Questa storia è stata scritta
per il concorso "Magia di una frase" indetto da Akane sul forum di
efp, e si è classificata terza.
La frase "Che valore può avere l'orgoglio una volta morti?" è tratta dal manga Wolf's rain e pertanto non mi appartiene.
La donna si sedette sotto un grande albero innevato, prendendo la mano gelida
che il bimbo le aveva poggiato sul volto.
Lo strinse a sé, cercò di coprirlo
con il suo scialle. Gli strofinò il corpicino esile, cercando di infondergli un
po’ di calore.
“Amore...” lo chiamò in sussurro, avvicinando il volto a
quello pallidissimo del figlio. Lo cullò, cercando un modo per riscaldarlo.
Pianse, e le lacrime le si ghiacciarono sulle guance paffute.
Prese il
mantello che aveva rubato dal corpo di un ladro, appeso alla forca da tre
giorni. Pregò il Signore affinché la perdonasse per un’azione così turpe.
Vi
avvolse nuovamente il bambino, come aveva fatto poco prima, lo baciò sulla
fronte, gli passò un dito sulle labbra livide.
Suo marito era morto, ucciso
dai soldati nemici che erano rimasti nel Paese con l’accusa di furto. Lei era
stata costretta ad andarsene, in piena notte, con un figlio di appena quattro
anni tra le braccia, sotto la neve, in balia del freddo e del vento ghiacciato
che proveniva dalle montagne lì vicino.
Scostò con amore i fiocchi candidi
che erano caduti sui capelli scuri del piccolo, gli strofinò le mani.
E
mentre lo faceva, osservò le unghie nere, gli occhi chiari socchiusi, il respiro
flebile.
“Amore...” lo chiamò nuovamente, con la voce rotta dai singhiozzi.
Ma lui non diede segno d’averla sentita. Non si mosse d’un millimetro, non diede
segno di reazione.
Improvvisamente, il suo respiro non si sentì più.
La
donna urlò, piangendo. Urlò, maledisse il re, i soldati, la guerra, urlò e
chiamò il suo bambino.
Ma il piccolo non rispondeva; le era morto tra le
braccia, ucciso dal freddo di una notte crudele. Pianse, si disperò, lo
abbracciò e lo baciò sulla fronte fino a quando non sentì una mano che le si
posava sulla spalla.
Alzò gli occhi colmi di lacrime.
Vide un uomo
vestito con abiti aristocratici, che teneva un pesante mantello tra le mani.
Glielo tese, ma lei non lo afferrò.
Allora glielo mise sulle spalle, poi
prese in braccio il piccolo, con delicatezza, inginocchiandosi davanti alla
madre, gli chiuse gli occhi.
“Vieni al mio palazzo.” le disse dolcemente,
tendendole una mano. “Seppellirò tuo figlio, così che il suo corpo possa
riposare in pace mentre la sua anima è con il Signore. Ti darò una casa e un
lavoro. Non piangere; il tuo bambino è con Dio e sta bene.”
La donna annuì
convulsamente, si alzò, lo seguì tremando fino ad un cavallo. L’uomo vi adagiò
il bimbo, vi fece salire la donna, infine lo condusse fuori dal bosco in cui si
trovavano.
Camminarono sino all’alba, quando un enorme castello iniziò ad
apparire davanti a loro.
Non parlarono fino a quando non furono
all’interno.
“Qual’è il tuo nome?” domandò l’uomo, dopo che aveva fatto
disporre i funerali del piccolo.
“Blastimdia.” rispose lei, carezzando per
l’ultima volta i capelli scuri della sua creatura.
“Io sono Rodnar, il
signore di Kalleha. Questa notte hai perso un figlio, rispetto il tuo dolore. Ma
io ho perso mia moglie, e il mio ultimogenito è nato da poche ore. Prenditi cura
di lui, nutrilo, crescilo. Io non ne sono in grado, lo affido a te. Mio figlio
si chiama Shanna, e da oggi lui è anche tuo figlio.”
§§§
Una donna grassoccia si muoveva silenziosamente nell’oscurità della stanza,
toccando con cautela ogni oggetto. Carezzò con le lunghe dita la stoffa leggera
di una camicia che le era capitata tra le mani durante quella sua ispezione
notturna. La portò al volto, aspirandone il profumo, e riconoscendovi quello del
proprietario della camera in cui si era furtivamente infilata.
Accese una
candela, la sollevò fino a vedere cosa ci fosse davanti a lei. Si avvicinò
cautamente al letto, da dove proveniva il rumore di un respiro leggero, unico
segno di vita in quella notte silenziosa.
Scostò le pesanti tende che lo
circondavano, facendo attenzione a non svegliare il giovane che vi
riposava.
Posò la candela sul comodino, illuminandolo. Era quello l’unico
motivo per cui era salita in una stanza dove non le era permesso
entrare.
Guardò con attenzione il volto rilassato del ragazzo, soffermandosi
a studiare i lineamenti aspri del viso, la carnagione pallida, i capelli biondi
arruffati. Se avesse aperto gli occhi, avrebbe incontrato uno sguardo di pece,
lo stesso che le rivolgeva quando, da neonato, lei lo stringeva a
sé.
Improvvisamente avvolta da una profonda sensazione di dolcezza, gli
riassettò le coperte che si erano spostate durante il sonno, proprio come
avrebbe fatto con suo figlio.
Sorrise mestamente a quel ricordo. Il suo
bambino sarebbe stato poco più grande del ragazzo che stava fissando in quel
momento, se solo fosse riuscito a sopravvivere a quella notte gelata, alla neve
e al vento, sedici anni prima. Se fosse riuscito a sopravvivere alla notte in
cui era nato Shanna, ultimogenito tra i figli del signore di Kalleha.
In
quella notte maledetta aveva perso un figlio, e ne aveva trovato un altro. Era
stata accolta come balia in quella casa sontuosa, e da quel giorno aveva
imparato ad amare il giovane Shanna, che era diventato la sua unica ragione di
vita.
Spense la candela in un soffio, e si diresse verso la porta con passo
felpato. Uscì nel lungo corridoio che portava alle stanze da notte dei signori
di quel castello, lo percorse lentamente, riflettendo sul suo passato.
Fino a
sedici anni prima era stata semplicemente una contadina della contea di Kalleha,
poi, dopo la morte di suo marito e di quella di suo figlio, Rodnar, signore di
quei luoghi, aveva avuto pietà di lei e ne aveva fatto la balia del suo più
piccolo, garantendole una vita dignitosa e un luogo sicuro in cui stare.
In
quegli anni, aveva imparato a conoscere ogni luogo di quell’enorme castello, che
non era minimamente cambiato, da che era arrivata.
Le splendide statue di
marmo bianco decoravano ancora la Sala da Ricevimento, mentre le lucide armature
ornavano i corridoi e la grande Stanza da Ballo, con il pavimento splendente e
le pareti decorate con oro massiccio.
Sapeva capire in quale parte
dell’abitazione si trovasse semplicemente avvertendo i sontuosi tappeti sotto ai
piedi scalzi, quando di notte camminava nell’oscurità.
Quando sentì il freddo
della pietra liscia, capì di essere arrivata nelle prossimità della Stanza della
Servitù.
Aprì lentamente la porta di legno massiccio, attenta a non fare
rumore per non svegliare nessuno.
La famiglia di Kalleha aveva predisposto
per i suo servi una grande stanza, corredata di tutto ciò che era necessario per
vivere.
Le pareti erano di mattoni scuri, e numerosi camini riscaldavano
l’ambiente. Sui pagliericci posti lungo le pareti più calde dormivano
serenamente gruppi di bambini, sotto le pesanti coperte che i padroni donavano
loro ogniqualvolta se ne presentasse l’occasione.
La donna avanzò fino ad un
grande tavolo scuro, su cui era poggiato un bicchiere vuoto, che probabilmente,
poco prima, era stato riempito del vino migliore, quello che i padroni
riservavano per sé e per i loro ospiti e che concedevano di tanto in tanto ai
servi più meritevoli.
Era certo il segno che qualche messaggero era tornato
da un lungo viaggio, ed aveva ben pensato di premiarsi per il duro lavoro con
quella bevanda deliziosa che tanto allietava gli uomini.
Si guardò intorno,
alla ricerca di qualche indizio che confermasse i suoi sospetti, e scorse, in un
angolo, un uomo che portava i colori dei Kalleha, con il loro stemma ricamato
sulla casacca nera. Si accigliò. Quello era il messaggero più rapido che la
nobile famiglia possedeva, e chiedevano il suo intervento solo in caso di
urgenza e di pericolo.
Congiunse le mani al petto, pregando che non fosse
una cattiva notizia, quella che portava. Solo pochi mesi prima era terminata una
guerra che era durata più di trent’anni, che aveva decimato la popolazione ed
aveva tenuto lontani Rodnar e i due figli maggiori, Tarique e Balimde, famosi
per essere due dei guerrieri più valorosi di cui disponesse il regno di Pagremi,
le cui contee maggiori erano Kalleha e Bashellira.
Le due famiglie che le
governavano erano divise da un odio profondo, nato da uno spiacevole incidente
avvenuto anni prima in una battuta di caccia.
