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Autore: Eynieth    21/06/2014    0 recensioni
Il testo di una canzone, la vita di due persone... tutto si può intrecciare in una singola notte. In una singola strofa che descrive la storia di Kate.
[Canzone: "The A Team - Ed Sheeran ]
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Quando ho visto Kate uscire con il vestito addosso mi è sembrata una visione. Troppo bella per essere vera. Forse un po’ troppo magra, ma a quello si può sempre rimediare. E le uniche due parole che riesco a dire sono le più scontate: sei bellissima. E so che non mi ha creduto neanche un secondo. Ma io come posso fare per farglielo capire? Come posso fare per farle provare un po’ più di sicurezza in sé stessa? Un po’ di stima.  Prima di tutto dovrei tenerla lontana da quel vicolo e da quell’aria gelida che di notte le congela il cuore. Potrei farcela. Mi alzo e mi avvicino a lei. Senza pensarci troppo le prendo la mano, ma vedo che si irrigidisce e la lascio subito scusandomi. Chissà cosa sta pensando. Magari le ha fatto affiorare brutti ricordi. Che stupido che sono stato, dovevo aspettare che lo facesse lei, così sarebbe stata pronta. E poi non so neanche da dove mi esce tutta questa iniziativa. Perché le ho preso la mano?
Ma Kate mi sorprende e mi riprende la mano. Sorrido felice e gliela stringo. Non so perché, ma voglio proteggerla, a qualsiasi costo. Non si merita una vita così, potrebbe avere molto di più e voglio aiutarla, mi sento in dovere di aiutarla. Voglio salvarla dall’oscurità che la pervade, raccoglierla dal baratro dove è caduta e aiutarla a scalare il monte della vita.
La conduco sorridente fuori dall’hotel. Sono sicuro che i giornalisti appostati qui fuori non la riconosceranno neanche, magari la prendono per una modella. Non che mi dia fastidio sapere quello che è, quello che alla fine è costretta a fare, ma mi fa ridere vedere quanto è facile ingannare gli umani, in questo caso i giornalisti. Basta cambiarsi i vestiti e pettinarsi in un certo modo e si passa da prostituta di strada a modella. Certe volte siamo proprio stupidi.
Senza pensarci ho aumentato il passo e mi accorgo che Kate non riesce a starmi dietro, così mi fermo e la raggiungo, poi aspetto un taxi, la faccio salire e do all’autista un indirizzo. È un piccolo ristorante italiano, l’ho scelto soprattutto perché mi piace tantissimo la cucina italiana e perché è un po’ fuori mano e i proprietari già mi conoscono. Mi sistemo meglio vicino a Kate, tanto so che il viaggio sarà lungo, appena partiti rimaniamo imbottigliati nel traffico. Dannata City. Proprio non lo sopporto, quasi quasi era meglio prendere la metro, avremmo fatto prima.
Quando arriviamo sono un po’ scocciato, perdere tempo in macchina non mi piace per niente, ma mi basta guardare Kate e praticamente tutto passa. Non voglio farmi vedere da lei arrabbiato o con il broncio. Io sono il meno indicato per farmi vedere così. Lei dovrebbe essere triste, abbattuta, invece sorride e non l’ho mai vista abbattuta. Così la prendo per mano e la conduco dentro al ristorante. Appena entriamo Kate guarda distrattamente il menu e poi mi dice di ordinare anche per lei. Arriva la cameriera che mi saluta gentile e le do le ordinazioni.
Quando la cameriera ci lascia soli Kate appoggia i gomiti sul tavolo e mi guarda. E dice la cosa più ovvia di tutte. Che praticamente non sa niente di me. Mi passo una mano tra i capelli. Ha ragione, però non so come potrebbe prenderla. Sicuramente ha capito che sono una persona relativamente famosa, i paparazzi di solito non inseguono normali… commercialisti o ragionieri. Ma, averne la conferma cambierà il suo modo di comportarsi? Però non è neanche giusto che praticamente non sappia nulla di me. Così glielo dico, tutto d’un fiato, che poi non era neanche così difficile. E Kate la prende anche bene, non sembra scandalizzata o chissà cosa, mi fa un paio di domande e poi riprende a mangiare. Più o meno. Praticamente non mangia niente, giusto un po’ di insalata e qualche forchettata di pasta. E mi dispiace, ma non posso farci niente. Del resto so che chi non è abituato a mangiare fa fatica a mangiare qualcosa in più del solito, quindi non insisto più di tanto.
