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Autore: GrayWolf84    14/08/2008    4 recensioni
Tra presente e passato, il patriarca dei Duke ricorda.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bo Duke, Jesse Duke
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Late night thoughts

By GrayWolf84

Traduzione di Lella Duke

 

 

Questo il link alla storia originale: http://www.fanfiction.net/s/2881157/1/Late_Night_Thoughts

 

Buonasera a tutti. Se vi state chiedendo come mai stiamo bisbigliando, è perché è notte fonda alla fattoria dei Duke e tutti, o quasi, stanno dormendo. Zio Jesse sta facendo la sua solita ronda prima di andare a letto dopo una lunga e caldissima giornata, la prima del raccolto.

Silenzio adesso se volete rimanere e osservare cosa accade.

 

Jesse Duke ha vissuto una lunga vita. Ha trascorso la sua giovinezza in questa fattoria con i suoi cinque fratelli correndo attraverso queste stesse selvagge colline e vallate e rispondendone solo a suo padre e al buon Dio. Ha imparato le tradizioni famigliari (cotone di giorno e whisky di notte) e a lavorare la terra e a distillare alcol traendo il massimo beneficio da entrambe le attività. Si è innamorato e si è sposato. Ha perso molto. Nonni, zii e zie, cugini, padre e madre. E poi i suoi fratelli. E poi sua moglie. Ha stretto i denti ed è andato avanti prendendosi cura della sua famiglia superstite. Finalmente, nei suoi ultimi anni, è diventato l’orgoglioso patriarca dei Duke, responsabile di tre giovani che sono diventati suoi figli e che gli hanno regalato tanti capelli bianchi prima del tempo.

Attraverso prove, trionfi, insidie, questa vecchia fattoria è stata sempre presente. A volte riusciva ancora a sentire la voce di sua madre che lo chiamava per avere un po’ di aiuto in cucina, mentre stendeva la pasta sfoglia. Per le sue orecchie, i passi sulle assi del pavimento erano quelli di John o di James, ma quando si voltava vedeva Luke o Bo. Il piccolo dondolo sotto al porticato a volte cigolava nel vento, ma Jesse invece sentiva suo padre dondolarsi e lo rivedeva sorridente godere del tramonto. Si fermò in piedi sul porticato appoggiato alla ringhiera ad osservare la terra, la sua terra.

Lo scenario era un po’ cambiato: quelli che nella sua gioventù erano solo alberelli, si erano trasformati in querce e salici alti e pieni di rami tra i quali trovare riparo da vento e pioggia. La vecchia latrina adiacente la fattoria era completamente andata distrutta, Bo l’aveva fatta accidentalmente saltare in aria qualche anno prima mentre si esercitava a fare l’arciere. Jesse sorrise al ricordo e scrollò la testa. Più di una volta il suo più giovane nipote lo aveva portato a domandarsi cosa avesse fatto di male per meritarsi un così vivace e turbolento ragazzo il quale non faceva altro che cercarsi guai per trovarli immediatamente. Ma allo stesso modo si era chiesto costantemente cosa avesse fatto di talmente buono per avere Bo nella sua vita. Notti come quella, calma e quieta trascorsa ad osservare le stelle, facevano vedere tutto sotto un’altra prospettiva.

Finalmente Jesse sospirando rientrò in casa. Si richiuse la porta alle spalle e spense le luci in cucina e nel soggiorno. Si fermò in corridoio e silenziosamente aprì la porta della camera di Daisy.

“Dolce Daisy” avrebbe potuto pensare qualcuno osservando la giovane e delicata fanciulla che dormiva pacificamente, ma in realtà una vera tigre si nascondeva in quell’esile corpicino. Dopo esser cresciuta come unica donna in una fattoria di soli uomini, Daisy aveva imparato a tener testa a qualunque maschio di Hazzard mantenendo comunque intatta la sua femminilità. Non aveva mai avuto problemi a respingere, ad esempio, i suoi compagni di classe. Molte doti della nipote riuscivano a sbalordire Jesse: la sua pazienza, l’ordine che manteneva in casa sia per se stessa che per i suoi tre uomini. Riusciva a conciliare il lavoro alla fattoria e quello al Boar’s Nest continuando a vagliare le opportunità che il mondo poteva offrirle al di fuori di Hazzard. Era incredibilmente astuta nel riportare continuamente all’ovile le sue due pecorelle smarrite e a volte riusciva addirittura a tenerle fuori dai guai. Dal primo giorno che aveva varcato la soglia della fattoria, Jesse si era innamorato della sua piccola Daisy con tutto il suo cuore ed era una gioia senza fine osservarla crescere e diventare la splendida fanciulla che era. Silenziosamente richiuse la porta lasciandola ai suoi sogni.

