Anime & Manga > Capitan Harlock
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Autore: Targaryen    26/05/2014    1 recensioni
Eravamo Dei per voi. Ora siamo ricordi. Presto saremo oblio.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harlock, Miime
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Canto delle Stelle'
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"L'amore consiste in questo,
che due solitudini si proteggono a vicenda,
si toccano, si salutano ..." 
di R.M.Rilke  (*)
 
  1. Arrivo
Harlock non vede soluzione. E’ un capitano di vascello, membro dell’elite militare della Gaia Sanction, ed è uno dei migliori. Ha combattuto nella guerra di ComeHome, e si è conquistato la stima dei compagni e il rispetto da parte degli avversari, collezionando medaglie a cui non attribuisce alcun valore. Molte sono le domande senza risposta che porta dentro di sé, ma nessuna di queste ha mai coinvolto la sua capacità di comando. Mai, prima d’ora. La sensazione che prova è frustrante. Impotenza. Qualcosa che lui non ha mai tollerato né accettato.
Immobile, le braccia raccolte sul petto, e un cipiglio sul volto che scoraggia chiunque dall’avvicinarsi, continua a fissare lo spazio vuoto attraverso la paratia trasparente della plancia. Uno spazio che non riconosce.
“Nessuna novità dalle squadre di riparazione?”, chiede senza voltarsi.
La voce del primo ufficiale giunge accompagnata da una cenno di diniego del capo.
“No, capitano. L’integrità strutturale è confermata, ma i dati che il computer centrale ha perso non sono recuperabili. Non c’è nulla da fare. Non conosciamo la nostra posizione.”
Sono ad un punto di stallo. La nave non ha subito danni irreparabili, i sistemi di propulsione sono perfettamente funzionanti, l’In-Skip è operativo, ma senza mappe sono come ciechi. Possono essere vicini ad avamposti umani o perduti nello spazio ancora inesplorato, ma non possono saperlo. Lo spazio, per chi lo guarda con i soli occhi, è sempre uguale: punti luminosi su un telo nero, veli di polveri colorate e oggetti che sfidano l’umana comprensione. Isotropia su grande scala, la chiamano. Curioso morire per l’isotropia. Non possono restare lì. Nessuna stella è sufficientemente vicina da poter essere scansionata e confrontata con la banca dati. Devono trovare un punto di riferimento, e per farlo devono sperare nella sorte.
Harlock raggiunge la sua postazione. Se non riuscirà a fare ritorno Tochiro non lo perdonerà mai, e ad un amico certi torti non si fanno.
“Accendiamo i motori, tenente. Entriamo In-Skip e usciamone immediatamente.”
Il silenzio che segue non lo sorprende. I suoi uomini hanno il diritto di avere per un attimo paura dinanzi a quell’ordine. E’ umano averne, ma è anche umano rischiare quando non c’è altra via. Meglio morire in un guizzo di fiamma che spegnersi lentamente di inedia.
“Senza mappe né direzione, signore?”, azzarda qualcuno.
“Sì”, è la sua lapidaria risposta.
Il rispetto della disciplina, nella Gaia Fleet, non è un’opzione, e nessuno aggiunge altro.
Il balzo è rapido, il tempo di un respiro trattenuto, ma non è sufficiente. Ancora spazio vuoto e luci che ammiccano irridendoli. Ne serve un secondo. Harlock dà di nuovo l’ordine, e questa volta qualcosa cambia.
L’allarme, violento, squarcia il silenzio percorrendo l’intero incrociatore, e tramutando il sangue in ghiaccio. Qualcuno grida, qualcuno prega, tutti cercano di bilanciarsi per non rovinare al suolo. Il metallo intorno a loro geme sotto la stretta impietosa della gravità.
Harlock balza in piedi e afferra la consolle in cerca di sostegno, gli occhi inchiodati sull’immagine che lo sovrasta e il cuore in gola.
“Motori indietro tutta!”
Non è necessario che l’ordine venga ripetuto. Il macchinista, pallido come la morte, ha già le mani sui comandi e i propulsori ubbidiscono, tra sinistri lamenti e sbuffi di plasma. A fatica la nave indietreggia e si porta a distanza di sicurezza.
A manovra terminata l’enorme disco rosso della stella occupa ancora l’intero orizzonte. Per qualche istante tutti lo fissano immobili, rabbrividendo.
“Direi che è abbastanza vicina, capitano …”
Harlock torna a respirare e si concede un sorriso appena accennato. Forse è il commento del navigatore a produrre quell’effetto così raro per lui, o forse è solo la fortuna che li ha accompagnati sin lì.
“Direi. Scansioniamola e identifichiamola.”
“Subito, signore.”
L’analisi è immediata.
“Supergigante rossa classe spettrale M1. Binaria. La compagna è al momento occultata”, dichiara l’ufficiale addetto ai sensori di posizione, “E’ Antares.”
Harlock non dice nulla, ma alle sue spalle qualcuno impreca sottovoce. Quel settore non è colonizzato ed è tutt’ora inesplorato. Le intense radiazioni rendono improbabile l’esistenza di pianeti abitabili e non vi sono colonie sufficientemente vicine da poter essere raggiunte a velocità sub-luce. Sono passati da un vicolo cieco ad un altro. In rapida successione le ipotesi più disparate si affastellano nella sua mente. Lui le vaglia una ad una, meticolosamente, ma nessuna è accettabile.
Dopo un tempo imprecisato, il primo ufficiale richiama la sua attenzione.
“Capitano, i sensori a lungo raggio rilevano qualcosa …”
La voce dell’uomo pare dubbiosa e gli occhi, ridotti a sottili fessure, scrutano spasmodicamente la mappa che ha dinanzi.
A grandi falcate Harlock lo affianca.
“Sia più preciso.”
L’immagine mostra un’ombra puntiforme che appare e scompare … quasi un’eco che lotta per emergere.
“Non posso, signore, ma si tratta di una struttura artificiale. Ha dimensioni confrontabili alle nostre. Impossibile stabilirne la natura a questa distanza.”
Artificiale … Harlock assapora il significato di questa parola in tutte le sue infinite sfaccettature, e quasi dimentica la disperata situazione in cui si trovano.
La presenza di relitti umani nel settore è praticamente da escludere.
Nella sua mente lo spazio assume i colori dell’oceano e il suo cuore freme, libero come il vento. Un giorno si abbandonerà a quel vento, ne è certo, ma ora deve accontentarsi di quella luce che lo invita a raggiungerla.
“Avviciniamoci.”
Il suo tono, fermo come sempre, tradisce una punta d’urgenza ed un’emozione nuova. In fondo non hanno nulla da perdere.
Lo spazio intorno a loro è ricco di detriti. La nave li attraversa con prudenza sino alla propria destinazione, quindi si ferma.
Harlock si avvicina alla paratia trasparente e osserva in silenzio. Senza ombra di dubbio la struttura che hanno dinanzi è aliena. Qualunque cosa fosse ora è una carcassa contorta forgiata in un materiale che assomiglia a vetro. La superficie, di un grigio uniforme, porta i segni della lunga esposizione a polveri e radiazioni e in alcuni punti sembra fusa.
Il primo ufficiale pare sconcertato.
“Fonti di energia?”, chiede.
“Sì, una”, risponde qualcuno, “Ma debole.”
Harlock socchiude gli occhi per un istante. Sa esattamente quale sarà la sua prossima decisione.
“Preparate una navetta”, ordina, “Entriamo.”


