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Autore: TeenAngelita_92    10/06/2014    8 recensioni
Una giovane psicologa, da poco entrata a far parte del mondo del lavoro.
Un ragazzo di origini spagnole con un carattere alquanto ribelle e particolare.
Nessuno era mai riuscito a comprendere le sue emozioni, i suoi pensieri, le sue paure.
Nessuno era mai riuscito a farlo sentire al sicuro, amato...
Fino a quel giorno.
Genere: Drammatico, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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1.
17:00
Era arrivato giusto in tempo. 
Ciò risultava essere alquanto sorprendente per lui, poichè era suo solito arrivare sempre con almeno mezz'ora di ritardo ad ogni appuntamento. 
Spense il motore e lentamente tolse il casco. Si ritrovò davanti ad uno di quei tanti palazzi che aveva già visto molte volte ed inevitabilmente il suo umore, già cattivo, peggiorò. 
Non c'era sicuramente niente di nuovo in quello che oggi avrebbe fatto, pensò: entrare in uno di quei bianchi e spaziosi studi vuoti, dove uno 'strizza cervelli' ti fa gentilmente accomodare iniziando a farti il terzo grado. Si, dopotutto sembrava essere diventata un'abitudine o un' "attività" da svolgere almeno una volta alla settimana per lui.
Rise tra se e se a questo pensiero, ripensando a tutti gli psicologi che aveva preso in giro facendo perdere loro del tempo prezioso. 
Deciso ad andare, si incamminò verso l'entrata. 
Si ritrovò subito davanti ad una quasi infinità di scale, che sembravano portare tutte a stanze o comunque studi differenti. 
"Posso aiutarti ragazzo?" interruppe i suoi pensieri un anziano signore. Sembrava dare tanto l'idea di un portiere, o comunque qualcuno che si occupa di dare informazioni. 
"Si. Ho un appuntamento con la Dottoressa Lovato. Sa dirmi tra quest'infinità di studi qual è quello giusto?" chiese con aria scocciata.
"Terzo piano a destra." gli rispose e senza neanche un minimo segno di gratitudine, si avviò per le scale. 
Arrivato al terzo piano, si ritrovò in un atrio alquanto piccolo e leggermente affollato.
"La giornata non poteva iniziare meglio" pensò. Odiava la folla, ed il solo pensiero di dover aspettare il suo turno, gli faceva saltare i nervi. 
Si avvicinò allora alla piccola reception, dietro la quale una giovane ragazza bionda, con un camice bianco, avrebbe potuto aiutarlo ad avere informazioni.
"Mi scusi. Ho appuntamento con la Dottoressa Lovato per le 17:00. Potrebbe dirmi cortesemente dove andare?"
"Attenda in sala d'aspetto. La dottoressa sarà da lei il prima possibile."
Attendere in sala d'aspetto? Per quale motivo avrebbe dovuto attendere se il suo appuntamento era stato fissato per le 17:00? Cos'era, uno scherzo?
"Per quale motivo dovrei aspettare? Il mio appuntamento era stato fissato per le 17:00 e se il mio orologio non mi prende in giro, ora sono le 17:00" ribattè, leggermente irritato.
"Sa, non è l'unico come vede che ha bisogno di aiuto e i pazienti non possono avere un tempo limitato per i loro bisogni. Ora, se vuole si siede e attende altrimenti nessuno la trattiene." rispose decisa la ragazza. Cosi decisa da zittirlo e mandarlo a sedere, seppur frustrato, su una di quelle solite sedie rosse tutte attaccate tra loro. 
Dopo solo qualche minuto, il cellulare prese a squillare.
"Si, pronto!" rispose, ma già sapeva che quell'ennesima telefonata in un solo giorno, apparteneva ancora a sua madre.
"¿Entonces?"
"¿Dios mio mamá, que quieres ahora?" le aveva quasi gridato sottovoce.
"Voglio solo sapere se sei già li! Conoscendoti so per certo che saresti stato capace di non presentarti neanche a questo appuntamento!"
"Si, sono già qui, d'accordo? Ora vuoi chiamarmi anche durante la seduta? Almeno cosi partecipi anche tu, che ne dici?"
"Sai che ti chiamo continuamente solo perchè voglio essere sicura che tu non mi prenda in giro dopo le innumerevoli volte che lo hai fatto!"
"Cosi facendo, di certo ricomincerò a farlo!" le aveva risposto e se anche quelle sue parole sembrassero cosi cattive e fredde verso sua madre, lei ormai si era abituata, quasi non le faceva più male subire quel comportamento dal suo stesso figlio. 
"¡Està bien, està bien! Dopotutto non è una novità che non fai altro che prendermi in giro e da ciò che riesco ad intuire, non smetterai mai di farlo."
Senza neanche che lui se ne rendesse conto, la sua discussione con sua madre sembrava essere diventata ormai disponibile all'orecchio di tutti. 
"D'accordo, hai finito? Ora avrei un appuntamento da levarmi dalle scatole." le disse e senza neanche darle il tempo di rispondere, riattaccò.
