Senza
Atto
primo: Londra 1840
La
pioggia, batteva incessante
da più di due settimane, le strade erano ormai solo fango e
nei quartieri più
poveri l’odore acre e nauseabondo delle fogne era
insopportabile. Le persone si
spostavano sui carri trainati da cavalli, almeno chi poteva
permetterselo.
Quella
mattina si era
svegliata presto, il sole doveva ancora sorgere, era scivolata
giù dal suo
letto, un giaciglio improvvisato di paia in angolo della casa diroccata
in cui
abitava insieme al padre, un amico del padre e Jacob Black, suo
compagno di
giochi, il suo migliore amico, il fratello che non ha mai avuto.
Isabella non conosceva
il lusso, non aveva mai abitato in una casa con giardino, non aveva mai
cavalcato o prese il tè all’inglese. Conosceva
però la povertà e la miseria, due
cose con cui condivideva le sue giornate da quando era nata una sera di
sedici
anni fa.
La
sua famiglia, era sempre
stata povera, contadini da generazioni, le loro condizioni di vita non
era però
mai state cosi precarie come dopo la nascita di Bella. La madre era
morta
dandola alla vita, e il padre si era ritrovato da solo con una figlia
neonata.
Le
cose sembrarono migliorare
con l’arrivo di Bill e di sua moglie in attesa di Jacob.
La
loro casa era stata
incendiata durante una tempesta e abitando vicino avevano chiesto a
Charlie di
ospitarli, almeno finché Bill, ferito ad una gamba durante
l’incendio non fosse
stato in grado di ricostruirla. Charlie si dimostrò subito
benevolo nei loro
confronti e nonostante fosse povero accettò di ospitarli.
Abitare in quattro si
dimostrò conveniente quando dovendo pagare le tasse furono
entrambi d’accordo
nel dividersi il pagamento. Si mantenevano coltivando la terra,
metà del raccolto
la vendevano al mercato ricavandone qualche penny e l’altra
metà la consumavano
loro.
Ma
con la pioggia che
sembrava incessante, raggiungere il mercato a piedi era impraticabile e
gli
ortaggi erano quasi tutti rovinati a causa del fango.
Indossando
la sottoveste
logora e ingiallita dal tempo, e l’abito di flanella grigio
appartenuti alla
madre Renee. Gli stivaletti ormai consumati usci di casa, cercando di
fare
piano che a quell’ora dormivano ancora tutti. Per guadagnarsi
un po’ di soldi
si recava ogni mattina al mercato per acquistare i fiori migliori che
poi
rivendeva agli angoli delle strade, un penny l’uno. Se voleva
acquistare i
fiori migliori doveva presentarsi al mercato poco dopo la sua apertura
alle
5:30 circa. Casa sua era a mezz’ora di camminata dal mercato
per questo tutte
le mattine si svegliava alle 4:30 per essere li in tempo.
-acquistate
un fiore per
vostra moglie, signore- diceva agli uomini con il cappello a cilindro e
la
barba che passeggiavano sui marciapiedi.
Succedeva
a volte però che la
polizia la cacciasse perché considerata una mendicante.
E
allora lei fuggiva in una
delle stradine laterali che costeggiavano la via principale e sbucava
dall’altra
parte, dove, fuori dalla portata dei poliziotti riprendeva a vendere i
fiori. Se
poteva, evitava di passare per quelle strade, erano zone malfamate,
frequentate
dalla feccia della società, alcolizzati, drogati e
prostitute erano di casa li.
Quel
giorno vendette sei
mazzetti di fiori ricavandone sei penny, abbastanza per comprare tre
panetti
allo zenzero e una fetta di stufato di tacchino. Quella sera avrebbero
consumato una cena coi fiocchi!. Spesso
usciva di casa la mattina presto e rientrava per l’ora di
cena, quel giorno
però a causa della pioggia nelle strade la gente
scarseggiava e vendere sei
mazzetti di fiori era stato il meglio che era riuscita a fare.
Quando
tornò a casa erano le
cinque del pomeriggio. Trovò ad aspettarla alla porta Jacob
Black. Nonostante
fosse un anno più piccolo era un ragazzone di un 1.80 con
braccia forti e
capelli corvini che teneva sempre legati in un codino.
