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Autore: Melliola    13/08/2008    3 recensioni
Viaggio indietro nel tempo, tentando di immaginare com'era la vita del piccolo Edward prima di essere colpito dalla Spagnola. Abitudini di sempre, emozioni, esperienze, con sullo sfondo la tranquilla Chicago di periferia.
Ultimo capitolo!
E poi lei: contro la parete quasi a volerci scomparire dentro, la mia mascherina per terra, sul viso un’espressione terrorizzata. Sapevo di dover fare qualcosa, di mettere in salvo almeno lei e la sua innocenza...
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO PRIMO.

Erano successe tantissime cose da quel giorno, lunghi anni erano trascorsi così velocemente che neanche me ne accorsi; il mio corpo era cambiato, ovviamente ero cresciuta, ed avevo capelli lunghissimi come non li avevo mai portati. Ciò che non era affatto cambiato era la mia casa, il mio modo di vivere e l’amore che sentivo per Edward.

Avevamo entrambi proseguito gli studi, io avevo scoperto una passione per la letteratura mentre Edward era più matematico, quindi ci aiutavamo a studiare. Tutto sembrava così perfetto, la calma tranquillità della mia vita scorreva così piacevolmente e senza intoppi che forse avrei dovuto immaginare cosa di lì a poco sarebbe successo.

Quella mattina mi alzai di buon grado, colpita in pieno viso da un raggio di sole che filtrava dalla mia finestra; la signora Hope aveva stabilito una prova d’esame, un tema, e a differenza di Ed, io ne ero entusiasta. Dopo aver messo qualcosa sotto i denti uscii di casa e feci per la decimillesima volta la via per raggiungere casa sua, ma quando mi accorsi che la porta della veranda era chiusa mi prese un colpo.

«EDWARD, ELIZABETH? SIETE IN CASA?» urlai, dopo aver fatto di corsa il giro della casetta senza scorgere tracce di vite umane, e come immaginavo nessuno mi rispose.

Ero indecisa su cosa fare, dovevo tornare su a chiedere informazioni ai miei? Ma cosa potevano sapere più di me? E cosa avrei potuto fare?

Pensai ma non mi venne in mente nulla… così tornai scontenta per la strada e mi incamminai verso scuola, da sola. Non che non ero mai andata a scuola da sola senza di lui, ma almeno avevo la sicurezza che Edward era a casa!

E come avevo previsto, la giornata trascorse molto lentamente: fortunatamente quel tema a tenermi occupata la mente per due ore, ma la concentrazione non era al suo massimo, come mio solito. Ero troppo preoccupata, quindi al suono della campanella scattai in piedi e mi volatilizzai, percorrendo quel chilometro di distanza di corsa, senza fermarmi un attimo.

Col cuore a mille, non alzai la testa fin quando non arrivai all’inizio del vialetto; alzai la testa ed era lì, con un’espressione troppo strana in volto, le braccia strette al corpo e mi guardava.

Con i suoi magnifici occhi.

E tutto il mondo sembrò improvvisamente più luminoso di prima.

Eppure la sua espressione mi preoccupò, quindi lo raggiunsi, sfinita, ma lieta di poterlo vedere.

«Edward sei… ci sei, ma…» dissi facendo l’ultimo passo, ma mi zittii all’istante quando venne verso di me e mi abbracciò.

«Shh» disse, ma pur volendo, non avrei saputo spiccicar parola.

Il mio corpo contro il suo, caldo, delicato, morbido.

Il suo braccio a stringermi i fianchi, mentre i miei immobili, neanche fossi un soldato.

Il suo profumo così delicato che mi stordì.

Ripensai agli anni trascorsi e all’impeto che in non poche occasioni mi aveva colto di sorpresa, quello di toccarlo, sfiorarlo… eppure non mi ero mai azzardata a fare un passo verso di lui, non avrei saputo accettare un rifiuto.

Quel contatto che tanto aspettavo, che tanto desideravo, era arrivato così, senza il tempo di una degna preparazione psicologica.

È successo qualcosa, pensai subito.

«Sta calma» disse, come se avesse letto nei miei pensieri, ed io obbedii, rilassata dalla sua voce.

Quel momento durò troppo poco, e quando Edward mi afferrò le spalle per allontanarmi, mi guardò dritta negli occhi e fece un sorriso sghembo, che non gli avevo mai visto, ma mi piaceva.

«Mi dispiace, Keith, dovevo avvisarti. Sei stata in pensiero per noi? Mi dispiace» disse, davvero mortificato.

«Edward… ti prego, non scusarti, non fa niente… ma cos-» dissi, ma fui subito interrotta.

«Lascia che ti spieghi da capo» disse, e mi accarezzò la testa in un gesto che sembrava così naturale, ma mi fece rabbrividire da capo a piedi, «è per mio padre. Questa notte si è sentito male, e quindi l’abbiamo accompagnato all’ospedale. Sono stato lì stamattina, e non ho avuto il tempo neanche per lasciarti un biglietto» aggiunse, respirando con calma.

«Oh no, cosa è successo??» dissi allarmata.

Non rispose subito, ma abbassò lo sguardo e fece un passo indietro, interrompendo il nostro contatto.

«Ricordi l’altro giorno a scuola, le parole della Hope? Quando parlava di quella strana febbre? Io… io ho sentito dire dal dottore a mia madre che… che mio padre è stato colpito quasi di sicuro. Ma devono accertarsi. Katherine, è stata una mattinata orribile. Tutti quei… malati… io non voglio, non voglio che mio padre finisca come loro.» concluse, serrando i pugni.

