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Autore: Aurelianus    30/05/2014    3 recensioni
06-04-2063 Rapporto valutazione Cause e Conseguenze dell’attacco REO-1.
Escerto tratto dal rapporto del Generale J. Haley:
Il mondo come lo conoscevamo ha cessato di esistere vent’anni fa. Loro sono arrivati da chissà dove e hanno distrutto tutto. Ma nonostante ciò, unendoci e facendo fronte comune li abbiamo battuti.
Infuriati dalla vittoria dell’umanità e non ancora paghi della sofferenza e della devastazione che avevano causato, decisero di lasciarci in eredità la loro ultima infernale rappresaglia: il Virus.
Quel poco che era rimasto in piedi non è sopravvissuto a “Quei Cosi”, figli di quella maledetta malattia hanno dimenticato cosa erano prima, a quale popolo appartenevano e ci hanno attaccati. Senza tregua, senza pietà.
Qualcuno li chiama il “Castigo Divino”, qualcun’altro è rimasto fedele al primo epiteto che gli è stato affibbiato, “Quei Cosi”. Io li chiamo semplicemente Zombie, perché è questo che sono.
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fa schifo, non leggetelo.


“Squadra Bravo, squadra Charlie, rispondete!” urlò nella radio, approfittando di una rara pausa tra un assalto e l’altro.
“Squadra Bravo! Squadra Charlie” rinnovò l’appello, accolto solo da rumore bianco.
“Cazzo!” imprecò levandosi in piedi e uscendo allo scoperto, in strada. O almeno, in ciò che ne rimaneva. Una ventina di metri davanti a lui i resti di una vecchia barricata di fortuna crollarono, scostati dal peso dei Loro corpi. Ringhiando e sbavando, le belve si fecero avanti muovendosi ad una velocità sorprendentemente elevata per le loro membra decomposte e purulente.
“Figli di puttana! Ce l’avete con me oggi?!” urlò, lanciando una granata a frammentazione nella loro avanguardia e scattando verso il rottame di un furgone, parcheggiato su di un marciapiede sgretolato. La bomba a mano produsse un tonfo sordo, seguito da quello umido emanato dalla carne perforata dai frammenti.
Ma non bastò.
Nulla bastava quando ce ne erano tanti come quel giorno.
Percepì il ritmo serrato della loro corsa, l’afrore nauseabondo che esalavano e il loro fetido fiato sul collo. Continuò a correre, i polmoni gli bruciavano e i muscoli pulsavano dolorosamente. Ma era stato ben addestrato. E come non si era mai stancato di ripetere il Sergente Maggiore Haley, non c’era niente che ti mettesse le ali ai piedi come avere dietro il culo un branco di “Quei Cosi”. 
Saltò, arrampicandosi sopra il tetto dell’auto. Ritrasse le gambe appena in tempo. Gli artigli delle bestie ghermirono solo lamiera arrugginita che accartocciarono alacremente, quasi lo trovassero divertente.
La trasformazione faceva acquisire una forza straordinaria… ma anche una straordinaria stupidità.
Si volse puntando il suo MKB-5 verso il più vicino.
Era davvero mostruoso. Emaciato, dalla pelle smunta e marrone, solcata da striature violacee e tesa sulle ossa sino quasi a lacerarsi; inquietanti occhi cerchiati di rosso, punteggiati da glaucomi e del tutto neri lo scrutavano. Sembrava di guardare due voragini senza fondo. Erano completamente spenti, senza più alcuna traccia di intelligenza o di individualità. Il detto affermava che l’occhio era lo specchio dell’anima, mai diceria si era dimostrata più vera. Nei loro occhi intravedevi il riverbero di una sola cosa: la Fame. E a tal proposito, la bocca, schiumante di bava giallastra e dotata di una chiostra di zanne non del tutto trascurabile, si dimostrava perfettamente in grado di assolvere all’incombenza di nutrirsi… ricoprendo anche il ruolo importantissimo di “aspetto più spaventoso” di  “Quei Cosi”; certo Haley li avrebbe definiti in un modo più colorito, ma il concetto era più o meno il medesimo.
Una leggera pressione del suo indice e il fucile sparò. 