Kate sta fingendo di mangiare e con lo sguardo basso mi chiede quanto è distante da casa. La guardo. Lo sapevo. Sapevo che me lo avrebbe chiesto. Sapevo che non sarebbe rimasta con me. Tutto quello che ho fatto è inutile. L’ho fatta allontanare per poco dalla sua vita e speravo che colta l’occasione l’avrebbe abbandonata per sempre. Mi sbagliavo. E in più c’è qualcun altro. Meredith. Chi può essere? Che sia la figlia? Possibile che Kate sia già madre? Però… no, se fosse davvero mamma, non avrebbe mai lasciato la figlia a casa da sola, non penso che sarebbe da lei. Ma poi, in fondo, io cosa so di lei? Non dico che non mi fido, ma di lei non so proprio niente. E mi dispiace. Vorrei conoscerla meglio. Mi dà l’idea di una persona davvero bella. Ma non posso neanche legarla e obbligarmi a seguirmi. Finisco di mangiare, facendo il più lentamente possibile, così da poterla osservare e imprimermi nella memoria il suo viso. Poi mi alzo, pago e chiamo un taxi.
Il viaggio non è poi così lungo, ma Kate rimane tutto il tempo a osservare il vuoto. Appena la macchina si ferma la ragazza spalanca la portiera e scende. –Tornerò a prenderti..- sussurro alla sua figura che ogni secondo si fa più lontana e piccola. Chiudo gli occhi e mi lascio andare sul sedile, sussurro l’indirizzo dell’hotel e a quanto pare il taxista lo sente perché mette in moto e poco dopo si ferma sotto all’hotel. Apro il portafoglio, prendo una banconota e scendo prima che possa darmi il resto. Sbatto la portiera e salgo nella suite. Butto il cellulare sul divano e subito dopo si mette a squillare. Mi butto sul divano prendendo il telefono, sperando che sia Kate. Solo dopo mi ricordo che la ragazza non ha il mio numero di telefono e che quindi non può essere lei. Infatti è George. Sbuffo e lascio squillare il cellulare. Mi chiudo in bagno e mi faccio una doccia bollente. Quando esco sul bagno c’è una pesante cappa di vapore e lo specchio è appannato, riesco solo a vedere la mia figura sfuocata. Sbuffo e mi butto sul letto. Sul cuscino sento il profumo di Kate. Chiudo gli occhi. Cosa mi è successo? Perché sto facendo così? Sì, insomma, è strano ma mi sono affezionato a Kate, so che è passato poco più di un giorno, ma mi ci sono affezionato. Tutto qui. E voglio aiutarla. Ultimamente… non so, non mi piacciono gli eventi mondani e mi sento bene solo sul set di qualche film, ma non posso starci in eterno, e in più in questi giorni non ho niente. Mi sento vuoto. Possibile che, in mezzo ai tanti personaggi che interpreto, ho perso il vero Tom? Possibile che  dietro Loki, Francis, al Capitano James Nicholls e tanti altri si sia nascosto Thomas Hiddleston e che non voglia più uscire? Però quando c’è Kate non mi sento né Loki né Francis né il  Capitano James Nicholls né nessun altro. Con lei mi sento il vecchio Tom.
È per questo che voglio aiutarla? Mi chiedo passandomi le mani tra i capelli. Non lo so. Ormai non so più niente.
Sento il cellulare che continua a squillare, ma ammettiamolo, non voglio rispondere per niente a George e non ho neanche voglia di alzarmi dal letto. È già un sforzo sovraumano allungare il braccio e prendere il telecomando sul comodino. Ho intenzione di tornare da Kate, non la lascerò lì fuori, al freddo, da sola, con sconosciuti che vogliono solo il suo corpo, con sconosciuti che non sanno neppure il suo nome.
