Il
pescatore di emozioni
A
C.
Ancora
una volta.
Sempre.
-Ma
tu ci pensi mai?-
-A
cosa?-
Paul
rivolse un secondo interrogativo a quello posto da John, senza
realizzare di
non aver risposto al primo.
Accompagnò
la sigaretta alle labbra, che avrebbero riservato ad essa un abbraccio
umido e
caloroso. Lo stesso che offriva il clima inglese alle loro figure, che
avevano
cercato refrigero all’ombra di un edificio. Le imperiose
raffiche ventose
avvinghiavano i cittadini in una stretta famigliare ma piacevolmente
fastidiosa, come quella di un parente affettuoso ed espansivo. Al
sibilo
naturale che importunava i pochi steli erbosi che prevalevano
sull’acciottolato
cittadino, si sommò quello artificiale delle industrie. Le
ciminiere
indirizzavano il proprio respiro a quello altrettanto fumoso e nocivo
delle
sigarette dei ragazzi, ma qualcosa differenziava quelle esalazioni
apparentemente simili. Se le volute di fumo delle fabbriche profumavano
di
innovazione e ambizione adulta, quelle del tabacco di del di indipendenza giovanile.
Quell’umile
aspirazione, apparentemente irraggiungibile, era accuratamente celata
nei
tratti dei due interlocutori, deformati da un sentimento a loro
incomprensibile
che aveva inarcato le bocche e disteso le fronti. Aveva colorato il
volto di
John di un rossore inusuale, donando alle gote del ragazzo una
timidezza a cui
John spesso non permetteva di prevalere sul proprio orgoglio.
Ed
è proprio quel sentimento etereo e sconosciuto, che
ottenebra la ragione e incita
l’istinto, a trarre le parole dalla mente di John, con
l’agilità di un marinaio
esperto che trae a bordo la sua pesca soddisfacente. Come pesci appena
recuperati dai flutti, i pensieri di John si dimenavano nella rete
delle
parole, in cui era stato costretto ad imprigionarli. Nonostante
riconoscesse la
limitatezza del linguaggio come mezzo per esternare i propri
sentimenti, era
l’unico di cui potesse usufruire con la certezza che venisse
recepito.
-Alla
nostra condizione, a quello che ci sta accadendo…
a… a noi…-
Ecco.
Il
pescatore si imbatté in un pesce affamato che, una volta
issato sul pontile
della razionalità di John, tentò di divorare
colui che lo aveva adescato con la
propria lenza. L’orgoglio di John, come
quell’animale stizzito, avrebbe
desiderato soffocare un’emozione più grande di lui.
Un’emozione
imperiosa che ancora riusciva ad imprigionare la moralità di
John, restio ad
accettare che una forma diversa d’amore abbia scelto proprio
lui come suo
rappresentate. Lui, che della sua virilità aveva fatto un
vanto, ora doveva
spogliarsi di quella maschera di fronte al sorriso sincero di Paul che
tutto
esprimeva, fuorché timore dell’opinione altrui.
-Certo
che ci penso. Ultimamente… sì, lo faccio spesso.-
Paul
annuì, confessando la sua debolezza nel figurare il volto di
John nelle proprie
fantasie. Alzò lo sguardo vagamente imbarazzato da
quell’affermazione, offrendo
la propria attenzione alla fisionomia del ragazzo amato. Il mento
pronunciato
evidenziava una mascella squadrata, dal profilo classicheggiante quanto
il naso
adunco, che a Paul ricordava quello dei personaggi storici che studiava
di
malavoglia. Ma se Paul si divertiva ad esasperare quelle
caratteristiche
fisiche con la matita sui libri di scuola, non avrebbe mai desiderato
fare lo
stesso con le qualità di John. Nulla delle
peculiarità che lui amava sarebbero
potute essere modificate, senza procurargli un’immensa
indignazione. Ma l’animo
di Paul si chetava nel momento in cui il ragazzo realizzava che nessuno
avrebbe
potuto compromettere l’espressione di John; soltanto il
sentimento amoroso, che
sopravviveva in John, nonostante la propria reputazione tentasse di
sopprimerlo.
-E
non hai… non hai paura?-
L’ultima
parola donò un fremito alle gote di John, che non persero il
loro rossore
estasiato. Pose i palmi sul viso, nel tentativo istintivo di
raffreddare
quell’emozione bollente che ormai infiammava la sua
razionalità.
-Paura?
