace, venuto a dare una tonalità diversa alla mia vita che, prima che tu ne facessi parte, era grigia.
Mi hai portato dove nessuno mi aveva portato mai.
Mi hai insegnato ad amare incondizionatamente anche i difetti della gente. Tu ne hai amati tanti di difetti miei, anche se dicevi che non ne avevo.

E ora ti scrivo, dopo questa notte fantastica, la più bella della mia vita.
Ho voluto farti questo regalo.
Ho voluto che la mia prima volta fosse con te, perché, Niall, come ho amato te, non ho mai amato nessun’altro al mondo.

Si, sono malata di cancro Niall.
Ho la leucemia.
Mi ha consumata da dentro, passo dopo passo, lentamente.
Mi è stata diagnosticata un anno e mezzo fa, poco prima di conoscere te.
I medici mi avevano dato al massimo sei mesi, ma tu e il tuo amore mi avete tirata avanti, mi avete dato un pezzo di vita in più.
Non te l’ho mai detto e se ti sei arrabbiato hai ragione.
Ma io non volevo che tu soffrissi. Non volevo farti male, perché una persona fantastica come te non ne merita.
Quando troverai questa lettera io sarò già nel posto giusto. E sarò felice.
Ti starò vicina da quassù, te lo giuro. Anche ora sono vicina a te.
Ti sto abbracciando forte Niall.
Ora però, non piangere, vai in cucina, nell’ultimo cassettone del freezer troverai un barattolo di gelato alla nocciola.
Ti prego, mangialo tutto, e anche quando avrai mal di pancia, continua a mangiarne, fino all’ultimo goccio.

Scusa tutte le lacrime che ci sono su questa lettera.
Un bacio, il tuo angelo custode.




Sono sul tetto, adesso.
Lo stesso tetto dal quale lei avrebbe voluto saltare, quel pomeriggio di fine Marzo.
Che ragione ho io di continuare a vivere, ora?
Questo mondo è cattivo. E’ pieno di sofferenza e di lacrime.
Non riesco ad andare avanti senza di lei.
Dopo la sua morte è andato tutto male.
Voglio raggiungerla.
Ho un disperato bisogno di riabbracciarla, di baciarla, di sentire il suo profumo. Ho un disperato bisogno di rivedere i suoi occhi.

« Sto arrivando, amore mio »

Salto.
Non sento più nulla, ma sorrido.
La rivedrò adesso.


Una luce accecante mi impedisce quasi di aprire gli occhi.
Ma poi vedo quella chioma rossa e riccia passarmi velocemente davanti. La sua risata echeggia nell’aria.
Tengo il peso del mio corpo sui gomiti e mi guardo intorno.
Vedo di nuovo uno chioma rossa passarmi davanti, ma non distinguo il volto.
Sto per alzarmi, ma due mani calde mi si poggiano sugli occhi.
Sento il suo cuore battere contro la mia schiena.

« Benvenuto a casa, Niall. »

Mi giro e incontro i suoi occhi verdi, dopo due anni.
I due anni più brutti di tutta la mia vita.
L’abbraccio e, come un bambino, scoppio a piangere.

« Ora avremo il nostro “per sempre”? »

« Si Niall, ce lo meritiamo. »

E così, mano nella mano, ci allontaniamo, verso quella fonte di luce: la nostra eternità insieme.








Buonasera ragazze. <3
Eccomi qui, con una nuova OS sul nostro Niall!
Penso sia la cosa più triste che io abbia mai scritto, pensate che piangevo come una fontana mentre la scrivevo, odeooo.

Domandine:

1) Vi è piaciuta?
2) Qual'è la vostra parte preferita?

C'ho messo un sacco per finirla, ci tengo tantissimo, giuro!

Tralasciando
AVETE SENTITO CHE FILMERANNO IL CONCERTO DI MILANO PER FARE IL DVD?!

Giuro che sto sclerando, oddio.


Occhei, ora posso pure evaporare, giusto?
Lasciatemi un giudizio, siate buone <3


Un bacione, Vale xx
   
 
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