Ogni guerra era, per loro,
motivo di competizione, ma purtroppo, nell’ultima, ai signori di Kalleha era
toccato il primato peggiore, ovvero quelli dei caduti in battaglia.
La
nutrice si stese sul proprio giaciglio, chiudendo gli occhi. Se fosse scoppiata
un’altra guerra, anche il suo amato Shanna avrebbe dovuto partire per
combattere, poiché, secondo suo padre, aveva raggiunto l’età in cui cominciava a
diventare un uomo, e quindi era in dovere di difendere la propria patria contro
gli invasori di Gresdelval, il regno confinante, abitato da una popolazione
bellicosa che aveva in odio la gente del regno di Pagremi.
Qualunque
cosa sarebbe successa, non avrebbe permesso che quel ragazzo andasse in guerra,
si ripromise, mentre sentiva che il sonno la vinceva. Annuì debolmente a sé
stessa, e si addormentò.
Shanna di Kalleha era il ragazzo più scostante che a Blastimdia fosse mai
capitato di incontrare, eppure non poteva fare a meno di amarlo e di difenderlo
dalle parole malvagie degli altri servitori.
“Oggi è furioso.” commentò un
vecchio cuoco che aveva più di ottant’anni e che conosceva bene tutti i
componenti della famiglia di Kalleha. “Si è alzato all’alba, e se ne va in giro
per tutto il castello a chiamare la sua serva.”
“E’ scomparsa?” domandò la
nutrice, mentre puliva il tavolo con un panno umido. “Ora che ci penso, è da
ieri pomeriggio che non la vedo.”
“Già. Nemmeno io, e lui è rabbioso. Se non
la troverà, stai certa che entro stasera qualcuno si farà male. E’ un tipo
violento, quel ragazzino.”
La donna scrollò le spalle, sorridendo.
“Ma
no, ma no! E’ solo un po’... impulsivo.”
“Non difenderlo!” esclamò burbero
l’uomo, agitando un mestolo di legno che stava usando per preparare la colazione
dei signori. “E’ abbastanza grande per farlo da sé, no? E poi, su, imparerà a
trattenere la rabbia. E’ ancora giovane.”
“Esatto.” sorrise Blastimdia,
soddisfatta.
In quel momento, la porta si aprì con un tonfo. Immobile
davanti all’entrata, il portamento fiero, una mano sull’elsa della spada legata
in vita, pallido di collera, stava Shanna. Il suo sguardo percorse velocemente
l’intera Stanza della Servitù, mentre tutti si fermavano a guardarlo, stupiti
nel vederlo lì.
“Padrone...” mormorò un paggio, avvicinandosi “possiamo fare
qualcosa per voi?”
Shanna lo guardò, qualche istante, poi storse le labbra
sottili.
“Qualcuno di voi ha visto la mia serva?” chiese “Chi sa dov’è
Teisha?”
Rimase in silenzio, in attesa di una risposta che non venne.
Blastimdia lo raggiunse, gli posò una mano sulla spalla. Lui si scostò,
allontanandola, ma poi la guardò.
“Nessuno vede Teisha da ieri sera.” disse
con voce tremante di rabbia. “E non si sa dove possa essere sparita. Non si
sarebbe mai allontanata da qui senza dirmelo, e non può essere scomparsa nel
nulla.”
La nutrice rifletté qualche istante sulle sue parole, poi sgranò gli
occhi azzurri.
“Oh! Credi che l’abbiano portata via?”
“Ho chiesto a mio
padre, ma lui non ne sa nulla.” replicò il giovane. “Potrebbe essere
ovunque.”
Improvvisamente, una voce proveniente dall’angolo più remoto della
stanza li fece sussultare.
“Teisha? Quella ragazzina con la pelle nera e gli
occhi verdi?” Zanchi, l’uomo più anziano che abitava in quel castello, si alzò
dal suo giaciglio, facendo leva sul proprio bastone. Si mosse lentamente, fino
ad arrivare dove Shanna potesse vederlo.
“Lei.” confermò il ragazzo,
guardandolo. Si era sempre sentito in soggezione davanti a tanta anzianità,
forse perché non aveva mai sentito parlare di uomini che avessero vissuto tanto
quanto Zanchi, che, secondo quanto si diceva, aveva ben più di cent’anni. Eppure
aveva ancora un perfetto udito e una vista invidiabile, nonostante l’età
l’avesse reso lento e fragile.
“Allora lo so io dov’è. Camminavo, ieri notte,
nel giardino. Quella bambina era seduta vicino al pozzo, giocava con un gatto
rosso che le si era acciambellato in grembo. Vidi un giovane che le si
avvicinava. Lei si ritrasse, cercò di cacciarlo, provò ad urlare, ma lui le mise
una mano sulla bocca e la portò via.”
Shanna fece un passo avanti.
“E
perché non l’hai detto subito? Perché non mi hai avvertito?” domandò con
tono accusatorio.
“Perché quella bambina è una schiava. E che differenza fa
se il suo padrone sei tu o se è un altro? Il suo ruolo non cambia.” replicò
lapidario il vecchio, tendendosi verso di lui.
Il giovane sospirò. “Hai visto
almeno chi era questo ragazzo di cui parli?”
“La mia vista, giovanotto, non è
più quella di una volta, e potrei essermi sbagliato...”
“Chi era?” insisté
Shanna, muovendo la mano con fare impaziente.
“Credo di non errare se affermo
che quel tale era il giovane Kalui di Bashellira.”
“Bashellira!” gridò il
ragazzo, agitando un pugno in aria. “Quei maledetti cani! Se la prendono con i
servi, adesso? Ma lo rimpiangeranno.” aggiunse, senza rivolgersi a nessuno in
particolare.
Lasciò la stanza, e con passo spedito percorse tutto il
corridoio, salì le scale, giunse fino alla Stanza del Consiglio, dove suo padre
era solito rimanere prima di scendere per la colazione.
Spalancò la porta
senza bussare, senza curarsi di essere educato o di far segnalare la sua
presenza, come avrebbero voluto le regole che gli avevano insegnato fin da
quando era bambino.
Fu sorpreso di scoprire che suo padre non era solo.
Insieme a lui c’erano i due fratelli maggiori di Shanna, Tarique e Balimde, che
lo fissavano straniti.
“Shanna? Come mai sei qui? Cos’è quella faccia
sconvolta? E’ accaduto qualcosa di grave?” domandò suo padre, che si era alzato
dal suo scranno ed era andato incontro al figlio non appena l’aveva visto
entrare.
“Padre, io vi chiedo di perdonarmi per questa intrusione così
maleducata, ma vi prego, cercate di capirmi; è successa una cosa per cui non
riesco a darmi pace, e vi imploro perché mi lasciate fare giustizia.”
Rodnar
si passò una mano sul volto, indicando al ragazzo uno scranno accanto a Tarique,
il maggiore tra i suoi figli.
“Siediti e racconta quello che è accaduto,
allora. Ma, per amore del Signore, cerca di calmarti.”
“Padre, quei maledetti
di Bashellira hanno rapito la mia serva, li ha visti Zanchi.” spiegò.
A
quelle parole, Balimde scattò in piedi e gli si parò davanti.
“Ne sei certo,
Shanna?” domandò, voltandosi poi verso il padre, che si era fatto scuro in
volto.
“Cosa vorresti fare, figlio? Sai bene che io non ho alcun potere nei
territori di Bashellira, inoltre le nostre due famiglie si odiano e io non
saprei davvero come fare per poter giungere ad un compromesso con
loro.”
“Andare a riprenderla. Non sono venuto a chiedervi il vostro permesso:
partirò qualunque cosa decidiate di dirmi.” specificò, senza dare peso al
commento indignato di Tarique, che non approvava un simile comportamento,
affezionato com’era al rispetto e all’obbedienza.
“Padre, non ho strappato
Teisha dalla strada per cederla ai miei peggiori nemici, che chissà cosa
potrebbero farle.” continuò, assumendo un tono di voce più moderato e mite. “Ve
ne prego, non costringetemi a partire disobbedendo ai vostri ordini.”
“Non
sai quant’è rischioso, Shanna.” intervenne Tarique. “Ti uccideranno ancora prima
che tu possa mettere piede nel territorio di Bashellira.”
“No, secondo me ce
la farebbe.” lo contraddisse subito Balimde, che aveva sempre dimostrato di
avere una gran fiducia nei confronti di Shanna. “Padre, lasciatelo partire,
andrò io con lui, lo aiuterò. D’altra parte, quei cani di Bashellira hanno un
conto in sospeso con me, sarò ben lieto di pareggiarlo una volta per
tutte.”
“Balimde!” esclamò Tarique “Non è pronto per affrontare un simile
pericolo.”
“Avevate meno della sua età quando avete combattuto contro gli
invasori di Gresdelval, Tarique. Tuo fratello è grande abbastanza per poter
decidere da solo quello che vuole fare. Dunque, Shanna, se vuoi partire puoi
farlo. Ma Balimde verrà con te. E ascoltami bene: tra due mesi ci sarà il
battesimo del figlio di Tarique. Non perdonerò una tua assenza per alcun motivo.