-Bella
sei tornata!- esclamò
stringendola in un abbraccio “rompi costola”
-si…Jacob,
ma lasciami prima
che mi soffochi!- disse sciogliendo la sua presa.
Voleva
bene a Jacob come un
fratello ma a volte era troppo espansivo nei suoi confronti!. Lei e
Jacob erano
sempre stati amici, fin da piccoli, entrambi condividevano la mancanza
di una
madre.
-cosa
hai portato oggi
Bella?- chiese suo padre raggiungendoli con la vanga in spalla, segno
che aveva
appena rigirato il terreno da coltivare.
-guardate!-
disse allegra
mostrando loro i tre panetti allo zenzero e lo stufato di tacchino.
-wow!
Questa sera si mangia!-
esclamò Jacob toccandosi la pancia.
-ottimo
lavoro Bella- disse
il padre dandole una dolce pacca sulla spalla, prima di entrare in
casa.
Charlie
non aveva mai
accettato il fatto che sua figlia fosse costretta a svegliarsi cosi
presto per
vendere fiori, sapeva che di questi tempi era necessario ma temeva per
la sua
incolumità, Bella era si povera ma era una ragazza piacevole
e sicuramente molto
più carina della maggior parte delle contadine. E con i suoi
17 anni era già in
età da marito, sapeva che nessuno uomo avrebbe mai chiesto
in sposa una povera
contadina, ma ancora di più temeva il giorno che qualcuno
gliel’avrebbe portata
via. Bella era tutto ciò che di più caro aveva,
l’unico ricordo della sua
defunta moglie Renee.
-vedo
che oggi consumeremo
una cena degna di questo nome- disse Bill seduto davanti la finestra
sulla
sedia a rotelle. La gambe che lui era sicura sarebbe guarita, non
rispondeva ai
suoi impulsi ormai da anni e lui si era arreso ad una vita sedentaria.
-è
tutto merito di Bella!-
disse Jacob circondandole le spalle con un braccio.
La
loro casa consisteva, in un'unica
stanza, con quattro giacigli, un tavolo di legno una credenza e una
sedia
sgambata. Fuori si trovava la latrina.
La
sera dopo cena Bella era
solita recarsi sulle colline a nord, sedersi sull’erba e
cercare di riconoscere
quante più costellazioni possibile.
Quella
sera l’accompagnò
Jacob.
-ricordi
Bella, quando
eravamo piccoli e venivano qui a giocare?- chiese lui sdraiato
sull’erba umida,
le mani dietro la testa.
-si,
ricordo quando io mi
feci male cadendo da un albero- rispose la giovane rammentando quanto
fosse
scarso il suo equilibrio
-si!
E io mi presi la colpa perché
secondo Charlie e mio padre ti avevo trascinato io in quello stupido
gioco
della scalata sull’albero- disse ridendo.
-mi
spiace di non
essere mai riuscita a dire loro la
verità, che ero io ad aver voluto salire su
quell’albero per dimostrare che non
ero un imbranata!-
-oh
non importa, noi sappiamo
la verità e questo mi basta- disse lui tirandosi su con uno
slancio.
-ricordi
la promessa che mi
feci?-
-di
cosa parli Jacob?- chiese
lei mettendosi a sedere circondando le ginocchia con le braccia.
-mi
avevi promesso che un
giorno mi avresti imparato a leggere e scrivere-
Era
vero, glielo aveva
promesso, nonostante fosse una semplice contadina aveva imparato a
leggere e scrivere,
quando anni prima avevano dato ospitalità ad un uomo colto
da cui lei aveva
imparato a leggere e scrivere.
-non
appena questa pioggia
smetterà, inizieremo la prima lezione, imparare
all’aperto è più divertente!-
disse sorridendo amabilmente.
Si
alzò scrollandosi la gonna
dal fango e dalle foglie che vi erano rimasti appiccicati e tese la
mano a
Jacob, che lui però rifiutò alzandosi da solo con
il semplice movimento delle
gambe.
-permette
Madame?- disse porgendole
il braccio come facevano i gentiluomini
-onorata,
Signore- rispose
lei ridendo appoggiando la sua mano sul suo braccio.