Fanfic su artisti musicali > One Direction
Ricorda la storia  |      
Autore: NowPlaying    15/06/2014    7 recensioni
Liam non aveva mai approvato quella relazione, e nemmeno in quel momento mentre spolverava l'ultimo goccio della sua bionda pareva volersi trattenere dal dire la sua "Louis" cominciò, un po' brillo, un po' irritato "Cosa ci guadagni ad amare uno che va con tutti, io non lo capirò mai".
E a dire la verità, neanch'io credevo l'avrei mai capito.
ATTENZIONE: Larry; depressed!Louis; nymphomaniac!Harry; accenni Zouis; accenni Tomlinshaw; accenni Elounor; 18K
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Questo è uno sclero pre maturità. Avevo voglia di scrivere qualcosa di intuitivo, senza ragionamenti complicati o pensieri troppo profondi, giusto per distrarmi dallo studio, e non era mia intenzione pubblicare alcunché ma visto che a riposare nel mio cellulare questa OS avrebbe raggiunto il picco più alto dell'inutilità, ho pensato Perché no?
Vi avverto che l'ho scritta interamente al telefono – grazie, Dio Evernote – e anche se l'abbiamo betata in due – grazie anche a te, G. – potrebbe esserci qualche imprecisione, e per questo mi scuso!
Niente analisi psicologiche o scene troppo forti – questa volta ho fatto la brava –, solo una sorta di telecronaca vista dagli occhi di uno dei ragazzi.
Buona lettura ♥











 
Per i gatti la porta è sempre aperta.

§ § §

La cosa che amavo di più di lui erano i movimenti. C'erano volte in cui ci sedevamo sempre allo stesso tavolo della caffetteria - quello in angolo, né troppo vicino all'entrata, né troppo lontano dai servizi - e lui ordinava sempre la stessa porzione di crème caramel. Afferrava il cucchiaino pulito con solo due dita e picchiettava lo strato duro del dolce finché questo non si rompeva, attento in maniera maniacale.
"Mi piace" diceva con un sorriso, gli occhi persi chissà dove a fissarne le crepe dorate "È così debole".
Io gli sorridevo e prendevo un sorso del mio caffè nero "E poi ha un buon sapore".
Lui annuiva come se di quelle cose ci avesse scritto interi saggi "E poi ha un buon sapore" ripeteva.
Ed era in quel momento che affondava il cucchiaino nella ciotolina di vetro con un'attenzione degna del più letale e raffinato degli assassini e lo portava alle labbra. Avrei potuto giurare che ogni fibra del suo corpo fosse concentrata in quel punto, tra la bocca e la piccola porzione del crème caramel che non si sprecava mai di finire.
A volte mugolava, perfino, tanto gli piaceva, e io sorridevo senza preoccuparmi di niente che non fosse l'aria condizionata all'interno della caffetteria che secondo un principio di muri e finestre, riusciva sempre a schiantarsi contro il mio collo.
Spesso avevo dei foulard per proteggermi dal freddo. A lui piacevano "Me lo presti?" mi chiedeva dimostrando un animo tanto egoista quanto infantile.
"Certo" me lo sfilavo di dosso e glielo porgevo.
Neanche mi ringraziava, o meglio, lo faceva ma a modo suo, mai con la voce; sorrideva e abbassava lo sguardo, e di tanto in tanto, nei giorni più caldi, gli si imporporavano le guance lisce.
Se lo legava in testa come un cerchietto, poi si specchiava sul cucchiaino e mi guardava in cerca d'approvazione "Stai bene. Il giallo ti dona".
Scuoteva la testa facendomi ridere "Tu menti sapendo di mentire. Sei come quelli che camminano sulle braci: farà male e ne sei consapevole ma lo farai lo stesso".
Non sapevo se fosse per il mio tono di voce o per la mia faccia da tossicodipendente, stava di fatto che ogni cosa che usciva dalle mie labbra, presto o tardi si sarebbe trasformata in menzogna.
Io, a convincerlo che stessi dicendo la verità, non sprecavo neanche più tempo. Lo lasciavo sguazzare nelle sue convinzioni, chiuso nel suo silenzio tranquillo mentre impastava la metà di dolce ancora nella ciotolina.
Non avrebbe mai cambiato idea ma a me andava anche bene così.

"Pensi che sarebbe maleducato non presentarsi a casa per pasqua?"
"Cosa?".
Si girò verso di me appropriandosi abusivamente di ulteriori centimetri di lenzuola. Sembrava più irrequieto del solito "Dico, sarebbe maleducato se non tornassi a casa per pasqua".
Feci qualche altra boccata prima di buttare fuori il fumo "Dipende. Tu ci vuoi tornare?" gli chiesi.
Non rispose. Cominciò soltanto a strizzarmi nervosamente un fianco.

Alla fine a casa per pasqua non ci tornò ma non rimase neanche da me.
A volte aveva il vizio di scomparire, e Dio solo sapeva dove diavolo andasse a cacciarsi, se da un altro amante o da qualche amico a me sconosciuto.
Bisognava solo saper aspettare e lasciare la porta aperta, come coi gatti.

Era una sera abbastanza placida, di quelle in cui alla tv non davano nulla di interessante e io restavo comunque spalmato sul divano con gli occhi fissi sullo schermo a guardare non sapevo bene cosa, se i colori o le forme che si muovevano convulsamente come prese da un attacco epilettico.
Avevo la mia birra calda, il mio pacchetto di sigarette e stavo sprecando minuti preziosi del mio tempo a cazzeggiare di fronte a programmi che non riuscivo neanche a seguire, in breve la serata tipo di qualsiasi universitario leggermente fuoricorso già un po' morto dentro.
Triste. Triste e patetico.
Sospirai e osservai la porta di casa per una buona mezz'ora prima di decidermi a vestirmi e uscire; non credevo sarebbe tornato neanche quella sera, quindi tanto valeva farmi vedere un po' in giro, giusto perché gli altri non cominciassero a credere che fossi morto tra qualche volume di economia aziendale.
Quindi infilai la prima canotta relativamente pulita che riuscii a trovare, afferrai chiavi di casa e tutte le cazzate che mi sarebbero potute servire per smorzare la noia e uscii.
Non chiusi la porta a chiave.
Ero ancora in grado di sperare, maledizione.

La serata a Soho non fu poi così noiosa.
Non avevo neanche avuto bisogno di simulare uno dei miei soliti attacchi di apatia per scappare via prima.
Certo, erano secoli che non uscivo con Liam e Niall, e andarmene dal bar di punto in bianco sarebbe stato abbastanza scortese per non dire una vera bastardata, per quel motivo ero rimasto.
"Ti vedi ancora con quel tipo... Com'è che si chiamava?" chiese Niall schioccando le dita.
Presi un sorso di birra e spensi il mozzicone sul posacenere. E dire che ero andato al locale proprio per non pensare a lui.
"Chi? Harry?".
Lui annuì "Sì, lui".
Cominciai a grattare il tavolo con l'indice osservandone senza attenzione le striature chiare "A volte, quando gli va".
Liam non aveva mai approvato quella relazione e nemmeno in quel momento mentre spolverava l'ultimo goccio della sua bionda, pareva volersi trattenere dal dire la sua "Louis" cominciò, un po' brillo, un po' irritato "Cosa ci guadagni ad amare uno che va con tutti, io non lo capirò mai".
E a dire la verità, neanch'io credevo l'avrei mai capito.

Ero ubriaco ma non in maniera eccessiva. Prima di dileguarsi con Liam sotto braccio, Niall mi aveva fatto promettere che ci saremo rivisti presto.
Avevo detto di sì e poi mi ero messo a ridere: Harry aveva ragione, io mentivo sapendo di mentire.
Persi un po' di tempo a girovagare per le stradine sudicie di Londra e per tornare a casa ci misi esattamente un pacchetto e mezzo di sigarette.
A quel punto anche l'alcol si era dileguato dalle vene tanto che riuscii a infilare le chiavi nella toppa di casa al primo tentativo.
Non ricordavo di aver lasciato la luce del salotto accesa né di possedere un paio di stivaletti di cuoio.
Sgranai gli occhi quando lo vidi stravaccato sul divano aperto a stella, i ricci sformati che affogavano in uno dei miei foulard, quello che gli avevo prestato prima di pasqua, racchiuso in una delle sue camicie sporche trovata in chissà quale negozio dell'usato.
Dormiva.
Mi chiesi quando esattamente fosse arrivato e cosa sarebbe successo se avessi chiuso la porta a chiave o se fossi rimasto a casa mentre mi accendevo l'ennesima sigaretta e mi sistemavo con una lentezza estenuante.
Quando finalmente mi sedetti in cucina e lasciai che il caffè bollente mi bruciasse la giugulare risolsi la questione in questo modo: avrei perduto una possibilità in entrambi i casi, visto che se fossi rimasto a casa probabilmente sarebbe scappato e se avesse trovato la porta chiusa se ne sarebbe andato.
No, uscire e lasciare la porta aperta erano state decisamente delle ottime idee.
Mi rialzai sempre con la solita lentezza e gli preparai qualcosa di dolce da mangiare spulciando tra gli scaffali quasi vuoti della cucina: mi risolsi a lasciargli qualche cubetto di zucchero e una manciata di liquirizie visto che di fare la spesa non ne avevo avuto né tempo né voglia.
Speravo la colazione fosse di suo gradimento.

Era dolce, quando voleva, oppure ero io che non avevo capito che stesse ricercando qualcosa che lo aiutasse ad andare avanti, a dimenticare, e col senno di poi avrei dovuto trattare i suoi rabbiosi attacchi d'affetto con meno leggerezza e vederli per quello che erano in realtà.
D'altronde, il passato restava indelebile e questo purtroppo lui non aveva mai avuto la maturità per accettarlo.

Strusciò la testa sul mio ventre merlettato di morsi chiudendo le palpebre "Raccontami qualcosa" mi chiese con un sorriso stanco.
Mi accesi la quinta o sesta sigaretta della mattinata, intricando l'indice tra i suoi capelli "Non ho niente da raccontare, lo sai" inspirai lungamente.
"Che fottuto stupido". Mi pizzicò una costola, infastidito, lì dove già c'era l'impronta bluastra delle sue dita "E bugiardo" aggiunse.
Annuii con un sorriso triste "Lo sono, sì"
"Entrambi"
"No, solo stupido".
Scosse la testa "Stai mentendo, Louis".
Sospirai e gli lasciai finire la sigaretta arrovellandomi attorno al motivo che lo spingesse ad essere così fastidiosamente ipocrita.

Lo lasciai accartocciato alle lenzuola del mio letto a rosicchiarsi le unghie e uscii per andare in università dopo averlo osservato più tempo del necessario.
Ero leggermente irrequieto ma mi capitava spesso di essere ansioso senza un motivo preciso.
Nervi deboli, così mi avevano detto si chiamasse il mio problema. Niente di eclatante, comunque, solo incapacità a smaltire lo stress.
"Ciao".
Mi voltai e le sorrisi "Ehi".
Stava fumando seduta sulla scalinata dell'ateneo con un libro sgualcito tra le gambe "Che hai combinato? Non ti si vedeva più in giro".
Mi strinsi nelle spalle sistemandomi nervosamente il ciuffo con indice e pollice "Niente di che. Dovevo preparare un esame. Economia".
Lei annuì "Quando devi darlo?"
"Tra una settimana"
"Sei pronto?"
Non lo sarei mai stato per nessun avvenimento che mi sarebbe capitato nella vita ma per convenienza, le dissi comunque di sì.
Mi venne da ridere ma mi trattenni: avevo mentito ancora una volta.
Mi sorrise "Bene"
"Già".
Restammo qualche secondo in silenzio poi lei fece un sorriso imbarazzato buttando via il mozzicone "Comunque se mai avessi bisogno di aiuto non farti problemi a chiedere".
Le sorrisi tirando fuori l'ennesima sigaretta "Sei gentile" la accesi e gliene offrii una. La accettò. "Ma credo di riuscire a cavarmela"
"Come preferisci. Sappi che se avessi mai bisogno... non so, di qualsiasi cosa... sì, ecco, conta pure su di me".
Probabilmente anche Eleanor doveva avere problemi a controllare l'ansia - l'avevo intuito da come si era stretta le dita durante tutto il nostro discorso - per questo prima di salutarla le consigliai di vedere uno psichiatra.
Non la prese bene, però.
Ah, le donne.

Non mi stupii ma ci rimasi un pelino male quando una volta tornato a casa, non lo trovai. Poteva anche essere uscito a mangiare visto che in casa non avevo praticamente nulla che non fossero birra e caffè, e a lui piaceva la sostanza.
In ogni caso il letto era sfatto ed erano sparite un paio di magliette dallo scomparto in basso del mio armadio. Avrebbe anche potuto lasciarmi un biglietto, una scritta sullo specchio del bagno come facevano nei film, o un messaggio da recapitarmi dal custode inesistente del condominio. Insomma, qualcosa, qualsiasi cosa oltre al disordine sarebbe bastata.
Ma che avrei potuto farci? Ero stato io a sbagliare, non avrei mai dovuto infatuarmi di un individuo come quello - "Incostante come la luna" avrebbe detto Shakespeare - e per questo motivo non avrei dovuto aspettarmi mai niente che non fosse stata una delusione.
Non mi accorsi neanche del lungo sospiro che emisi mentre mi nascondevo tra le lenzuola che sapevano ancora di lui e delle sue stupide convinzioni.

Riaprii gli occhi di colpo, la fronte fradicia di sudore, fuori un manto di stelle dentellato dalle nuvole.
Lui era lì, a stringermi come una pianta rampicante, quasi volesse ammazzarmi.
Scivolai via dalla presa senza svegliarlo e mi accesi una sigaretta, sconvolto.
Possibile che avesse qualche potere magico? No, esclusi quell'ipotesi a priori: i maghi non erano persone difettose, o almeno non lo erano quanto noi. Certo, Harry a volte mi dava l'impressione di essere leggermente spiritato ma che fosse persino in grado di apparire e scomparire quando meno me l'aspettavo, a rigor di logica non mi parve altro che un altro dei miei deliri delle tre di notte.
Mi voltai a guardarlo giusto per essere certo che fosse davvero lì: la bocca larga socchiusa, le dita nodose strette al cuscino e quella dannata posizione a pancia in giù con una gamba piegata esattamente a novanta gradi e l'altra tesa come la corda di un'arpa, il tutto rigorosamente nudo.
Dio, lo vedi? E poi si chiedono perché io sia ansioso.
Mi alzai rifugiandomi in cucina alla ricerca del caffè e di un po' di raziocinio.
Fu soltanto alla terza sigaretta, la gola piena del mio nettare nero, che mi ricordai che, ovviamente mosso dal mio inconscio ballerino, avevo lasciato la porta aperta per l'ennesima volta.
Sgranai gli occhi e - colpa dei miei nervi impediti o come diavolo si chiamavano - mi accorsi solo all'alba di essermi scorticato le labbra a forza di morsi.