La testa dell’essere esplose, spargendo ovunque frammenti di ossa e un disgustoso liquido nero, che fluì nelle numerose fenditure dell’asfalto rovinato dall’incuria, evidenziandole.  Avvertì un clangore metallico alle sue spalle. Si girò, modificando la configurazione dell’ MKB da semiautomatico ad automatico. Due obbrobri erano riusciti a salire sul rottame saltando giù dal rudere a fianco del mezzo. Premette il grilletto e sparò. L’arma emise una serie di lampi dorati, ma non produsse alcun suono. 
Come tutte le armi delle Squadre di Supporto e Copertura, era silenziata. Il rumore rischiava di farti incorrere in qualche brutto incontro… o perlomeno, in numero maggiore a quanti se ne potessero gestire.
I proiettili a frammentazione, sparati ad un ritmo di quindici al secondo impattarono sui due, straziando i loro corpi sino a ridurli in brandelli.
Quelle armi erano specificamente progettate per ucciderli; con i proiettili di vecchia concezione occorreva colpirli dritti in testa per fermarli. Loro non sentivano il dolore, loro erano già morti. L’unico modo per concretizzarne il decesso era far cessare quella poca attività cerebrale che gli era rimasta e che, per inerzia, li sospingeva in avanti.
Si girò a guardare il gruppo principale. Gli bastò un’occhiata per capire di avere davanti un numero ingestibile di mostri. Non sarebbe mai riuscito a fermarli tutti, ma fece comunque fuoco. Quelli delle SSC erano truppe d’élite, non arretravano e non si arrendevano. Mai.
Le SSC erano i fulgidi e gloriosi guardiani della Democrazia ricostituita, maledettamente fragile in quel mondo devastato. Questo, sfortunatamente, non aveva impedito ai barcollanti figli di puttana che gli si facevano sotto di mangiarsi gran parte del loro leggendario corpo militare, quel giorno.
“Missione del cazzo” imprecò, mentre svuotava il caricatore addosso alle bestie.
Ne falciò una dozzina, che venne immediatamente rimpiazzata da un centinaio, seguito d’appresso da altri tre o quattrocento mostri. Troppi.
Gli sarebbero saltati presto addosso e non avrebbe potuto evitare di essere morso o divorato. Non era mai riuscito a decidersi su quale fosse il peggiore destino tra i due: morte o trasformazione?
“Non oggi, grazie” mugugnò, estraendo dalla divisa l’unica cosa che potesse salvarlo. Un mini drone da ricognizione… un drone leggermente truccato. Il piccolo disco prese il volo e gli altoparlanti installati nella sua piastra ventrale iniziarono ad emettere musica Metal ad un volume improponibile.
“Last Ammunition , un classico” bofonchiò.
Fu un processo graduale. Ben presto, attirati dal rumore assordante che loro associavano ad una fonte di cibo più sostanziosa, i membri della mandria iniziarono a seguire il drone che si allontanava rapidamente. Be, l’aveva detto che diventavano incredibilmente stupidi. Quasi tutti almeno.
I due più vicini, ex militari a giudicare dalla divisa lacera e inzaccherata che ancora indossavano, non accennarono a seguire i loro simili.  
Sguainò il pugnale e si gettò sul primo senza lasciargli il tempo di reagire. Gli conficcò la lama nei bulbi oculari imputriditi sino a che non cessò di muoversi.
Si volse evitando con un mezzo giro l’artigliata del secondo e spezzandogli la gamba destra con un poderoso calcio nel punto giusto, il ginocchio. Esattamente dove Haley gli aveva insegnato. Questo non lo fermò, la creatura si rialzò come se niente fosse e lo assalì, zoppicando leggermente.
Colpì il mostro dritto in faccia e infilzando più volte il coltello nel busto per tenerlo lontano; ma la creatura tentò di ghermirlo e lo fece in un modo inaspettato: parò un suo affondo con il braccio sinistro e lo afferrò saldamente con il destro, mordendogli l’avambraccio in profondità. Doveva essere un residuo, un barlume di lucidità e tattica emerso dalla sua vecchia vita da soldato, chissà come scampato al progressivo decadimento del cervello ed affiorato proprio in quell’istante.