Con la stessa delicatezza, Jesse attraversò il corridoio e aprì la porta della stanza di Luke e Bo. Luke a volte aveva un sonno molto leggero, ma quella sera non si sarebbe svegliato. Nella giornata appena trascorsa si erano sprecati muscoli e sudore; un via vai continuo dal granaio ai campi trasportando il raccolto. Era il secondo periodo più importante dell’anno (il primo ovviamente era la semina) ed era dal raccolto che dipendeva la vita sua e dei suoi nipoti per l’anno a venire. Generalmente i ragazzi ridevano e giocavano o si sottraevano ai lavori, ma conoscevano l’importanza del raccolto tanto quanto Jesse e quel giorno non si erano risparmiati. La famiglia Duke aveva perso buona parte dei guadagni derivanti dai suoi prodotti quando i ragazzi erano stati arrestati perché trasportavano whisky e Jesse aveva stretto un accordo con il governo americano in cambio della libertà condizionata. Dipendevano tutti più che mai dai frutti della loro terra. E comunque, anche se Jesse non lo avrebbe mai ammesso, man mano che invecchiava, le sue povere ossa e le sue mani stanche erano sempre meno indicate per lavorare nei campi. Bo e Luke lo avevano capito e facevano anche la sua parte senza recriminare o farne parola.

Quella sera i ragazzi erano rientrati esausti, a malapena avevano mangiato un boccone ed erano andati subito a letto. Jesse aveva dovuto seguirli per evitare che si mettessero a dormire vestiti. Mascelle serrate e respiro pesante, entrambi dormivano profondamente con la prospettiva che, ad attenderli al risveglio, ci sarebbe stato un giorno identico a quello appena passato. Bo giaceva stravaccato sulla schiena, le gambe a penzoloni fuori dal letto e un braccio poggiato sullo stomaco. L’altro braccio imitava le gambe. Luke era girato su di un fianco con la schiena rivolta a Jesse, un braccio sotto il cuscino e l’altro sospeso a pochi centimetri dal pavimento. Il suo letto era il più vicino alla porta, un altro esempio del suo istinto protettivo nei confronti di Bo. Quando erano piccoli infatti, Bo si sentiva sicuro nel sapere che tra lui e i mostri che potevano entrare dalla porta o dall’armadio, c’era di mezzo Luke. Le disposizioni dei letti erano rimaste invariate nel corso degli anni.

Jesse sorrise guardando i ragazzi dormire; il sonno di due angeli visti con gli occhi di un padre anche se, il buon Dio gli era testimone, potevano diventare diavoli se volevano. Quanti occhi neri e nasi sanguinanti aveva curato? Quante ossa rotte aveva rimesso apposto il dottor Appleby? Ma quanti scontri c’erano stati per difendere l’onore dei Duke? Il cuore di Daisy? La dignità? La giustizia? No, i suoi erano bravi ragazzi e avevano dei cuori grandi a prescindere dai guai che combinavano.

Quando Luke si mosse nel sonno girandosi sull’altro fianco, Jesse diede ai ragazzi un ultimo amorevole sguardo e uscì chiudendo la porta prima che la luce del corridoio potesse infastidirli. Da lì a pochi minuti, la fattoria divenne proprietà della notte, della luna e dei grilli rimasti svegli a vegliare sulla famiglia addormentata.

 

Un’altra notte, in un altro tempo, tanti anni dopo…

 

Beauregard Duke ha vissuto una lunga vita. Ha trascorso la sua giovinezza in questa fattoria con i suoi due cugini, correndo tra queste stesse colline e vallate e rispondendone solo allo zio Jesse e al buon Dio. Ha imparato le tradizioni famigliari (cotone di giorno e whisky di notte) e a lavorare la terra e a distillare alcol traendo il massimo beneficio da entrambe le attività finché, durante una corsa notturna, lui e Luke furono arrestati mettendo così fine al commercio di alcol della famiglia Duke. Si è innamorato e si è sposato. Ha perso e a ha perso molto. Suo padre e sua madre, nonni, zii e zie. E poi i suoi cugini. E poi sua moglie. Ha stretto i denti ed è andato avanti prendendosi cura della sua famiglia superstite. Finalmente, nei suoi ultimi anni, è diventato l’orgoglioso patriarca dei Duke, responsabile di cinque giovani: suo figlio e altri quattro ragazzi che ha imparato ad amare come fossero stati suoi e che gli hanno regalato tanti capelli bianchi prima del tempo.

