Characters: Tom Hiddleston; Loki Laufeyson;
Pairing: Loki/Tom {frostpudding}
Rating: PG
Genre: Slice of life
Warning: Slash; Crossover;
Words: 1.397
Disclaimers: Loki appartiene a chi di diritto, Tom Hiddleston appartiene
a se stesso. Lo so, lo so, la vita è dura.
Non sa cosa aspettarsi oltre la soglia di un
appartamento che un tempo gli apparteneva.
Le chiavi tintinnano in una mano, in un suono debole che sembra suggerirgli
come, ormai, non sia più padrone di nulla. Forse neppure di se stesso.
L'altra mano è stretta alla busta di plastica che odora vagamente di riso e
pesce crudo, accompagnati da una bottiglia ancora calda di costoso sake dall'etichetta
dorata e la scritta in verde. Cibo giapponese. Per la terza sera
consecutiva. C'è qualcosa nell'eleganza di quella cucina, nella disciplina
nell'uso di bacchette al posto delle posate e del modo in cui il sashimi
sembra sciogliersi in bocca, che ha attirato l'attenzione di Loki e Tom, più
di chiunque altro, sa quanto morbosa possa dimostrarsi. È un tarlo che
divora qualsiasi cosa sul proprio passaggio.
Riempie il petto d'ossigeno — ha la sensazione che l'aria inizi a farsi più
fredda e rarefatta proprio da quel punto preciso del pianerottolo — cercando
di immaginare quello che si troverà davanti, una volta che la porta sarà
aperta e lui tornerà in un mondo costruito sul confine tra la realtà e "Bloody
hell?!" e che ha fatto il nido proprio nel suo appartamento.
Quando apre, Loki è accomodato alla sua poltrona preferita, quella che il
semidio ha voluto spostare al centro della stanza; sotto di lui, acquista le
sembianze regali di un trono in pelle nera, particolarmente comodo.
«Buonasera.» è un vago tentativo quello di Tom, un saluto accompagnato da un
sorriso gentile, mentre richiude la porta alle proprie spalle e vi si
appoggia con la schiena, cercando di sostenere il peso di quella vista. È
passato un mese, un lunghissimo mese fatto di trenta giorni e ventiquattr'ore
al giorno, ma ancora non riesce ad abituarsi all'idea di avere il Dio
dell'Inganno occupato a leggere libri, nel salotto di casa.
«Mhm.» mormora Loki, prendendosi il tempo necessario per completare la
lettura della pagina; non contento, fa sfilare l'indice alla lingua, ne
sfiora il polpastrello con la punta e poi ne volta un'altra.
Tom non si aspetta molto di più, anche se un cenno del capo, una parola o un
libretto delle istruzioni, gli farebbero comodo.
Rassegnato raggiunge la cucina, iniziando a svuotare la busta del suo
contenuto. Non si accorge che Loki si è alzato e ha già raggiunto le sue
spalle, in un silenzio freddo ricoperto di spine, come un cubetto di
ghiaccio che scorre lungo la spina dorsale e lo fa scattare sull'attenti. Si
volta a cercarne lo sguardo e, quando lo trova, c'è la curiosità di un gatto
sul fondo degli occhi verdi del figlio di Laufey, quella felina e ruffiana
di chi ha i suoi ritmi, i suoi bisogni, i suoi capricci e che trova sempre
il modo di soddisfare.
«Ben tornato, Thomas.» saluta in ritardo, infatti, trovando la bellezza
coreografica che riempie le scatolette di plastica nera del ristorante e la
scelta del mortale nel portarle a casa, degna di essere premiata con
un'accoglienza meno disinteressata.
Tom l'ha sentito quel sibilo sospirato nella s finale del suo nome e
ha visto l'arricciarsi delle labbra in un sorriso che doveva essere più
spontaneo, ma che, appena in tempo, riconquista il fascino suadente di una
bocca fatta per mentire.
«Grazie.» risponde, consapevole che Loki ami essere ringraziato, per
qualsiasi cosa, soprattutto da lui — ha imparato che il semidio ha bisogno
di costanti conferme sul fatto che lo accetti in casa sua, o nella propria
vita e, quello di compiacere Loki e rassicurarlo senza intaccarne l'orgoglio
di un re senza regno, è un lavoro che occupa ogni secondo del suo tempo
libero.
«Prima di consumare il pasto, voglio farti vedere una cosa.»
La frase ha un suono invitante e questo basta a preoccupare l'attore.
«Devo preoccuparmi, darling?»
«Non sarà necessario, finché avrai l'ardire di sfidare Me con il tuo
sarcasmo.»
È sempre stata una battaglia inpari la loro, frenata sul nascere dal fatto
che entrambi sono mortali, in due modi completamente diversi — umano e
veleno, uomo e dio. Tace, quindi, e segue Loki sul corridoio che conduce
alla camera da letto.
Le tende nascondono quella poca luce che penetra dalla finestra, affacciata
ad una strada tranquilla di Londra.
Il semidio muove il braccio in un gesto lento, in cui le dita lunghe danzano
nell'aria per qualche istante, prima che la lampada a soffitto si accenda;
la luce si risveglia al suo comando, aprendo gli occhi alla stanza,
in un colore più dorato e più soffuso del normale; non che ci sia qualcosa
di normale nell'usare la magia, invece di schiacciare un pulsante.