Scegli un’altra persona da portare con te, una soltanto. Dopo, potrai
partire.”
“Se vorrà venire, porterò la mia nutrice Blastimdia.” decise il
giovane dopo qualche istante di riflessione.
“Folle!” lo redarguì Tarique, e
questa volta anche Balimde annuì.
“Con tutti i guerrieri che abbiamo a
disposizione, vuoi con te una donna che non sa combattere e non può esserti
utile?” esclamò Rodnar, sbalordito dalla richiesta del figlio.
“Sì.” si
limitò a replicare il ragazzo, senza curarsi di dare altre spiegazioni.
“Vai
ad avvertirla, allora. Quando hai intenzione di partire?”
“Al tramonto.”
Il bosco in cui si erano addentrati era fitto, e la luce pallida della luna,
creando sinistri giochi di ombre con i rami degli alberi spogli, lo rendeva
inquietante e spaventoso.
Blastimdia camminava vicina a Balimde, che
procedeva con la spada sguainata, attento a captare ogni rumore, ogni segno di
vita nell’oscurità notturna.
Shanna, dal canto suo, non sembrava per nulla
intimorito né dall’impresa che si era prefissato né da quel luogo ostile, ma
aveva una luce carica di odio e rancore negli occhi che non sfuggì alla
nutrice.
Camminava a testa alta, lentamente, curandosi di non inciampare
nelle radici o scivolare nelle lastre di ghiaccio.
“Quanto credi che ci vorrà
per attraversare il bosco?” chiese Balimde, tagliando un ramo che gli si parava
davanti.
“Da quello che ne so, dovremmo metterci più o meno tutta la notte.
Senza considerare il fatto che è buio e non possiamo certo metterci a correre.
Il ghiaccio ce lo impedirebbe.” considerò il giovane sbuffando.
Blastimdia
sollevò lo sguardo al cielo. Era certa che presto avrebbe iniziato a nevicare, e
allora l'umore già pessimo di Shanna sarebbe peggiorato, rendendo quel viaggio
un inferno.
Aveva sempre cercato di infondergli un po’ di pazienza nel cuore,
di insegnarli ad amare il prossimo, ma non c’era mai riuscita. Era sordo agli
insegnamenti sulla bontà e sull’altruismo, nonostante si fosse più volte
mostrato in grado di comportarsi in modo gentile e disponibile.
Ricordava
bene quando, anni prima, era tornato da un giro a cavallo con una bimba di poco
più piccola di lui, sporca e affamata, che parlava una lingua sconosciuta e
indossava abiti che nessuno aveva mai visto prima.
E lui, nonostante non
fosse avvezzo a fare del bene, aveva dato disposizione che quella piccola fosse
lavata e nutrita, ne aveva fatto la sua serva e le aveva personalmente insegnato
la lingua di Pagremi, trattandola sempre con un rispetto e con un amore che non
aveva mai avuto nei confronti delle altre persone con cui era venuto in
contatto. Ed era lei l’unica per cui lui era disposto a rischiare la propria
vita.
In quel momento, un grosso fiocco di neve le cadde sul naso, ben presto
seguito da altri, sempre più fitti e numerosi.
“Dannazione.” imprecò Shanna,
stringendosi nel mantello. “Ci mancava soltanto la neve.”
Balimde si sistemò
il cappuccio sulla fronte, irritato.
Blastimdia, invece,
s’immobilizzò.
Davanti a lei, terribile, si trovava l’albero sotto cui era
morto il suo bambino, più di sedici anni prima. E improvvisamente sentì che
l’aria le veniva meno, le immagini si offuscavano, i suoni si allontanano, e il
gemito sofferente di quel piccolino morente le riempiva di nuovo la mente, le
faceva tornare ricordi che erano perduti da tempo.
E rivide, nella sua mente,
quella mano livida, e il volto sorridente di un bambino che giocava nel cortile,
e poi piangeva, vicino al cadavere del padre martoriato dalle armi crudeli dei
soldati.
Apparve il volto giovane di Rodnar di Kalleha, quello fanciullesco
di Balimde e Tarique, in lacrime per la perdita della madre, e il rumore, in
lontananza, del pianto di un bimbo appena nato...
Avvertì il calore di una
mano sulla sua spalla e tornò alla realtà.
Balimde la stava fissando, accanto
a Shanna, che le era corso vicino, vedendola strana.
“Tutto a posto,
Blastimdia? Vuoi che ci fermiamo?” chiese il maggiore, preoccupato, ignorando il
verso seccato di Shanna, che non approvava l’idea di sospendere il
viaggio.
“No, sto bene. Ero solo immersa in ricordi troppo lontani perché
meritino di avere un peso. Proseguiamo, piuttosto. E’ freddo e stare fermi non
ci fa bene, in più dobbiamo raggiungere i territori di Bashellira il più in
fretta possibile.”
E diede per prima l’esempio, riprendendo il cammino come
se nulla fosse successo.
Le immagini che le erano appena tornate alla memoria
pian piano sfumarono, divennero così confuse e lontane che neppure lei riuscì
più a distinguerle.
Era ancora molto buio, ma gli alberi si stavano facendo
via via meno radi, e seppero che il bosco stava volgendo alla fine.
Camminarono ancora per un po’, in silenzio, finché non si lasciarono alle
spalle anche l’ultima quercia. Davanti a loro si ergeva una palizzata di legno.
Il portone era ancora chiuso, segno che era ancora troppo presto perché qualcuno
nel villaggio che si trovava di fronte a loro fosse già sveglio.
Shanna alzò
lo sguardo al cielo. La neve continuava a scendere, ma la luce era più chiara,
ed ora riusciva quasi a distinguere il volto sfinito di Blastimdia e quello
stanco di Balimde, che al contrario della donna non ansimava e non si
massaggiava le gambe, ma anche lui aveva gli occhi arrossati per la stanchezza,
contornati da profonde occhiaie.
“Shanna, adesso fermiamoci, però. Queste
strade non sono più nella nostra giurisdizione, non so come sia amministrata la
giustizia. Siamo in una zona molto battuta da briganti e ladri, dobbiamo fare
attenzione. Se ci attaccheranno, dobbiamo essere pronti a combattere.
Riposiamo.” disse Balimde, osservando il fratello.
“Se riesci a riposare
qui, al freddo, con la neve che scende, sei veramente più abile di quanto
immaginassi. Ma possiamo mangiare, questo sì.” aggiunse, vedendo la smorfia di
disappunto comparsa sul volto dell’uomo, che sembrava già pronto a
rispondere.
“Ho del cibo.” annunciò Blastimdia, frugando nella sua bisaccia.
Ne estrasse tre pezzi di pane, e ne consegnò ai due giovani, tenendo il terzo
per sé. “Credete che ci sarà qualcuno disposto ad ospitarci?” domandò,
titubante.
“Spero di sì.” replicò Balimde, osservando il suo pezzo di pane
con circospezione. “Ma non dobbiamo essere troppo ottimisti.” aggiunse,
staccandone un morso. “Questo è un periodo di razzie e carestia, a nessuno fa
piacere dividere quel poco che si è riusciti a salvare. Ma mi basterebbe un
tetto sopra la testa per poter dormire, ecco tutto. Tu che ne pensi,
Shanna?”
Il ragazzo rispose con un grugnito privo di significato. L’altro
sbuffò, e rinunciò a cercare di attirarlo in una qualsiasi conversazione.
In
quel momento, la porta d’ingresso del Villaggio venne aperta con un cigolio. I
tre si alzarono contemporaneamente ed entrarono, curandosi di registrarsi, con
falsi nomi, presso le guardie che controllavano l’entrata degli
stranieri.
“Una parola, buon uomo.” esordì Balimde, avvicinandosi ad una
sentinella particolarmente assonnata. “Siamo tre poveri stranieri che non hanno
dove dormire, non sapreste indicarci un posto dove chiedere asilo, per questa
giornata? Abbiamo vagato tutta la notte e vorremmo riposare.”
L’altro uomo lo
squadrò, come a voler capire se ciò che aveva detto fosse vero. Sembrò non
riuscire a trovare una risposta, ma alla fine annuì.
“C’è un convento,
appena fuori dal villaggio. E’ dalla parte opposta a dove ci troviamo ora.
Accoglieranno sicuramente voi e il ragazzo, ma non so la donna. Oppure potete
provare dal vecchio Ulgrod. Abita in quella capanna laggiù, e dà sempre
ospitalità a chiunque la chieda. E’ una brava persona.”
Balimde lo ringraziò,
poi si avvicinò a Blastimdia e Shanna, che erano rimasti poco distante ad
aspettare.
Illustrò loro la situazione, ed insieme decisero di provare a
chiedere all’uomo di cui aveva parlato la guardia.
Bussarono alla porta che
era stata loro indicata ed attesero. Dopo qualche istante, qualcuno aprì.
Era
un uomo anziano, dai grandi occhi azzurri, con barba e capelli bianchi. Poggiava
su un bastone, ed era magro e consumato dagli anni, ma aveva un sorriso gentile
e disponibile e uno sguardo vivace.
