CAPITOLO PRIMO.
Erano successe
tantissime cose da quel giorno, lunghi anni erano trascorsi
così velocemente che neanche me ne accorsi; il mio corpo era cambiato,
ovviamente ero cresciuta, ed avevo capelli lunghissimi come non li avevo mai
portati. Ciò che non era affatto cambiato era la mia casa, il mio modo di
vivere e l’amore che sentivo per Edward.
Avevamo entrambi
proseguito gli studi, io avevo scoperto una passione per la letteratura mentre
Edward era più matematico, quindi ci aiutavamo a studiare. Tutto sembrava così
perfetto, la calma tranquillità della mia vita scorreva così piacevolmente e
senza intoppi che forse avrei dovuto immaginare cosa
di lì a poco sarebbe successo.
Quella mattina mi
alzai di buon grado, colpita in pieno viso da un raggio di sole che filtrava
dalla mia finestra; la signora Hope aveva stabilito una prova d’esame, un tema,
e a differenza di Ed, io ne ero entusiasta. Dopo aver
messo qualcosa sotto i denti uscii di casa e feci per
la decimillesima volta la via per raggiungere casa sua, ma quando mi accorsi
che la porta della veranda era chiusa mi prese un colpo.
«EDWARD, ELIZABETH?
SIETE IN CASA?» urlai, dopo aver fatto di corsa il giro della casetta senza
scorgere tracce di vite umane, e come immaginavo nessuno mi rispose.
Ero indecisa su
cosa fare, dovevo tornare su a chiedere informazioni ai miei? Ma cosa potevano sapere più di me? E
cosa avrei potuto fare?
Pensai ma non mi
venne in mente nulla… così tornai scontenta per la strada e mi
incamminai verso scuola, da sola. Non che non ero mai andata a scuola da
sola senza di lui, ma almeno avevo la sicurezza che Edward era a casa!
E come avevo
previsto, la giornata trascorse molto lentamente:
fortunatamente quel tema a tenermi occupata la mente per due ore, ma la
concentrazione non era al suo massimo, come mio solito. Ero troppo preoccupata,
quindi al suono della campanella scattai in piedi e mi
volatilizzai, percorrendo quel chilometro di distanza di corsa, senza fermarmi
un attimo.
Col cuore a
mille, non alzai la testa fin quando non arrivai all’inizio del vialetto; alzai
la testa ed era lì, con
un’espressione troppo strana in volto, le braccia strette al corpo e mi guardava.
Con i suoi
magnifici occhi.
E tutto il mondo sembrò improvvisamente più
luminoso di prima.
Eppure la sua espressione mi preoccupò, quindi lo
raggiunsi, sfinita, ma lieta di poterlo vedere.
«Edward sei… ci sei, ma…» dissi facendo l’ultimo passo, ma mi zittii
all’istante quando venne verso di me e mi abbracciò.
«Shh» disse, ma
pur volendo, non avrei saputo spiccicar parola.
Il mio corpo
contro il suo, caldo, delicato, morbido.
Il suo braccio a
stringermi i fianchi, mentre i miei immobili, neanche fossi
un soldato.
Il suo profumo
così delicato che mi stordì.
Ripensai agli anni
trascorsi e all’impeto che in non poche occasioni mi aveva colto di sorpresa,
quello di toccarlo, sfiorarlo… eppure non mi ero mai
azzardata a fare un passo verso di lui, non avrei saputo accettare un
rifiuto.
Quel contatto che
tanto aspettavo, che tanto desideravo, era arrivato così, senza il tempo di una
degna preparazione psicologica.
È successo qualcosa, pensai subito.
«Sta calma»
disse, come se avesse letto nei miei pensieri, ed io obbedii, rilassata dalla
sua voce.
Quel momento durò
troppo poco, e quando Edward mi afferrò le spalle per allontanarmi, mi guardò
dritta negli occhi e fece un sorriso sghembo, che non gli avevo
mai visto, ma mi piaceva.
«Mi dispiace, Keith, dovevo avvisarti. Sei stata in pensiero per
noi? Mi dispiace» disse, davvero mortificato.
«Edward… ti prego, non scusarti, non fa niente… ma cos-» dissi, ma fui
subito interrotta.
«Lascia che ti
spieghi da capo» disse, e mi accarezzò la testa in un gesto che sembrava così
naturale, ma mi fece rabbrividire da capo a piedi, «è per mio padre. Questa
notte si è sentito male, e quindi l’abbiamo accompagnato all’ospedale. Sono
stato lì stamattina, e non ho avuto il tempo neanche per lasciarti un
biglietto» aggiunse, respirando con calma.
«Oh no, cosa è
successo??» dissi allarmata.
Non rispose
subito, ma abbassò lo sguardo e fece un passo indietro, interrompendo il nostro
contatto.
«Ricordi l’altro
giorno a scuola, le parole della Hope? Quando parlava di quella strana febbre? Io… io ho sentito dire dal dottore a mia madre che… che mio
padre è stato colpito quasi di sicuro. Ma devono
accertarsi. Katherine, è stata una mattinata orribile. Tutti quei… malati…
io non voglio, non voglio che mio padre finisca come loro.»
concluse, serrando i pugni.
Tutto sembrò
farsi improvvisamente buio: non avevo mai visto il mio Edward così spento e
negativo… la situazione doveva essere più grave di quello che immaginavo.