Approfittando della posizione vulnerabile assunta dall’obbrobrio, riuscì finalmente a colpirlo agli occhi, affondando il pugnale in profondità uccidendolo al primo colpo. Si fermò un istante. Pulì la lama e si osservò il braccio sinistro; le protezioni in Kevlar-VIII lo avevano schermato completamente, se così non fosse stato avrebbe già iniziato a sperimentare i primi sintomi della trasformazione. I loro morsi erano maledettamente contagiosi; tutti gli SSC portavano una seconda pistola, caricata con un unico colpo, destinato ad evitare che le fila dei nemici si ingrossassero ulteriormente… a quanto pareva sarebbe rimasto sulla Terra ancora un po’.  
Doveva togliersi dalla strada. Ansimando entrò in un edificio a due piani semi distrutto, nascondendosi. Di ruderi ce n’erano anche sin troppi fra incendi, artiglieria e nucleari.
“Fottuti Zombie!” imprecò, adagiandosi pesantemente sopra un cumolo di calcinacci.
Inserì un nuovo caricatore nel fucile e si aggiustò i guanti protettivi sulle mani.
A pensarci bene l’attuale situazione del mondo era piuttosto comica: quando era stato un ragazzino, all’inizio del millennio, i canali tv si erano ritrovati invasi da film e telefilm ambientati in un mondo post apocalittico abitato da Zombie. Ma la sorte aveva voluto essere particolarmente ironica e giocare un brutto tiro alla Terra, fornendogli in allegato anche un’altra gettonatissima Fine del Mondo: l’invasione aliena.
Non poteva fare a meno di pensare che qualcuno, lassù, doveva essersi divertito davvero molto a loro spese, dando conferma ai deliri dei registi. Ma chi avrebbe mai potuto immaginarlo?
Quando era stato? Nel 2034?
Gli alieni erano arrivati all’improvviso e senza tentare il minimo contatto, avevano attaccato. Micidiali e veloci, li avevano colti del tutto impreparati. La prima spedizione ad aver costruito una base permanente su Marte era scomparsa all’interno di un cratere. Uno bello grosso.
Prima che le potenze della Terra riuscissero ad organizzare una controffensiva adeguata anche una delle due colonie Lunari, quella Cinese, era stata distrutta. 
Ciò che era accaduto dopo non era molto chiaro, né ben documentato. I rapporti, i computer con i dati rilevati… i testimoni diretti, non erano riusciti  a superare la crisi.
 I Governi della Terra avevano fatto il loro dovere. Avevano reagito con l’arma più potente nei loro arsenali.
Agli Sgombra Salme, come le SSC venivano universalmente chiamate dagli altri reparti, era capitato di svolgere missioni nelle zone in cui gli scontri con gli alieni erano stati più intensi; lì, la tuta anti contaminazione era un requisito fondamentale se tenevi che pelle e capelli non ti cadessero a terra.
Ancora non si riusciva a comprendere appieno come fossero riusciti a distruggere il grosso della flotta d’invasione e come avessero ricacciato indietro il nemico, chiaramente molto più avanzato di loro.
La teoria più in voga postulava che la forza aliena fosse stata di dimensioni troppo contenute ed equipaggiata per affrontare un nemico molto meno avanzato di come era stata la Terra al suo arrivo; d’altronde si sa, i viaggi interstellari sono parecchio lunghi. Dovevano aver calcolato male la data dell’arrivo. Di un secolo o giù di lì.
Ma gli REO-1, l’acronimo con cui li si definiva, non avevano digerito molto bene il fatto di essere stati presi a calci nel fondoschiena. Dopo aver sacrificato i loro ultimi quattro incrociatori per distruggere la base Lunare NASA nel Mare Traquillitatis, avevano messo in atto una rappresaglia su scala globale. Probabilmente nemmeno loro avevano previsto gli effetti inaspettati che il virus avrebbe avuto sulla fisiologia umana… tanto più che alcuni dei loro piloti abbattuti erano stati eletti a portata principale dei primi gozzovigli di “Quei Cosi”, più tardi universalmente ribattezzati Zombie.
Il virus, forse adulterato dall’eccessiva quantità di radiazioni che permeavano l’atmosfera, si era dimostrato davvero inquietante e terribile: la prima fase consisteva in una febbre decisamente intensa che ti lessava il cervello, trasformandoti in un vegetale con ancora la capacità di muoversi. Alcuni squilibri chimici e alcune mutazioni ti alteravano in un essere totalmente diverso da come eri stato prima: un predatore di carne, esclusivamente carne. Meglio se umana.