(*) Un grazie a Mamie e alla sua "Aus dunklem Wein und tausend Rosen" per avermi riportato alla mente queste parole.



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Nota sulla serie “Il canto delle stelle”

La serie di cui questa fiction rappresenta l’inizio è ambientata esclusivamente nel movieverse, nonostante la presenza di elementi che possono richiamare altri filoni narrativi di Capitan Harlock (ad esempio la scelta del nome del pianeta di Meeme, Yura, palesemente “rubato” alla serie classica). Poiché in Space Pirate Captain Harlock la questione dell’immortalità risulta abbastanza confusa e contradditoria, riporto in breve la mia personale interpretazione, valida per tutti i racconti riuniti nella raccolta. Nella versione integrale si dice chiaramente che, quando la materia oscura ha contaminato la Terra, Harlock e Meeme sono stati vincolati alla nave e Tochiro è stato intrappolato nel computer centrale. Perciò essi risultano gli unici ad averne subito l’influsso perché, probabilmente, erano gli unici ancora in vita presenti sull’Arcadia al momento (anche se, a onor del vero, Tochiro pareva più morto che vivo). In funzione di ciò Harlock non può morire e Meeme sembra costretta a seguire le sorti della materia oscura, tramutandosi in pura energia quando il motore viene aperto e riassumendo forma corporea quando la materia oscura viene riassorbita, in un ciclo infinito che la lega indissolubilmente all’Arcadia. Ho supposto che il diverso effetto che la materia oscura ha avuto su Harlock e su Meeme sia dipeso unicamente dalla loro appartenenza a razze diverse. I nibelunghi erano umanoidi altamente evoluti e sembravano essere dotati di una vita lunghissima. Ho immaginato che non fossero immortali, ma che non invecchiassero. Dopo la fine del film non possono non essere intervenuti cambiamenti, o la redenzione di Harlock perderebbe a mio avviso parte del suo significato simbolico. Ho supposto quindi che per Meeme si sia ripristinata la situazione originaria: ella è tornata mortale ma pur sempre libera dalle offese del tempo. Harlock invece, essendo umano, può aver risposto alle mutate condizioni in maniera diversa, mantenendo ad esempio l’incapacità di invecchiare ma ritornando mortale. In questo modo entrambi avranno la possibilità di decidere se e quando porre fine alla propria esistenza, nel rispetto del tema del ricambio generazionale tanto caro a Matsumoto e nel contempo funzionale alla storia che ho intenzione di raccontare. Per quanto concerne l’equipaggio, esso non subisce alcuna contaminazione a bordo dell’Arcadia e i suoi membri muoiono secondo quella che è la loro natura. Ad inizio film tutti gioiscono per aver fatto ritorno sani e salvi dall’arrembaggio, comportamento incomprensibile nel caso in cui fossero stati immortali. Ma cos’è la materia oscura? Il nome è davvero poco azzeccato e designa una misteriosa sostanza che con la materia oscura a cui si accenna in cosmologia non ha assolutamente nulla in comune. L’omonimia può trarre in inganno, ma se proprio vogliamo associarla a qualcosa il riferimento, neppure troppo velato, è all’Oro del Reno della Saga dei Nibelunghi di Matsumoto, in cui essa diventa l’essenza da cui dipende l’universo. Detto ciò, grazie a chiunque legga!


  
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