Attraverso prove, trionfi, insidie, questa vecchia fattoria è stata sempre presente. A volte riusciva a sentire la voce di Daisy che lo chiamava per avere un po’ di aiuto in cucina, mentre stendeva la pasta sfoglia. Per le sue orecchie, i passi sulle assi del pavimento erano di Luke, ma quando si voltava vedeva Michael. Il piccolo dondolo sotto al porticato a volte cigolava nel vento, ma Bo invece sentiva zio Jesse dondolarsi e lo rivedeva sorridente godere del tramonto. Si fermò in piedi sul porticato appoggiato alla ringhiera ad osservare la terra, la sua terra.

Lo scenario era un po’ cambiato, quelli che nella sua gioventù erano solo alberelli, si erano trasformati in querce e salici alti e pieni di rami tra i quali trovare riparo da vento e pioggia. Il granaio era stato ricostruito completamente: Michael gli aveva dato accidentalmente fuoco qualche anno prima. Bo sorrise al ricordo e scrollò la testa. Più di una volta suo nipote più grande aveva portato Bo a domandarsi cosa avesse fatto di male per meritarsi un così vivace e turbolento ragazzo il quale non faceva altro che cercarsi guai per trovarli immediatamente. Ma allo stesso modo si era chiesto costantemente cosa avesse fatto di talmente buono per aver Michael nella sua vita. Notti come quella, calma e quieta trascorsa ad osservare le stelle, facevano vedere tutto sotto un’altra prospettiva.

Finalmente Bo sospirando rientrò in casa. Si richiuse la porta alle spalle e spense le luci in cucina e nel soggiorno. Si fermò in corridoio e silenziosamente aprì la porta delle ragazze.

Dove una volta c’era il grande letto di Daisy, ora ce n’erano tre in riga che ospitavano altrettante vivaci fanciulle. Marie era l’immagine sputata di Daisy, sua madre, ed era per Bo un aiuto infinito alla fattoria. Aveva vent’anni ormai, ma non aveva problemi a dividere la stanza con Sue Ann di diciassette anni e con la piccola Jessica che tanto piccola non era più dal momento che di anni ne aveva già quindici. Entrambe le più giovani avevano ereditato dal padre i capelli neri, gli occhi azzurri e una mente sempre attiva. Se si presentavano guai un po’ più complicati del solito, non tardavano mai molto a venir fuori con qualche piano geniale. Osservando le sue tre nipoti, il vecchio cuore di Bo ebbe uno spasmo ripensando alla sua piccola che non c’era più. Eleonor era morta durante lo stesso terremoto che aveva ucciso Daisy, Enos e le mogli di Bo e Luke. Loro si erano salvati soltanto perché erano andati con i più grandi a comprare un abete per Natale. Avevano da poco raggiunto Enos e Daisy in California per festeggiare insieme a loro il Natale. Così rapidamente si era passati dalla gioia delle feste in famiglia ad una tragedia che aveva colpito tutti. Erano trascorsi dodici anni da allora, ma Bo sentiva la mancanza della sua piccola Eleonor, di sua cugina, di sua moglie e dei suoi amici come fosse successo il giorno prima. Aveva rischiato di soccombere a quella tragedia, di sicuro Luke ne era uscito distrutto.

Per un anno intero, Bo rimase l’unico supporto della famiglia: cinque bambini, lui stesso e Luke il quale aveva deciso di annegare il proprio dolore nell’alcol. Marie si prendeva cura della fattoria e dei più piccoli e a volte anche del suo addolorato zio. Bo e il giovane Michael lavoravano nei campi finché Bo fu costretto a trovarsi un lavoro notturno nello stabilimento di Choctaw. Alle prime luci dell’alba tornava a casa e praticamente collassava sul divano anziché sdraiarsi per poche preziose ore nel suo letto. La pace e la quiete che aveva imparato a conoscere nella fattoria, erano troppo spesso interrotte da esplosive e violente discussioni con Luke. E tutto perché Bo vedeva suo cugino cedere sotto il peso del dolore giorno dopo giorno senza reagire. Era stato l’anno peggiore della sua vita.

Fu necessario un incidente automobilistico quasi fatale per riportare Luke alla sua famiglia. Bo rimase in ospedale per un mese dopo essersi addormentato sul volante mentre tornava a casa dal lavoro. Andò fuori strada e colpì in pieno un albero, le lamiere si contorsero prima che la macchina esplodesse. Luke si ritrovò con la responsabilità dei bambini e dei conti da pagare. Bo non ricordava tutte le notti in cui Luke era rimasto accanto al suo letto implorando il suo perdono per averlo deluso. Per aver deluso i bambini. Per aver deluso zio Jesse. Alla fine Bo risvegliandosi, trovò suo cugino cambiato. Il vecchio caro Luke era tornato, i Duke avevano superato insieme quel momento, come sempre.