Allungai una mano "Tieni".
Mi guardò criptico seduto dall'altra parte del nostro tavolino "Cosa significa?" chiese austero afferrandola e rigirandosela tra le dita lunghe.
Feci spallucce e tirai dal filtrino "Niente di eclatante" sbottai nervoso "Casomai ti venisse in mente, che so, di sparire ancora, non dovrò preoccuparmi di fare il cane da guardia per tutto il tempo".
Osservò la copia della chiave del mio appartamento come se non ne avesse mai vista una: folgorato, ecco cosa sembrava.
Dopo che ebbi finito di bere il mio caffè ed ebbi fumato un'altra sigaretta si decise ad alzare gli occhi "No, grazie" disse soltanto facendola strisciare sul legno con due dita.
Sbuffai sporgendogliela nuovamente "Harry, non è un vincolo, è solo che preferirei evitare di lasciare la casa incustodita soltanto perché non so quando ti verrà la brillante idea di tornare da me".
Strinse le labbra "Allora non farlo"
"Cosa?"
"Non lasciare la porta aperta". Gli costò molto dirmi quelle parole, e sentirsele dire forse fu cento volte peggio.
In ogni caso nessuno dei due si scompose poi più di tanto.
In cambio, mi passai una mano tra i capelli "Non dire cazzate".
Lui stava giocando nervosamente col crème caramel ancora intatto "Io non le dico"
"Invece sì" lo rimbeccai "Come potrei non lasciarti la porta aperta?". Ero esasperato, Harry mi esasperava.
Si strinse nelle spalle continuando a ritenere più interessanti le sue dita piuttosto che i miei occhi "Non ne ho idea"
"Ecco, appunto".
Ci cucimmo le bocche per un tempo che mi parve infinito, così lento scandito dal grosso orologio sopra le nostre teste che sembrò essersi fermato.
Eppure Harry era ancora davanti a me e a meno che la mia testa non avesse cominciato a dare davvero i numeri, mi stava fissando il collo, assorto, le labbra tra i denti quasi ne volesse sentire il sapore.
Sospirai e mi tolsi il foulard. Lui lo prese e se lo annodò in testa "Le chiavi però non le prendo" mi informò distrattamente tornando a giocherellare col dolce.
"Allora vuol dire che di me non te ne importa niente".
Dopo quella stoccata si irrigidì visibilmente e i suoi occhi, quelle biglie di fango, si illuminarono di una strana luce azzurrina.
A volte capitava mi facesse paura; quello era uno di quei momenti.
"L'interesse va oltre ai bisogni individuali, Louis" mormorò rialzandosi con lentezza "Se io ti fossi interessato davvero, non mi avresti mai proposto di avere una copia delle tue chiavi".
Corrugai la fronte "Se la mettiamo in questi termini allora tu avresti dovuto accettarle".
Mi sorrise facendomi sentire incredibilmente ridicolo e minuscolo e perso "Non serve che lasci la porta aperta questa notte".
Mi accorsi troppo tardi che quelle parole avrebbero scandito l'inizio della fine.

Maledetto Harry.
Maledetto lui e la sua maledettissima assenza.
E maledetto me che avevo creduto di poterlo trattenere.
Alla fine, la porta la lasciai aperta per molte sere a venire ma lui, in quella casa, non si presentò mai più.

§ § §

Afferrò curiosamente il tubetto delle medicine facendolo tintinnare "E queste?".
Alzai gli occhi dal volume di economia "Niente di che". Me le sporse e io le afferrai osservandone l'etichetta leggermente sbilenca "Antidepressivi. Cose leggere, non preoccuparti".
Lei annuì, stupita, tornandosene seduta sulla sedia in cucina "Quindi è vero".
Aggrottai la fronte.
Lei rise "Che sei entrato in analisi"
"Ah, quello" mugolai "Beh, diciamo sì e no" misi al loro posto le medicine puntellandomi sulle gambe posteriori della sedia "Nervi deboli, mi hanno detto. Sempre una scusa per accaparrarsi qualche finto depresso in più".
Sghignazzammo ma senza complicità, poi lei sospirò e tutto scivolò irrimediabilmente nello stato catatonico di poco prima.
"Sei triste, Lou?".
Scossi la testa "Nah. Solo un po' stressato".
Lei annuì con un sorriso e io per poco non le scoppiai a ridere in faccia: neanche quando mentivo mi accorgevo della mia falsità.
Mi ci voleva sempre qualche secondo in più per arrivare al nocciolo del discorso e anche quando dopo un paio d'ore di studio assiduo Eleanor mi confessò tacitamente di essere attratta da me, ci misi qualche minuto prima di accorgermi della sua libido decisamente in fiamme.
Prima di fare sesso ingoiai un paio di pillole.
Fu bello, inutile negarlo, ma non fu nient'altro che sesso, più uno sfogo che una benedizione.
E fu diverso, decisamente.
Stavo fumando quando lei "È stato bellissimo. Dovremo rifarlo" mi disse con la testa accoccolata sulla mia pancia.
Non le risposi e ringraziai mentalmente Niall che con una chiamata, mi aveva tirato fuori da quell'impiccio.

Li trovai seduti fuori dal solito bar a parlare animatamente con un altro ragazzo.
Appena Liam mi vide sembrò illuminarsi "Lou!" abbaiò contento.
Li raggiunsi con un sorriso.
"Ciao, ragazzi".
Niall mi prese per un braccio pilotandomi di fronte allo sconosciuto "Lou, ti presento Zayn".
Mi sorrise e mi strinse la mano; era calda.
"Piacere" mugolò.
"Zayn studia medicina. È nello stesso corso di un'amica di Barbara" mi informò Niall, la voce decisamente brilla.
"Vuole diventare un medico e andare a salvare non mi ricordo bene quali bambini africani" si intromise Liam buttandomi un braccio sulle spalle.
Feci una faccia sorpresa mentre Zayn si grattava la testa, forse in imbarazzo, forse fiero di se stesso; stava di fatto che lo trovai davvero attraente.
Gli sorrisi "Complimenti. Dev'essere dura".
Lui annuì "Lo è ma credo ne valga la pena"
"Di sicuro più che cimentarsi in noiosi grafici aziendali per tre anni consecutivi".
Mi sorrise "Probabilmente sì".
Liam e Niall si sorrisero soddisfatti battendosi un cinque a mezz'aria "Okay, noi andiamo a prendere da bere. Voi intanto, boh, fate conoscenza" disse Niall trascinandosi dietro l'altro.
Sospirai ricollegando ogni pezzo: appuntamenti programmati del cazzo.
Mi ridestai dai miei pensieri quando lui "È francese? Louis. L'ho detto bene, no?".
Annuii e mi sedetti accanto a lui "E il tuo? Non credo di aver mai sentito nessuno chiamarsi Zayn qui a Londra".
Si mise a ridere "Contento di essere la tua prima volta" sghignazzò "È arabo"
"È un bel nome"
"Grazie. Anche il tuo".
Storsi la bocca facendolo ridere "Il mio non è abbastanza virile"
"Neanche tu lo sei".
Avrei potuto offendermi ma non lo feci; non ero tipo da portare rancore, io, quindi mi limitai a fare spallucce e a offrirgli una sigaretta.
"Grazie" mormorò dopo averla accesa.
"Figurati".
Restammo un po' in silenzio a fumare. Mi piaceva fumare, mi piaceva forse troppo, e farlo in silenzio con qualcuno che sembrava apprezzarlo quanto me, mi fece sentire bene.
E quando lui "Di', Louis, mi concederesti una possibilità? Giusto per non mandare a monte gli sforzi di Niall" mi chiese senza alcuna traccia di malizia nella voce, per una volta mi lasciai andare e gli scoppiai a ridere in faccia dopo avergli detto sì.
Troppi sì donati a chi era pieno di aspettative e avrebbe ricevuto indietro soltanto fumo, davvero troppi.

A Eleanor si spezzò il cuore quando le dissi che avevo un ragazzo.
Porco bastardo stronzo figlio di puttana, tutte cose che sotto sotto credevo mi si addicessero ma che in realtà non mi fecero né caldo né freddo.
L'unica cosa che mi dispiacque fu vedere entrambi alla consegna della mia laurea, sia Zayn che lei.
O forse ciò che mi fece davvero dispiacere, fu l'assenza di lui.

Affittammo un piccolo appartamento a Piccadilly verso l'inizio di novembre.
Zayn era euforico: se ne andava in giro per casa con una bellissima luce negli occhi e io adoravo guardarlo mentre mi esponeva tutti i lati positivi del vivere insieme.
Non stavo tanto bene in quel periodo. Fu difficile abbandonare l'università e cominciare a lavorare in un piccolo studio di grafica.
Il fatto più pesante fu essersi reso conto di aver chiuso definitivamente una porta della mia vita ed essere stato obbligato dal tempo a crescere e buttarmi a capofitto nel mondo.
Avevo paura, come se tutt'a un tratto tutto intorno a me fosse diventato nero, buio, asfissiante.
Cambiare casa fu traumatico: a Zayn dicevo che andava tutto bene, che non era niente, che doveva solo preoccuparsi dei suoi studi e lasciare che mi ambientassi. E ridevo nella mia mente, lo facevo perché mi rendevo conto di avergli sempre mentito e di non essermene mai reso conto se non dopo averlo fatto.
Gli volevo bene, a Zayn, gliene volevo tanto, eppure la mia testa era rimasta nella vecchia casa, a rimuginare se avessi lasciato la porta aperta oppure no.

L'avevo notato subito. Se ne stava sempre seduto a quel tavolino col suo crème caramel a guardare non sapevo bene cosa. Sembrava che confidasse così tanto nel mondo lì fuori da avere paura di entrarci, di viverlo.
Anche dopo averlo conosciuto, se così si poteva dire, non mi ero accorto che quel mondo lui l'aveva già vissuto e che più che speranza, era delusione ciò che lo spingeva a non volerci più avere nulla a che fare.
Di lui non avrei mai saputo niente di più del nome e dell'età.

Ero sveglio da un po' quando Zayn mi venne a chiamare.
Si grattava l'angolo dell'occhio col pugno chiuso "Lou, che diavolo fai?" mugugnò a bassa voce "Sono le quattro. Dài, vieni a letto".
Scossi la testa e restai fermo lì, disteso sul tappeto del salotto. Non sarei riuscito a dormire quindi non vedevo perché dovermene stare a letto.
Lui sbuffò lasciandosi scappare qualche imprecazione "Almeno spegni la luce".
Lo accontentai di malavoglia gattonando per terra.
"Che ti prende?" mi chiese seccato.
"Niente". E risi, isterico, tirando fuori l'ennesima sigaretta. Zayn avrebbe dovuto spaventarsi per quel mio comportamento al limite della decenza, eppure tutto ciò che riuscì a fare fu sospirare e stringermi tra le braccia raccogliendo le lacrime e le scuse che ormai gli rifilavo ogni notte.
Mi amava.
Non aveva capito nulla.
E io ero un fottuto bugiardo.

Ero andato a dormire da Liam, quel week end di dicembre. Zayn aveva il turno in ospedale e io non avevo voglia di stare a casa da solo, anche perché lui non me lo avrebbe lasciato fare.
Aveva paura potessi fare qualcosa di strano ma glielo concessi; in fondo, non ero certo una persona affidabile, io.
"Tieni, Lou" mi sporse una ciotola di pop corn e si buttò sul divano sedendosi al mio fianco.
Ne sgranocchiai un paio, poi mi accesi una sigaretta "Non vedo Soph da secoli. Vi siete mollati?".
Lui fece una smorfia e buttò giù un pugno di birra "Ho bisogno dei miei spazi, Liam. Non è normale che tu voglia già convivere. Stiamo insieme solo da tre mesi e bla bla bla" gracchiò, irritato.
Mi misi a ridere: io e Zayn eravamo andati a vivere insieme dopo esattamente tre mesi da quando ci eravamo messi insieme. Un azzardo, forse, ma tant'era.
"Le ho detto di pensarci su" sbottò.
"E da quanto tempo ci sta pensando?"
"Due settimane".
Gli misi un braccio sulle spalle "Tornerà".
Scrollò la testa finendo la birra "Lo farà. Ha lasciato qui tutti i suoi trucchi".

"A cosa pensi?".
Non rispose. Restò fermo a guardare il soffitto, la testa poggiata sul mio stomaco "A tante cose"
"Dimmene una"
"Non vuoi saperle davvero"
"Sì, invece".
Scosse la testa e sorrise al vuoto "Bugiardo".

"Domani è il tuo compleanno"
"Così pare".
Mi baciò il collo mugolando appena "Che vuoi fare?"
"Niente" mormorai socchiudendo gli occhi "Stiamo a casa, Zay".
Continuò a risalire con le labbra fino ad incontrare le mie "Perché fai così?".
Aggrottai la fronte e mi staccai dopo che mi ebbe baciato "Così come?".
Corrugò le labbra sedendosi composto "Sembra che non te ne freghi niente"
"Non è vero".
Sgranai gli occhi nell'ascoltarmi: avevo mentito ancora.
Sentii l'ansia risalire lungo il cervello non appena "Vuoi fare qualcosa?" gli chiesi nervosamente, quasi spaventato "Facciamo qualcosa. Possiamo andare al parco o possiamo cenare dai miei, se ti va, li chiamo, aggiungeranno un paio di posti, oppure possiamo andare dai tuoi, sarebbe okay. Niall è andato su, da suo fratello, e Liam è via con Sophia, quindi loro non ci sarebbero"
"Lou, Lou" mi richiamò "Non serve che tu mi faccia un piacere".
Lo guardai: sembrava distante, tremendamente distante.
Mi sentii male; non volevo farlo soffrire, eppure sembrava non fossi in grado di fare altro.
Ricercai i suoi occhi ma non me li concesse "Non ti voglio fare un piacere".
Mi scappò un singhiozzo dopo l'ennesima bugia.
Lui scosse la testa "Smettila di mentire" si alzò e si vestì con calma, poi uscì chiudendo la porta dall'esterno.
Zayn sarebbe sempre stato l'unico oltre a lui ad accorgersi delle mie menzogne.

La porta, alla fine, la aprii da dentro.
Zayn si sarebbe arrabbiato come al solito ma non me ne importava: alla mia piccola mania non ero ancora pronto a dire no.

Una delle poche cose che sapevo di lui era che gli piacevano i bambini. Si illuminava quando ne descriveva i lineamenti teneri o le vocine stridule.
"Mi piaci" mi disse un giorno.
"Perché?" gli chiesi.
Voltò la testa ricciuta sul cuscino e mi guardò sorridendo "Mi fai pensare ai bambini".
Complimento o meno, quella constatazione mi fece sentire bene.

Impiegammo due mesi prima di lasciarci definitivamente.
C'erano un sacco di accordi da dover prendere, di parole da dover vomitare e di scuse da doversi scambiare.
Zayn ne uscì con un sorriso amaro; mi voleva ancora bene e sapeva di non essere stato lui il problema, ma mi giurò di non prenderla sul personale quando mi disse esplicitamente che non ero stato in grado di amarlo.
Anch'io dal canto mio, gli ero ancora troppo affezionato per dirgli addio in maniera definitiva ma mi obbligai ad adattarmi a quello che era il suo volere: non vedersi per qualche tempo e poi, magari, tornare ad uscire assieme agli altri.
Fu uno dei periodi più brutti.
Liam e Niall mi rimasero vicini nei momenti bui, e anche Zayn tornò a farsi vivo di tanto in tanto quando, tra le lacrime, lo pregavo di tornare da me e lo riempivo di scuse, ognuno dietro una cornetta.
Mi sentivo patetico a rifugiarmi sempre tra le sue braccia e mi scusavo ogni volta che ne avevo l'occasione.
Lui stava in silenzio e appena mi tranquillizzavo se ne andava.

Rividi Eleanor a metà febbraio.
Non me la passavo ancora bene e nemmeno lei sembrava così euforica della vita.
Finimmo per fare sesso a casa sua - la mia era un buco a Bloomsbury ancora pieno di scatoloni, davvero un postaccio per una ragazza.
Finii per raccontarle l'esperienza con Zayn e lei mi confidò di non avermi mai dimenticato davvero ma non perché fosse innamorata di me, bensì per la sua ossessione per i ragazzi un po' stronzi.
Neanche quella volta me la presi; in fondo quelle erano cose che sapevo.