Il tempo passa lentamente, ma passa. Quando vedo il tramonto colorare il cielo di New York, mi alzo e mi vesto. Controllo un attimo il cellulare. Dieci chiamate e cinque messaggi. George ha smesso da un po’ di chiamarmi, probabilmente ha capito che non volevo rispondergli. Decido di lasciare il cellulare sul divano, tanto non mi serve. Scendo lentamente le scale e esco dall’hotel. Vedo un gruppo di turisti e mi ci infilo dentro, confondendomi e per un po’ mi allontano da loro, così che i paparazzi appostati fuori dall’albergo non mi vedano, e poi, appena posso, mi dirigo a una fermata della metro. Ormai il percorso lo so a memoria e, quando scendo, percorro le strade senza pensarci. E a un certo punto… eccola. La luce del lampione la illumina, gli occhi chiusi, le mani sulle spalle. Si sta mordendo delicatamente il labbro. Sorrido senza neanche accorgermene. Mi avvicino e quando le sono vicino apre gli occhi e sorride per un secondo, poi li richiude, si stringe in sé stessa e si porta le mani al viso. La guardo un attimo senza capire. Perché questa reazione? Le tolgo gentilmente le mani e la guardo. È così bella.. delicata… i lineamenti quasi infantili. Non ha ancora aperto gli occhi e io non ci riesco, non resisto, le accarezzo dolcemente il viso con la punta delle dita, titubante, insicuro della sua reazione. Ma lei apre gli occhi e sono belli come il primo giorno. Appoggio una mano sulla sua guancia e le sorrido. Poi mi tolgo la giacca e gliela appoggio sulle spalle premuroso. Tornerò tutte le volte che sarà necessario… dico stringendola forte.
 
Quando arriviamo all’hotel veniamo accecati dai flash, sento Kate irrigidirsi, so che è a disagio, le stringo la mano per infonderle un po’ di.. coraggio?, non so se è quello di cui ha bisogno. Forse ne ho bisogno io. La porto via da tutte quelle luci . Quando arriviamo nella suite la rassicuro. Non mi interessa niente dei giornali. Certo, un po’ mi dà fastidio, non posso neanche uscire con chi voglio io e compaio sulle riviste di gossip. Non è giusto, questo.
Sorrido a Kate, sembra quasi che le legga nella mente e questa intesa mi piace. Mi sdraio sul divano e dalla porta aperta intravedo Kate che indossa la mia maglietta e sorrido, non la vedo molto bene, ma penso che stia ancora meglio che con il vestito che le ho regalato.
E con la sua immagine impressa sugli occhi, mi addormento.
 
Mi sveglio di soprassalto sentendo delle urla. La mia mente si perde ancora mezza addormentata, mi alzo e cerco di capire da dove arrivano le urla. Poi riesco a individuarne la fonte. Kate. Kate sta urlando. Mi precipito nella camera. Kate si sta muovendo, urla, ed è tutta sudata, trema. E io non so cosa fare. Mi inginocchio davanti al letto e la scuoto piano chiamandola per nome, ma non  funziona. Mi siedo sul letto e mi porto Kate sulle gambe e la stringo e la cullo. Kate apre gli occhi e li richiude subito e ricomincia a piangere ancora più forte. Non so cosa fare, continuo a cullarla stringendola. Cosa ha sognato? Era solo un incubo? O un ricordo? E se era un ricordo, un ricordo di cosa? Di altri uomini che la sfruttavano, che… non riesco neanche a pensarci. Nessuno dovrebbe svegliarsi urlando e piangendo. Nessuno. E chissà quante volte si è dovuta svegliare così Kate. Non deve. Mai più. Non posso permettere, pensare, che si svegli ancor così. Devo fare qualcosa.
A un certo punto Kate apre gli occhi e sembra vedermi per la prima volta. E mi chiede scusa. Perché mi chiede sempre scusa? Mi allontano un attimo e le asciugo gli occhi e le sorrido rassicurante, poi la stringo e la cullo. Quando vedo che si è calmata mi alzo e faccio per tornare in soggiorno. Non so come l’abbia presa, magari adesso che si è calmata vuole stare da sola, preferisce non avermi per i piedi. Ma Kate mi sfiora le dita della mano e mi chiede di restare. E io ne sono immensamente felice, insomma, vuol dire che… mi vuole vicino a lei, che mi si sta avvicinando, che magari si farà aiutare. Che magari si allontanerà per sempre dal suo lampione.
Mi infilo sotto le coperte e la stringo cullandola piano fino a quando non sento il suo respiro regolare e capisco che si è addormentata. La guardo ancora per un po’ e poi mi addormento anche io, stringendola.
 
Mi sveglio quando un raggio di luce entra dalla finestra. E questo è strano, mi sembrava che le tende fossero tirate, come fa la luce del sole a entrare? Apro gli occhi e mi ritrovo vicino il viso di Kate. Sorrido. È così bella. Le tracce del brutto sogno della notte scorsa sono completamente scomparse dal suo viso. Poi sento qualcuno schiarirsi la voce. Non qualcuno, George. Mi tiro a sedere e mi stiracchio. –Perché diavolo sei qui?- chiedo sbadigliando.