Due anni dopo l’incidente, Luke stava tornando a casa. Era una fredda notte invernale e un bagliore arancione gli suggerì che una casa stava andando a fuoco. Una donna tentava freneticamente di calmare i suoi due bambini nello spiazzale di fronte, suo marito era rientrato in casa per prendere il terzo. Luke era un pompiere e non poté fare a meno di intervenire. Prese un’ascia vicino alla legna tagliata ed entrò nella casa alla ricerca dell’uomo e di sua figlia. Più tardi quell’uomo avrebbe riferito a Bo di come Luke avesse miracolosamente creato un varco tra le macerie per consentirgli di scappare. Aveva mandato lui e sua figlia avanti. Un attimo dopo crollò il secondo piano della casa. Luke non ne uscì mai fuori.

Era rimasto soltanto Bo, l’ultimo guardiano per la nuova generazione di Duke.

Chiuse la porta della stanza delle ragazze e, attraversato il corridoio, raggiunse quella dei ragazzi. La stessa stanza che aveva diviso per tanti anni con Luke. Silenziosamente afferrò la maniglia e aprì la porta. In realtà avrebbe avuto bisogno di una bella oliata perché, sebbene si fosse mosso con la massima delicatezza, riuscì a far rumore. Una testa piena di capelli scuri e arruffati si alzò dal cuscino sul vecchio letto di Luke e due occhi azzurri come zaffiri ancora mezzo addormentati, lo scrutarono.

“Va tutto bene, zio Bo?”

Non avrebbe mai smesso di sorridere nel sentirsi chiamare zio con la voce di Luke.

“Si tutto bene, Michael. Torna a dormire.”

Ovviamente non gli ubbidì. Stropicciandosi gli occhi, il primogenito di Luke si fermò ad osservare lo zio: “ti manca vero?” Non era difficile da capire, era il 9 settembre e il vecchio Luke avrebbe festeggiato cinquantacinque anni. Se solo non ci fosse stata la scritta 16 gennaio 1999 su quella lapide posta proprio tra suo padre e zio Jesse.

Bo non rispose, ma il suo silenzio parlò per lui.

“Anche a me.” C’era un principio di tristezza nella voce del ragazzo.

Con un dolce sorriso pieno di comprensione, Bo entrò nella stanza e si sedette sul letto stringendo il nipote tra le braccia. Era passato per Bo il tempo delle lacrime, ma non si era mai affievolito il dolore per la perdita di quel fratello che non era mai più tornato a casa. Michael restituì l’abbraccio attingendo per sé forza e conforto dallo zio. Era un ventenne ormai, ma aveva soltanto quindici anni quando suo padre morì e dodici quando perse madre, zie e zio a causa del terremoto. A volte, lo sapeva bene Bo, era difficile essere il più grande, il più forte, l’uomo, quando in realtà non si ha voglia che di essere un semplice ragazzo, al sicuro tra le braccia di chi si ama. Michael era tutte queste cose e molto di più per la sua famiglia, per le sue sorelle, per i suoi cugini e per suo zio. In quel momento però era soltanto Michael, un figlio a cui mancava suo padre. Dentro di sé Bo sapeva che Luke sarebbe stato orgoglioso di quel ragazzo.

Dopo un altro minuto, il giovane si discostò nascondendo con la mano uno sbadiglio.

“Va bene, adesso torna a dormire. Abbiamo del lavoro nei campi domani.” Disse Bo dando alle sue spalle un’ultima scossa. Sorrise alla tenue protesta di Michael. Il vociare era abbastanza per disturbare il riposo dell’altro occupante la stanza: Jonathan Beauregard Duke, un biondino quattordicenne identico al padre, ma doppiamente spericolato. Non si svegliò, ma rimase immobile a dormire e a sognare quel F-16 che sperava di pilotare un giorno. Se Bo si accontentava di far volare il Generale, suo figlio al contrario guardava il cielo e ascoltava il rombo degli aerei con la stessa eccitazione del padre nei suoi occhi celesti. Mentre Michael tornava sotto le coperte, Bo raggiunse il suo vecchio letto e posò un bacio sulla fronte del figlio. Diede al nipote lo stesso bacio e una silenziosa buonanotte. Uscì quindi dalla stanza lasciando dormire i ragazzi.

Bo aveva intenzione di andare finalmente a letto, era davvero molto tardi. Dopo un lunga giornata di lavoro nei campi, il suo corpo continuava a ricordargli che non era più tanto giovane e quell’incidente non aveva fatto altro che debilitarlo maggiormente. Eppure si ritrovò di nuovo fuori, sotto al porticato. Si poggiò alla ringhiera e guardò le stelle e la sua terra nella fresca aria notturna. E rimase così a lungo.

Alla fine bisbigliò: “buon compleanno Luke.”

Rientrò quindi in casa e se ne andò a dormire.

 

 

The End

  
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