L’intera popolazione era stata infettata. Senza eccezioni.
Chi non veniva morso si sarebbe comunque trasformato in seguito alla sua morte, in qualunque modo questa avvenisse.
Riedificare la Terra in quella condizione era praticamente impossibile. Ogni nucleo di persone che fosse riuscito a costruire un insediamento e proteggerlo con barricate poteva in qualsiasi momento essere spazzato via da Zombie ex componenti della loro stessa cittadina.
Lo aveva già visto succedere, nella sua vecchia città. Un uomo era caduto da una scala mezza marcia in un posto isolato dell’insediamento ed era morto; prima che qualcuno si accorgesse di lui e bruciasse il cadavere, si era già tramutato. Un solo Zombie era bastato per distruggere tutto. Aveva trasformato un’altra ventina di persone e poi si era dato alla pazza gioia assieme ai suoi “figli”, banchettando con il resto degli abitanti. E con la sua famiglia.
Di trecento, lui era uno degli unici sette sopravvissuti.
Era per questo che si era arruolato nell’esercito. Gli Sgombra Salme proteggevano le altre squadre di militari e anche i civili. Da quando era entrato nel reparto aveva partecipato al salvataggio di ben due cittadine e allo “Sgombro” di quattro zone, ora di nuovo abitate. Non avrebbe mai più permesso che tragedie simili ricapitassero, anche a costo della vita.
Senza contare i Cinquantamila. Proprio loro erano la ragione principale per cui avevano intrapreso la missione che in soli quattro giorni aveva quasi del tutto sterminato le SSC. Dopo che la nave madre REO-1 era stata abbattuta nei pressi di Chicago, dai suoi rottami erano state recuperate parecchie attrezzature, comprese alcune svariate migliaia di capsule per la stasi criogenica. Cinquantamila trecentonove persone, ad una fase terminale della malattia, a meno di un’ora dal punto di degrado sinaptico irreversibile erano state sigillate in quelle capsule, in attesa che una cura fosse trovata.
E lui lo avrebbe fatto. Lo doveva all’umanità intera; lo doveva alla sua famiglia, morta cercando di costruire un futuro migliore; lo doveva ad Haley, che come primo atto da nuovo Comandante gli aveva affidato la missione, lo doveva ai suoi compagni che si erano sacrificati per aprirgli un varco.
Non li avrebbe delusi, qualunque fosse il prezzo richiesto. Benché il tributo preteso sino ad ora fosse stato già terribile: oltre duecento fra i migliori elementi.
Si tolse l’elmetto, estraendo la vecchia cartina dal foro che aveva praticato nel rivestimento interno.   
“Blah, potevano almeno darmi una cartina elettronica” sbuffò.
Prima dell’attacco quell’area era stata densamente popolata, ecco perché la loro missione era andata male sin dall’inizio; le grandi metropoli del passato erano diventate dei veri carnai, avvicinarle equivaleva ad un suicidio. Ma avevano saputo a cosa andavano incontro e avevano comunque accettato, all’unanimità.
Alla sua destinazione mancava meno di un miglio. Tuttavia le strade pullulavano di Salme, non ce l’avrebbe mai fatta. Doveva inventarsi qualcosa.
Sporse la testa e sfruttò uno squarcio nella parete per osservarsi attorno: davanti a lui aveva inizio una teoria di edifici a più piani che si snodava sino al laboratorio, miracolosamente rimasti intatti. All’interno non dovevano esserci troppe creature e avrebbe potuto passare per i tetti evitando il grosso delle mandrie che si aggiravano lì attorno.
Poteva farcela. Prese una lunga boccata d’aria, regolarizzando il ritmo del respiro; chiuse gli occhi e si concentrò.   
Trova il tuo equilibrio, il tuo centro e sii freddo. Esisti solo tu e il tuo obbiettivo, ciò che è in mezzo non è nient’altro se non un cadavere che ancora cammina. Uno dei primi insegnamenti di Haley, sempre utile… e volutamente ironico ed allusivo nella parte sui morti. Forse era per questo che si era deciso ad inserire “ancora”.
Si alzò all’improvviso uscendo in strada, lanciandosi verso l’edificio più vicino. Aveva individuato una scala antincendio che faceva al caso suo.