Per una volta fui io ad addormentarmi su di lui. Sognai mi rivelasse che mi amava e che non se ne sarebbe più andato.
Quando mi risvegliai lui era scomparso.
In compenso, sul tavolo della cucina riposava una tazza di caffè ormai freddo assieme ad un biglietto:

Buongiorno.
H

Aveva una bella scrittura ma non glielo dissi mai.

Non credevo avrebbe fatto così male scoprire che Zayn si era fidanzato di nuovo. Una ragazza, questa volta. Era simpatica, bionda, esuberante da far invidia e assurdamente gentile.
La conobbi al pub una sera piovosa di inizio marzo in cui Niall mi aveva trascinato fuori dal mio nido senza sapere che ci fossero anche Zayn e Perrie, così si chiamava lei.
"Cazzo" mormorò non appena ci salutarono "Scusa, Lou. Ti giuro, non credevo...".
Lo bloccai sorridendogli "Non preoccuparti. Non è la fine del mondo. Zayn è" sospirai inghiottendo un pugno di bile "una bellissima persona. Va bene così, Nialler".
Non sembrò convinto ma durante tutta la sera, non fece nulla per far accelerare il tempo; mi lasciò fare amicizia e scherzare con Perrie senza preoccuparsi troppo. Zayn sembrava felice con lei, la guardava come non mi aveva mai guardato e di questo me ne compiacqui.
Fu poco prima di dividerci che ci fumammo una sigaretta da soli, in silenzio, come la prima volta.
Sorrisi "È una brava ragazza".
Lui annuì; aveva gli occhi dell'amore, lucidi e felici come se fossero stati ubriachi "È splendida"
"Dove l'hai conosciuta?"
"All'università".
Inspirai lungamente prima di "Ti vedo bene, Zayn"
"Sì" si voltò studiandomi a pochi centimetri dal viso "Tu come stai? Non ci sentiamo da un po'. Stavo cominciando a preoccuparmi, Lou".
Scossi la testa "Non ce n'è bisogno, davvero".
Era scettico a riguardo, lo capii dalla smorfia che spuntò sul suo viso barbuto "Ma stai bene? Insomma... Sì, lo sai che intendo, no?".
Sospirai finendo la sigaretta e abbandonando il mozzicone per terra "Sì. Alla grande".
Non lo fregai, non ne ero in grado.

Era il 26 marzo quando mi ricoverarono al pronto soccorso.
Quando mi risvegliai in un letto d'ospedale circondato da mia madre e i miei amici mi sentii assurdamente felice. Il finale perfetto per un delitto perfetto.
Eppure sembrava fossi riuscito a cavarmela, maledizione.
Troppi antidepressivi o troppo pochi, dipendeva dai punti di vista.
Spiegai ai medici che non era stata mia intenzione, che mi ero sbagliato, che era stata una svista ma nessuno mi credette: ogni parola era accompagnata da una risatina.

"Se tu dovessi scomparire per sempre ne morirei".
Mi strinse tra le braccia senza rispondere.
Chiusi gli occhi e lo respirai a fondo.
"Tu provi quella cosa quando stai con me?" mi chiese, la voce un sussurro velenoso.
"No".
Si morse le labbra e mi lasciò. Si rivestì in fretta mormorandomi all'orecchio "Bugiardo" prima di andarsene.
Sorrideva, però, e fu in quel momento che capii di essermi innamorato.

Aprile fu all'insegna delle risate. Dopo secoli mi sembrava di stare davvero bene: i miei amici si erano dimostrati più disponibili che mai, mia madre era rimasta incinta di un paio di gemelli e mi stavo affezionando ad Eleanor in maniera sincera, tanto da aver dimenticato l'abitudine di lasciare la porta di casa aperta.
Dopo il mio crollo tutti si erano fatti delle domande, colpevolizzandosi alla cieca, come se l'aver tentato il suicidio potesse risolversi in maniera diversa dall'accusare me. Si arrabbiavano quando mettevo in evidenza i fatti, quindi avevo cominciato a lasciarli sguazzare in colpe assolutamente immeritate.
Al lavoro andava bene, non era troppo pesante e il fatto di tenere impegnata la testa mi aiutò molto.
Non passavo mai troppo tempo da solo e quando succedeva, cercavo di dormire o in alternativa, di farmi un giro.
E non seppi mai cosa, quel pomeriggio, mi suggerì di uscire al posto che restare a letto, ma qualsiasi cosa fosse, avrei voluto ammazzarla o ringraziarla fino a farle sanguinare le orecchie.

Girovagavo lungo Camden Town quando lo vidi: navigava in un montone che doveva essere appartenuto ad un suo avo in sovrappeso, gli occhi a osservarsi le dita. A volte tirava indietro la testa - quello era uno dei miei foulard - e restava a guardare un punto in mezzo alla gente, poi tornava a camminare per qualche metro e si fermava di nuovo.
Mi imbambolai a osservarlo e credevo avrei cominciato persino a pedinarlo se solo non si fosse bloccato di colpo e non avesse tirato su la testa verso di me come se avesse finalmente trovato la fonte di disturbo.
Sbiancò.
Io non mi scomposi. Lo fissai per qualche attimo prima di fare spallucce e concentrarmi sulla mia strada: dovevo aver avuto le allucinazioni.

Mi morsi le labbra a sangue.
Era l'ottavo pomeriggio di seguito che tornavo lì e mi sedevo esattamente dove ero convinto di averlo visto.
Le persone mi scambiavano per un senzatetto, con la barba lunga e i capelli sfatti.
Io ero semplicemente convinto che non si dovesse giudicare qualcuno se non lo si aveva visto sbagliare almeno una volta, ed ero altrettanto distaccato per quanto riguardava il loro fastidio.
C'era solo una cosa che mi avrebbe fatto stare bene, e quella cosa, quel qualcuno, sembrava davvero essere stato soltanto una scheggia di immaginazione.
Per gli otto giorni consecutivi alla sua venuta non si fece vedere.
Gli altri si erano accorti delle mie assenze e il nono pomeriggio, Zayn mi si presentò davanti agli occhi con un broncio deluso dipinto in faccia.
"Che diavolo stai facendo?".
Fu violento a strattonarmi via dalla strada e non mi diede neanche il tempo di rispondere che mi ritrovai col culo parcheggiato nella jeep di seconda mano che lui e Perrie avevano comprato poco tempo prima.
"Ma che cazzo ti dice la testa?" ringhiò mettendo in moto "E noi che credevamo l'avessi finita con le tue stranezze!"
"Non sono strano".
Scosse la testa rifilandomi un'occhiataccia "Infatti sei un coglione" sbottò "Mi dici che diavolo stavi facendo lì seduto?". Mi strinsi nelle spalle rimirando fuori dal finestrino "Aspettavo".
Lo sentii sospirare "Lou, lo capisci che non possiamo starti dietro in continuazione? Non sei un bambino e noi abbiamo una vita da mandare avanti".
Quelle parole mi fecero male; fu come schiantarsi contro un muro invisibile e mi ritrovai con tutte le ossa rotte a chiedermi il perché di quella situazione.
Mi morsi le guance "Allora smettetela"
"Di fare cosa?"
"Smettetela di pensare a me. Me la saprò cavare, Zayn, lo giuro".
Lo guardai e dalla sua espressione afflitta seppi di aver appena mentito.

Parlai della mia visione a Liam, forse l'ultimo che avrebbe voluto sentir rispuntare il suo nome, forse l'unico che mi avrebbe capito davvero.
Non credevo che Harry si meritasse le mie lacrime o qualsiasi sentimento fossi ancora in grado di provare nei suoi confronti, stava di fatto che piansi, piansi tanto, e pochi secondi prima di addormentarmi dissi una delle poche verità che mi scappavano di rado dalle labbra "Lo amo. Scusa, Liam".

Sophia era una brava ragazza, dopotutto. Sapeva fare degli ottimi pancakes e a me questo bastò per darle il permesso di entrare nelle mie grazie. Certo, era leggermente supponente ma lei e Liam formavano davvero una bella coppia, di quelle da copertina.
"Siete molto carini insieme".
Lui sorrise baciandole una guancia mentre lei arrossì, visibilmente in imbarazzo "Non è tutto rose e fiori ma ci stiamo lavorando su"
"Io ci sto lavorando su" lo rimbeccò divertita.
Lui le sorrise e quando la guardò seppi che ne era follemente innamorato.

Mi piaceva da impazzire giocare coi suoi capelli. Alcune ciocche erano lisce, altre invece si arricciavano fino a somigliare a tante code brune di maialini.
Mi ci perdevo, in quella testa, tanto che a volte doveva richiamarmi sulla terra con uno dei suoi soliti pizzichi aggressivi e qualche frase scocciata tipo "Mi farai diventare calvo" e altre stupidate del genere.
Io allora toglievo la mano da quella matassa disordinata e lasciavo che si strusciasse sulla mia pancia alla ricerca di comodità finché "Toccami i capelli" non mi chiedeva con gli occhi chiusi.

Niall era un continuo sospirare. Mi mise ansia e quando glielo dissi, si scusò dandosi dell'idiota sotto voce.
Si rigirò il caffè tra le dita, concentrato a non guardarmi "Zayn mi ha chiamato, l'altro giorno. Mi ha detto che ti ha trovato disteso su un marciapiede"
"Non ero disteso. Ero seduto" mi accesi una sigaretta.
Lui fece una faccia scioccata "Quindi? È tutto ciò che hai da dire?".
Aggrottai la fronte "Cosa dovrei dirti?"
"Mi prendi per il culo, Lou?" gracchiò "Ti comporti come uno psicopatico e credi di cavartela con qualche sorriso buttato a casaccio?"
"Non capisco per cosa dovrei giustificarmi"
"Beh, magari puoi chiedermi scusa, tanto per cominciare".
Ero confuso "Per cosa?"
"Perché stai facendo il cazzone senza preoccuparti di come potremmo sentirci noi, Louis! Hai idea di quanto ero preoccupato? E Liam? Non ti dice niente perché ha paura di farti andare fuori di testa, ma ci è rimasto davvero male".
Mi morsi le labbra e abbassai gli occhi stringendo il filtrino.
Lui sospirò passandosi le dita sulle tempie "Insomma, è come ti comporti, il problema. Sembra che non te ne freghi niente di come stiamo quando tu sei uno dei nostri primi pensieri" era afflitto, deluso, sconfortato.
Mi sentii male a saperlo così; non credevo di rappresentare tanto, di avere uno spazio così grande nei loro cuori.
Quasi piansi ma riuscii a trattenermi "Scusa, Nialler. Non credevo la steste vivendo così male. Mi dispiace davvero".
E per una volta, forse la seconda durante quei tre giorni, dissi la verità.

"Vado a stare da mia madre per un po'".
Lei annuì rubandomi la sigaretta, accogliendo sulle cosce nude la mia testa "Per quanto?" mi chiese.
"Per un po'".

Mia sorella Lottie stava con un tipo strano fissato con le lumache. Spulciava il giardino di casa nostra finché non ne trovava qualcuna e allora cominciava a fare foto come se si trattasse di un vero servizio alla National Geoghraphic.
"Perché stai con lui?".
Lei sorrise e fece spallucce "Mi fa stare bene. Sai quando guardi una persona e hai l'impressione che tutto cominci e finisca nei suoi occhi?"
A mia sorella non ero in grado di dire bugie "Sì, ho presente" le risposi strozzando il mozzicone sul posacenere pieno del patio.
Sospirò giocherellando con lo stelo del girasole che Toby le aveva regalato quel pomeriggio "Ecco perché sto con lui".
Annuii e tornai a studiare quella chioma rossa che fiammeggiava dentro il cespuglio di ortensie al quale mia madre era maniacalmente affezionata.
"E tu, Boo? Ce l'hai una persona in cui perderti?" mi chiese con dolcezza.
Sorrisi osservando l'orizzonte che pian piano si stava tingendo di rosa "Ce l'avevo, sì"
"Non ce l'hai più?".
Scossi la testa con rammarico. Lei mi prese la mano.
"No, purtroppo".
Si mordicchiò il labbro, curiosa ma intimidita. Alla fine si lasciò andare "E come mai?".
La guardai addolcito: com'era cresciuta, la mia piccola Lots.
"Ah, vieni qui" sghignazzai inglobandola in un abbraccio. Scoppiò a ridere lamentandosi di non essere più una bambina ma io non l'ascoltai.
Avevo bisogno del loro affetto per andare avanti, solo così mi sarei dimenticato del perché una persona in cui perdermi, io non l'avevo più.

"E se ti dicessi che non può piovere per sempre?"
"Ti direi che sei banalmente ovvio".
Risi quando fece un cenno di diniego con la testa, visibilmente intenerito.
Feci un altro tiro accarezzandogli i capelli "E se ti dicessi che ad ogni peccato umano al deserto si aggiunge un granello?"
"Ti direi che entro un paio d'ore non esisterebbero più oceani".
Sorrisi.
E se ti dicessi che ti amo?
Mi risponderesti con un “Anch'io” o scompariresti?
Pensai bene di non tentare.
Sarebbe di certo scomparso.

Niall, Liam e Zayn si turnavano: un giorno passavo ore ad ascoltare quanto brava fosse Sophia a letto, l'altro mi perdevo nelle sfumature degli occhi di Barbara mentre l'ultimo, Zayn aveva la decenza di evitare l'argomento Perrie e concentrarsi su quanto contento fosse della piega che aveva preso la sua vita - dopo aver chiuso la nostra relazione. Ovviamente si limitò alla prima parte del discorso ma in ogni caso io ero un tipo consapevole e ci tenevo a loro più di ogni altra cosa dopo la mia famiglia: senza di me, le loro vite sembravano filare relativamente lisce.
A Doncaster andava più che bene: passavo il tempo con le mie sorelle, con mia madre che ogni giorno si ingrossava sempre di più, e al negozio di scarpe dove avevo trovato lavoro.
A volte Eleanor veniva a trovarmi e passavamo delle belle notti insieme. Sembrava essersi innamorata di un ragazzo, Sam o Ben, non ricordavo mai il nome, ma non si sentiva ancora pronta ad intraprendere una relazione seria. Io le dicevo che non mi sarei assolutamente offeso, anzi, che invece sarei stato contento di vederla felice ma lei era testarda e abbastanza sfiduciata, in poche parole ancora fissata con quello che avevamo tra noi. Le avevo spiegato che da parte mia c'era solo una bella amicizia e lei non se l'era presa nonostante sperasse in qualcosa di più.
Ormai di notte la porta di casa restava sigillata anche perché non sarebbe stato carino se fosse entrato qualcuno di indesiderato con tutte quelle ragazze e una donna gravida all'interno.
E io mi riprendevo piano piano: a Harry non ci pensavo poi più di tanto e di notte riuscivo a dormire anche per otto ore filate.
Andava tutto relativamente bene ma sapevo che non sarei potuto restare lì per sempre, e sperare di riuscire ad eliminare le mie fissazioni soltanto nascondendole dietro un velo di indifferenza non sarebbe stato proficuo: affrontarle e ucciderle, ecco cosa dovevo fare.
Ed ero pronto a mettere un punto alla fine di tutto quello, lo ero davvero.