“Posso esservi d’aiuto, signori?”
domandò, facendosi da parte. “Entrate, fa freddo lì fuori. Avete bisogno di
qualche cosa?”
“Buon uomo,” rispose Blastimdia, anticipando i due giovani,
che avevano entrambi aperto bocca per parlare “sono una povera straniera che
viene dai territori di Kalleha, e questi sono i miei figli. Abbiamo girato per
il bosco tutta la notte, ma ora vorremmo riposare. Non...”
“Non c’è bisogno
di aggiungere altro.” l’interruppe il vecchio. “Siete i benvenuti. Potete
fermarvi quanto vorrete. Il mio nome è Ulgrod, ero un servo in casa Bashellira,
ma ora sono libero e credo che ognuno sia meritevole di trovare luogo in cui
riposare. Che c’è, ragazzo, perché mi guardi male?” aggiunse poi, rivolgendosi a
Shanna, che lo fissava corrucciato.
“Avete detto che eravate servo in casa
dei signori di Bashellira. Non è nulla, ripensavo solo a ciò che si dice di loro
nelle terre da cui veniamo.”
“Sì,” sospirò Ulgrod “conosco quelle dicerie. Ma
ti assicuro che non sono vere. Quelli di Bashellira trattano bene i loro servi,
non li privano del cibo come si vuol far credere né li picchiano né li
maltrattano. E non uccidono i prigionieri senza un processo adeguato, e
rispettano le donne e i bambini.” continuò. “ Ma ora basta chiacchierare. Voi
sembrate molto stanchi, e io devo andare a lavorare. Questa casa adesso è anche
un po’ vostra, sono sicuro che non mi pentirò d’avervi ospitato. Riposate, che
qui nessuno vi darà fastidio.”
Sorrise, ed uscì.
I tre si scambiarono
un’occhiata veloce, poi si stesero sul vasto pagliericcio che Ulgrod aveva loro
indicato.
“Bè,” commentò con un sorrisetto Balimde, chiudendo gli occhi “sai,
Shanna, non credo che otterrai il mio perdono, dopo avermi trascinato in questo
viaggio. Abbiamo attraversato un bosco di notte, senza fermarci, sotto la neve,
mi son dovuto inventare dei nomi per non farci scoprire e adesso mi tocca anche
dormire su un po’ di paglia che puzza.”
“Sei tu che hai voluto venire.”
ribattè all’istante il giovane, rannicchiato accanto a lui. “Quindi ora stai
zitto e lasciaci dormire.”
Non aspettò una risposta, chiuse gli occhi e si
addormentò prima di potersene rendere conto.
Shanna si guardò intorno, dando le spalle al fratello che, come lui, aveva
sguainato la spada. Avevano lasciato il villaggio solo da qualche ora, durante
le quali avevano percorso un sentiero che li avevano condotti alle pendici di
uno dei monti che separavano quel villaggio dal resto della città.
Era ormai
il tramonto, e la luce rossastra del sole faceva brillare le armi che tenevano
in mano i quattro uomini che li avevano accerchiati.
Sembravano banditi, ma
uno stemma sulla casacca di uno di loro fece capire ai tre di Kalleha che
avevano a che fare con ciò che era rimasto degli invasori di Gresdelval.
Probabilmente era stati fatti prigionieri durante la battaglia, ed ora che erano
libertà erano convinti di potersi vendicare sui passanti.
“Sono guerrieri.”
osservò Balimde con tranquillità. “Ma quello lì ha una cotta rossa.” e indicò
con un movimento impercettibile della spada il più lontano “Significa che sono i
nuovi arrivati dell’esercito. Non possono essere molto forti. Non come me,
almeno.” aggiunse.
“La modestia è sempre stata il tuo forte.” commentò acido
il fratello, spingendo da una parte Blastimdia. “Stai qui, nutrice. Spero che
lui abbia ragione, e che non ci metteremo molto a batterli. Andiamo,
Balimde?”
L’uomo annuì, e si gettò sui due nemici più vicini.
La sua spada
si scontrò all’istante con quella del più alto, che si muoveva in modo goffo e
rozzo, ma aveva una forza ben superiore a quella di Balimde. Tuttavia, anni di
militanza nell’esercito gli avevano insegnato molto più della semplice
disciplina; impegnò l’arma dell’altro con una facilità che lo stupì, la lanciò
in aria e l’afferrò con sicurezza. Si voltò verso l’altro, che aveva ben pensato
di scontrarsi con Shanna, più gracile del fratello, ma più agile, che lo aveva
messo in difficoltà. Nonostante questo, però, il giovane non poteva reggere a
lungo contro tre uomini che, bene o male, avevano avuto un’esperienza militare
ben superiore alla sua.
Uno dei tre si voltò verso Blastimdia, vedendo che si
era allontanata dai due ragazzi, e che era indifesa; fece per attaccarla, ma
Balimde le si parò davanti, deviando il colpo dell’uomo. Quello, perso
l’equilibrio, cadde in avanti. Il guerriero di Kalleha affondò la spada nella
schiena del bandito con forza e corse in aiuto del fratello, che era riuscito ad
abbattere uno dei suoi sfidanti e sembrava in difficoltà contro l’ultimo
rimasto.
Balimde afferrò Shanna per un braccio e lo spinse via, e s’immerse
in un duello ben più impegnativo di quello che aveva appena sostenuto. Il suo
nemico utilizzava la spada con grande naturalezza, sapeva tenere il ritmo e la
distanza giusta. Un abile movimento della mano e Balimde sentì il sangue
scorrere sul suo volto, accanto ad un occhio. Con la vista offuscata dal liquido
scarlatto, fu costretto a rallentare la velocità del combattimento.
L’altro
si sporse in avanti, cercando di colpirlo, quando uno schizzo di sangue arrivò
fino al mantello del signore di Kalleha, mentre il nemico si accasciava in una
pozza scura, trafitto dalla spada di Shanna, che gli era arrivato alle spalle e
l’aveva ucciso con un solo colpo.
“Bè, Shanna, direi che hai fatto un buon
lavoro.” commentò Balimde, passandosi una mano sulla fronte per togliere il
sangue. “Il tuo aiuto mi è stato provvidenziale. Che dici? E’ profondo il
taglio?” e gli indicò la ferita che il bandito gli aveva procurato.
“No. Ma
forse Blastimdia dovrebbe medicarti.” il giovane era pallido e ansante, e
fissava con insistenza i quattro cadaveri.
“Quegli uomini volevano ucciderci,
ma noi li abbiamo ammazzati per primi.” disse serio Balimde, osservandolo. “Non
sentirti in colpa né sconvolto; non sei stato tu a mettere mano alle armi per
primo. Se andrà come credo, questi non saranno gli unici che dovrai uccidere in
questo viaggio. O forse aveva ragione Tarique quando diceva che non sei ancora
pronto per un’impresa simile.” aggiunse, sedendosi di fronte a Blastimdia, che,
tremante, iniziò a ripulirgli il taglio con un panno bagnato.
“Forse.”
ammise Shanna. “Ma non sarà questo a fermarmi. Ucciderò il re in persona, se
questo mi dovesse aiutare a ritrovare la mia serva.”
Lo sguardo gli si velò
di malinconia, ma fu per un secondo.
“Fermiamoci un po’, ve ne prego.”
implorò Blastimdia quando terminò la medicazione. “Allontaniamoci da questi
morti, preghiamo perché le loro anime siano salvate e poi riposiamo. Non credo
che riuscirei a vedervi di nuovo con quella luce negli occhi, non
stanotte.”
Fecero come aveva chiesto la donna, ma né Balimde né Shanna
accettò di pregare per quei banditi, nonostante la nutrice l’avesse chiesto loro
più e più volte.
“Perché credete che ci abbiano attaccati?” si sedette
accanto a Shanna, ai margini del sentiero che stavano percorrendo prima di quel
combattimento.
“Per soldi.” risposero insieme i due fratelli.
“Probabilmente cercavano denaro.” spiegò Balimde. “Forse ci hanno visto
uscire dal villaggio, avranno pensato che siamo mercanti o chissà cos’altro.
Fatto sta che ora non potranno più fare del male a nessuno.”
“Sarà un viaggio
molto duro, insomma.” sospirò la nutrice, demoralizzata.
“Non fare così, cara
Blastimdia.” la rincuorò Balimde con dolcezza. “Sono certo che ci saranno
momenti migliori di questo. Forse riusciamo anche a convincerlo a viaggiare di
giorno.” e ammiccò in direzione di Shanna, che scosse il capo con convinzione,
riprendendo il cammino.
“Te lo puoi scordare. Arriverò al castello di
Bashellira in piena notte e li sgozzerò durante il sonno.”
Balimde, che si
era affrettato a raggiungerlo, seguito dalla donna, si fermò di colpo e la
guardò con gli occhi sgranati.
“Vienimi a dire un’altra volta che è un
ragazzo dolce e gentile, e ti giuro che inizierò a pensare che tu sia vittima di
qualche stregoneria.”
Il valico che avevano deciso di attraversare era coperto dal ghiaccio, e la
neve scendeva, in quella zona, più fitta che mai.