Sette Zombie lo videro e scattarono verso di lui da diverse direzioni. Afferrò il MKB.
“Uno” sussurrò mentre colpiva il primo al petto.
“Due e tre” si ripeté, falciandone altri due.
Accelerò il ritmo della corsa lasciando che lo inseguissero; a pochi metri dalla scala si bloccò volgendosi con un unico movimento fluido.
“Quattro e cinque” disse nello stesso momento in cui i loro brandelli si spargevano sull’asfalto sconquassato.
Respirò. Strinse uno dei suoi coltelli da lancio, appoggiandosi saldo sulle gambe. Inarcò all’indietro il braccio. Espirò. Dandosi slancio con tutto il corpo, tirò.
Non ebbe bisogno di guardare il risultato per sapere che aveva infisso il coltello nell’occhio destro, si limitò ad alzare le braccia in posizione di guardia, attendendo l’ultimo.
Gli venne addosso con una furia inumana, ringhiando. Lo colpì al collo con il taglio della mano. Una. Due. Tre volte.
Strinse il pugno destro e piazzò un montante sul mento del mostro, sbattendolo a terra. Puntò il fucile e gli sparò un singolo colpo in mezzo agli occhi. 
Alzò lo sguardo. Aveva fatto più rumore di quanto immaginasse, diversi gruppi di Salme confluivano nella strada dai vicoli laterali, caricandolo. Non riusciva a distinguerne il numero, ma era sicuro fosse superiore al centinaio. Be, non sarebbe certo rimasto a scoprirlo.
Aggredì la scala arrugginita, salendo quattro scalini per volta. Non impiegò molto a raggiungere il tetto, dove trovò un quartetto di ospiti indesiderati; cambiando il settaggio in automatico, li crivellò con un’unica raffica.
Scavalcò i corpi e corse verso l’edificio successivo. Lo spazio fra i tetti era di oltre due metri. Ma lui aveva una missione, una missione fondamentale. Nulla lo avrebbe fermato. Nessun bambino avrebbe più pianto perché i suoi genitori erano morti, nessun bambino si sarebbe disperato e non avrebbe più dovuto imbracciare armi, costretto a crescere in fretta in quel mondo devastato. Nessun bambino avrebbe più dovuto sparare in testa al proprio padre, tormentandosi per tutta la vita e ripetendosi che era già morto nel momento in cui era stato morso. Nessuno.
Gli ostacoli non esistevano, c’erano solo lui e l’obbiettivo. Il resto? Il resto non contava.   
Saltò e rotolò per distribuire e diminuire la violenza dell’impatto. Si rialzò, sparando brevi raffiche alle creature che si frapponevano fra lui e la destinazione.
Saltò di nuovo, raggiungendo il terzo edificio e iniziando a vedere la piazza.
C’era quasi!
Intensificò ancor di più il ritmo della corsa, ignorando le proteste dei muscoli.
Saltò, atterrando sul quarto tetto.
Guardò brevemente in ogni direzione, gettandosi poi verso la scala antincendio che dava sulla piazza, scendendola a balzi. 
Si lanciò verso il laboratorio, aspettandosi di vedere la sua struttura candida torreggiare su di lui da un momento all’altro.
Rallentò lievemente il passo: non sembrava esserci molto movimento. Doveva comunque rimanere in allerta; a volte, quando non c’erano fonti di cibo nelle vicinanze, i bastardi si adagiavano a terra immobili, diventando maledettamente simili ai morti. A quelli veri.
In molti erano stati fregati da questo semplice trucco, che questo fosse messo in atto in modo consapevole o meno.
Esaminando i rapporti sul laboratorio ne conosceva la storia. Nelle settimane successive all’inizio del contagio, il Governo aveva riunito in quella struttura i più eminenti esperti in malattie virali, patologi e altri esperti in materie di cui nemmeno rammentava il nome.
Nel laboratorio, protetto da un dispiegamento di militari senza precedenti, si era tentato di trovare una cura per settimane. Non se ne era cavato niente.
Dopo circa tre mesi, il cordone difensivo aveva cominciato a cedere e ad essere sempre più frequentemente penetrato; fatto comprensibile se le armi impiegate sono inadeguate e se ogni perdita infoltiva i ranghi delle Salme.
