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Autore: ElenCelebrindal    26/05/2014    3 recensioni
Dal testo...
[...]La maggior parte degli alberi erano completamente bruciati, altri erano ancora circondati dall’alone delle fiamme, l’erba ridotta ad un tappeto di cenere e la nuda terra ormai senza più alcun segno di vita.
Solo pochi giorni prima quel luogo era ancora di risplendente bellezza, con le verdi e rosse fronde degli alberi che si innalzavano al cielo, gli uccelli che svolazzavano libero tra le foglie e i pochi animali terrestri che si nascondevano tra le piante.[...]
Questa fic è ambientata a Erebor, nelle sale della Montagna, prima della Battaglia dei Cinqe Eserciti.
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Thorin Scudodiquercia, Thranduil
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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FIAMME E SANGUE
 
Fumo e fiamme, lingue di fuoco che da terra salivano verso il cielo, la loro luce che feriva gli occhi e l’intenso calore che aggrediva la pelle in modo quasi insopportabile.
L’acre sapore della cenere e l’odore di morte che aleggiavano nell’aria aggredirono Thorin, quando si fermò ai margini della grande foresta di Bosco Atro, osservando la tremenda distruzione che l’aveva colpita.
La maggior parte degli alberi erano completamente bruciati, altri erano ancora circondati dall’alone delle fiamme, l’erba ridotta ad un tappeto di cenere e la nuda terra ormai senza più alcun segno di vita.
Solo pochi giorni prima quel luogo era ancora di risplendente bellezza, con le verdi e rosse fronde degli alberi che si innalzavano al cielo, gli uccelli che svolazzavano libero tra le foglie e i pochi animali terrestri che si nascondevano tra le piante.
Ora i pochi alberi rimasti erano completamente neri, arsi fin nella linfa, e di molti ne restavano solo monconi solitari come rocce.
Thorin era giunto lì senza conoscerne la ragione, senza sapere cosa l’avesse spinto a fare ritorno in quel’immenso bosco ormai distrutto.
Si addentrò tra gli scheletrici alberi, evitando i fuochi ancora accesi, deciso ad arrivare fino al palazzo di Thranduil, tossendo per il fumo che invadeva l’aria senza nemmeno un alito di vento.
Il nano non guardava dove metteva i piedi perciò, ad un certo punto, inciampò in qualcosa di indefinito e cadde bocconi a terra, attutendo la caduta stendendo le braccia.
Finalmente, il vento si alzò e, seppur alimentò le fiamme, fece diradare la cappa di fumo che lo opprimeva e Thorin restò paralizzato dall’orrore, quando vide che cosa era stato l’impedimento che l’aveva fatto cadere.
A terra, distesi sopra il sangue che impregnava il terreno, c’erano i cadaveri di più di una dozzina di Elfi, sia maschi che femmine.
I loro archi erano spezzati, distrutti come calpestati da qualcosa, e alcuni coltelli mostravano le lame ritorte o tranciate in due.
Nessun cadavere nemico a terra, invece, e la cosa parve davvero strana a Thorin che scattò in piedi, intimorito.
Quanti nemici erano per essere riusciti a soverchiare in quel modo dei guerrieri valorosi come gli Elfi?
Sguainò la spada e corse via, riprendendo la via che portava a palazzo, cercando di non far posare lo sguardo sui cadaveri, sempre più numerosi.
Riversi a terra, impalati agli alberi, sembrava che nessuno fosse stato risparmiato, donna, uomo o bambino.
Quando udì lo scrosciare del fiume, rallentò l’andatura e si avvicinò all'’acqua, che scorreva rapida eppure era tinta di rosso.
Thorin impiegò qualche secondo per capire che l’acqua non avrebbe avuto quel colore a distanza di tempo, e solo allora udì il clamore di una battaglia, che si stava combattendo poco lontano.
Il principe nano voltò la testa nella direzione da cu provenivano i rumori e, rafforzando la presa sull’elsa della spada, cominciò a correre, incrociando ben presto un numero di orchi che parve esiguo.