Shanna si strofinò le mani
arrossate per il freddo.
“Maledetta neve.” sibilò socchiudendo gli occhi.
“Sempre nei momenti meno opportuni.”
“C’è un momento opportuno per la neve,
Shanna?” fece Balimde, sarcastico, mentre tendeva la mano a Blastimdia, che era
scivolata su una lastra ghiacciata. “Per quanto mi riguarda, potrebbe essere
estate tutto l’anno.”
“Non perdiamoci in discorsi stupidi.” l’interruppe il
fratello, brusco. “Se andiamo avanti di questo passo non arriveremo mai a
Bashellira.”
“Shanna, non prendertela con lui.” mormorò Blastimdia con
dolcezza. “Noi non abbiamo colpa per quanto è successo alla povera Teisha. Ma ti
prometto che la troveremo, a costo di andare in capo al mondo.”
“Me la
dovranno pagare, quei maledetti cani.” ringhiò il giovane, fremendo di rabbia.
“Chissà cosa le hanno fatto, cosa le faranno. Forse quello che ha detto il
vecchio Ulgrod è vero, forse la tratteranno bene, ma non li perdonerò neppure se
l’avessero coperta d’oro e di doni e di attenzioni. Se la sono presa con lei per
colpire me, quegli infami.”
“Direi che ci sono riusciti.” sussurrò Balimde
alla donna, facendo in modo che Shanna non lo sentisse, da dove si trovava. “Lui
sta impazzendo di dolore, anche se non lo vuole ammettere. Quando li troverà,
dubito che riusciranno a muoverlo a compassione”
“Credi che li
ucciderà?”
“Se loro non saranno in grado di uccidere per primo
lui.”
“Santo cielo.”
“L’odio tra le nostre famiglie è iniziato con il
sangue, e finirà allo stesso modo.”
“Non conosco questa storia.”
Balimde
si fermò, osservando, da dove si trovava, la pianura che si estendeva davanti
alla montagna che dovevano attraversare.
“Shanna.” chiamò, e il fratello, che
era più avanti di lui, si voltò, seccato. “Vieni qui. Neppure tu sai... com’è
cominciato quest’odio. Allora, dato che è notte, ed è pericoloso andare avanti
in questo territorio se non possiamo vedere bene, te lo racconterò.”
Si
sedette a terra, e subito gli altri due lo imitarono, avendo cura di stringersi
bene nei propri mantelli.
“Accadde ben prima che tu nascessi, Shanna, quando
nostro padre era appena sposato. A quel tempo era molto amico di Clasdimeno di
Bashellira, che allora era il governatore di quel territorio. Era il fratello di
Nastegor, il suo successore.
“Lui e nostro padre amavano cacciare insieme.
Un giorno, mentre erano nel bosco che abbiamo attraversato ieri notte,
avvistarono un cervo. Decisero che sarebbe stata quella la loro preda. Nostro
padre, vedendolo sparire tra i cespugli, scagliò una freccia. Dal luogo in cui
erano non riuscivano a vedere se l’avesse colpito, così Clasdimeno pensò di
andare a controllare. Scese da cavallo e si mise a cercare tra i cespugli, fino
a sparire alla vista. In quel momento, il cervo ricomparve, poco lontano dal
punto in cui era sparito Clasdimeno.
“Nostro padre, a quel tempo, era famoso
perché era il miglior arciere di cui si potesse ricordare a memoria d’uomo.
Così, confidando nella propria bravura, intimò a Clasdimeno di non muoversi dal
luogo in cui si era fermato, in modo da non far fuggire la bestia e da non
mettersi in pericolo.
“Incoccò la freccia, prese la mira e tirò. Ma proprio
all’ultimo istante il cervo si spostò, e la freccia sparì tra le piante. A quel
punto nostro padre fu preso dal terrore d’aver colpito, per errore, il suo
amico. Si mise a cercarlo, lo chiamò, ma lui non rispose. Quando finalmente lo
trovò, vide che aveva la sua freccia conficcata nell’addome. Realizzò subito che
ormai aveva perso troppo sangue per essere salvato. Quando tornarono al
castello, Clasdimeno era già morto.
“La famiglia di Bashellira da quel giorno
ruppe ogni contatto con la nostra, ed iniziò quella rivalità che ancora oggi ci
divide. E tutto questo accadde perché Clasdimeno, nonostante fosse in grado di
gridare e di chiamare aiuto, non lo fece. Se nostro padre fosse arrivato prima,
forse sarebbe ancora vivo.”
“Ma perché non lo fece? Perché non chiamò aiuto?”
domandò Blastimdia, incredula.
“Orgoglio.” rispose Shanna al posto del
fratello, lapidario. “Avrebbe voluto dire mostrarsi debole.”
“Già.” sospirò
la donna, scuotendo la testa. I ricci rossi le caddero davanti agli occhi, e lei
li spostò con una mano. “Ma che valore può avere l’orgoglio una volta morti?
Vale davvero la pena di vivere all’insegna di questi ideali?”
“No.” rispose
Balimde, chinando il capo. “No, bisognerebbe non curarsi dell’orgoglio e andare
avanti per la propria strada. Solo che spesso non è così semplice.”
Si alzò
nuovamente, e mosse un passo incerto sul ghiaccio. Lentamente, attenti a non
cadere, anche Shanna e Blastimdia lo imitarono.
La donna rimase un po’
indietro, ed approfittò di quella posizione per osservare le sagome scure dei
due fratelli, che camminavano vicini.
Sapeva bene che i due non erano mai
stati molto legati, entrambi resi solitari e scontrosi dagli eventi dolorosi che
li avevano travolti quando erano troppo piccoli per potersene fare una
ragione.
Balimde, come Tarique, aveva sempre ritenuto Shanna responsabile per
la morte della madre, e il giovane era cresciuto in un clima di tensione che
aveva contribuito non poco a renderlo per la maggior parte delle volte
intrattabile e silenzioso.
Ma Balimde, con il tempo, era cambiato. Aveva
imparato a voler bene al fratello minore, aveva riposto in lui molte speranza,
silenziosamente, e sembrava che stesse facendo di tutto per riparare agli errori
fatti in passato.
Shanna, dal canto suo, era ancora troppo diffidente per
potersi fidare del fratello, ma anche lui era maturato ed era riuscito a rendere
i suoi rapporti con Tarique e Balimde quantomeno civili.
Nessuno, tuttavia,
poteva dirsi a lui caro quanto Teisha, che nel suo silenzio, con la sua dolcezza
infinita e con la sua pazienza, era riuscita a conquistare la fiducia e
l’affetto di quel ragazzo, che pareva ben disposto a rischiare la propria vita
per aiutarla.
Proseguirono per ore, sperando che il movimento li aiutasse a
combattere il freddo pungente che era penetrato loro nelle ossa, facendoli
tremare.
Quando giunse l’alba, erano ormai arrivati in prossimità della vasta
pianura che avevano visto quella notte.
Solo pochi alberi spogli erano sparsi
qua e là, il terreno non aveva un filo d’erba, e la neve rendeva l’immagine
finale particolarmente inquietante.
“Tu sai quanto tempo ci vuole per
arrivare a Bashellira?” chiese Balimde mentre avanzavano, mangiando il pane che
Blastimdia aveva dato loro.
Shanna scosse il capo.
“Ho sentito dire, però,
che è dopo questa pianura.”
“Che è immensa. Ci metteremo almeno due giorni
per percorrerla tutta.” intervenne Blastimdia agitando una mano,
sconsolata.
“Ma è l’unica strada che abbiamo.” concluse Shanna, e nessuno dei
due compagni di viaggio si sentì in diritto di rispondergli.
Decisero di
fermarsi lì, nonostante la pianura non costituisse un riparo né dalla neve né da
eventuali nemici, si strinsero nei propri mantelli e si addormentarono, vinti
dalla stanchezza.
Come aveva previsto la nutrice, ci vollero due giorni per attraversare quella
pianura sconfinata, durante i quali, fortunatamente, smise di
nevicare.
All’alba del terzo giorno, sfiniti e affamati, arrivarono nei
pressi di un villaggio ben più grande di quello in cui si erano fermati in
precedenza.
Le porte erano già aperte, e loro non attesero per
entrare.
Una volta messo piede all’interno, però, con stupore si videro
circondati da uomini a cavallo.
Shanna riconobbe i colori bianchi e blu della
famiglia di Bashellira, segno che, senza accorgersene, si erano addentrati in
territorio nemico.
“Chi siete?” domandò beffardo quello che sembrava essere
il capo.
“Siamo mendicanti.” replicò Balimde, inchinandosi appena. “Veniamo
da oltre le montagne.”
“Sappiamo da dove venite.” rispose la guardia con un
ghigno tremendo. “Ma sappiamo anche che voi due” e indicò i due giovani “siete i
due figli minori di Rodnar di Kalleha. Ulgrod vi ha riconosciuti, perché vi
aveva visto quando eravate bambini. Non sappiamo chi sia la donna, ma ha poca
importanza. Catturateli.” ordinò poi agli altri, che si gettarono sui tre.