Tutto sembrò farsi improvvisamente buio: non avevo mai visto il mio Edward così spento e negativo… la situazione doveva essere più grave di quello che immaginavo.

«Sono così dispiaciuta» dissi, incapace di fare qualsiasi cosa. Lui mi guardò e sorrise, senza rispondere.

«è ancora in ospedale adesso. L’hanno ricoverato… ma sono tornato, non volevo che tu stessi in pensiero per me» disse, e mi sfiorò delicatamente le spalle facendomi di nuovo rabbrividire.

«Domani mattina dovrò tornare. Ce la farai a stare un’altra mattinata a scuola senza di me?» disse, e di nuovo cacciò quel sorriso sghembo di poco prima.

«No» dissi come una stupida, istintivamente, rendendomi conto solo dopo di averlo detto, e non semplicemente pensato.

Edward mi guardò interrogandomi con lo sguardo, e sentii chiaramente le mie gote diventare rosso fuoco; avrei voluto scavarmi una bara.

«Sto scherzando ovviamente.. non ti preoccupare Eddy, spiegherò io alla signora Hope» dissi la prima cosa che mi passava per la mente, e lui fece finta di nulla.

«Ma potrei accompagnarti?» chiesi, cambiando abilmente discorso.

«Katherine, dico ma sei pazza? No, assolutamente… non ti porterei mai in un luogo del genere» disse, e di nuovo abbassò lo sguardo; poi mi prese per un braccio, sfilò il mio zaino dalle spalle e se lo caricò, accompagnandomi dolcemente verso il sentiero di casa mia, «ti accompagno» aggiunse.

«Perché Ed? Perché non posso venire a salutarlo?» chiesi, senza neanche ascoltarlo.

«Keith» disse, sospirando. Era davvero stanco, aveva due occhiaie nere da chi non dormiva da secoli, «Keith, non è una semplice febbre. È contagiosa» terminò sforzandosi.

Mi fermai, paralizzata. Cosa intendeva con “è contagiosa”? Lui era a rischio, Elizabeth anche?

«No, non starai mica pensando… Keith, stai tranquilla. Siamo tutti sotto controllo, noi non saremo contagiati, i dottori sono molto attenti a non far contagiare i parenti, o comunque i visitatori. Ma le visite sono poche, molto poche. Ed anche per questo sarebbe il caso che tu non venissi… quando tornerà a casa e sarà guarito potrai salutarlo!» disse, acceso di un improvviso ottimismo.

Feci cenno di sì col capo e quando mi posò una mano calda sulla spalla sentii il buonumore diffondersi nel mio corpo, mi rilassai.

Ormai eravamo arrivati ai piedi del vialetto che risaliva verso la mia modesta casa, ancora non sapevo se sarebbe rimasto con me a studiare o sarebbe andato via, lasciandomi sola. Ma non mi diede il tempo di pensarlo che subito disse:

«Io devo tornare da Elizabeth, devo starle vicino per un po’. Ma torno presto, non voglio restare troppo indietro con la scuola» disse sorridendo.

«S-sì, certo» dissi, riprendendo le mie robe e ringraziandolo.

Lo guardai tornare indietro fin quando non scomparve, e agitò la sua piccola mano in aria per salutarmi di nuovo.

 

Che sciocca.

Ovviamente non riuscivo a concentrarmi per niente se al mio fianco non c’era lui.

Pensavo a lui, a tutto quello che in poche ore aveva sconvolto le nostre due vite tranquille, i rischi che correva…

Attendevo la sua testa fare capolino dalla porta, che di tanto in tanto guardavo, con un’ansia che non avevo mai conosciuto.

Insomma, mi sentivo una sciocca.

 

Mi sembrò quasi irreale, un sogno, quando la porta si aprì ed entrò, avevo perso ormai le speranze. Feci un sospiro di sollievo e sorrisi, fortunatamente non aveva portato con se brutte notizie; preparai due panini e subito cominciò a controllare i miei quaderni per vedere cosa aveva perso a lezione.

Dopo neanche un’ora di studi, mi fece alzare dalla sedia e mi trascinò fuori, di nuovo verso la collinetta per vedere il sole tramontare.

«Sai, dall’ospedale sarà un po’ difficile vedere l’alba, domattina…» disse chinando il capo a terra, poi mi invitò a sedermi al suo fianco, sulla solita roccia.

«Grazie» dissi, quando mi fece posto.

Tutto silenzioso. Il caos cittadino era alle nostre spalle, come anche tutti i problemi; per qualche minuto potevamo concedercelo. Sentii un leggero venticello alzarsi e scompigliarmi i capelli, mi girai verso di lui e lo vidi chiudere delicatamente gli occhi, assaporando quell’istante.

Era così bello… sapevo già che sarebbe stato un lunghissimo ed interminabile giorno, il seguente, senza di lui… sentii le farfalle allo stomaco quando mi cinse le spalle con il suo braccio, e sfiorai con la guancia la sua spalla.

Profumava.

 

 

 

 

 

 

Spero tanto che vi sia piaciuto!! Ed ora i ringraziamenti!!

 

Ringraziamenti:
roby the best:
grazie mille, spero ti piacerà anche il seguito!
Railen: ti ringrazio, in effetti non ricordo bene come mi è venuta l’idea… è stato prima di leggere New Moon (mi riferisco a quel pezzo in cui c’è il ricordo del dottor Cullen).. chissà! Comunque spero che continuerai a leggere!
Cucci: sei sempre stata la mia consigliera adorata *_*

   
 
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