«Sono così
dispiaciuta» dissi, incapace di fare qualsiasi cosa. Lui mi guardò e sorrise,
senza rispondere.
«è ancora in
ospedale adesso. L’hanno ricoverato… ma sono tornato, non volevo
che tu stessi in pensiero per me» disse, e mi sfiorò delicatamente le spalle facendomi
di nuovo rabbrividire.
«Domani mattina
dovrò tornare. Ce la farai a stare un’altra mattinata a scuola senza di me?»
disse, e di nuovo cacciò quel sorriso sghembo di poco prima.
«No» dissi come
una stupida, istintivamente, rendendomi conto solo dopo di averlo detto, e non semplicemente pensato.
Edward mi guardò
interrogandomi con lo sguardo, e sentii chiaramente le mie gote diventare rosso
fuoco; avrei voluto scavarmi una bara.
«Sto scherzando
ovviamente.. non ti preoccupare Eddy, spiegherò io
alla signora Hope» dissi la prima cosa che mi passava per la mente, e lui fece
finta di nulla.
«Ma potrei accompagnarti?» chiesi, cambiando abilmente
discorso.
«Katherine, dico
ma sei pazza? No, assolutamente… non ti porterei mai in un
luogo del genere» disse, e di nuovo abbassò lo sguardo; poi mi prese per un
braccio, sfilò il mio zaino dalle spalle e se lo caricò, accompagnandomi
dolcemente verso il sentiero di casa mia, «ti accompagno» aggiunse.
«Perché Ed? Perché non posso venire
a salutarlo?» chiesi, senza neanche ascoltarlo.
«Keith» disse,
sospirando. Era davvero stanco, aveva due occhiaie nere da chi non dormiva da secoli, «Keith, non è una semplice febbre. È contagiosa»
terminò sforzandosi.
Mi fermai,
paralizzata. Cosa intendeva con “è contagiosa”? Lui
era a rischio, Elizabeth anche?
«No, non starai
mica pensando… Keith, stai tranquilla. Siamo tutti sotto controllo, noi non
saremo contagiati, i dottori sono molto attenti a non far contagiare i parenti,
o comunque i visitatori. Ma
le visite sono poche, molto poche. Ed anche per questo
sarebbe il caso che tu non venissi… quando tornerà a casa e sarà guarito potrai
salutarlo!» disse, acceso di un improvviso ottimismo.
Feci cenno di sì
col capo e quando mi posò una mano calda sulla spalla sentii il buonumore
diffondersi nel mio corpo, mi rilassai.
Ormai eravamo
arrivati ai piedi del vialetto che risaliva verso la mia modesta casa, ancora
non sapevo se sarebbe rimasto con me a studiare o
sarebbe andato via, lasciandomi sola. Ma non mi diede il tempo di pensarlo che
subito disse:
«Io devo tornare da Elizabeth, devo starle vicino per un po’. Ma torno presto, non voglio restare troppo indietro con la scuola»
disse sorridendo.
«S-sì, certo»
dissi, riprendendo le mie robe e ringraziandolo.
Lo guardai
tornare indietro fin quando non scomparve, e agitò la sua piccola mano in aria
per salutarmi di nuovo.
Che sciocca.
Ovviamente non
riuscivo a concentrarmi per niente se al mio fianco non c’era lui.
Pensavo a lui, a
tutto quello che in poche ore aveva sconvolto le nostre due vite tranquille, i
rischi che correva…
Attendevo la sua
testa fare capolino dalla porta, che di tanto in tanto guardavo,
con un’ansia che non avevo mai conosciuto.
Insomma, mi
sentivo una sciocca.
Mi sembrò quasi
irreale, un sogno, quando la porta si aprì ed entrò, avevo
perso ormai le speranze. Feci un sospiro di sollievo
e sorrisi, fortunatamente non aveva portato con se brutte notizie; preparai due
panini e subito cominciò a controllare i miei quaderni per vedere cosa aveva
perso a lezione.
Dopo neanche
un’ora di studi, mi fece alzare dalla sedia e mi trascinò fuori, di nuovo verso
la collinetta per vedere il sole tramontare.
«Sai, dall’ospedale
sarà un po’ difficile vedere l’alba, domattina…» disse chinando il capo a
terra, poi mi invitò a sedermi al suo fianco, sulla
solita roccia.
«Grazie» dissi,
quando mi fece posto.
Tutto silenzioso.
Il caos cittadino era alle nostre spalle, come anche tutti i problemi; per
qualche minuto potevamo concedercelo. Sentii un leggero venticello alzarsi e
scompigliarmi i capelli, mi girai verso di lui e lo vidi
chiudere delicatamente gli occhi, assaporando quell’istante.
Era così bello…
sapevo già che sarebbe stato un lunghissimo ed interminabile giorno, il
seguente, senza di lui… sentii le farfalle allo stomaco quando mi cinse le
spalle con il suo braccio, e sfiorai con la guancia la sua spalla.
Profumava.
Spero tanto che vi
sia piaciuto!! Ed ora i ringraziamenti!!
Ringraziamenti:
roby the best: grazie
mille, spero ti piacerà anche il seguito!
Railen: ti ringrazio, in
effetti non ricordo bene come mi è venuta l’idea… è stato prima di
leggere New Moon (mi riferisco a quel pezzo in cui c’è il ricordo del dottor
Cullen).. chissà! Comunque spero che continuerai a
leggere!
Cucci: sei sempre stata la mia consigliera
adorata *_*