"Perché scappi sempre?"
"Io non scappo sempre"
"Sì, invece".
Voltò la testa verso di me: mi sembrò di affogarci in quegli occhi "Cosa te lo fa credere?".
Scoppiai a ridere "Beh, non saprei. Forse il fatto che scompari quando uno meno se lo aspetta, come un pesce".
Aggrottò la fronte, la mano stretta alla mia coscia "Un pesce?".
Annuii prendendo una boccata di fumo "Le acque sono torbide. Sguazzi timidamente fino a raccogliere con le labbra la briciola di cibo sulla superficie e sei così fulmineo a mostrarti che basterebbe un battito di ciglia per perdersi lo spettacolo dei tuoi colori".
Fu il suo turno di ridere e in quel momento mi resi conto di non aver mai sentito prima la sua risata.

Erano i primi di luglio quando Niall, Liam e Zayn presero un treno e vennero a trovarmi.
Fizzy si innamorò perdutamente di Zayn e quando le rivelai che la sua nuova cotta oltre ad avere una fidanzata fresca di mesi era anche stato il mio ragazzo, lei stridette imbarazzata ricoprendomi di insulti "Dovevate sposarvi, scemo!" mi sibilò tra i denti "Avrei avuto il cognato più bello del mondo".
Risi dopo averle promesso che non avrei rivelato niente a Zayn, seduto sul patio imbevuto di sole assieme a mia madre e Liam. Niall si era perso tra le siepi del giardino a cercare lumache assieme a Toby mentre Lottie e le gemelle strappavano fiori per farne delle coroncine.
Uno dei più bei quadretti che avessi mai visto, eppure sentii che mancava qualcosa. Non ci pensai troppo su e uscii anch'io allontanandomi da mia madre per fumarmi una sigaretta.
Zayn mi raggiunse "Hai una famiglia bellissima".
Ci sedemmo ai piedi dell'alberello da cui penzolava l'altalena mangiucchiata mentre Niall esplodeva in un grido vittorioso: sembrava avesse trovato una lumaca gigante.
Sorrisi giocherellando con un filo d'erba "Non so che farei senza di loro"
"Potrei offendermi, Tomlinson" sghignazzò.
Scossi la testa sorridendo "Adoro anche voi, non preoccuparti".
Mi prese sotto braccio mollandomi un bacio in testa "Ti vedo bene, sai?"
"Merito dei pranzi di mia madre. Devo aver messo su un paio di chili"
"Bene così. Non mi è mai piaciuto vederti le ossa".
Appoggiai la testa sulla sua spalla e chiusi gli occhi. Mi erano sempre piaciuti i suoi abbracci.
"Mi dispiace che tra noi sia finita così. Io ci tenevo davvero, Zayn" gli dissi piano.
Restò un po' in silenzio e lo sentii trafficare con l'accendino "Perché mi stai dicendo queste cose?"
"Non lo so. Credo sia giusto che tu le sappia".
Sospirò appoggiando la testa sulla mia; sentii una folata di fumo invadermi le narici "Anche a me dispiace, Lou"
"Scusa, avevo la testa altrove"
"Da Harry".
Non ne avevamo mai parlato davvero, io e Zayn, e farlo in un momento del genere non poté che farmi aprire definitivamente gli occhi: sì, c'era sempre stato Harry nella mia testa e sempre ci sarebbe stato.
La necessità di scusarsi prevalse su quella di fare chiarezza e mi ritrovai con le lacrime agli occhi e la faccia nascosta contro il suo petto a vomitargli addosso sempre le solite scuse.
Zayn era sempre stato dolce sotto quel punto di vista ed ormai aveva imparato a lasciarmi andare senza interrompermi; sfogarmi, era questo ciò che mi mancava. Zayn l'aveva capito, Zayn aveva sempre capito tutto di me.
Ero io ad essere cieco.
"Non farne un dramma, Lou. Le storie d'amore sono fatte per finire, prima o poi".
Non ero d'accordo ma non gli dissi nulla.
Io non avrei mai smesso di amare Harry.

Il giorno in cui partirono fu tutto un pianto e una promessa. Sarei tornato presto a Londra, glielo assicurai, ma Niall e Liam non la smettevano di piagnucolare.
Zayn se li portò via ridendo dandomi un bacio d'addio prima di sparire sull'autobus.
Fu piacevole non provare nulla più che semplice affetto.

Avevo sognato le sue labbra, quella notte. Non appena mi svegliai, accanto a me non c'era altro che un ammasso disordinato di coperte.
In compenso, quando mi trovai nello specchio del bagno le sue labbra sembravano essere ancora stampate lì, tra collo e mandibola, una macchia scura simile ad un'orma di animale, un segno, il più bello, il suo.

A fine estate mantenni la promessa: tornai a Londra assicurandomi che a casa fosse tutto a posto, soprattutto raccomandando alle mie sorelle di aiutare nostra madre ora che Mark era stato obbligato in Francia per un viaggio di lavoro.
Piansi anch'io, quel 10 di settembre, ma mi ripresi non appena arrivai in stazione e li ritrovai tutti lì ad aspettarmi con un contratto d'affitto scovato chissà dove da Sophia e tanta voglia di festeggiare.
Per quella notte mi sistemai da Liam; Sophia mi avrebbe accompagnato il giorno dopo a vedere l'appartamento e Niall mi avrebbe portato a fare una prova come gelataio.
"Il lavoro più brutto del mondo" mi aveva detto mentre ci dirigevano al solito pub "Stai lì a guardare la gente che si gode il suo gelato senza poterlo assaggiare".
Risi inspirando dalla sigaretta "E allora perché me l'hai proposto?".
Si limitò a guardare dall'altra parte e a sorridere.

Bastarono un paio d'ore prima che l'alcol alterasse la nostra percezione della realtà.
Fumai e bevvi tanto, quella sera, e non seppi nemmeno perché. Forse era la compagnia o forse la sensazione di vuoto non appena avevo messo piede in città come se mi mancasse sempre qualcosa.
Il nervosismo era tornato ma l'alcol mi aiutò a sopprimerlo per quella manciata di ore che passammo fuori tutti insieme.
Glielo dissi, a Zayn, gli dissi che non stavo tanto bene, ma lui mi sembrò dieci volte poi ubriaco di me. Lasciai perdere e mi alzai dicendo a Liam che mi sarei fatto un giro per prendermi una boccata d'aria.
Pessima idea: il karma non dimenticava mai.

Quasi mi strozzai con la sigaretta: lui era lì, seduto sul marciapiede di fronte al pub assieme ad un altro piccolo gruppo di persone, aggrovigliato ad uno sconosciuto di cui non riconobbi i lineamenti.
Smisi di respirare e mi venne un'assurda voglia di vomitare o in alternativa, andare lì e semplicemente parlargli.
Sì, avevo bisogno di sentire la sua voce, quindi ingoiai un pugno di bile e mi diressi verso la mia meta.
Appena sentii la sua risata la pelle delle braccia si intirizzì nonostante la serata fosse relativamente calda.
"Ciao, Harry".
Si ammutolì allargando le palpebre.
Tutti si voltarono verso di me.
La testa cominciò a girare non appena sentii il peso dei suoi occhi sui miei: niente ricordo o sogno che si rispettasse avrebbe potuto vincere contro la realtà di quel verde ora così scuro da sembrare nero.
"Chi è?". Fu il ragazzo soffocato nella sua stretta a parlare.
La risposta mi fece male come mai nient'altro al mondo.
"Nessuno" mormorò lui abbassando gli occhi.
A quel punto fu rabbia quella che mi incendiò le vene, rabbia mista alla delusione più nera, eppure anche se avrei tanto voluto spaccargli la faccia, tutto ciò che riuscii a fare fu sorridere "Non avere paura. Voglio solo parlare".
Lui si morse le labbra stringendo le mani attorno alle ginocchia, diffidente quanto una bestia selvatica.
Il ragazzo mi squadrò da capo a piedi, poi con una gomitata sgraziata fece alzare Harry spronandolo a finire in fretta e a tornare subito lì perché pareva sarebbero andati in un club.
Harry mi raggiunse di malavoglia e senza dire nulla mi afferrò prepotentemente per il polso trascinandomi via.
Fu inebriante lasciarsi pilotare da lui, sentirlo di nuovo sulla pelle dopo un anno di vuoto: fu come tornare a respirare.
"Che diavolo vuoi, Louis?" ringhiò non appena ci fummo appartati nel parcheggio dietro al pub.
Strizzai gli occhi; stavo male.
"Io... Te, voglio te".
Non avrei dovuto dirlo ma l'alcol mi aiutò ad esternare i miei sentimenti.
Lui sospirò; sembrò sciogliersi leggermente ma non ne fui troppo sicuro.
"Andiamo a sederci". Mi prese ancora la mano, questa volta con dolcezza, intricando le dita alle mie.
Per quanto avevo aspettato? E quanto ancora avevo sofferto?
Mi fece sedere su un muretto ricoperto di graffiti, posizionandosi di fronte a me "Come va?". La sua voce era una delle più belle melodie.
"Male" risposi, schietto.
"Devi vomitare?".
Scossi la testa nascondendo il viso sudato tra le mani "Va male dentro, Harry. Va tanto male dentro. E non smette mai".
Non rispose. Si limitò a tirare fuori una sigaretta e a sporgermela "Tieni. Questa di solito aiuta"
"Grazie".
Si sedette al mio fianco. Fumammo in silenzio ascoltando la musica del pub incollata all'aria umida.
Mi era sempre piaciuto il suo profumo: era dolciastro ma virile, mischiato a quello delle sigarette.
Fu più forte di me: appoggiai la testa sulla sua spalla e chiusi gli occhi.
Lui non si irrigidì, anzi, sembrò a suo agio mentre lasciava che le dita si appropriassero della mia mano, emettendo delle fusa strozzate.
"Va meglio?".
No, ma comunque "Sì" mormorai.
Lo sentii ridere prima di "Bugiardo, Louis. Bugiardo, bugiardo, bugiardo" sibilarmi sulla fronte, una cantilena che mi fece sorridere.

Mi risvegliai sui sedili posteriori della jeep di Zayn con la testa pulsante e il collo intorpidito. Non avevo più il mio foulard.
Mi stropicciai gli occhi guardandomi intorno: eravamo nel parcheggio dietro al pub. Niall era spalmato sul sedile del passeggero con la bocca spalancata e le gambe sul cruscotto. Zayn dormiva rannicchiato di fianco col sedile del posto di guida tirato giù fino a sfiorarmi le gambe distese sui sedili posteriori.
Sospirai e li svegliai senza troppe cerimonie.
"Un tipo ci ha detto che ti eri addormentato per strada" gorgogliò Niall una volta che ci fummo messi in marcia diretti da Liam che avevo capito essere tornato a casa la notte prima assieme a Sophia.
E fu un lampo verde quello che mi fece ricordare: Harry, avevo visto Harry, ci eravamo scambiati qualche sorriso e gli ero crollato addosso.
Stupido. Stupido. Stupido. Ecco cos'ero.
"Ti ha detto qualcos'altro?" chiesi, speranzoso.
Niall arricciò il naso, pensandoci su.
"Ha chiesto dove lavoravi" proruppe Zayn con uno sbadiglio.
Un fremito mi fece sorridere "E gliel'avete detto?".
Niall fece spallucce "E chi si ricorda?" sbottò "E poi alla gelateria non ti hanno ancora preso, quindi attualmente sei disoccupato".
Abbassai gli occhi, abbattuto.
Non mi accorsi dello sguardo criptico di Zayn finché non ci fermammo di fronte a un semaforo "Lou, chi era?" mi chiese.
Mi morsi le labbra e guardai fuori dal finestrino "Un amico".
Niall si girò, gongolante "Solo un amico?".
Sospirai accendendomi una sigaretta "Forse neanche quello".
Il discorso cadde lì ma io continuai a rimuginarci su anche nei giorni successivi.

"Non ho più foulard".
Continuò a giocherellare imperterrito con le lenzuola come se non mi avesse sentito.
Spulciai nel mio armadio mentre "Me li devi riportare, Harry" gli dissi.
Non mi rispose neanche quella volta.

Alla fine mi assunsero alla gelateria senza intoppi.
Il nuovo appartamento era piccolo ma accogliente.
Diedi una festicciola una settimana dopo essermi sistemato. Vennero anche mia madre e le mie sorelle assieme a Mark. Sembrava che avesse comprato qualche ettaro di foresta francese e ci volesse costruire su in piccolo cottage.
Era una bella idea, dopotutto.
Lottie nel frattempo aveva dichiarato di volersi sposare assieme a Toby entro cinque anni, mentre Fizzy lanciò occhiatine poco convinte a Perrie per tutta la sera. Niall e Barbara intrattennero le gemelle e io potei riempire di gratitudine Sophia che mi aveva procurato un posto in cui stare.
Fui felice, quella sera.
E pensare che non sentii neanche la sua mancanza.

Mi bastò un mese per tornare a stare male. Avevo le allucinazioni, a volte, tanto che mi capitava di uscire di casa e svenire per strada.
Gli altri tornarono a preoccuparsi morbosamente per me e io sentii nuovamente il bisogno di andarmene via per sempre per non farli più soffrire.
Anche la porta di casa ormai restava sempre aperta.

Eleanor si fece sentire per l'inizio di novembre.
Stava meglio, la vidi più vitale. Mi confessò di aver incontrato un altro ragazzo e di essere seriamente convinta ad intraprendere una relazione con lui.
"E Ben?".
Lei aggrottò la fronte e rise sotto voce "Sam?"
"Sì, lui".
Scosse la testa con un sorriso amaro sulle labbra "Ti somigliava troppo".
Dopo quella confessione facemmo sesso per tutta la notte e fu come un addio: era pronta per lasciarmi andare del tutto e io lo ero per tranciare via in maniera definitiva un altro contatto.
Entro breve sarei rimasto solo.

Il 22 novembre fu l'inizio della mia ricaduta.
Eravamo a cena a casa Malik quando Zayn e Perrie richiesero la nostra attenzione e con un sorriso ci comunicarono che entro un mese sarebbero partiti per il Kenya a realizzare i loro sogni.
Come una bomba, la felicità si espanse nella stanza assieme alle lacrime.
Io non piansi, non quella sera. Mi dimostrai felice, invece, felice perché finalmente qualcuno tra noi sembrava star facendo strada. Io, al contrario, ero rimasto fermo in un punto indistinto, così lontano dal resto da venire dimenticato.
Me ne andai presto con la scusa del mal di testa. Liam e Sophia mi chiesero se volessi un passaggio ma rifiutai l'offerta rifilandogli la solita scusa della boccata d'aria.
Ormai avevo la scritta Bugiardo inchiostrata in fronte ma sembrava che nessuno ci avesse fatto troppo caso, neanche Zayn.
Forse non mi conoscevano abbastanza o forse ero io ad aver affinato così tanto quell'abilità da essere diventato un mentitore professionista, o perché no, da esserlo sempre stato.

Lasciai la porta di casa aperta, quella notte.
Speravo solo che non entrassero i ladri.

Lo psichiatra in quel mese aumentò la dose di antidepressivi raccomandandosi di non esagerare.
"Starò attento".
Risi una volta uscito in strada: la dovevo smettere di mentire.

Adoravo il suo sorriso. Quando si lasciava andare gli spuntavano due buchini esattamente ai lati della bocca. Io ci infilavo gli indici facendo attenzione a non bruciargli i capelli con la sigaretta.
Lui mi guardava, lì sotto di me a trattenermi addosso quasi per non patire il freddo, e non diceva nulla finché "Smettila. Mi dài fastidio" si lamentava sbalzandomi via.
Allora era lui il bugiardo: la verità era che non riusciva a reggere il peso dei miei occhi.

La partenza di Zayn e Perrie preferii dimenticarla.
Stetti molto male, dopo, ma ovviamente non dissi nulla. Se ne sarebbero accorti, prima o poi, e speravo lo facessero quando sarebbe stato troppo tardi.