Di che dovrei avere paura?-
John
tese i muscoli facciali, infastidito dalle domande di Paul che
seguivano sempre
le sue. Ma Paul non voleva offrire risposte, ma riceverle. Desiderava
ricevere
una spiegazione della titubanza di John e convincerlo della sua
inutilità.
Perché nulla, agli occhi di Paul, era più
affidabile del suo sentimento
insormontabile da qualunque preoccupazione umana.
-Del..
del futuro…-
-Stai
parlando di quello che provo per te, non è vero? Non
c’entra niente Amburgo e
la musica, non è così?-
John,
come colto da un pensiero improvviso, inclinò il polso e
lasciò scivolare verso
terra la sigaretta non ancora consumata.
-Io…
sì, insomma! Io… temo di non poterti…
dare quello che… vorresti da me…-
Paul
aveva intuito quanto quelle ultime parole non fossero rivolte a lui,
bensì ad
una società a cui John, a causa del suo amore prima
sconosciuto, non avrebbe
potuto donare un inseguitore irreprensibile della moralità.
-Mi
ami, John?-
John
intrappolò il labbro tremante fra i denti, preda di un
pianto silenzioso
causato dalla frustrazione subita dal suo animo. Richiedere
l’abbandono della
maschera orgogliosa e beffarda per affidarsi ad un’effimera
emozione, metteva
in difficoltà l’animo di John.
Un
animo che avrebbe rischiato di incontrare il disprezzo altrui, causato
da
pregiudizi ancora troppo fortemente radicati nel pensiero per lasciare
posto
alla comprensione.
Al
rispetto.
All’accettazione
di quello che altro non era se non amore e non
un’inclinazione innaturale.
Quell’improvvisa
consapevolezza lo riscosse dalle suo lacrime indecise, sospingendolo al
ricongiungimento con quel sentimento di cui così spesso
amava celebrare nelle
proprie canzoni.
-Sì,
Paul. Sì, ti amo, maledizione!-
-E
perché sarebbe una maledizione?-
John
sorrise della malizia contenuta nella voce di Paul, una voce che per la
prima
volta offuscò il suo disagio e il timore del giudizio altrui.
Afferrò
il mento curvo e femmineo di Paul fra le dita e congiunse le sue labbra
a
quelle dell’amato.
Sì,
perché finalmente aveva il coraggio di identificare Paul con
quell’appellativo.
Non
più solo il figlio di James, il bassiste, l’amico.
Ora
era l’amato. Contro le parole infamanti, contro le accuse
ingiuriose. Lo
sarebbe sempre stato.
La
lingua di Paul non tentennò nell’allacciarsi a
quella di John, con la stessa
prontezza con cui le sue braccia circondarono il collo. John ritrasse
per un
istante la lingua, prima di sorridere e avanzarla nella bocca del
ragazzo. John
si scostò da lui, alla ricerca del fiato che gli avrebbe
permesso di rispondere
a quella domanda.
-Perché
nonostante sia assurdo ed insensato e contro ogni principio logico,
io… io non
posso fare a meno di te…-
Paul
sorrise radioso.
Ci
era riuscito.
Era
riuscito, con la propria espressione innamorata, a far convincere anche
John
della genuinità di un sentimento che non conosceva sesso e
che non cedeva ai
pregiudizi.
John
pose le mani sui fianchi di Paul, sfiorando con le unghie il suo
giubbotto di
pelle e provocando un gemito piacevolmente sorpreso nel giovane nel
momento in
ci le sue carezze si fecero più esigenti.
L’emozione
trattenuta sfociava in lussuria in quella mente che avrebbe compiuto
una
decisione.
Una
decisione che forse non sarebbe stata mantenuta in futuro.
Ma
l’amore non conosce speranze future o ricordi passati, ma
solo la realtà del
presente che John e Paul non dimenticarono di vivere appieno.
Angolo
autrice:
Ma
ciao ragazzuoli!
Vi
presento una nuova slash, ambientata intorno ai primi anni sessanta. Un
elogio
a John e Paul ma, in particolare, al tema
dell’omosessualità che difendo
fermamente e che sento molto vicino.
Vorrei
ringraziare coloro che hanno ancora voglia di seguirmi ma in
particolare la ragazza
speciale a cui la storia è dedicata.
Un
altro piccolo omaggio a una piccola, grande autrice e amica (ormai
sento di
poterla definire proprio così).
Ti
ringrazio per tutto l’affetto, la dolcezza, la comprensione e
la maturità che
mi mostri ogni giorno. Da “grande” mi auguro di
essere il più simile possibile
a te.
Ti
voglio bene, anche se non lo dico spesso.
Un
bacio a tutti
Giu