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Autore: GabrielleWinchester    07/06/2014    5 recensioni
Ispirandomi alla canzone "Non mi ami" di Giorgia, questo racconto illustra i pensieri di una donna, una donna maltrattata dall'uomo che la ama, un uomo che scambia la tenerezza con gesti violenti...Un racconto che denuncia la violenza contro le donne! Tutto il racconto è tutto frutto della fantasia dell'autrice e non c'è nessun riferimento alla realtà, senza diffamare ed offendere nessuno. Un racconto per tutte le donne vittime di violenza, sperando che trovino la forza per denunciare quei compagni che dicono tanto di amarle e invece le distruggono. Buona lettura.
Genere: Drammatico, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Buongiorno a tutti,
ecco a voi "Gocce di cuore sparse sul pavimento", un racconto nato dall'ascolto della magnifica canzone di Giorgia, una canzone emblema contro la violenza sulle donne, un racconto per denunciare la violenza da parte di uomini, tanto dolci quanto spietati. Quello narrato nella storia è tutto frutto della fantasia mia e non c'è nessun riferimento alla realtà e a persone che conosco.Un racconto nato dopo avere sentito troppo spesso notizie di donne trattate come stracci e senza nessuna dignità. Mi scuso per eventuali errori presenti all'interno del racconto, uno dei più difficili che io abbia scritto. Ringrazio di cuore tutti coloro che la leggeranno e la vorranno leggere, tutti coloro che la recensiranno e la vorranno recensire, tutti coloro che hanno messo e metteranno le mie storie nelle seguite/preferite/ricordate e da recensire e tutti coloro che mi hanno messo e mi metteranno come propria autrice preferita. Buona lettura. Gabrielle.


                                                               Gocce di cuore sparse sul pavimento..