Prese a fissare le sue mani che improvvisamente avevano iniziato a sfregare l'una contro l'altra con rabbia ed agitazione. Forse non lo dava a vedere ma odiava litigare con sua madre, seppur lo faceva molto spesso, non era una cosa che gli faceva piacere, ma ogni volta sembrava inevitabile. 
"La dottoressa è pronta per riceverla." la voce della giovane ragazza alla reception lo fece sobbalzare. Era il suo turno ora.
Si alzò e titubante si avvicinò. Bussò, gli bastarono solo due o tre colpi per attirare la completa attenzione della dottoressa.
"Si, avanti." l'aveva invitato una voce che poteva definire quasi rassicurante e dolce, dall'altra parte della porta. Nessuna voce, di tutte quelle che nella sua intera vita aveva udito, era mai riuscita a fargli quell'effetto.
"Salv.." cercò di dire entrando del tutto e chiudendosi la porta alle spalle. Ma le ultime lettere di quel semplice saluto gli morirono in bocca, quando il suo sguardo potè vedere l'identità della dolce voce che aveva udito pochi istanti prima. 
Capelli lunghi e mossi. Erano castani e leggermente più chiari verso le punte. I suoi occhi scuri. Il suo viso giovane e luminoso. Indossava anche lei un camice bianco. Notò le sue gambe coperte solo da un sottile strato di calze, evidentemente indossava una gonna sotto quel convenzionale abito bianco. Lei era giovane, molto giovane e di certo non se lo sarebbe mai aspettato.
Quanti anni avrebbe mai potuto avere? Lui era ormai abituato a quegli adulti o addirittura "anziani" psicologi per niente simpatici e leggermente brutti. Ed inoltre non era mai stata una donna a seguirlo, mai.
"Non ha mai visto una psicologa in vita sua?" chiese lei con fare ironico, e un piccolo sorriso sulle labbra.
Certo che ne aveva visti psicologi in vita sua, tanti e forse anche troppi, pensò tra se e se. Ma qualcosa in lei era diverso, non sapeva ancora con esattezza cosa, ma era diverso.
"Ne ho visti anche abbastanza in vita mia" rispose, con quel suo solito tono freddo e distaccato.
"Accomodati. Posso darti del tu?" chiese gentile, sedendosi sulla sua scrivania. 
Lui annuì, quasi disinteressato, e si sedette sulla piccola poltrona bianca poco distante.
"Io sono la Dottoressa Lovato" iniziò presentandosi "Ma questo tu già lo sai."
Lui annuì ancora, ormai aveva iniziato a fare ciò che faceva con tutti gli altri, tutte le volte. 
"Il dottor Scott mi ha molto parlato di te, Andres." lo informò, ma lui non sembrò molto interessato. Prese dalla sua tasca una sigaretta e con leggerezza iniziò a giocherellarci. 
"Tu fumi?" chiese lei, ma stranamente non sembrava essere sorpresa.
"Si" le rispose dopo qualche secondo.
"Quante al giorno?" gli chiese ancora, alludendo al numero di sigarette.
"Beh non ne ho idea, non le ho mai contate." rispose scrollando le spalle e ridendo.
"Sul serio non ne hai idea?" 
"Ho bisogno di fumare, non di contare le sigarette che fumo ogni giorno" rispose, ma ora il suo precedente sorriso era sparito, e quelle strane domande iniziavano a dargli un certo fastidio.
"Quindi hai bisogno di fumare." disse, quasi come fosse un pensiero detto ad alta voce "Cos'è che ti da il fumo che gli altri non riescono a darti?"
Restò in silenzio e notò che il suo sguardo non si era mosso un solo attimo da lui, neanche per distrazione. Nessuno lo aveva mai guardato cosi attentamente, cosi... No, non sapeva spiegarlo. 
"D'accordo. Quanto tempo mi da per rispondere al terzo grado che inizierà a farmi?" le chiese, abbassando lo sguardo verso le sue mani che avevano ripreso a sfregare come dopo la discussione con sua madre. Non riusciva a guardare i suoi occhi come lei stava ormai facendo dall'inizio della conversazione. Perchè?
"Io non do un limite di tempo ai miei pazienti e non è mia abitudine fare il terzo grado"
"Ah.. Ma certo." rispose, ancora ridendo, come ormai faceva sempre.
Passarono solo alcuni attimi di puro silenzio e lui ebbe tanto la sensazione di essere osservato, studiato in ogni più piccolo particolare. 
"Prova a guardarmi un attimo negli occhi" gli chiese, e quella sua richiesta sembro imbarazzarlo. Perchè gli stava chiedendo di guardarla negli occhi?
"Che significa?" chiese, ma il suo sguardo era ancora basso. E lui ancora si stava chiedendo il perchè.
"Continui ad evitare il mio sguardo. Di cosa hai paura?" gli chiese ancora. Quella sua voce rassicurante e quelle sue parole che sembravano contenere tanta dolcezza e bontà.
"Che ne dice di fare semplicemente come tutti gli altri?" cercò subito di cambiare discorso, scacciando quei stupidi pensieri dalla sua testa. 
