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Autore: tableforone    23/05/2014    8 recensioni
Allontanati, perché la tua bocca che lo cerca in quel modo mi fa sentire il peggior amante del mondo.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Please, stop kissing in front of me.
It is unattractive and I’m in pain.

(Keaton Henson)

 


 
Il cellulare vibra, di nuovo.

Infilo la mano nella tasca dei jeans e, quando sblocco lo schermo, mi accorgo che era soltanto l’ennesimo avviso che il cellulare sta per spegnersi. Credo anche di avere lasciato il caricatore a casa e mancano ancora due ore prima che faccia ritorno. La gente mi si scontra addosso, non usano le loro bocche nemmeno per chiedere scusa. Invecchio. E non sopporto più.

Tutto mi sta crollando addosso e se continuerà su questa strada tra poco soffocherò. Cerco aria e la strada si riempie. Mi svincolo, cerco di evitare il contatto, mi dà fastidio. Ri-infilo il cellulare e mi guardo intorno. Vado di fretta, il semaforo è rosso, tentare di attraversare sarebbe il suicidio.

Aspetto, incapace di sopportare la statica. Gli occhi deviano dalla luce che aspetto diventi verde e spaziano intorno. Comincio a non sopportare nemmeno questa città. I loro abitanti, la loro velocità, la loro distrazione. Tutto va così di fretta che non si ha tempo di pensare agli altri. Invece una volta amavo questa solitudine in mezzo a tutti. Mi permetteva di-

Kate?

Mi blocco, la gente mi scorre di fianco, non riesco a riprendere a camminare. Sei abbastanza lontana da essere sfuocata, e sei ferma, seduta a un tavolino dentro il bar, esattamente davanti alla vetrata. Riconosco persino i tuoi vestiti, quella maglia completamente bianca e quella giacca di pelle.

Dovresti essere… al distretto, a quest’ora. Dovresti- odiavi le interruzioni, odiavi tutte le mie proposte, odiavi doverti distrarre dal lavoro. E allora perché non sei al dodicesimo? Vorrei conoscerlo, quello che è riuscito a convincerti a uscire di là per qualche ora, e vorrei stringergli la mano, guardarlo negli occhi, e ammirarlo. Ammirarlo perché è riuscito a diventare più importante del tuo lavoro. Perché, adesso, evidentemente, la tua ossessione è diventata lui.

Lui, che non sono io.

E, Dio, quanto avrei dato per essere la tua fissazione, per esserti sempre in testa. Ma non ti sei concessa, non a me. Non volevi farmi entrare nelle tue cose, deviavi le domande, mi guardavi e mi chiedevi di accontentarmi. Non pretendere troppo.

Un uomo si siede al tuo fianco, si trascina lungo la panca per farsi più vicino e tu sorridi subito. Dannazione, allontanalo, che stai aspettando? Non in pubblico, mi ripetevi, non qua. Volevo solo le tue spalle protette con il mio braccio, ma aspetta, non riesco a camminare e mi allontanavi. Mi allontanavi, Kate. Continuamente.

E cosa stai facendo? Lo stai tirando verso di te?

Lo stai

baciando?

Gli accarezzi il sorriso con la bocca, gli trascini le labbra sulle sue e poi ti scosti, lo deridi con quella smorfia, gli occhi allegri che si notano anche a metri di distanza. E poi ti dai di nuovo a lui, e, stavolta, lo baci.

Non lo respingi?

Non ti

vergogni più?

Siete così vicini che immagino le tue gambe distese sulle sue, sotto il tavolo, e ti accarezza, certo che lo fa, chi non lo farebbe? E sorridi, di nuovo, ancora, mentre ti morde. E guardandovi non c’è un solo istante in cui penso tu stia recitando.

E poi ti scosti e appoggi la schiena alla finestra e lui, immediatamente, si muove con te. La sua testa sul tuo braccio e ti bacia, lì, sulla pelle, e ci resta, non si muove.

Non si muove, tu… tu non ti muovi.

Il suo calore non ti infastidisce, ma il mio levati che ho caldo.

Hai… bisogno, del suo. Lo vedo da come ti volti, da come sorridi, da come scivoli senza paura verso di lui. Ti bacerei, davvero. E invece lui sta fermo, ti prende.

Sei mia, ti dicevo, e ridevo, perché ci credevo.

Sei mia, ti dicevo. E tu non rispondevi. Un bacio sulla guancia e ti allontanavi. Ma non hai mai ricambiato quelle parole. Non esagerare, non siamo di nessuno.

Ma ti guardo e lo vedo.

Il suo nome su ogni parte del tuo corpo.

E, lo so, adesso ti senti. Sua, tua, non importa, ma ti senti.

E non ci credo più, che non sei di nessuno. Chissà quante volte te lo ha detto, e tu, attenta, senza scappare, gli hai risposto Hai ragione.

Scostati, staccalo da te, sto morendo in piedi.

Allontanati, perché la tua bocca che lo cerca in quel modo mi fa sentire il peggior amante del mondo.

Staccati tu, perché, io, ti giuro, non riesco a muovermi.

La tua mano si spinge tra il collo e la spalla e stringe la presa dietro la nuca, non le vedo ma immagino le dita premere sulla sua pelle, e ti bacia ancora, e ti parla, e tu rispondi. Rispondi, ti piace, e chissà cosa ti dice. A bassa voce. Ti guardi intorno mentre continui a sussurrare. Gli confidi le più sporche intenzioni e gli racconti cosa avete intorno, sai che è troppo distratto per accorgersene da solo.

Neanche mi noti, che sono qui a fissarti, che cerco di capirti.

Alla fine, non vedi nessuno.

Te lo tieni stretto come se potesse scappare, ti piace un sacco amarlo così.

Ti starà toccando i fianchi e i capelli e non oso immaginare come tu ti senta. A descrivergli il mondo.

Non oso pensare come lui ti senta. Mentre ti ascolta.

E adesso capisco, che non dipende da voi.

Che, magari, non vorreste essere così. Che, forse, non vorreste sentire il bisogno di mostrarvi così estraniati da tutti, non vorreste non riuscire ad allontanarvi mentre gli altri vi guardano.

Che, alla fine, non vi imponete di ignorare tutta questa gente.

Semplicemente, la gente non vi serve.

E allora va bene, perché non è colpa di nessuno.

Non siamo fatti per chiunque.

Si scosta dal tuo abbraccio, si guarda intorno e, lui, a differenza tua, credo mi abbia notato. Volto immediatamente le spalle e ricomincio a camminare nella direzione sbagliata. Non credo di essere capace di passare davanti al bar.

Spero solo che Castle non mi abbia riconosciuto.
 
  
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