Ma
Balimde, in un lampo, aveva già estratto la spada, così come Shanna, che aveva
avvicinato a sé la nutrice e la proteggeva dai colpi dei soldati, del tutto
intenzionati ad uccidere la donna, che certo non poteva valer molto, mentre
avrebbero potuto chiedere un cospicuo riscatto alla famiglia di Kalleha in
cambio dei due ragazzi.
Una delle guardie scese da cavallo, si diresse deciso
verso Balimde, che appena la vide arrivare si voltò per parare il colpo che
certamente l’avrebbe ucciso, se non fosse stato abbastanza veloce. Non fece
nemmeno in tempo a sospirare per essersi salvato, che avvertì un dolore
lancinante al petto, poi, più nulla.
Balimde si accasciò al suolo in una
pozza di sangue, senza un gemito né un lamento, la spada della guardia a cavallo
ancora conficcata nel petto.
A quella visione, Shanna lasciò cadere la spada,
paralizzato dall’orrore. I soldati gli furono addosso, gli afferrarono le mani.
In uno sprazzo di lucidità, senza muovere lo sguardo dagli occhi ancora aperti
del fratello, si dimenò, cercò di liberarsi, non ci riuscì.
Guardò la
nutrice, su cui i soldati non erano ancora riusciti a mettere le mani, la spinse
da un lato con un calcio.
“Corri!” le gridò “Corri, non farti prendere!” ma
la donna fissava il volto sempre più pallido di Balimde, impossibilitata nei
movimenti dal terrore e dalla sofferenza.
“E’ morto! Non puoi fare nulla per
lui, corri, vattene!” urlò Shanna, afferrando un soldato per la casacca, in modo
che non potesse avvicinarsi a lei.
Blastimdia si voltò ed iniziò a correre,
con le lacrime agli occhi. Correva e non sapeva dove andava, correva e
abbandonava Shanna nelle mani dei soldati, correva e improvvisamente si
fermava.
“No, Shanna.” mormorò, quando avvertì una guardia che la afferrava e
le legava le mani dietro alla schiena. Il giovane, anch’egli immobilizzato, la
fissò stralunato, colmo d’ira.
“Ti avevo detto di fuggire! Perché ti sei
fermata? Perché ti sei lasciata prendere?” sbraitò, mentre li trascinavano lungo
le strade del villaggio.
Lei lo guardò dolcemente, sorrise.
“Quando tuo
padre mi scelse come tua nutrice, mi disse: -Mio figlio si chiama Shanna, e da
oggi lui è anche tuo figlio.- Questo significa che dovrei comportarmi come se
fossi tua madre. E che madre è quella che abbandona il proprio figlio nelle mani
dei nemici? No, se dovranno uccidermi almeno non voglio avere
rimpianti.”
Shanna non replicò, troppo sconvolto per riuscire a
parlare.
Si lasciò condurre senza fiatare fino alle carceri del villaggio.
La cella in cui li avevano rinchiusi era umida, buia e fredda.
Era posta
nei sotterranei di quella che era stata la residenza estiva di un grande signore
che viveva da quelle parti, ma da quando era morto nessuno l’aveva più
reclamata, quindi era stata trasformata in una prigione.
Le finestre non
avevano sbarre, ed erano state sprangate con travi di legno per evitare che i
prigionieri potessero scappare.
Fortunatamente si trovavano esattamente sotto
alla cucina, dove i soldati, in quel momento, stavano festeggiando una cattura
così importante con cibi prelibati che si concedevano solo in rare occasioni,
così il calore sprigionato dalla fiamma del piano di sopra riusciva a
riscaldare, seppur poco, quella stanza minuscola.
“Ora cosa faremo?” inveì
Shanna, guardando torvo la nutrice. “Se tu fossi riuscita a scappare, avresti
potuto tornare a casa e chiedere aiuto, oppure proseguire il viaggio da sola, e
salvare la mia povera Teisha.”
“E come, Shanna, come? Io non sono una
guerriera come sei tu o come lo era il caro Balimde, non sono in grado di
difendermi. Quindi è meglio se stiamo insieme.”
“Ma...”
“Ma adesso non
serve a nulla litigare. Balimde ha sacrificato la propria vita per noi.
Preghiamo per lui, che forse lui pregherà per noi.”
E, senza proferire altra
parola, congiunse le mani e prese a mormorare delle preghiere a mezza voce.
Shanna, invece, preferì accoccolarsi in un angolo della cella, dove la
parete era più calda.
Continuava a rivedere, nella sua mente, l’immagine del
fratello che si accasciava a terra privo di vita. Si morse un labbro fino a
farlo sanguinare, facendo leva su tutta la sua volontà per non cedere alle
lacrime.
Balimde aveva compiuto da poco ventidue anni, e Shanna sapeva
perfettamente che nessuno di quell’età meritava di morire in quel modo,
nonostante fosse caduto in battaglia, senza perdere il proprio onore né la
propria dignità.
Deglutì a vuoto. Balimde non sarebbe stato presente al
battesimo del figlio di Tarique, alla fine. Come avrebbe fatto a raccontare a
suo padre quello che era successo? Aveva ucciso sua madre, ed ora suo
fratello.
Blastimdia gli andò vicino, gli posò una mano sulla spalla. Lui si
ritrasse, la cacciò con un cenno della mano.
“Non voglio la tua consolazione
né tanto meno la tua compassione. Balimde è morto come si conviene ad un
soldato.” La voce gli tremò appena, a quelle parole. “Ora noi non possiamo più
permetterci di pensare a lui, o faremo la stessa fine. Dobbiamo trovare un modo
per uscire di qui. Aspetteremo che ci portino qualcosa da mangiare, e
approfitteremo di questo soggiorno in cella per riposarci.”
“Ci tortureranno
per scoprire cosa stavamo facendo, Shanna.”
“Resisteremo.” concluse il
ragazzo, deciso. “Non mi farò uccidere da un misero soldato di Bashellira, per
giunta per colpa di uno schiavo che non ha saputo cogliere la propria libertà e
che continua a servire i propri padroni.” aggiunse, soffiando come un gatto
arrabbiato.
“Come conti di fare, Shanna?”
“Non lo so ancora, ma non sono
disposto a stare qui per più di due giorni.”
Blastimdia aprì gli occhi. Cercò di captare qualche rumore che potesse farle
capire se fosse notte o giorno, ma intorno c’era solo silenzio. Osservò Shanna
che dormiva pacatamente nell’angolo in cui si era seduto il giorno in cui
l’avevano catturato e che non aveva più abbandonato.
Accanto a lui c’erano i
resti del cibo che le guardie avevano portato loro.
La donna rimase
incantata a guardarlo. Non era bello né affascinante, ma mentre dormiva il suo
volto rilassato sembrava esprimere tutto un mare di emozioni che lui, durante il
giorno, non faceva che reprimere. Aveva le guance bagnate da lacrime silenziose,
che lui non era stato capace di versare con il sole alto nel cielo, ma che la
luna aveva il potere di rivelare.
Un rumore sordo la fece sobbalzare. Si
voltò verso la scala che portava al piano di sopra, e vide uno dei soldati che
scendeva per controllarli con un lume in mano.
Era molto giovane, e sembrava
terribilmente a disagio in quel luogo. Si avvicinò alla cella dove riposavano i
due di Kalleha, illuminando il volto di Shanna, che si mosse nel sonno e poi
aprì gli occhi, contrariato.
Il suo sguardo irato si scontrò solo per un
istante con quello della guardia, che subito abbassò gli occhi.
Porse ai due
prigionieri una coppa colma di acqua fresca ai due
prigionieri, che la divisero tra loro e lo
ringraziarono.
Shanna lo studiò a lungo, mentre il giovane si allontanava in
silenzio.
“Forse lui sarebbe disposto ad aiutarci.” azzardò Blastimdia,
vedendolo concentrato. “Sembra davvero un bravo giovane.”
“Anche Ulgrod
sembrava un bravo vecchio.” la zittì Shanna, poi aggiunse: “Non mi fiderò più di
nessuno, in questo luogo. Farlo mi è costato la vita di mio fratello.”
La
donna chinò il capo ed annuì in silenzio.
“Come possiamo fare, allora?”
domandò in un sussurro roco, che fece scuotere la testa al giovane.
“Non ne
ho idea. Ma troveremo una soluzione anche a questo, vedrai.”
Passarono due giorni.
Shanna, in quel periodo, si era dimostrato sempre
più scontroso e chiuso in sé stesso, ma Blastimdia era convinta che avesse ormai
trovato un modo per uscire di lì.
Era mattina prestissimo, come aveva
comunicato loro una guardia passata poco prima per il consueto giro di
ispezione.
Quando si fu allontanata abbastanza perché non potesse sentirli,
il giovane si sedette accanto a Blastimdia.
“Forse ho trovato un modo per
uscire di qui, ma dovrai darmi una mano.” mormorò. Si accostò al suo orecchio e
le spiegò dettagliatamente il piano.
Quando ebbe finito, la donna
annuì.
“Potrebbe non funzionare.” lo avvertì, ma lui scrollò le spalle.
