MEMORIA
 
Meeme smise di suonare e lasciò ricadere mollemente le mani in grembo. Harlock si era addormentato vestito, come ormai gli succedeva spesso. Era stanco, ma non si decideva mai ad andare a letto, come se cercare di dormire qualche ora fosse un’abdicazione al suo ruolo di Capitano.
Meeme appoggiò delicatamente l’arpa a terra, per non fare rumore, e si alzò. La inteneriva sempre guardarlo dormire: gli sembrava così giovane e vulnerabile nel sonno. Gli ricordava il ragazzo che l’aveva trovata sola e tremante su Jura e l’aveva portata via senza esitare, senza chiederle nulla. Era come se quel ragazzo, nel sonno, riemergesse dall’uomo freddo e incupito che era diventato.
Il mantello nero era rimasto appoggiato sul bracciolo della poltrona.
Meeme ne accarezzò piano la stoffa consunta.
Quello era il passato. Un passato da cui non si sarebbe separato mai. Anche lei, in un certo senso, faceva parte di quel prima che a volte tornava a tormentare le sue notti. Fantasmi di amore, di amicizia, di ideali ardenti, fantasmi…
Era come se ogni cosa fosse bruciata nel fuoco di quella guerra infinita, lasciando solo cenere.
“Quando morirò, Meeme, non riportarmi sulla Terra. Lasciami nello spazio con la mia bandiera” le aveva detto una volta.
Lei aveva cercato di scherzare: “Cosa ti fa pensare che non muoia prima io?”.
Lui aveva fatto quel mezzo sorriso che conteneva tutta l’ironia per se stesso e per la sua condizione presente e aveva risposto, serio: “Tu no, Meeme, tu sei la mia memoria”.
Era quasi una dichiarazione d’amore.