Mi volto a guardare il mio riflesso nello specchio antico. Tu te ne sei andato a lavorare, a fingere di essere una persona affabile e cortese, quando io ho visto il mostro dentro il sorriso, il demone degli incroci dentro un arcangelo, a dimostrare di essere un uomo d’onore, quando tu dell’onore non ne hai un briciolo e non hai la dignità di ammetterlo, a differenza di me. Indossi una divisa, vorrei sputare su quella divisa, tu non la meriti affatto, non sei l’uomo che le vecchiette adorano e sussurrano “Hai sposato un buon partito”, tu sei il mostro dietro lo stipite della porta. Ho maledetto il giorno in cui tu hai giurato, rendendomi conto che tu ti meritavi la divisa quanto io meriti di avere dieci in matematica. Io che sono stata cresciuta da un papà militare, io che ho visto la divisa come simbolo e fedeltà, non un modo per fare carriera e soldi. Il dolore alle articolazioni mi fa gemere, l’altra sera hai esagerato, ma non ho fatto nulla, non ho detto nulla, perché ho pensato, si lo ammetto, ingenuamente che non rispondendoti, bè tu avresti smesso di picchiarmi.
Bè fai prima a scrivere il tuo nome in enochiano, piuttosto che vedere realizzata questa cosa.
Sono un’idiota, sono un’emerita idiota e ho lasciato cadere gocce di cuore sparse sul pavimento, quel pavimento che ha raccolto gocce di sangue, lacrime inghiottite con amarezza, un miscuglio di caffè e alcool, il quale non ha nulla di sensuale, ma è veleno che finge di essere miele. Ti sei lasciato corrompere dai flussi dell’alcool, trasformandomi in una bambolina da usare a tuo piacimento.  Mi dirigo verso il bagno, muovendomi a stento e chiudo la porta a chiave.
Urlo, urlo a più non posso, scagliando contro il muro un suppellettile di ceramica, lasciando che i pezzi si rompessero, sentendo che la frattura di quell'oggetto rappresenta benissimo il mio cuore.  Un’anima spezzata, rubata e marchiata.
Quello che ho rotto, bè è un vaso di ceramica contenente una rosa rossa, una rosa che mi hai regalato per farti perdonare di tutte le percosse, per fare la bella faccia di fronte ai tuoi amici, per fingere che tutto vada per il meglio, quando va tutto a rotoli.
Sono stata marchiata, sono un angelo frustato da un demone dai modi gentili, un Lucifero che si comporta come Gabriel, la percossa inframmezzata dalla carezza, un fuoco che brucia le vene e cerca di essere una calda coperta.
Un ossimoro che mi fa paura.
“Non mi importa davvero,
se hai preso tu  la parte migliore di me,
ma credi per davvero,
che sarei stata per te,
l’aria la scusa la lealtà,
purezza illusa e tu di là…
Il mio cellulare squilla la canzone di Giorgia ed io mi immedesimo in questa canzone, danzandola e cantandola, dopo che tu arrivavi ubriaco fradicio e mi trattavi come uno straccio, anzi posso dirti che lo straccio è trattato meglio di me. Mi specchio e vedo un livido segnarmi il viso, un viso ammirato da tutti, rendendomi più timida di quanto lo sia.
“Sei stupenda”
Mi hai conquistato così, sei stato il migliore conquistatore che ho mai incontrato, dopo mi sono resa conto di aver incominciato il viaggio verso l’Inferno, altro che Dante e Virgilio. Ho incominciato a isolarmi, ho smesso di andare nel mio locale preferito, ho detto scuse per i miei lividi, ho detto addio alla persona che ho ammirato, mio fratello non di sangue ma di risa e simpatia.
Lascialo, non ti merita”
Questo mi ha detto, dopo che ero andata nel mio locale preferito e mi aveva trovato inginocchiata sul pavimento. Mi ha scostato i capelli biondi e mi ha asciugato le lacrime, aiutandomi ad alzarmi, il fazzoletto pieno di sangue e disinfettante, un pezzo di stoffa che ho utilizzato per pulire e cancellare le tracce della tua irruenza.  Io l’ho abbracciato, scoppiando a piangere, liberandomi da quel peso che mi portavo da sempre. Ti ho sposato convinta di avere fatto la scelta giusta, rendendomi conto che ho combinato una sciocchezza, una di quelle che si commettono perché ci si fida troppo delle persone.
Non lasciarlo, è una persona che ha problemi. Sinceramente, sapete cosa vi dico? Andate a quel paese, voi e il vostro “ha problemi”, io non picchio e non insulto una persona se ho problemi. Al massimo le domando come sta.
“Perdonami amore”
Ti ho perdonato abbastanza pezzo di essere umano, tu che sei centomila volte peggio di Voldemort. Come fa male la tua carezza dopo una percossa, dopo una caduta dalle scale. Come mi ha fatto sentire bene un suo gesto da cavaliere.
Un cavaliere templare, uno che meriterebbe di avere la divisa al posto tuo. Figlio di puttana!
“Vieni, ti offro un bicchiere d’acqua”
Io l’ho seguito, ho bevuto il bicchiere d’acqua, lui a debita distanza. Mi ha ascoltato attentamente, dandomi modo di sfogarmi, dandomi modo di purificare la mia anima insozzata da te, da quell’amore malato, un odio mascherato da tenerezza.
Tu meriti di meglio”
“Gli uomini sono tutti uguali. Sono stupendi all’inizio, ma poi alla fine sono dei..”
Non ho finito la frase e lui ha capito, dove volevo andare a parere. Lui non se le è presa, anzi mi ha offerto un altro bicchiere d’acqua, credendo e sperando di aiutarmi, un gesto che ho visto fare senza chiedere nulla in cambio. Poi mi ha appoggiato una mano sulla spalla “Io non sono così. Quando vuoi e se vorrai, io ci sarò sempre per te”
Poi l’ho visto allontanarsi, un sorriso che ha avuto l’effetto di una panacea.
Ritorno nella realtà e mi acconcio i capelli in una coda stretta. Prendendo una decisione importantissima. Raccolgo i pezzi del mio cuore, le mie gocce del cuore sul pavimento, ti lascio un biglietto sul tavolo,  su quello stesso tavolo, laddove prima simbolo di romanticismo e dopo simbolo violento, un biglietto in cui ti dico addio. Lascio un petalo di rosa bianca, il mio emblema di vittoria e di rivincita.
Ti ho perdonato, ho raccontato bugie per conto tuo, ho fatto la crocerossina solo perché speravo che tu cambiassi, adesso basta! Non mi ami, non mi hai amato e non mi amerai mai. Io ho la stessa importanza di un mobile, tranne che i mobili non sanguinano e non provano dolore come faccio io.
Io sono un oggetto, senza anima e con un cuore da distruggere in mille pezzi.
Ma io non ho Morte che mi ripara l’anima o che mi costruisce un muro, se la mia anima si rompe, si rompe per sempre.
I mobili si scheggiano, perdono il colore, ma si aggiustano. Sono stanca di andare all’ospedale, di vedere la tua faccia falsamente dispiaciuta, il tuo “è caduta dalle scale”, una scusa che ormai è stata troppo collaudata, io che annuivo, solo per evitare di avere altre botte. Solo per evitare un altro pugno nero, solo per evitare di vedere il sangue scivolarmi su tutto il corpo, un corpo che tu hai ammirato e che dopo hai cercato di distruggere, così che nessun maschio potesse indugiare, il possesso mescolato alla stupidità, una stupidità che ti rappresenta a pieno.
“Ero un nodo fatto su di te,
quello che so, io non lo devo certo a te..
La voglia, la rabbia,
le tue armi sui pensieri e su me,
e perdi me..
Tu urli dal balcone, intimandomi di ritornare, di essere la tua ombra, di fare bella figura alle cene di lavoro, di fare la bella statuina. Io ti faccio il gesto dell’ombrello e mi accingo a raccogliere un fiore. Ricominciando a vivere, a respirare liberamente. Apro la porta del locale, lui mi vede e lascia tutto quello che sta facendo. Sono uscita senza indossare un cappotto, fa freddo, lui mi mette sulle spalle la sua giacca e mi accarezza la guancia.
“Bentornata”
“Grazie”
Poi spalanca la porta del locale e trovo lui e i suoi colleghi che mi hanno preparato una torta. Avevo affrontato l’Inferno e ora stavo timidamente camminando verso il Paradiso. Verso un luogo dove l’onore sa di dolcezza e non di scuse sussurrate tra le lacrime, lacrime finte.
                                                                                                                                 Fine

 
  
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