Alla fine i reparti militari erano stati quasi del tutto massacrati e i ricercatori evacuati. Quelli ad essere sopravvissuti all’ultimo tragico assalto degli Zombie.
Osservò il cielo, infiammato dal tramonto. A quell’ora era possibile distinguere il luccichio emesso dai rottami delle stazioni spaziali terrestri e delle navi aliene, rimasti in orbita negli ultimi vent’anni. Formavano una sorta di torrente di luce nel firmamento. Uno spettacolo bellissimo, se non ci si soffermava a pensare alla sua origine.
Riportò lo sguardo a terra. Era guardando quel cielo, essendo consapevoli che la razza umana era sopravvissuta a quella terribile aggressione, che ogni uomo, donna e bambino alimentava la sua speranza.
Si diceva che nelle ultime ore di vita del laboratorio, i livelli inferiori, quelli dove la ricerca effettivamente avveniva, fossero stati sigillati e che alcuni scienziati fossero rimasti intrappolati all’interno.
Prima che i centri di comando venissero definitivamente distrutti e le loro difese crollassero sotto il peso degli attacchi, erano stati captati dei messaggi dalla struttura di ricerca: i campioni raccolti e molti dati erano ancora intatti, le riserve di acqua e cibo abbondanti, la ricerca proseguiva.
Per vent’anni non era più arrivato alcun messaggio, per vent’anni si era atteso in vano, tentando comunque di andare avanti ed iniziando a ricostruire il pianeta. Dopo tanto tempo la speranza aveva iniziato ad affievolirsi, finché il mese prima le apparecchiature per le comunicazioni appena ricostruite avevano captato dei messaggi automatici. Messaggi che davano nuovamente vita alle preghiere che tutti rivolgevano al cielo prima di andare a dormire.
Una cura era stata trovata.
Quel comunicato veniva inoltrato da anni, ma nessuno aveva potuto riceverlo senza ricetrasmittenti funzionanti.
Scavalcò una barriera creata con sacchetti d sabbia, costeggiò un carro M-3 semi distrutto, successore del leggendario M-1 Abrams.
Era pieno di carri ed elicotteri distrutti, di scheletri dalle divise stracciate.
Non si erano decomposti. Erano stati divorati. Vivi.
La carne strappate dalle ossa con i denti, il midollo succhiato sino all’ultima goccia. Un fottuto massacro.
Avanzò ancora di pochi metri, superando un Bunker di cemento a presa rapida e se lo trovò finalmente davanti.
Da quando erano riusciti a ripristinare il collegamento con uno dei pochi satelliti rimasti intatti, avevano fatto diversi rilevamenti in zona. Quindi conosceva lo stato in cui versava il laboratorio; ma non poté fare a meno di provare una punta di delusione a vedere un cumulo di calcinacci bruciacchiati ed erosi dal tempo, invece della candida ed elegante costruzione rappresentata nelle vecchie fotografie che aveva visionato.
Poco dopo l’evacuazione, i sistemi automatici rimasti attivi avevano individuato i non morti all’interno classificandoli come intrusi ostili e, interpretando correttamente il fatto come perdita della struttura, avevano azionato l’autodistruzione.
Ma i livelli inferiori erano schermati in modo da reggere ad esplosioni da 4,5 Megatoni, quindi non dovevano aver subito nemmeno una vibrazione.
Entrò nelle rovine dai vecchi ingressi, si sarebbe allungato di qualche metro la strada, ma provava un rispetto troppo grande per quell’edificio per profanarlo in altro modo.
Eccole finalmente, le porte blindate dei sotterranei.
L’ansia, le aspettative lo divoravano, ma una gioia profonda lo pervase ed un sorriso si allargò sul suo volto stanco e sporco.
Il sorriso si gelò sulle sue labbra.
Le porte erano divelte.
Si precipitò all’interno, dando conferma ai suoi timori.
Tutto era distrutto, i corpi di alcuni dottori erano stesi già all’entrata. Immobili.
Ma non erano scheletri. I corpi si sollevarono in piedi, barcollando. Ringhi sommessi si levarono.
Si lasciò cadere in ginocchio, le lacrime gli pungevano gli occhi.
Tutto era perduto.
Afferrò la seconda pistola.
 
  
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