Al mio compleanno mi trascinarono fuori di peso. Sophia era tornata a casa per natale mentre Barbara avrebbe passato un mese a NY a fare uno stage di lavoro. Eravamo solo noi tre randagi come ai vecchi tempi quando di Londra non conoscevamo altro che la fama.
Liam come al solito bevve più di tutti mentre io e Niall ci limitammo a tre o quattro birre.
Sorrisi per convenienza quando cominciarono a cantare a squarciagola Tanti Auguri a Te. Erano sempre stati dei buoni amici, glielo dovevo.
"Grazie, ragazzi" gli dissi imbarazzato.
Loro mi abbracciarono di slancio come se fossi stato un animale impaurito e Liam mi tenne stretto al suo fianco per tutta la sera "Lou, io ti voglio così bene. Tu non puoi capire" piagnucolò contro la mia spalla. Niall si era alzato per pagare e fui grato che non avesse assistito anche al mio, di pianto.

C'erano volte in cui si addormentava con la testa sul mio grembo, accartocciati sul divano. Mi stringeva le cosce e faceva male e faceva caldo e lui pesava, ma non mi lamentai mai. Quel carico l'avrei sopportato per l'eternità a patto che non scomparisse mai più.

Mi chiusi in casa per tutto il mese successivo. Neanche la lettera di Zayn riuscì a tirarmi su il morale.
Mi sentivo semplicemente senza forze, perso, totalmente e irreparabilmente vuoto. Il lavoro alla gelateria diventò soffocante e perfino gli altri mi risultarono insopportabili.
Fumai tanto in quel periodo. Arrivai a consumare quattro pacchetti, una domenica.
Il nervosismo peggiorava e di conseguenza anche la portata dei farmaci aumentò. Ormai andavo avanti a pillole e sigarette. A volte Niall o Liam si presentavano sotto casa mia con una pizza e qualche birra in nome dei vecchi tempi e io non potevo non farli entrare.
Allora mi aiutavano a riordinare casa, a riordinare me stesso, a mettermi addosso un'allegria tanto fugace quanto fasulla.
Niente, non c'era più niente che mi facesse stare sereno, neanche tenere la porta di casa aperta.
Solo quando chiudevo gli occhi e i miei sogni si tingevano di verde riuscivo a respirare.

Mia madre partorì a febbraio.
Due gemelli come ci avevano detto i medici: il maschietto, Ernest, aveva una presa ferrea, mentre la femminuccia, Doris, non aveva fatto altro che dormire.
Erano bellissimi, tutto l'opposto di me.
Gli feci una foto assieme a Fizzy e la inviai a Niall e Liam, poi spensi il telefono.
Restai a Doncaster per qualche giorno, giusto il tempo per assicurarmi di persona che mia madre e i miei nuovi fratellini arrivassero a casa sani e salvi, poi salutai tutti e me ne tornai a Londra, già senz'aria una volta aver messo piede in treno.

Mi decisi a rispondere a Zayn alla fine di febbraio. Gli raccontai dei miei fratellini, di quanto mi mancasse e di quanto fossi fiero di lui.
Non gli parlai della mia depressione. Non credevo fosse un argomento poi così rilevante.

"Ci sposiamo".
Sgranai gli occhi a quell'informazione.
Sapevo che le cose andassero molto bene tra loro ma non credevo la loro relazione andasse così bene.
In ogni caso sorrisi e li abbracciai entrambi "Sono felice per voi, ragazzi, davvero".
Liam sorrise con la lingua tra i denti mentre Sophia arrossì "Ci abbiamo pensato tanto, sai? Poi abbiamo deciso di buttarci"
"Basta che ci sia il cuore".
Si baciarono con una lentezza estrema e in quel momento seppi che di cuore ce n'era anche troppo.

Cominciai a uscire di sera.
Marzo lo passai tra la gelateria e il pub, tra gelato e alcol, tra bambini innocenti e ragazzi sessualmente attivi.
Feci tanto sesso principalmente con sconosciuti, mi ubriacai spesso e smisi di prendere gli antidepressivi.
Stavo sempre peggio ma con Zayn oltreoceano e Liam impegnato a organizzare il matrimonio, Niall non poté fare molto per aiutarmi da solo com'era, e a me andava bene così.
Mia madre chiamava spesso messa in allerta dal biondino ma io la rassicuravo con la migliore delle voci post sesso che riuscissi a tirare fuori. Ero convincente come attore, avrebbero dovuto assumermi in qualche compagnia teatrale.

Successe una sera di fine marzo.
Ero al pub come tutte le sere quando lo rividi appoggiato con un gomito al bancone a ridere assieme ad un uomo.
Mi avvicinai barcollando finché non gli misi una mano sulla spalla "Tu sei l'amico di Harry".
Quello sgranò gli occhi, impaurito "Eh?"
"Tu" ripresi passandomi una mano davanti alla faccia "Stavi con Harry, questo settembre. Mi ricordo di te" biascicai.
Lui si mise a ridere scrollandosi di dosso la mia mano "Harry Styles, dici?".
"Styles" mugolai "Sì".
Lui sospirò con un sorriso, tendendomi la mano "Di', sei uno da cui andava a fare sesso?".
Mi morsi il labbro annegando in quel paio di occhi al cioccolato "Era mio amico" sbottai, frustrato.
"Ah, beh. Tuo amico" disse divertito afferrandomi le dita "Ma se siete amici com'è che sei qui a chiedere informazioni a me?".
Non risposi. Lui tirò le labbra in una smorfia, poi sospirò "Senti, lascialo perdere, okay? È meglio per tutti. Sai com'è lui, no? È un nomade. Arriva quando meno te lo aspetti e se ne va quando hai più bisogno di lui"
"Sì, lo so" mugolai intristito.
L'altro uomo sembrava disinteressato a noi due, tanto che ad un certo punto si voltò e se ne andò senza salutare.
"Ah, mi hai fatto scappare la preda!" sghignazzò lo sconosciuto.
Singhiozzai un paio di volte prima di "Scusa" mugolare stanco. L'alcol mi stringeva la gola, tanto che a volte sembravo davvero uno di quei vergognosi ubriaconi col fegato andato.
"Figurati. Non me l'avrebbe dato comunque. Altezzoso e irritante" mi strattonò dolcemente sullo sgabello finché non mi ci sedetti sopra "Però magari puoi farti perdonare"
"Non vedo come" biascicai cercando di mettere a fuoco i particolari del suo viso.
Fece un sorriso "Dimmi il tuo nome e ti dirò che sei" canticchiò sovrappensiero, giocherellando con le dita della mia mano.
Corrugai la fronte "Sarebbe un modo carino per chiedermi di venire a letto con te?".
Scoppiò a ridere "Se la metti in questi termini" disse asciugandosi una lacrima all'angolo dell'occhio "Sarebbe un buon inizio cominciare dal nome, sì".
Osservai le nostre mani intrecciate sul bancone lucido sentendone il calore corrermi imperterrito lungo il braccio fino a mischiarsi con quello della testa.
Socchiusi gli occhi vedendo lampi verdi "Portami via" mugolai contro il suo collo.
Fremette, pagò la sua birra e mi trascinò fuori.

Cominciai a frequentare Nick solo per svago. Era bravo a letto, disposto a raccattarmi dal pub dopo le mie solite sbronze, senza troppe pretese, con l'assurda capacità di non starmi mai addosso in maniera asfissiante.
Aveva una bella casa, di quelle arieggiate e moderne, col piano cottura in acciaio e un 80 pollici piazzato in salotto.
Io era già tanto se avevo un gabinetto non intasato.
"Dolcezza, ti squilla il telefono" ridacchiò rispondendo, prono, le gambe nude intrecciate tra le lenzuola "Sì?".
Fece una smorfia, io mi voltai dall'altra parte chiudendo gli occhi.
"No, sta dormendo... Certo, appena si sveglia gli dirò di richiamarti... Ciao"
"Chi era?" sbadigliai.
Allacciò un braccio al mio fianco mentre cominciava a far cadere una pioggia di baci sui succhiotti che mi aveva mollato lungo la spina dorsale "Liam" mugolò.
"Che voleva?"
"Non so ma sembrava preoccupato" sbottò per poi "Voltati" ordinarmi.
Obbedii e lasciai che mi baciasse mentre con le dita della mano andava a stuzzicarmi il sedere.
Alla fine, Liam non lo richiamai.

"Non bevo caffè".
Mi voltai alzando le sopracciglia "Tanto meglio per me".
Si morse le labbra "E allora lo bevo. Un pochino" sospirò, sibillino.

Aprile passò senza intoppi.
Grazie a Nick mi ripresi quanto bastava, anche se mi allontanò dagli altri.
Venni a sapere da Niall che Liam mi avrebbe tanto voluto come testimone di nozze oltre a lui e Zayn. Quasi piansi dalla gioia rendendomi conto che presto, molto presto, un altro dei miei migliori amici avrebbe realizzato il suo sogno trasformandolo in realtà: una famiglia per la quale vivere.
Andai a trovare la mia, di famiglia.
Non portai Nick.
I gemelli piansero quando li presi in braccio.

A maggio feci il primo vero sorriso dell'anno: Zayn tornò per il matrimonio portandosi dietro Perrie e una barba incredibilmente ispida.
Non potei evitare di piangergli addosso tutte le mie frustrazioni mascherandole con la contentezza di rivederlo.
E per la prima volta nella mia vita, mi resi conto di non poter fare a meno di lui.

Andammo a noleggiare gli smoking insieme. Venne anche Nick col quale pareva stessi insieme: non seppi esattamente quando successe, stava di fatto che successe e io non mi ero di certo tirato indietro; avevo bisogno di un punto fisso visto che sembrava che tutti attorno a me avessero trovato la loro vocazione mente io ero rimasto fermo al solito punto di non ritorno o di non partenza, dipendeva sempre dai punti di vista.
Liam era su di giri ed ebbe bisogno di andare a farsi una bevuta una volta che avemmo portato gli acquisti a casa sua.
"Lee, vacci piano" sbottò Zayn.
Quanto mi era mancata la sua voce.
Liam neanche lo ascoltò ingurgitando mezzo boccale di birra con una sola alzata di gomito "Ah!" gracchiò strizzando gli occhi "Ci potrei morire in questo pub, lo giuro".
Niall rise battendogli una pacca sulla spalla "E noi ti faremmo un funerale coi fiocchi, amico".
“Vi voglio bene, ragazzi!” rise ad alta voce, poi afferrò Niall per un polso e lo trascinò al bancone.
Zayn ci guardò, attento "Allora, com'è che vi siete conosciuti, voi due?".
Nick si appropriò delle mie spalle, possessivo "L'ho accalappiato grazie al mio fantastico charme" sghignazzò.
Io mi torsi le dita rimirando il tavolo "Ero ubriaco e siamo finiti a letto insieme".
Basta bugie anche nei confronti di Zayn.
Nick rise nervosamente "Ecco come rovinare una storiella avvincente. Complimenti, Loulou".
Non alzai lo sguardo su Zayn; temevo la sua delusione come nient'altro al mondo.

"Ci si vede domani per la prova generale!". La voce ubriaca di Liam non gli si addiceva per niente. Stava di fatto che non gli si sarebbe potuto volere male neanche se avesse ucciso qualcuno.
Niall se lo caricò nell'utilitaria che aveva comprato con Barbara scomparendo con un sacco di raccomandazioni e dei saluti affrettati.
Io, Zayn e Nick restammo un po' fuori, seduti sul muretto che circondava il parcheggio del pub.
"Quindi sei un volontario".
Zayn annuì godendosi la sigaretta come se non fumasse da mesi - in effetti, doveva proprio essere così.
"Lavoro in un ospedale pediatrico a Nairobi".
Respirai a fatica, tra le braccia di Nick; mi sentii stranamente soffocato.
"Dev'essere dura"
"Lo è" mormorò con un sorriso amaro, mordendosi le labbra "Non so, questa è una di quelle esperienze che ti cambiano dentro, mi capisci?".
Nick annuì ma era ovvio che non potesse capire. Nessuno avrebbe potuto farlo, nemmeno Zayn che quelle cose le aveva vissute sulla pelle.
"Insomma, quando ti muore una bambina tra le braccia per colpa di uno stupido raffreddore non puoi non chiederti il perché" sghignazzò nervosamente, torcendosi le dita come se le volesse spezzare.
Sgusciai via dall'abbraccio di Nick per inglobare lui alzandomi sulle punte dei piedi "Zay".
Si irrigidì, di primo acchito, ma bastarono pochi attimi prima che esplodesse definitivamente e si raggomitolasse contro il mio petto "Lou. Oh, Lou, tu non sai cosa ho visto, quante volte l'ospedale è rimasto senza corrente o senza farmaci e l'unica cosa che potevamo fare era vederli morire tutti. Tutti morti, uno dopo l'altro" pianse "E a cosa servivamo, noi? A cosa se non a seppellirli? A niente, cazzo!" bestemmiò singhiozzando.
Tremai sotto il peso della sua debolezza ma non mi spezzai del tutto; per una volta che era lui ad avere bisogno di me non mi sarei tirato indietro.
Gli baciai la testa sotto lo sguardo preoccupato di Nick mentre Zayn si calmava e si scusava per quel suo sfogo non programmato.
"Ti chiamo dopo" gli sussurrai una volta che lo avemmo accompagnato in macchina.
Lui annuì con le lacrime agli occhi.
"Ehi, ce la fai o ti serve un bicchiere d'acqua? Posso andare a prenderne uno al pub" gli disse Nick.
Zayn lo guardò implorante "Grazie" sussurrò.
Sospirai e baciai la guancia del mio ragazzo prima di "Grazie, Nick" mormorargli all'orecchio.
Lui mi strizzò l'occhio scompigliandomi i capelli "Non può guidare in queste condizioni. Intanto cerca di calmarlo o mi toccherà prendere la macchina e riportarlo a casa, e 'sta notte avevo voglia di stare in po' con te".
Annuii. Mi baciò con dolcezza prima di dileguarsi.
Entrai al posto del passeggero sedendomi accanto a Zayn, accartocciato sul volante.
Non seppi che fare quindi mi risolsi ad abbracciarlo e lasciare che mi inumidisse la giacca "Lou, scusami. Ti ho rovinato la serata".
Appoggiai la guancia ai suoi capelli "Tranquillo. Io e Nick non facciamo altro che fare sesso. Per una volta che ho la possibilità di non farlo direi che dovrei ringraziarti".
Sorrise ma non sembrava felice "Ma lui ti piace davvero? Insomma, sai che intendo".
Sospirai "Sì".
Si staccò da me guardandomi negli occhi "Tu non la smetterai mai di mentire, eh?".