"Io non sono 'tutti gli altri'." rispose lei, ed ora sembrava essere seria, molto più di prima, seppur tranquilla e per niente irritata da quel suo comportamento.
"Tra lei e tutti quelli da cui sono stato non c'è molta differenza, siete tutti uguali."
"Sei tu ad essere uguale con tutti. In questo modo tutti saranno uguali per te." e quella semplice affermazione sembrò zittirlo. La seconda volta in un giorno, pensò, nessuno ci era mai riuscito.
"Sa, forse ha ragione. A differenza di tutte le altre volte, oggi è molto più divertente."
"Non ti sto raccontando nessuna barzelletta, ne una battuta per la quale ridere a crepapelle. Non capisco perchè tu ti diverta cosi tanto." ribattè sicura "E vorrei che tu rispondessi alla mia domanda: Cos'è che ti da il fumo che gli altri non riescono a darti?" gli ripetè e stavolta sembrava voler davvero ricevere una risposa. 
E lui avrebbe benissimo potuto stare zitto e continuare a giocherellare con quella sua sigaretta tra le dita, oppure continuare a rispondere alle sue "provocazioni", ma invece no, decise di fare tutt'altro.
Si alzò bruscamente dalla poltrona sulla quale era seduto, prendendo il casco che aveva appoggiato ai suoi piedi. Si diresse velocemente alla porta. Bastò solo il suono della sua voce a fermarlo, solo quella sua voce. 
"Non è cosi che risolverai i tuoi problemi, sai. Potrai scappare, evitarmi ed evitare le mie domande o i miei tentativi di aiutarti, ma non risolverai niente" gli disse, e nonostante non potesse vedere il suo viso poichè di spalle, sapeva perfettamente l'identità della sua espressione: sapeva che i suoi occhi stavano bruciando di rabbia, fissi su un qualunque punto della stanza, il suo respiro pesante e forte mentre una delle sue mani sembrava stringere un po' troppo forte il suo casco.
"Domani." gli disse infine "Domani ti aspetterò. Abbiamo un altro incontro e so che verrai." 
Dette quelle ultime parole, uscì velocemente, sbattendo forse un po' troppo forte la porta alle sue spalle. Si diresse frettolosamente alla sua moto e quasi come un segno di rabbia, diede un calcio ad una ruota, gettando con forza il casco da qualche parte intorno a lui.
Era incredibile come la sicurezza di quella donna potesse dargli cosi tanto fastidio. 
"So che verrai"
Quelle parole continuavano a martellargli la testa. Cos'era, una sfida? Voleva metterlo alla prova? Era un test?
"¡Maldita sea!" gridò a se stesso mentre cercava invano di accendere la sua sigaretta.
Per la prima volta, a differenza di tutti gli psicologi dai quali era stato, quella donna era riuscita a provocargli qualcosa. Seppur si trattasse di rabbia e fastidio, ci era riuscita e sembrava essere cosi sicura di ciò che diceva. Come poteva essere certa del fatto che l'indomani ci sarebbe sicuramente andato? E perchè voleva tanto sapere cosa gli dava il fumo che gli altri non riuscivano a dargli? 
Restò li, seduto sulla sua moto a pensare per un tempo che gli sembrò quasi infinito. Provò a darsi rispose che in realtà non risolvettero i suoi dubbi. Quell'incontro lo aveva confuso completamente. Quella donna lo aveva confuso completamente. Ma forse, anche se l'idea non lo allettava, lei sarebbe potuta essere l'unica in grado di aiutarlo ad eliminare completamente quella sua confusione.
Ormai rassegnato, decise di andare. Si sistemò sulla sua moto, accese il motore e nel momento in cui provò ad indossare il casco, leggermente danneggiato dopo essere stato gettato da lui stesso a terra, la vide uscire. Si, la dottoressa Lovato.
Involontariamente iniziò a seguirla con lo sguardo, i suoi occhi sembravano volerlo riportare forzatamente a lei. Non indossava il suo camice bianco, e Andres si sorprese di vedere quanto stesse bene senza. La vide avvicinarsi ad un'auto poco distante. Notò un uomo all'interno, forse leggermente più grande di lei ma non troppo. La vide entrare e regalargli un dolce e lungo bacio, uno di quelli che aveva potuto vedere solo nei film. 
E per un solo attimo, desiderò essere al posto di quell'uomo, o di qualunque altro uomo nell'intero pianeta che avesse avuto al suo fianco qualcuno da amare. 


Spazio Autrice:
BuoonSaalve (?) No, non fateci caso. 
Sono felicissima di aver ricevuto vostre opinioni sul prologo e beh, non vedevo l'ora di postare il primo capitolo. Inoltre entro oggi aggiornerò anche l'altra storia. Ultimamente ho cosi tanta voglia di scrivere, sarà perchè finalmente l'incubo scolastico è finito (finally!) e ho tutto il tempo per elaborare (che parolone) i miei scleri di fantasia. Buona lettura.
Un bacio graaaaande. 
TeenAngelita_92
  
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