Tutti caddero sotto i suoi colpi ma, quando nessuno rimase in piedi, un urlo straziante, colmo di dolore, angoscia e disperazione, lacerò l’improvviso silenzio, e Thorin riconobbe all'’istante la voce di chi l’aveva emesso, la stessa, identica voce della persona che aveva ordinato a delle guardie di rinchiuderlo in una prigione.
Senza pensarci due volte, rinfoderò la spada e corse nel luogo da dove era giunto il grido, e si rovò di fronte uno spettacolo che lo fece impallidire e fermare di colpo.
Il ponte che conduceva alla dimora di Thranduil era quasi crollato, la grande fortezza sembrava crollata su se stessa, i portali decorati divelti, le colonne spezzate.
E di fronte ai portali stava Thranduil: il grande re del Reame Boscoso, il sovrano altezzoso e arrogante, era in ginocchio, con le mani a terra, le dita che artigliavano a vuoto la dura pietra chiara annerita dal fuoco, il corpo scosso da tremiti violenti.
I singhiozzi a stento soffocati e le lacrime che Thorin vedeva scorrere sul suo volto dai suoi occhi profondi e imperscrutabili sembravano del tutto inappropriati a quella severa e austera figura, ancora protetta da una splendida armatura argentata.
Quando Thorin, avvicinatosi camminando sul ponte pericolante, scoprì il motivo di tanta disperazione, barcollò all'’indietro.
Perché Thranduil era in ginocchio al fianco del figlio, inequivocabilmente morto.
Legolas era steso sul nudo e gelido marmo, i capelli sparsi a terra e il sangue che tingeva di rosso vivo il liscio pavimento.
Una profonda ferita all'’altezza del cuore, che ancora stillava lo scarlatto fluido della vita, era il segne che il giovane principe era stato certamente ucciso da poco.
Difatti, alcuni orchi erano a terra, con la gola trapassata da sottili frecce dall’impennaggio bianco; uno ancora stringeva una lunga sciabola macchiata di rosso vivo.
Il nano ebbe un sussulto quando si rese conto che Thranduil era l’ultimo elfo di Bosco Atro ancora in vita, ma si riprese e si avvicinò al re, ma quello lo ignorò e continuò a gemere e piangere, chiamando con voce disperata e sempre più flebile il nome del figlio, le calde lacrime che lente gli solcavano il viso.
A quel punto Thorin capì, capì che gli Elfi non erano solo le creature piene di sé, altezzose e tanto raffinate che credeva, ma erano persone come lui, che amavano e soffrivano, forse anche più intensamente e profondamente di qualsiasi altro.
Tremando leggermente, allungò le braccia e posò le mani sulle spalle di Thranduil, e si lasciò sfuggire una lieve esclamazione di sorpresa quando l’elfo si lasciò improvvisamente cadere all'’indietro, e il nano si ritrovò a sostenerlo.
Lentamente, Thorin si inginocchiò e guardò negli occhi il re degli Elfi: se una volta di aveva scorto rabbia, presuntuosità e malizia, ora vi scorgeva solo un dolore incommensurabile, tristezza, disperazione e una terribile rassegnazione.
Poche lacrime lasciarono di nuovo gli occhi di ghiaccio del re, prima che due, solo due, flebili parole fuoriuscissero dalle sue labbra.
“Mi dispiace”.
Solo quelle, prima che Thorin sentì il corpo di Thranduil abbandonarsi, prima che i suoi occhi si chiudessero per sempre.
Prima che l’ultimo grande re degli Elfi della Terra di Mezzo morisse tra le inermi braccia del principe nano.
Suo malgrado con le lacrime agli occhi, Thorin disse, a bassa voce: “La nostra guerra si è conclusa”.
 
Poi Thorin aprì gli occhi, mettendo a fuoco il soffitto di pietra sopra di sé e sentendo la morbidezza delle coltri che l’avvolgevano.
Allungò una mano e, toccandosi le guance, non si sorprese affatto di trovarle bagnate.
Sospirò: “È stato un sogno”, sussurrò, mentre altre lacrime gli solcavano il viso, bagnandogli le labbra atteggiate in un sorriso di puro sollievo.



Namarië, mellyn nîn

ElenCelebrindal
   
 
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