Ero stanco quando arrivammo a casa. Non solo le membra parevano pesarmi sulle articolazioni ma anche la testa era piena di emozioni che non avevo ancora avuto modo di esternare.
"Ah, guarda che capelli" si lagnò Nick passandosi con rabbia la mano sul ciuffo, studiandosi allo specchio del bagno.
Mi buttai a letto accendendomi una sigaretta, osservandolo pettinarsi convulsamente.
A volte avrei voluto riempirlo di botte, poi mi ricordavo dei venti centimetri che aveva in più di me, e allora me ne stavo al mio posto.
"Che senso ha sistemarsi ora?" sbottai "Tanto devi venire a letto".
Si voltò con un ghigno "L'hai detto, Loulou. L'hai detto".
Prima che potessi accorgermene venne davvero sul letto, o meglio lo fece tra le mie gambe prima di addormentarmisi addosso.
Lo scrollai sgusciando via dalla sua presa morta e mi accesi una sigaretta buttandomi sul divano, nudo come mia madre mi aveva concepito.
Fuori dalla grande finestra del salotto, Londra splendeva come una stella incastonata nel deserto; non riuscivo a capacitarmi che una città simile riuscisse a togliermi il fiato.
Ma forse non era la città in sé ad avermi strozzato bensì l'individuo che fece capolino dalla porta principale, camminando in silenzio ma senza prestarci troppa attenzione, una piccola chiave in mano e un borsone nell'altra.
Lasciai cadere la sigaretta sul mio ventre. Neanche mi accorsi del dolore: ogni neurone era concentrato su quel corpo sinuoso che si appropriava di spazi che sembrava conoscere alla perfezione, muovendosi al buio come il gatto che era.
Non si accorse di me. Sgusciò soltanto al piano di sopra.
Io restai a guardare il vuoto finché gli occhi non cominciarono a bruciare, esattamente come l'aria della città che, una volta vestitomi in fetta e furia, respirai prepotentemente come se non potessi farne a meno.
Quello che aveva in testa era uno dei miei foulard.

Sapevo di non essere solo io il centro del suo mondo fatto di silenzi e chilometri. Era un'ombra, lui, una di quelle che bastava un soffio di luce e si proiettavano su una superficie lontana anni luce da quella appena lasciata.
Io sarei anche potuto non essere il solo per lui, ma lui lo era per me.

Il mio cellulare continuò a squillare insistentemente per tutto il giorno.
Mi dispiacque da morire per le prove della cerimonia ma...
Ma.

Tornai al mio appartamento verso mezzogiorno, raccatti un po' di cose e presi il primo treno per Doncaster.
Non riuscivo a smettere di piangere, maledizione.

Mia madre mi accolse piena di preoccupazione.
"Boo, si può sapere che ci fai qui? Oggi non c'erano le prove?" mi chiese spaventata quando mi raggrumai contro il suo petto, piangendole addosso la mia confusione.
"Mamma".
Non mi chiese più niente. In compenso quando mi accompagnò in camera mia, prese il mio telefono e fece un paio di chiamate.
La ascoltai parlare in corridoio mentre accorreva al pianto di uno dei gemelli nascosti nella camera adiacente alla mia.
Mi alzai e frugai nella cassetta dei medicinali nascosta dietro lo specchio del bagno. Ingurgitai un paio di sonniferi e me ne tornai a letto.

"Da quando ti conosco sogno in verde"
"Da quando ti conosco ho i capelli in ordine".

Mi svegliai il giorno dopo con un assurdo mal di testa e le lacrime incrostate sulle guance.
Era presto, neanche le sei, quindi feci il più piano possibile mentre mi davo una sistemata e sgusciavo in silenzio nella camera dei gemellini.
Dormivano entrambi, ognuno nelle sua culla, Doris con una deliziosa fascetta rosa in testa, Ernest con un cappellino azzurro.
Sorrisi a quella visione, dimentico di qualsiasi cosa non fossero quei due splendidi visini paffuti dispersi in chissà quale sogno.
Allungai un dito e lo feci sfilare lungo la fronte di Doris. Mosse la mano come presa da uno spasmo per poi tranquillizzarsi di botto.
Mi sembrava di essere tornato bambino quando, una dopo l'altra, le mie sorelle mi avevano fatto diventare ogni volta sempre più responsabile e curioso, e arrivato a quel punto, ventitré anni di stupidaggini e fissazioni da psicopatico, forse sarebbe stata ora di smetterla con le cazzate una volta per tutte.

Restai in quella cameretta tutta fronzoli e odore di borotalco finché Ernest non cominciò a piagnucolare seguito a ruota dalla nostra sorellina.
Sorrisi perché per la prima volta smisero entrambi di piangere non appena li presi in braccio, mia madre sul ciglio della porta a osservarci piena di commozione coi capelli appiccicati alla guancia e uno sbadiglio sulle labbra.

"Mamma, siamo in ritardo!". Lottie correva da una parte all'altra della cucina col telefono tra le mani e lo zaino in spalla.
Felicite la seguiva a ruota, un pancake a penzolarle dalla bocca piena di lucidalabbra.
Le gemelle invece sembravano più tranquille, contente di avermi lì a colazione. Mia madre si destreggiava tra i fornelli con Ernest tra le braccia mente io mi gingillavo con Doris che avevo scoperto adorasse la mia lingua, sicché non avevo fatto altro che tirarla fuori per tutta la mattina.
"Andate a sedervi in macchina. Arrivo subito"
"Le porto io a scuola" proposi.
"Mi basta arrivare in orario!" stridette Fizzy "Oggi è il giorno della foto".
Mia madre si voltò, implorante "Mi faresti un gran favore, Boo".
Le sorrisi "Non c'è problema".
Lottie sbuffò "Andiamo?".
Le gemelle si alzarono repentinamente tirandomi per la maglietta "Andiamo?" le fecero il verso.
Fizzy si mise a ridere mente Lottie le guardò scocciata.
Sospirai, contento, lasciando che mia madre mi desse un bacio in fronte prima di appropriarsi anche di Doris "Dopo parliamo un po'".

Accompagnai prima Lottie e Fizzy, poi guidai fino alla scuola elementare. Daisy e Phoebe mi salutarono con un bacio prima di dileguarsi.
Mi era mancata quella confusione, quelle voci, quei sorrisi.
E pensare che negli ultimi anni non avevo fatto altro che concentrarmi su speranze senza volto, lasciandomi crollare in basso.
Scossi la testa e mi accesi una sigaretta.
No, non avrei più lasciato a nessuno la capacità di influenzare la mia vita, benché meno a lui.
Finito di fumare mi rimisi in marcia verso casa facendo un giro estremamente largo, così assorto nella guida da non accorgermi neanche della jeep parcheggiata nel nostro vialetto.
Solo quando scesi dalla macchina mi resi conto che quelle speranze non avrebbero mai e poi mai smesso di battere alla mia porta perennemente aperta.

"Mamma?".
Un vociare acceso invadeva il salotto.
Mia madre sbucò fuori con un sorriso "Ci sono i tuoi amici".
La gola si chiuse.
Feci un bel respiro e tentai di non stringere troppo i pugni.

"Sei uno dei migliori".
Aggrottai la fronte "Che vuoi dire?".
Fece spallucce, la testa sul mio ventre, il viso rivolto al soffitto come se ne stesse studiando le crepe "Che sei bravo"
"Bravo a letto?"
"No. Con me". Torse il collo e mi sorrise "Sei troppo buono con me, Louis".
Non capii mai cosa volesse dire ma mi parve un bel complimento, nonostante sotto il punto di vista affettivo mi avesse appena paragonato ad altri.

Amici un cazzo.
Nick non era mio amico. Forse non era neanche il mio ragazzo. E perché stava tenendo in braccio mio fratello?
E Zayn, poi. Zayn era la mia anima, non un semplice amico.
Perdonai mia madre, comunque; non l'avevo informata bene e poi aveva salvato Ernest dalle grinfie di Nick con la scusa di dover sbrigare delle faccende al piano di sopra.
"Che volete?".
Si guardarono: Nick sembrava pentito mentre Zayn estenuato.
"Nick mi ha detto cos'è successo"
"Ti giuro, non credevo sarebbe tornato. L'ho mandato via appena mi sono svegliato, Lou. Io gli avevo detto di non farsi più vedere!".
Voltai la testa; non volevo guardarlo "Ma l'ha fatto"
"Sai com'è lui, Louis! Non puoi prevederlo, è impossibile!"
"Aveva la chiave del tuo appartamento" sibilai torcendomi le dita "Come hai fatto?".
Mi guardò, scombussolato.
Sospirai "Come hai fatto a dargliela?" ripetei, calmo.
"In che senso? Gliel'ho data e basta".
Battei il pugno sul tavolo fin quasi a spezzarmi i tendini "Come cazzo hai fatto a fargliela prendere, eh?!" ringhiai.
"Lou" mi richiamò Zayn alzando una mano verso di me "Sta' calmo"
"No che non sto calmo!" mi alzai passandomi nervosamente le mani tra i capelli "Questo cazzone è riuscito a dargli le chiavi e io no, Zay! Perché io no? Cos'ha lui in più di me? Cosa ci ha visto lui in Nick?".
Il sapore della catastrofe ormai si respirava nell'aria. Nick abbassò il capo, sconfitto, mentre Zayn, diviso tra due fuochi, non poté far altro che stringermi tra le braccia, in silenzio, a raccogliere per l'ennesima volta le mie lacrime.
"Vado in macchina" ci informò Nick prima di accarezzarmi la testa, forse per l'ultima volta.

"Nick, mi dispiace. Ti prego, guardami!". Piangevo battendo le dita sul finestrino dell'auto.
Zayn parlava con mia madre spiegandole la situazione. Mi sarei vergognato, più tardi, ma in quel momento ogni singola fibra del corpo era concentrata su Nick e sul grosso senso di colpa che rischiava di strozzarmi.
Non aveva neanche la forza di insultarmi e credevo di meritarmela, quell'indifferenza, anche se faceva dannatamente male.
Ad un certo punto ebbi l'impressione che sospirasse e pochi secondi dopo si decise ad abbassare il vetro "Louis, smettila. Ti stai rendendo ridicolo".
Singhiozzai appoggiandomi alla portiera con le mani "Scusami. Scusami, Nick. Non volevo dire quelle cose, ho sbagliato"
"Sì, hai sbagliato. Hai sbagliato a metterti con me. Dio, quanto sono stato idiota" si batté una mano sulla fronte, ridendo "Sapevo non mi amassi ma non credevo fossi così fottutamente stronzo".
Scossi la testa "No. No, Nick. Ti amavo, ti ho amato davvero, te lo giuro".
E mi sorrise, un sorriso simile alla lama di un coltello quando "Ma quanto puoi essere bugiardo? Patetico. Patetico e bugiardo, ecco cosa sei e cosa sei sempre stato" sibilò lasciandomi colare a picco senza più possibilità di tornare in superficie.

Me ne stetti tra le braccia di Zayn per più di un'ora, seduti sotto il vecchio albero dell'altalena.
Nick restò in macchina per tutto il tempo, avvolto dal silenzio, senza mai guardarmi neanche una volta.
"Tra cinque giorni torno in Kenya".
Mi staccai dal suo petto per poi riaffondarvici ancora più insistentemente di prima, piangendo come neanche un neonato avrebbe saputo fare.
"Cinque giorni" singhiozzai "Come faccio?".
Mi strinse accarezzandomi la schiena "Devi mettere la testa a posto, Lou. Lo devi fare per noi, mh?" mormorò pianissimo "Tra poco non ci sarà più nessuno, mi capisci?"
"Cosa?"
"Liam e Sophia si trasferiscono in Irlanda, a Connor, dopo la laurea di Lee. Hanno preso in affitto un appartamento in centro per stare più vicini alla sorella di Soph che è in un brutto periodo" mi baciò la testa, attutendo il peso delle informazioni "Niall e Barbara vanno a New York quest'estate. Lei ha trovato lavoro in una buona agenzia di moda e Nialler non la vuole lasciare da sola" sospirò "E io e Perrie resteremo in Africa per due anni".
Mi sembrò di morire, di sgretolarmi pezzo per pezzo come se fossi fatto di cocci rotti mal trattenuti.
E niente, neanche i miei due nuovi fratellini avrebbero potuto farmi sentire meglio.

Nick pranzò con noi.
Salutai le mie sorelle e mia madre che mi fece promettere di richiamarla quella sera stessa. Ernest e Doris dormivano già quando Mark tornò dall'ufficio giusto in tempo per raccomandarsi con me.
Il viaggio in macchina fu silenzioso. L'aria era tesa come non mai e ad ogni metro che ci avvicinavamo a Londra, sentivo le budella contorcersi dal nervosismo. Zayn dovette fermarsi o gli avrei vomitato sui sedili. Nick mi tenne la testa; l'aveva già fatto altre volte ma mai come quella mi sembrò uno sconosciuto.
Perché avevo intrapreso quella relazione con lui, io davvero non lo sapevo. Stava di fatto che in quel momento, oltre a sentirmi male per gli altri, mi sentivo in debito anche con lui, e io non credevo sarei riuscito a sopportare tutto quel peso da solo.
Quando arrivammo sotto casa di Nick feci per seguirlo ma lui mi bloccò "No, Loulou"
"Ma io-".
Scosse la testa con un sorriso "Finiamola qui. Era... Era solo sesso. Va bene così".
Ripresi a piangere raggrumandomi contro il suo petto. Mi strinse baciandomi la testa, mettendoci poca passione.
"Mi dispiace". Quelle furono le ultime parole che rivolsi a Nick.
E anche se avrei tanto voluto fossero vere, non lo erano per niente.

"Sicuro di voler stare a casa?" mi chiese, impensierito "Davvero, Lou, non c'è problema. Puoi dormire sul divano, almeno per 'sta sera. Non credo Perrie si farà problemi".
Scossi la testa senza avere il coraggio di abbracciarlo "Grazie di tutto, Zay, ma non voglio darvi altre rogne".
Sospirò cercando di sorridere "Chiama tua madre. E domani tieniti pronto per le nove. Andiamo a fare colazione insieme".
Annuii senza convinzione.

"Cosa significano queste?"
"Che voglio essere libero"
"Come una rondine?".
Lui annuì.
"Ne hai fatte due"
"Sì"
"Perché non una sola?".
Sospirò prima di chiudere gli occhi e parlarmi a cuore aperto per la prima volta "Spero di trovare qualcuno, un giorno, che mi faccia sentire libero".
Sorrisi "Una persona speciale".
Lui annuì "Una piccola persona speciale".
Fu in quel momento che mi guardò e io mi resi conto che la mia persona speciale era esattamente dove doveva essere: accanto a me.

Ci volle un po' prima che mi decidessi a scendere per la colazione.
Appena vidi Liam gli sbrodolai addosso scuse su scuse per aver marinato le prove del matrimonio.
Lui mi abbracciò con semplicità "Mi basta che tu abbia chiuso con quel coglione".
Niall e Zayn sorrisero di rimando non appena cominciai a singhiozzare complimentandomi per le loro scelte di vita.
La verità era che ero disperato ma non glielo dissi, ovviamente.

Al matrimonio c'erano un sacco di persone. Mi divertii, dopotutto, anche perché Liam e Sophia avevano pensato bene di allestire un open bar durante il ricevimento.
Liam, come da copione, pianse mentre Sophia stretta in quel bellissimo abito bianco, si limitò a prenderlo in giro per la troppa emotività.
Alla fine pianse anche lei durante il primo ballo, ma lo fece contro la sua spalla, in segreto.
Io li guardai ballare e mi risolsi a trovarli bellissimi, impeccabili, perfetti l'uno per l'altra come lo Ying e lo Yang.
Mi sarebbe piaciuto, un giorno, trovare un amore come il loro.
Nel frattempo mi limitai a studiare i miei amici, ognuno stretto alla sua dolce metà mentre, triste e solo, buttavo giù l'ennesimo drink della serata.
Si prospettava una lunga estate.

Zayn e Perrie partirono quatto giorni dopo il matrimonio.
Aveva una metà del mio cuore, lui.
L'altra metà ce l'aveva Harry.

Liam si laureò a metà giugno, esattamente dopo due settimane dal matrimonio.
Ci ubriacammo tanto alla sua festa, io e lui. Mi rivelò di sentirsi male ad abbandonarci tutti.
Io lo tranquillizzai anche se la mia vena egoistica continuò a martellarmi in testa ordinandomi di implorarlo di restare o al limite, di portarmi via con lui.
Due giorni dopo Liam e Sophia si trasferirono a Connor lasciandomi un buco nel petto che mi parve incolmabile.