“E’ l’unica cosa che mi è venuta in mente.” ammise, prima di andare a
sdraiarsi nella parte più buia della cella. Sperava vivamente che avrebbe
funzionato. Per due giorni non aveva fatto altro che ascoltare con attenzione
ogni movimento, al piano di sopra, cercando di capire quante persone fossero
regolarmente di guardia lì. Alla fine, era arrivato alla conclusione che erano
soltanto in due; uno che di tanto in tanto scendeva a controllarli, ed uno che
invece si faceva vedere solo raramente, e che probabilmente doveva rimanere in
pianta stabile al piano superiore per raccogliere le denunce dei
cittadini.
Respirando a fondo, cercò di controllarsi. Andrà tutto come
previsto, si ripeté quando sentì che la tensione stava per vincerlo.
Improvvisamente, udirono dei passi che si avvicinavano, rimbombando nel
silenzio del carcere come tuoni.
Sentendolo, la nutrice si inginocchiò poco
distante da Shanna, ed iniziò a fingere di piangere, coprendosi il volto con le
mani.
La guardia che era appena scesa si avvicinò, sollevando il lume che
portava con sé.
Sbirciando attraverso le dita, la donna si accorse che era
lo stesso giovane che aveva portato loro l’acqua. Osservò Shanna, che aveva gli
occhi chiusi e respirava appena, in modo talmente flebile che, nel buio che li
circondava, non era possibile vedere il movimento del suo petto.
“Sta male!”
gemette la nutrice quando la guardia fu abbastanza vicina da sentirla. “Sta
male!” ripeté, indicando con una mano tremante il ragazzo.
“Cos’ha?” domandò
il soldato, d’un tratto agitato.
“Non lo so, non riapre gli occhi!” e, detto
questo, fece un verso strozzato, simulando poi un pianto disperato. “Morirà!”
esclamò “Così giovane, come può morire così giovane? Ma ve ne prego, non
lasciatemi vivere tanto da vedere il suo cadavere; chiamate un medico, o, se non
potete, uccidetemi!”
A quelle parole, il soldato si fece pallido. Guardandolo
meglio, Blastimdia realizzò che non doveva essere molto più vecchio di Shanna,
quindi probabilmente si trattava di qualche contadino che era stato arruolato a
forza in seguito alla guerra contro Gresdelval, che aveva decimato le forze
armate di Bashellira.
Forse non aveva mai visto morire un uomo, e non
sembrava pronto ad assistere in quel momento ad una scena tanto
terribile.
Così, senza riflettere, aprì la porta della cella e si avvicinò a
Shanna per sincerarsi personalmente delle sue condizioni.
Quando Shanna
avvertì che il soldato gli era vicino, con uno scatto fulmineo si rizzò a
sedere, afferrandolo per i capelli. Con violenza gli sbatté il volto contro il
ginocchio piegato. La guardia si accasciò tra le sue braccia senza un gemito,
svenuta.
Il ragazzo si alzò in fretta, gli rubò la spada e l’assicurò alla
cintura, poi prese il pugnale che l’altro teneva legato alla gamba.
“Andiamo,
nutrice, dobbiamo fare presto.” Uscendo agguantò due mantelli, li diede alla
donna e salì per primo al piano superiore.
La scala dava nella parte che si
trovava dietro al tavolo su cui stava seduto l’altro soldato. Era decisamente
più vecchio dell’altro, ed aveva tutta l’aria di aver combattuto l’ultima
guerra, segno evidente che non sarebbe stato un avversario facile da abbattere,
in combattimento diretto.
Shanna risolse quindi che l’unico modo per scappare
incolumi era coglierlo alle spalle. E così fece.
Muovendosi con passo
felpato si portò dietro di lui, strinse con forza il pugnale e lo affondò
rapidamente tra le scapole dell’uomo, che emise un gemito strozzato. Si mosse un
po’, proprio nel momento in cui il giovane affondava l’arma per la seconda
volta.
Si fece forza per non cedere al conato di vomito che l’aveva invaso
quando aveva avvertito il sangue caldo della guardia scorrergli sulla mano, e si
voltò verso la nutrice, che era rimasta poco dietro di lui.
“Shanna...”
mormorò lei, vedendo il volto pallidissimo e sconvolto del giovane, che scosse
il capo.
“Non c’è tempo. Indossa quel mantello, copriti il capo e poi
seguimi. Usciamo di cui tranquillamente, come se nulla fosse accaduto.” ordinò,
mentre lui faceva altrettanto.
La strada era talmente affollata che nessuno li notò uscire dalla prigione.
Faceva molto freddo, e la neve aveva ricominciato a scendere, così molti avevano
deciso di calarsi i cappucci dei mantelli sul capo.
Blastimdia sospirò,
sollevata, sapendo che in quel modo sarebbe stato ben più difficile
riconoscerli, se mai il giovane soldato si fosse svegliato e avesse dato
l’allarme della loro fuga.
“Camminiamo tranquillamente” le ricordò il
ragazzo. “Daremo meno nell’occhio.”
Lei annuì, avvicinandoglisi di più.
Gli indicò una strada affollata, percorsa da uomini che avevano con sé carri
e cavalli.
“Forse stanno uscendo dal villaggio.” considerò. “Potrebbero
essere mercanti.”
“Seguiamoli.” decise Shanna, accelerando un po’ il passo
per poterli raggiungere.
Si confondettero con loro senza alcuna difficoltà,
camminando tra i carri come se nulla fosse.
Arrivarono alle porte del
villaggio in poco tempo.
Stavano già per mettere piede fuori dalla
palizzata, che avvertirono il rumore degli zoccoli di alcuni cavalli a galoppo.
Si voltarono, accorgendosi con orrore che stavano puntando dritto su di
loro.
Le persone lì accanto si spostarono, terrorizzate, gridando. Shanna
prese per un braccio la nutrice, iniziò a correre in direzione opposta a quella
da cui arrivavano i soldati.
La strada che stavano percorrendo a tutta
velocità portava ad un imponente castello di marmo bianco, posto sulla cima di
una collina.
Senza bisogno di conoscere il luogo, Shanna capì che quella era
la residenza dei signori di Bashellira, e che quasi sicuramente anche Teisha si
trovava in quel luogo.
Accelerò, ma sentì che la donna opponeva resistenza,
troppo sfinita per poter correre più veloce. Le si affiancò, sentendo che i loro
inseguitori si avvicinavano.
Riuscì solo ad udire il grido di una delle
guardie, “Mirate al ragazzo!”.
Blastimdia sentì Shanna appoggiarsi a lei, prima solo un po’, poi con tutto
il peso. Le si accasciò fra le braccia, gemendo di dolore.
La freccia
scoccata da uno dei soldati l’aveva colpito sotto le costole, in profondità. Si
voltò e vide le guardie che si allontanavano, probabilmente certe che, una volta
morto il giovane, la donna non avrebbe continuato il suo viaggio verso la
residenza dei loro signori.
“Shanna!” lo chiamò, adagiandolo a terra con
tutta la delicatezza di cui fu capace. Ma lui non rispose. Teneva gli occhi
chiusi, pallido come non mai, con le labbra esangui, il respiro affannato e il
volto madido di sudore.
La nutrice, non sapendo che fare, afferrò la freccia,
fece per toglierla. Ma Shanna, afferratole la mano, la guardò negli
occhi.
“Non toglierla.” mormorò in un soffio.
E la donna capì, ritrovando
la lucidità. Se avesse estratto la freccia, l'emorragia l’avrebbe ucciso. Ma
anche in quel modo, vedeva che il colore stava via via defluendo dal volto del
ragazzo, che respirava con sempre più difficoltà.
Gli occhi le si riempirono
di lacrime prima che lei potesse fare qualcosa per fermarle. Osservando la
macchia scura che si stava allargando a velocità preoccupante, sotto il giovane,
capì che non sarebbe mai riuscita a fare qualcosa per lui. Non avrebbe avuto il
tempo per trovare un medico, e poi, dove cercarlo? Non poteva pensare di tornare
al villaggio, e il castello era troppo lontano perché lei riuscisse a
raggiungerlo e a tornare indietro prima che Shanna morisse.
Provò a gridare,
chiamò aiuto, sperando che qualcuno la sentisse, che venisse a vedere quello che
stava succedendo, che cercasse di salvare quel ragazzo con le unghie già nere e
le labbra livide.
E mentre la neve continuava a scendere, macchiata di rosso
vivo sotto a lui, lo guardò e il suo volto si sovrappose a quello del figlio che
aveva perduto tanti anni prima, e il dolore le dilaniava il petto, sapendo che
anche Shanna presto l’avrebbe abbandonata.
Gli strinse la mano ghiacciata,
gli carezzò i capelli. Ma il giovane stava immobile, coi colori della morte sul
volto.
Fu un secondo, un gemito, il respiro spezzato, il cuore
fermo.
Blastimdia gridò, scrollando il corpo privo di vita di Shanna. Pianse,
si strappò i capelli, lo strinse a sé e gli carezzò il volto, gli baciò la
fronte, gli sistemò le vesti.
Tutto nella sua mente era troppo confuso perché
lei potesse accorgersi di ciò che faceva.