«Ammira.» è un ordine perentorio che penetra direttamente tra le orecchie di
Tom e l'uomo ammira, o meglio, guarda il proprio letto invaso
dall'intero guardaroba che un tempo riempiva la cabina armadio. Ora ci sono
abiti di pelle nera e verde appesi, un elmo dorato che occupa interamente il
ripiano superiore, liberato dalle scatole di scarpe finite ai piedi del
letto, e uno scettro dalla forma bizzarra poggiato contro la cassettiera.
«Loki, che cosa ti è... che...» le parole si incastrano in bocca e si
scontrano l'una con l'altra «Che... cos'hai fatto?»
«Hai perso la vista di recente? Mi sembra evidente che abbia sistemato i
miei abiti.» le parole "patetico umano" non vengono pronunciate, ma sono ben
percepibili nel mezzo ghigno compiaciuto di Loki.
«E, per farlo, hai dovuto togliere i miei?»
«Ho pensato che gettarli dalla finestra, alla mercé dei paesani, sarebbe
stato un inutile spreco. Alcuni sono particolarmente piacevoli al tatto e
ammetto che ti donano. Puoi trovare loro una nuova sistemazione, se ti
aggrada.»
Se lo aggrada.
Tom scuote il capo, sentendo la morte nel cuore a guardare gli abiti di
sartorie italiane abbandonati senza cura sul letto, la sua collezione di
cravatte e papillon che spunta dal cappello dell'abat-jour sul comodino,
le maniche delle camicie di lino bianco che sbucano come sopravvissute
sotto le macerie formate dalle tute che usualmente indossa per fare jogging
e che ora dominano la pila di vestiti. Lo stanno sbeffeggiando anche
loro, vero?
«Quando ho detto che avremmo potuto condividere il mio armadio, non
intendevo questo.» spiega.
«Ne sono certo o non avresti usato la parola condividere.»
Loki sa benissimo cosa intendesse il mortale e ciò che invece ha
fatto lui, sa quanto, una cosa del genere, possa irritare
qualcuno e quanto stia sfidando la sua pazienza. Proprio per questo se ne
compiace, deliziandosi degli occhi dell'umano che si fanno più grandi e
mostrano ogni sfumatura di azzurro, risaltando come due zaffiri gemelli tra
i tratti di un volto che apprezza per più di un motivo: primo tra tutti il
fatto che sia quasi identico al proprio. Quasi è la parte che
preferisce. Thomas è più bello di lui, ha uno sguardo più
dolce del proprio e ha un sorriso più affettuoso del proprio. Thomas
è più umano di Loki che, invece, ha il sangue di un Dio e di un Gigante, ed
è quell'umanità — quella stupida, rumorosa, dozzinale, patetica umanità —
che lo rende così assurdamente perfetto.
«Confido che tu possa liberare il letto, Thomas.» la mano si posa alla sua
guancia in una carezza languida, mentre la voce si riduce ad un miagolio
soffuso mescolato a quelle che potrebbero essere fusa, se solo fosse davvero
un gatto «La vostra bevanda umana mi mette appetito e quando avremo
terminato la cena, ci sarà un altro tipo di fame che desidero soddisfare.»
C'è di nuovo quel sibilo serpentino sulla s, che accresce la
sensazione di Tom di essere stato intrappolato dalle spire di un serpente
fin dal momento in cui i loro occhi si sono incrociati per la prima volta.
Deglutisce; la mano di Loki è gelida contro la propria pelle, così come la
sua bocca quando trova spazio sulla propria, in un bacio possessivo, ma è un
freddo che gli scotta addosso e lo lascia boccheggiante alla ricerca
di aria, ritrovando invece la lingua di Loki, la sua saliva ed i suoi denti.
Quando il bacio si scioglie, il semidio è il primo ad allontanarsi,
indugiando con le dita che ancora cercano un contatto con il corpo
dell'altro.
«Ti rendi conto che questo non basta a impedirmi di trovare un modo per
vendicarmi di tutte le tue angherie, vero?»
Loki gli dà le spalle, per tornare in cucina dove la cena li sta aspettando
entrambi.
Sorride, concedendo un'unica divertita occhiata agli abiti dell'umano e
riflette sulla possibilità di sistemarli con uno schiocco di dita —
letteralmente. No, pensa, non ci sarebbe gusto, poi, nel prendere possesso del corpo
dell'umano e fargli rimangiare ogni promessa di vendetta.
«Questo è tutto da vedere, Thomas.»
Note: Al solito, delle mie nuove fissazioni, il fandom italiano se ne
frega alla grande, riducendomi a cercare asilo in quello straniero. Purtroppo
questa è un'altra di quelle coppie assurde che non sembrano
proprio voler sbarcare in Italia, il che è un peccato, ma non basta a fermarmi
dallo scriverci sopra, nella speranza di contagiarne altri e spargere il virus
della frostpudding.
Il Loki di questa fic è quello di The Avengers ed il fatto che abbia un love
affair con Tom è ormai più che assodato. Nella mia testa c'è un'idea sul momento
da cui è iniziato, c'è anche un'idea su come dovrebbe mai proseguire, ma, per
l'appunto, è solo nella mia testa e tutti sappiamo come io sia volubile e lenta
nello scrivere ciò che voglio.