Mi godetti Niall e Barbara fino ai primi di luglio quando, ultimi ma non meno importanti, lasciarono Londra per partire oltreoceano.
Credevo sarei riuscito a non piangere, e invece eccomi lì, a stringere tra le braccia uno dei miei migliori amici, a sperare di poterlo rivedere il più presto possibile, a convincermi che nonostante fossi stato totalmente solo, me la sarei cavata.
Fui in grado di mentire persino a me stesso, incredibile.

Mi girai su un fianco osservandolo negli occhi "Che ci trovi in me?".
In un primo momento sembrò confuso, poi però sorrise rubandomi un altro pezzetto di anima "Non saprei... Tutto".
Sgranai gli occhi prima che lui "E niente" aggiungesse letale.

Avrebbe dovuto rispondermi semplicemente niente. Niente, perché era il niente assoluto ciò che diventai da quel luglio in poi.

§ § §

Non ricordavo molto di quel periodo.
C'ero io, c'erano molti sconosciuti, tante sigarette, litri di alcol, piogge di polveri e una miriade di pillole. Feci cose che rimpiansi il giorno dopo e che la notte stessa rifeci con sempre maggior foga, dissi cose per le quali mi pentii amaramente pochi secondi dopo aver aperto la bocca e persi del tempo che non avrei più riavuto indietro.
Conobbi nuove persone e rividi Nick. Mi sembrò felice: ora stava insieme ad un ragazzetto per metà italiano con la smania per i bei vestiti.
Eleanor mi telefonò verso la fine di agosto. La storia assieme all'amore della sua vita non sembrava aver funzionato. La consolai dicendole che lui non la meritava, che lei poteva avere di meglio, e la notte dopo la chiamata facemmo sesso.
Eravamo tristi e insieme trovammo una spalla su cui piangere dopo esserci abbandonati all'amplesso, niente di più.
Piansi tanto, in quel periodo, a cavallo tra agosto e settembre: mi mancavano i miei amici, mi mancavano le serate passate insieme, mi mancavano le loro voci, i loro profumi, il loro affetto.
Mia madre venne a trovarmi assieme a Mark la seconda settimana di settembre. Credettero mi fosse venuto un cancro o qualcosa del genere da com'ero deperito.
Spiegai loro che era colpa del solito stress e dei miei nervi deboli. Loro non ci credettero ma mi lasciarono perdere com'era giusto facessero e come io speravo si risolvessero a fare.
Non volevo più essere un peso per loro ma non avevo intenzione di smettere di esserlo per me stesso.

A metà ottobre parlai per la prima volta a cuore aperto di Harry a Eleanor.
Lei mi ascoltò con pazienza, nuda, con la mia testa sulle cosce e una sigaretta tra le dita.
"Sembra ti piaccia proprio tanto, questo Harry".
Chiusi gli occhi e piansi in silenzio, reprimendo qualsiasi voglia di risponderle: non volevo ricordarle che per quanto mi riguardava, lei non avrebbe mai avuto il primo posto.
Sapevo quanta sofferenza portasse la consapevolezza di non essere abbastanza, per questo dopo essermi sfogato, facemmo di nuovo sesso tra le lenzuola sporche del mio letto, e questa volta cercai di non immaginarmi un altro corpo rispetto a quello che si trovava sopra di me in quel momento.
Ovviamente fu tutto inutile.

Niall mi chiamò per la fine di ottobre. Andava tutto bene, Barbara aveva riscosso grande successo e lui aveva scoperto la sua vera passione: la cucina.
Sembrava davvero felice, per questo quando mi chiese come andava gli dissi che non doveva preoccuparsi.
Non avevo voglia di rovinargli la giornata e poi io ero un bugiardo cronico, no?

Le lettere di Zayn arrivavano a fiumi.
Non ne aprii mai neanche una ma le conservai gelosamente in una bella scatola di legno.
Avrebbe fatto troppo male sentire il suo profumo sulla carta.

Toccai il fondo il 4 dicembre quando per la seconda volta in quasi tre anni, provai ad ammazzarmi.
Usai una valanga di sonniferi misti ad un bel po' d'alcol, un cocktail perfetto ad avviso di internet.
Non funzionò; evidentemente la vita non aveva ancora intenzione di scollarsi da me. Eleanor riuscì a chiamare l'ambulanza prima che riuscissi a varcare per sempre quel bellissimo tunnel dal sapore agrodolce di un paio di labbra da pesce.

Mi mandarono in un centro di riabilitazione, ovviamente a spese di Mark. Ero uno psicopatico, mi sarei meritato di peggio.
Quei ventiquattro anni furono molto tristi: non potendo vedere amici e familiari per un periodo minimo di 28 giorni, era implicito che avrei passato quella vigilia completamente in solitaria, e mi sarebbe anche potuta andare bene - occhio non vede, cuore non duole, dicevano - se solo la depressione non fosse tornata più prorompente e vigliacca che mai, tanto che i medici mi permisero di ricevere una visita tra natale e il 30 dicembre.
Non volevo che qualcuno mi vedesse in quelle condizioni, coi capelli arruffati che a volte cadevano a ciocche e la pelle a circondare le ossa simile ad un sottilissimo panno bagnato, eppure qualcosa dentro di me, una sensazione piacevole molto simile ad uno sfarfallio, mi spinse ad accettare.
Neanche diciotto ore dopo, mi ritrovai con Doris tra le braccia, grande, molto più bella di come l'avevo lasciata, ed Ernest a giocare ai piedi del mio letto.
Mia madre ci guardava con le lacrime agli occhi affiancata da Liam, tornato grazie ad una telefonata da parte di Jay.
E c'era una tensione incomparabile dietro i loro visi, eppure tutto ciò che riuscii a fare fu godermi quei due splendidi gemellini finché una donna del diavolo, la solita infermiera dal grugno canino, non infranse la mia personale bolla di tranquillità "Gli orari delle visite sono terminati". Si dileguò neanche fosse stata una creatura sovrannaturale.
Sospirai e passai mia sorella a mia madre e mio fratello a Liam.
"Oh, amore". Raccolsi un po' di lacrime materne, le peggiori in assoluto alle quali trovare una scusa "Appena i medici ci permetteranno di farti visita ti porterò le altre"
"No" dissi, repentino "Mamma, no" ripetei più calmo "Non voglio che mi vedano così. I gemelli sono piccoli, non riescono ancora a capire. Davvero, mamma, non sopporterei che Lottie o Fizzy...".
Infelice, abbattuto, sconfitto dalla mia stessa malattia, abbassai il capo stringendo i pugni lungo i fianchi.
Mia madre si mise a piangere di nuovo e dovetti consolarla finché l'infermiera canide non venne a brontolare nuovamente nella mia stanza.
Fu il turno di Liam di guardarmi deluso ma allo stesso tempo pensieroso, tanto che la vergogna che provai standogli di fronte mi sembrò conficcarsi di prepotenza contro il mio stomaco.
Avrei vomitato, quella notte.
Eppure non disse nulla di offensivo o di strappalacrime, no. Semplicemente mi abbracciò facendo attenzione a non schiacciare mio fratello tra nostri petti.
E fu il mio turno di piangere, tanto che ad un certo punto credetti di morire disidratato.
Mi baciò la testa stringendomi forte al suo fianco libero "Prendi" disse rifilandomi un biglietto spiegazzato.
Aggrottai la fronte, confuso.
Lui sorrise "Me l'ha dato la tua amica, Eleanor. Ha detto che crede di aver trovato una soluzione al tuo problema. Sembrava importante" disse soltanto prima di abbandonare la stanza assieme a mia madre e ad un ringraziamento che morì quel giorno stesso assieme alla voglia di continuare a stare chiuso lì dentro:

H.S.
Victoria Street A302
Appartamento giallo, terzo piano
L'ho trovato!!
Ti conviene farci un salto appena sarai libero :)
E. xx

L'unica chiamata mensile che mi era stata concessa la usai per chiamare Eleanor.
Non credevo di essere mai stato più grato a qualcuno in vita mia.

Restai al centro più tempo del previsto. Nonostante facessi sedute su sedute e mi imbottissero di tre tipi diversi di psicofarmaci faticai molto a tornare in sesto.
Andava alla grande per qualche giorno, poi tornavo giù ed era sempre colpa degli stessi pensieri: amici lontani, famiglia alla quale non avevo fatto altro che recare delusioni, e il vuoto lasciato da lui.
Lui c'era sempre, in un modo o nell'altro, ma il Tavor aiutava a sbiadire il colore dei suoi occhi tanto che a volte mi pareva di aver dimenticato il suo viso.
Eppure quel biglietto, il Biglietto, non aveva mai smesso di riposare sotto il mio cuscino, ricolorando i miei sogni di quel verde che nonostante tutto non avrebbe mai smesso di riempire il buco nel mio petto.

Avevo la gola secchissima non appena misi piede fuori dalla struttura.
Avevo pregato mia madre di non far venire nessuno eppure sembrava non mi avesse ascoltato. Però dovevo ammettere che ricevere un abbraccio a otto braccia nel bel mezzo di febbraio fu piacevolmente scaldante, soprattutto se questo proveniva dalle mie sorelle.
"Boo, qui c'è qualcuno che vorrebbe vederti".
Mi avvicinai alla macchina di mia madre e per poco non scoppiai in lacrime: Doris ed Ernest erano grandi, ormai, un anno e qualche giorno di vita alle spalle eppure già le bocche piene di parole malformate e discorsi senza senso.
"Ehi" soffiai dal finestrino, le lacrime ormai alle porte.
Loro si voltarono studiandomi con un cipiglio attento. "Ciao" gli dissi alzando timidamente la mano.
Doris sorrise alzando la manina e sventolandomela davanti al naso mentre Ernest cominciò a farmi il verso, ridendo come se non riuscisse più a fermarsi.
Tirai su col naso prima di sentire le gemelle avvinghiarmisi alle gambe "Boo, ci sei mancato" piagnucolarono.
"Anche voi". Le strinsi abbassandomi sulle ginocchia "Anche voi".

"Tieni". Mi sporse la lettera.
Sospirai e la presi, rigirandomela tra le mani.
"Non sono sicuro".
Mia madre sorrise bevendo dalla tazza di tè bollente, rannicchiata sul divano "Pensaci su, Boo, mh?" mormorò prima di accarezzarmi la testa "Hai dei buoni amici, tesoro. Non buttare via tutto per paura che non possano perdonarti".
Aspettai al buio delle due di notte per un po' prima di decidermi ad aprire quella maledetta lettera spiegazzata e rovinata proveniente dal Kenya.

Ciao, Louis
Lou, ormai non so più che inventarmi per ricevere una tua risposta. Me la sono messa via; Liam e Niall sembrano più propensi di te a scrivermi ma non è la stessa cosa e anche se vorrei sentirti, tentare di decifrare la tua orribile scrittura, mi sono fatto bastare i loro resoconti.
Dire che non dormo da mesi per colpa tua, per colpa della preoccupazione di non sapere se è perché sei morto che non mi rispondi, sarebbe un eufemismo.
Non va bene, Lou. Non va affatto bene, ma credo tu lo sappia, no? E scusami, ma sei un vero stronzo, porca puttana.
Prenderei un aereo solo per riempirti di botte, cazzo.
Ce l'avevi promesso, Louis. Ci avevi promesso che sarebbe andato tutto bene anche se non fossimo stati lì. Ci avevi promesso che avresti saputo cavartela, che non ci avresti delusi, che ci saresti stato anche per la tua famiglia.
Egoista. Bugiardo. Te lo giuro, in questo momento credo di non aver mai odiato nessuno come sto odiando te.
E se non ci fosse stata Eleanor che sarebbe successo? Saresti morto, ecco cosa sarebbe successo. Cosa credi avrebbe fatto tua madre? Cosa credi avremmo fatto noi? E le tue sorelle? E i tuoi fratellini?
Cristo, ora dovrei essere in reparto e sono qui a farti la predica. Ma quanto posso tenere a te, dimmelo, Louis, quanto? E questo dovrebbe farti sentire ancora peggio ma anche se sarebbe giusto lasciarti affogare nella merda in cui ti sei buttato da solo io non ci riesco, Lou. Io, ti giuro, non posso saperti chiuso in qualche stanza d'ospedale senza sentirmi una merda. Perché è così che ci fai sentire tutti quanti, delle merde.
E anche se è sbagliato, io non riesco a non pensare di averti abbandonato. Non è stupido?
Non so darmi pace, Lou, e credimi se ti dico che ho quasi rotto con Perrie per colpa tua di questa storia.
A cercare una soluzione spreco più tempo di quanto possa perderne, e non posso davvero permettermi di avere la testa altrove quando sono richiesto qui. Insomma, ho tutto ciò che ho sempre voluto, una ragazza splendida, dei bambini da aiutare, un futuro incerto e perfetto, eppure mi sembra di aver lasciato qualcosa lì, di aver sprecato un'opportunità irripetibile abbandonandoti a Londra.
E non ti sto parlando di amore o che altro non so neanche di cosa si tratti...
Una zanzara mi ha appena punto la mano. Che sia un segno? Forse dovrei smetterla di perdere tempo e riprendere a lavorare. Sono davvero grosse qui, le zanzare. Te l'avevo già scritto in un'altra lettera ma molto probabilmente non l'avrai neanche letta, eh?
Spero risponderai perché io davvero non posso più leggere di quanto tu stia male da una calligrafia diversa dalla tua.
Rispondi, Louis.
Voglio smetterla di preoccuparmi sentirti dire che stai bene, che ce la stai facendo, che non ti stai buttando via come il coglione che non sei e lo voglio leggere da una lettera che sa di te.
Ciao, Lou.
Con affetto, Zayn.

Il giorno dopo Lottie e Toby mi accompagnarono ad imbucare una lettera.
Io avevo ancora gli occhi umidi dalla notte appena trascorsa, mentre lui sembrava esaltato: aveva trovato una lumaca lunga quanto il suo indice.

Era metà marzo quando trovai un impiego in un'agenzia di vendita.
Ero migliorato molto in quel periodo e avevo ripreso a divertirmi con moderazione. Niall e Barbara tornarono i primi di marzo per farci una visita e ne approfittammo per chiamare anche Liam e Sophia. Invitai anche Eleanor, bisognoso di sentirla stabile quanto lo ero io. Fui felicissimo di vederla splendida e in salute, anche perché se non lo fosse stata non avrei potuto stritolarla in quell'abbraccio ricolmo di gratitudine.
Non avevo dimenticato il biglietto ma non mi sentivo ancora pronto a riaprire vecchie questioni.
In ogni caso "Come hai fatto?" le chiesi una volta rimasti soli in cucina.
Lei sorrise "Ti volevo bene. Ho reagito di conseguenza".

Le lettere di Zayn diventarono meno frequenti nonostante gli rispondessi non appena il postino le infilava nella cassetta in acciaio. Faceva un vita dura ma era quello che aveva sempre desiderato e per questo non perdevo mai l'occasione di fargli sapere quanto fossi fiero di lui e quanto orgoglio provassi a raccontare alle mie sorelle delle sue imprese.
Passai molto tempo a casa; non volevo perdermi neanche un attimo della crescita repentina dei gemelli. Mia madre era felice di avermi lì, soprattutto perché a breve Lottie si sarebbe diplomata e dopo l'estate sarebbe partita per gli USA per frequentare oceanografia alla UM di Miami.
Mi sarei goduto anche Lottie, questo era poco ma sicuro, anche se adesso stentava a prestarmi attenzione, divisa tra le amiche, Toby e la prospettiva di un futuro più che roseo.
Sarei stato l'unico a non aver trovato la propria strada, ma sorprendentemente, quella consapevolezza non mi pesò poi più di tanto.
Certo, c'erano momenti bui e giorni no ma avevo imparato a combatterli e a rialzarmi, anche perché adesso sentivo che qualcosa per cui lottare doveva pur esserci, qualcosa in cui credere doveva esistere anche se non avevo ancora individuato cosa realmente fosse.