Si alzò, lo stese a terra con cura
e delicatezza, come se fosse stato addormentato, lo abbandonò in mezzo alla
strada.
Mormorò una preghiera, sperò che qualcuno passasse di lì e avesse
pietà di quel cadavere insanguinato, che gli desse una sepoltura che lei non
poteva garantirgli.
Riprese il cammino, più decisa che mai a trovare Teisha.
Quel viaggio era costato la vita di due giovani, che non avrebbero mai potuto
partecipare al battesimo del figlio del loro fratello maggiore. Due giovani che
avevano un padre, a casa, che li avrebbe attesi invano, senza sapere che il suo
stesso sangue aveva macchiato per due volte la neve candida, tingendola di
rosso, senza sapere che quell’inverno si era portato via i due figli
minori.
Arrivò fino al ponte levatoio, che era abbassato e controllato da un
gruppo di sentinelle con i colori di Bashellira sulle vesti.
Uno di loro le
si avvicinò, squadrandola da capo a piedi, soffermandosi ad osservare le mani e
l’abito sporchi di sangue, il volto pallido e sporco, l’espressione disperata e
determinata allo stesso tempo.
“Chi siete?” le domandò brusco.
“Solo una
povera serva,” rispose la donna in un singhiozzo “che ha vissuto abbastanza da
vedere il giorno della morte dei suoi figli, e che se non ha potuto fare nulla
per quello che è morto per primo almeno vuole esaudire il desiderio che ha
ucciso quello che è ancora a terra, insanguinato, nella strada che porta
qui.
“Abbiate pietà di me, non ho il potere né il desiderio di nuocere a voi
o ai vostri padroni, ma ve ne prego, devo parlare con loro.”
L’uomo la fissò
a lungo, una luce di compassione negli occhi. Si voltò verso i suoi compagni,
che avevano sentito tutto, ed annuì.
“Seguitemi.” le ordinò.
La condusse
all’interno del palazzo, attraverso i corridoi ben illuminati, fino ad una
grande porta di legno scuro.
“Attendete qui, vi annuncio al padrone.” disse,
ed entrò per primo nella stanza. Rimase dentro qualche minuto, poi le fece cenno
di entrare.
Nastegor di Bashellira era un uomo di straordinaria bellezza, con i capelli
scuri e gli occhi azzurri, il volto giovane e lo sguardo energico. Accolse la
donna, la fece sedere su uno scranno, le fece portare un bicchiere di buon vino
e la invitò a spiegare il motivo per cui si trovasse lì.
“Vengo da voi,
signore, per una cosa che mi è molto cara.” esordì Blastimdia, con lo sguardo
fisso davanti a sé. “Sono una serva dei signori di Kalleha, nutrice di un
ragazzo che è morto da pochissimo.” Non gli diede il tempo di interromperla, e
proseguì: “Egli aveva una servetta che gli era molto affezionata, e lui l’amava
teneramente, come se fosse stata una cara parente. Qualche giorno fa ci è giunta
notizia che questa ragazza si trova qui. Siamo partiti per cercarla e riportarla
indietro, ma lui e suo fratello hanno perso la vita in questa missione folle,
uccisi dai vostri soldati. Io adesso sono qui perché, se non posso riportarla a
casa, voglio almeno vederla. La giovane si chiama Teisha, ha la pelle scura e
gli occhi verdi.”
Nastegor sgranò gli occhi, poi scosse il capo.
“Mio
figlio Kalui mi ha detto d’averla trovata in strada, non è la vostra
serva.”
“Ne sono certa, l’hanno visto penetrare nel nostro giardino e
portarla via. Ve ne prego, fatemi questa carità.”
“Non posso.”
“Voi
ignorate il dolore di una madre che ha perso i propri figli.”
Seguirono
alcuni istanti di silenzio. Nastegor la guardò piangere silenziosamente,
dondolandosi sullo scranno. Alla fine, chiamò un paggio. Gli ordinò di andare a
prendere la ragazza che gli era stata descritta, e di portarla all’istante in
quella stanza.
Il giovane eseguì, e dopo soli pochi minuti la porta si aprì
nuovamente.
Teisha si guardò intorno spaesata. Era dimagrita, con i capelli
scuri arruffati, gli occhi lucidi, il passo indeciso.
“Blastimdia!” esclamò
quando vide la donna, e corse verso di lei, gettandosi tra le sue braccia.
“Blastimdia!” ripeté, in lacrime. “Sei venuta qui a prendermi?”
“Bambina...”
mormorò la nutrice. “Bambina mia, Shanna avrebbe voluto portarti via di qui,
ricondurti a casa! Ma lui ora è morto, colpito da una freccia, e non può più
farlo. Ma io ho promesso che non ti avrei lasciata sola.”
“Morto?” sussurrò
la ragazza, sollevando lo sguardo. “Ucciso? Ucciso! Il mio padrone! Il mio
povero padrone! Oh, giorno crudele!” e riprese a singhiozzare disperata, con il
volto nascosto tra le mani.
Nastegor rimase per un po’ in disparte,
attendendo che le due finissero di piangere, poi si avvicinò loro.
“Non posso
far nulla per chi è già morto,” disse “ma garantirò a lui e al fratello una
degna sepoltura. Quei due ragazzi non c’entravano nulla con l’odio che divide le
nostre due famiglie, ma gli innocenti sono sempre quelli che pagano.”
s’interruppe, poi aggiunse: “Se lo desiderate, vi farò ricondurre nella vostra
terra, assicurandomi che non vi sia fatto nulla di male. Avete sofferto molto a
causa di mio figlio, e mi dispiace, perché lui non ha ancora capito quanto sia
doloroso odiare un uomo.”
“Il vostro odio ha causato la morte di due
innocenti!” accusò Blastimdia. “Dovreste insegnare l’amore a vostro figlio,
l’amore che fa vivere sereni, che permette il sacrificio. Non l’odio, che non dà
mai gioia ma solo dolore.”
“Voi non capite quello che significhi perdere un
fratello.”
“E voi non sapete quello che significhi perdere un figlio. Vale
davvero la pena di tutto questo? Quello che è accaduto in quel bosco è stato un
incidente.”
“Non perdonerò Rodnar per ciò che ha fatto! I suoi figli sono
morti e questo non era né previsto né voluto, ma io non posso cancellare il mio
rancore con così tanta facilità.” l’interruppe Nastegor, furioso. “E’ questa la
vita.”
Ma la donna scosse il capo, guardandolo con compassione.
“No. La
vita è pace e amore, non guerra e odio. Ma questo voi sembrate non averlo
capito.” intervenne Teisha, con la voce tremante per il pianto. “Per questo
motivo non accetterò il vostro aiuto. Se Blastimdia vorrà farlo, io non la
fermerò. Ma io tornerò a piedi fino alla mia terra, nel palazzo del mio padrone,
proprio come ha fatto lui per venire fin qui. Lui mi ha insegnato che bisogna
sempre combattere con le proprie forze, che bisogna lottare fino a che si può.
Ed è quello che ho intenzione di fare.”
“Non sai quello che dici, ragazza. E’
impossibile che tu riesca ad arrivare a Kalleha viva.”
“Non ha importanza. Io
ci credo, e finché ci sarà qualcuno disposto a crederci, allora non ci sarà
nulla di impossibile.”
Non aggiunse altro. Raddrizzò la schiena, il suo
sguardo assunse un’espressione di fierezza. Si voltò con grazia, ed uscì dalla
stanza senza mai voltarsi indietro. La nutrice la seguì. Nastegor non le fermò,
e diede ordine che le lasciassero passare.
Si avvicinò alla finestra e le
osservò mentre attraversavano risolute il cortile, senza il timore delle guardie
o di ciò che riservava loro il viaggio.
Rimase a fissarle fino a che non
scomparvero alla vista, poi si concentrò sul territorio circostante.
Tutto era avvolto da un manto candido di neve, che continuava a cadere
inesorabile. Si soffermò a guardare la strada in cui, secondo quanto detto dalla
nutrice, era morto il giovane Shanna di Kalleha.
I suoi servi probabilmente
si stavano accingendo ad andarlo a prendere per poterlo seppellire. Senza
pensare, afferrò il proprio mantello, uscì, si diresse verso il punto indicato
dalla donna.
Il corpo non c’era più, ma la neve era tinta di rosso, in una
macchia terribile. Decise che avrebbe messo da parte l’odio, per quel
giorno.
Si inginocchiò, congiunse le mani, chiuse gli occhi e chinò il capo.
Iniziò a pregare per le anime dei due giovani.
Su di lui, sulla macchia
rossa, sul terreno, cadeva fredda la neve.
Ci tengo a ringraziare tantissimo la mia carissima i_still_believe, che mi ha sempre appoggiata in tutto quello che ho scritto, e Akane per aver indetto il concorso e giudicato le nostre storie con così tanto impegno.
Inoltre i miei complimenti a tutti gli altri partecipanti al concorso, in particolare a Eylis e miss dark, con cui ho diviso il podio.
Infine, vi prego di farmi sapere cosa ne pensate. Le critiche sono sempre ben accette, perchè mi aiutano a migliorare.
Baci,
rolly too