"Porca puttana" sibilai con gli occhi sgranati.
Liam annuì mordendosi le labbra. Stava lacrimando "Eh, già. Sembra che diventerò papà".
Mi diedi lo slancio e lo avvinghiai tra le braccia, baciandogli la testa mentre lui cominciava a ridere nervosamente "Lou, me la sto facendo sotto"
"Ma smettila" sghignazzai "Si sta parlando di te, Lee, il ragazzo più premuroso e gentile del mondo. Stai sereno, andrà tutto alla grande, ne sono sicurissimo".
Sospirò con un sorriso "Si vedrà".

Io ed Eleanor restammo molto insieme, quella primavera. Non facemmo più sesso e fu una mia decisione, una delle migliori mai prese in vita mia, persino; non mi aveva dimenticato e non l'avrebbe mai fatto, per questo volevo evitarle il più possibile la sofferenza del rifiuto. Non avrei sopportato di creare la stessa situazione che avevo vissuto io, perché sapevo quanto potesse far male la consapevolezza di non rappresentare niente di più che un amico, nel mio caso un passatempo.
E come la sua attrazione nei miei confronti non si sarebbe mai spenta, neanche la mia nei confronti di lui non sarebbe mai scomparsa, e c'era da dire che la questione del biglietto non era ancora chiusa del tutto.
Per questo ci ritrovammo a parlare proprio di Harry, una sera di inizio maggio, stesi sul mio letto con una sigaretta a testa e il bisogno di sfogarci a comprimerci gli stomaci.
"Ci hai più pensato?".
Per tutta risposta tirai fuori il portafoglio dalla tasca dei pantaloni e le mostrai il fatidico pezzo di carta "Ogni giorno" lo richiusi buttandolo suo comodino "Non c'è ora che non pensi di prendere la metro e andare lì. Poi però mi mancano le parole. Insomma, ammesso che lo trovassi, cosa dovrei dirgli?".
Inspirò a fondo "Digli ciò che sappiamo tutti, Lou" mi sorrise "L'unica cosa che sembri non sapere tu".

Ci pensai più del dovuto a Harry, tanto che mi dimenticai perfino di rispondere all'ultima lettera di Zayn.

Ero irrequieto, quel giorno, e non avevo capito se fosse per la cerimonia del diploma di mia sorella o per altri motivi a me sconosciuti.
Mia madre se ne accorse, per questo mi appioppò i gemellini per tutto il giorno, sicura che loro sarebbero riusciti a strapparmi un sorriso. E fu così anche perché adoravo i discorsi di Doris sui cavalli e le piccole fissazioni di Ernest come quella di doversi sedere sempre addosso a qualcuno.
Scorsi Lottie con la toga e il tocco rigorosamente bianchi, i capelli biondi e fluenti che le ricadevano sulle spalle, gli occhi e le labbra elegantemente truccati, ormai una donna a tutti gli effetti.
Mi lasciai scappare una lacrima.
"Perché piangi?". Doris mi indicò, seduti sotto la lunga fila di alberi che circondavano il prato esterno del liceo.
Ernest mi guardò incuriosito schiacciando la mano sul mio zigomo.
"Lottie è diventata grande" spiegai.
Si voltarono verso il luogo della consegna dei diplomi, poi sorrisero "Anche tu sei grande" borbottò il mio unico fratello maschio, stringendomi la camicia.
"Più grande di Lottie" squittì Doris.
"Sei il più grande!" rise Ernest.
"Il più grande di tutti!" rispose lai buttandosi sulla mia coscia libera.
Guardai lontano, alla ricerca di mia sorella, individuandola e sentendo nel petto un'incredibile fierezza. Vidi la testa di mia madre, di Mark, di Fizzy, Daisy e Phoebe, sorridendo di pancia per poi scavalcarli, fissando gli occhi in un punto imprecisato del cielo.
Il momento di sradicare dalle loro tane i miei demoni era giunto: ero diventato grande.

Scrissi a Zayn di mia spontanea volontà. Gli dissi che mi mancava solo un'ultima cosa per rimettere tutto a posto e gli promisi che quando sarebbe tornato sarebbe stato fiero di me cento volte di più di quanto io lo fossi di lui.

Andai a trovare Liam e Sophia alla fine di giugno. Lei si stava gonfiando ma era sempre bellissima con quella fede dorata stretta all'anulare.
Avevano una bella casetta pastello ben arredata e in ordine, piacevole da vivere quanto lo erano loro.
"Chiuderò la faccenda di Harry una volta per tutte".
Liam restò un po' in silenzio prima di battermi amichevolmente una pacca sulla spalla "Non sai quanto ho aspettato per sentirti dire queste parole, Lou, tu davvero non lo sai".

Sentii Niall via Skype.
Sembrava più robusto dell'ultima volta, mentre Barbara, al contrario, mi parve dimagrita ma credevo fosse normale visto il lavoro che faceva.
Mi fecero un sacco di feste ordinandomi di andare a trovarli. Non volevo mentirgli, per questo "Si vedrà" risposi, criptico.
Sembrava che il lavoro al ristorante andasse alla grande come l'impiego di Barbara comparsa più e più volte nelle riviste di moda che leggevano mia madre, Lottie e Fizzy.
Ero felicissimo per loro, davvero. Si meritavano di vivere una bella vita.
Parlai anche a Niall della mia decisione.
Lui mi sorrise "Sei forte, Lou, ricordatelo sempre".

I primi di luglio ne parlai anche con mia madre.
Pianse buttandosi al mio collo "Oh, Lou".
Era contenta, decisamente.

La risposta di Zayn arrivò per metà luglio.
Diceva che era già fiero di me e mi ricordò che anche se era fisicamente lontano, il suo cuore era con me, come il mio era con lui.

"E con Toby che hai deciso?".
Mi sorrise "Che avrei dovuto decidere?"
"Lots, tra un paio di mesi partirai per l'America"
"Grazie per avermelo ricordato, Lou" sbottò ironica "Anche Toby frequenterà la facoltà di scienze naturali della UM" gongolò, sovrappensiero "Non sarà così facile allontanarci".
Scoppiai a ridere "No, certo".
Poi si voltò diventando improvvisamente pensierosa "E tu, invece? Mamma mi ha detto di Harry. Sarebbe una bella cosa se andassi a chiudere le questione".
Sospirai buttando gli occhi sulle gemelle che giocavano in giardino assieme ai due più piccoli "Lots, ti ricordi quella volta in cui mi dicesti che amavi Toby perché era in grado di farti perdere in lui?".
Lei aggrottò la fronte, poi schioccò le dita con un sorriso "Sì. Era il giorno in cui l'hai conosciuto".
Annuii "Posso farti una domanda?"
"Smettila di fare il misterioso e parla".
Risi, poi sospirai "Tu saresti mai in grado di chiudere per sempre una questione con l'unico individuo in grado di farti perdere in lui?".
Mi guardò attenta, in silenzio, tesa come una corda di violino.
E mi resi conto per la prima volta nella mia vita di aver ammesso davanti a qualcuno di non aver mai smesso di amare Harry alla follia.

Era agosto e faceva incredibilmente caldo, quel caldo malato che si appiccica alla pelle e fa sciogliere ogni voglia.
Fu Eleanor ad accompagnarmi.
Victoria Street A302, appartamento giallo, terzo piano. Non avrei dimenticato.
"È scrostato, non è giallo" constatai una volta che ebbe parcheggiato sotto quell'ammasso di calce e mattoni a vista ricoperto di crepe giallognole per niente invitanti.
Lei fece spallucce "Così mi avevano detto".
Mi asciugai la fronte rendendomi conto del mio nervosismo per niente rassicurante. Lei mi mise una mano sulla spalla e mi sorrise "Ehi, ce la farai. Io ti aspetto qui, okay?".
Deglutii "Okay". Mi passai le dita tra i capelli ravviandoli un attimo prima che Eleanor mi scoccasse un bacio sulla guancia "In bocca al lupo".
Pessima analogia, davvero pessima.

Non c'era un cancello esterno, quindi mi diressi direttamente al portone impolverato e bollente del condominio.
Non riuscii neanche a leggere i nomi da quanto ero in ansia e ci misi due minuti buoni prima di trovare il suo, anch'esso sbiadito come il ricordo che avevo di lui.
Prima ancora che me ne rendessi conto, il mio dito indice era già andato a schiantarsi contro quel campanello.
Attesi pochi minuti, poi passai al campanello vicino, un certo Samuels.
"Chi è?". Voce antica, logorata dal tempo e dal fumo, o forse solo storpiata dall'apparecchio mal funzionante.
"Pubblicità".
Uno scatto, ed io a spalancare quel pezzo di vetro e acciaio fino a ritrovarmi dentro un vero e proprio forno.
Le scale erano strette, sporche, asfissianti, e la luce del sole per quanto fosse intensa, non riusciva a dimostrarsi se non col solo calore.
Respirai malamente ripetendomi in testa di andare al terzo piano.
Salii, quindi, aggrappandomi al corrimano sporco per farmi forza e ricordandomi di tutta la fiducia che i miei amici e la mia famiglia riponevano in me.
Ce l'avrei fatta, ce la dovevo fare per loro, e perché no, magari anche per me.
Il pianerottolo era deserto, buio, e odorava di chiuso.
Due porte una di fronte all'altra riposavano in silenzio come lapidi dimenticate. Non c'erano nomi o indizi, quindi mi buttai su quella a sinistra.
Bussai.
Il rumore gracchiate di una radio mi invase le orecchie assieme ad una puzza ristagnante quando una vecchietta aprì la porta.
Sgranai gli occhi.
"Sì?" borbottò, squadrandomi infastidita. Aveva l'aria di una che nascondeva un fucile sotto la vestaglia.
Mi ricomposi in fretta "Cerco Harry Styles. Abita qui?".
Fece un verso schifato "Che sei, tu? Un frocio come lui?".
Mi si strinse lo stomaco "Sono un suo amico".
Alzò un sopracciglio, per niente convinta, per poi indicarmi l'altra porta col naso "Quello abita lì"
"Oh" sussurrai, voltandomi "Sa se ora è in casa?"
"E come potrei?" sbottò.
Le feci un sorriso di convenienza "Grazie e scusi del disturbo"
"Bah" grugnì prima di sbattermi la porta in faccia.
Silenzio.
Avrei di certo vomitato se solo non avessi avuto il vuoto più totale nello stomaco.
Sospirai passandomi per l'ennesima volta la mano tra i capelli, chiedendomi se tutto quello fosse giusto. D'un lampo mi passarono davanti agli occhi gli ultimi anni e quell'orribile nero mi spinse a bussare alla sua porta con più decisione di quanta ne avessi programmata. Dovevo risolvere assolutamente quella questione, chiuderla in maniera definitiva.
Silenzio.
Sbuffai e tornai a bussare con insistenza fino a sentire le nocche scricchiolare.
Niente, sembrava non esserci nessuno.
Emisi l'ennesimo sbuffo, convinto che sarei tornato il giorno dopo, eppure un mugolio sordo proveniente da dietro il legno scuro mi bloccò sul primo gradino.
Il rumore di una serratura scricchiolare e poi lui.
Mi resi conto che per quanto i medicinali avessero sfocato il suo ricordo, quegli occhi non avrebbero mai smesso di brillare all'interno della mia testa.

"Louis" fu la prima cosa che si lasciò scappare dalle labbra.
Deglutii a vuoto per qualche secondo prima di rendermi conto che Harry era vero, vivo e presente davanti a me.
Ed era cambiato, se in meglio o in peggio non avrei saputo dirlo, eppure sembrava più alto, più grosso, più trasandato di quanto mi ricordassi. E dopo tre anni di silenzio, il mio cuore riprese a battere dopo aver scorto uno dei miei foulard intricato ai suoi capelli.

"Harry" mugolai in risposta, ancora fermo su quel maledetto gradino, a rimuginare sul perché fossi lì o sul perché mi sentissi così tremendamente impacciato.
Si morse le labbra, nervoso, poi sospirò passandosi una mano davanti alla bocca, fissandomi con insistenza "Che cazzo ci fai qui?". Sembrava sofferente, non maligno.
Respirai senza perdere il contatto visivo "Dovrei chiudere una questione".
Aggrottò le sopracciglia, poi scrollò la testa tendendomi una mano; era enorme "Ci hai messo un bel po', eh?".
La presi.
Stavamo sorridendo entrambi.

Non parlammo, non ce ne fu bisogno e non ne avemmo la possibilità.
Mi mancava il sapore della sua bocca.
Mi mancava il tocco irruento delle sue dita sulla mia pelle.
Mi mancavano i suoi capelli sui quali intricare le mani.
Mi mancava la consistenza del suo collo tra i miei denti.
Mi mancava il suo profumo nelle narici.
Mi mancava dentro.
Mi mancava lui.
E come avrei mai potuto chiudere per sempre la questione quand'era quella stessa questione il mio più primordiale motivo di vita?

Non fumai, quella volta, ma lui si abbandonò comunque sul mio ventre esattamente come nei miei ricordi, ad impalarmi al letto col capo, il viso stanco rivolto verso di me, bello come non mai.
"Quindi?" mi chiese mentre scorsi il mio telefono illuminarsi sul comodino. Era Eleanor. Mi scusai e le scrissi che non l'avrei raggiunta.
Mi avrebbe perdonato.
Gli sorrisi "Quindi cosa?".
Sghignazzò saltellando con le dita attorno al mio collo "Quella questione, l'hai più chiusa?".
Serrai gli occhi buttando la testa sul cuscino, sudato e accaldato come solo una sessione di sesso estivo avrebbe potuto rendermi "Dimmelo tu. Dovrei chiuderla?".
Restò un po' in silenzio prima di allungarsi facendo perno sui gomiti, rubandomi un bacio "Io tenterei" mormorò sistemandomi i capelli "Mi sono stufato di essere libero da solo".
Annuii, studiandogli il viso "E io mi sono stufato di essere fermo nello stesso punto da anni".
Sorrise assieme ai suoi buchini "Mi sento responsabile"
"Lo sei ma ti farai perdonare"
"Quando?"
"Quando vorrai" sorrisi alla vista della gratitudine che traboccava da quegli anelli scuri simili a pozze paludose "Per i gatti la porta è sempre aperta".

§ § §

Non l'avrei mai chiusa, né la questione, né la porta di casa mia, perché mi ero reso finalmente conto che nella vita non importava muoversi o fare qualcosa di importante per essere felici; sarebbero bastate le persone alle quali volevo più bene e un piccolo angolo di paradiso da condividere con quel ragazzo che da più di un anno a quella parte aveva fatto radici in casa mia e non perdeva mai l'occasione per farsi perdonare il tempo che avevo buttato al vento come la consapevolezza che senza di lui, libero non lo sarei mai stato.

Ci volle un bel po' prima che tutti lo accettassero e lui ce ne mise altrettanto per cambiare, ma fui paziente.

In fondo, l'unica cosa che rimpiansi in quei quattro anni furono i miei foulard.










 
  
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: NowPlaying