George mi guarda alzando un sopracciglio e mi butta addosso delle riviste patinate dove, in prima pagina, ci sono delle foto di me e Kate sotto all’hotel, una anche sotto al suo lampione. Una di me nella macchina della polizia. Sbuffo. –Buttale via ‘ste riviste.- dico buttandole sotto al letto, appena in tempo, visto che Kate sbadiglia e apre gli occhi, mi sorride, ma smette subito appena vede George, non si copre. Perché alla fine indossa la mia maglia e non ha niente di cui vergognarsi, ma mi guarda interrogativa.
-E quindi è lei?- chiede George alzando un sopracciglio e guardando Kate minuziosamente.
-George, lei è Kate, Kate, lui è George, il mio… agente…- dico alzandomi dal letto. –Non so neanche come ha fatto a entrare…- dico mettendomi una maglietta a caso. –Ho chiesto la chiave alla reception.- interviene George. –Certo… la chiave. Ma un po’ di privacy non esiste?-
-Non mi rispondevi! Ti ho chiamato quante? Cinquanta volte? E ti ho lasciato altrettanti messaggi. Ero.. preoccupato…- dice guardando male Kate, come se la causa della sua preoccupazione fosse proprio lei.
-Beh.. cosa devo dire? Non avevo niente da dire. E adesso che hai visto che sto bene puoi anche andartene.- dico sdraiandomi nuovamente sul letto.
-Come vuoi. Ma… ti servono contanti per caso?- chiede guardando appena Kate. Io non colgo subito, ma lei a quanto pare sì, perché abbassa lo sguardo e gioca nervosamente con il lenzuolo.
Mi alzo infuriato. –Vattene George. Subito.- dico spingendolo via dalla camera e poi fuori dalla suite. Dannazione! Se ha rovinato tutti i miei passi avanti con Kate.. giuro… giuro che lo licenzio! Penso passandomi una mano tra i capelli.
Torno in camera e Kate è già in piedi che prende i suoi vestiti. Ecco. Lo sapevo. Ha anche gli occhi lucidi. Le vado in contro e le tolgo i vestiti di mano. –Kate… ti prego… George è un deficiente. Non devi stare ad ascoltarlo. Ti prego, dimentica quello che ha detto e… andiamo a fare colazione e poi anche a fare un giro. Per favore…-  dico sistemandole una ciocca di capelli dietro all’orecchio.
Kate si allontana appena da me. –Tom.. no, George ha ragione. Io… dovrei lasciarti stare. Ho già visto cosa ha comportato alla tua immagine.- dice indicando una rivista che ha recuperato da sotto il letto.
-Kate, non me ne frega assolutamente di quelle stupide riviste. Io voglio aiutarti!-
-Allora lasciami tornare alla mia vita.- dice in un sussurro prendendomi i vestiti dalle mani. –E… e se vuoi approfittare della mia presenza…qui e adesso… va bene…- sussurra togliendosi la mia maglia e rimanendo in slip e reggiseno.
Io la guardo senza vederla. Quello che ha detto.. quello che ha detto mi ferisce profondamente. Non ho mai voluto approfittare di lei, non ho mai fatto niente per far anche solo pensare di voler approfittare di lei. Mai. Niente.
–E’… è questo quello che vuoi? È questo quello che pensi che io voglia?- chiedo prendendole il viso e guardandola negli occhi. –Dimmi che è questo quello che vuoi, e lo farò...ma io non ho fatto tutto questo solo per portarti a letto. L’ho fatto perché volevo offrirti qualcos’altro. Volevo solo darti la possibilità di avere un’altra vita. Ma dimmi che tutto quello che vuoi è questo…- sussurro passandole una mano sulla schiena avvicinandola a me. –e ti lascerò in pace…-
Kate non mi guarda negli occhi, sfugge dal mio sguardo, si morde il labbro. –Dimmelo…- sussurro vicino al suo orecchio.  –Dimmelo…-
Kate cade in ginocchio e scoppia a piangere. –No, no, no, no. No!- sussurra tra un singhiozzo e l’altro. Io sospiro appena senza farmi vedere e mi inginocchio accanto a lei. Prendo una coperta e la avvolgo e la stringo. –Kate…rimani qui con me. Ti aiuterò. Non dovrai mai più vivere per strada, guadagnarti da vivere tra cento uomini, da sola, al buoi e al freddo. Rimani qui e ti aiuterò. Non ti chiedo altro se non di lasciarti aiutare. Per favore…- sussurro asciugandole le lacrime. Lei mi guarda e si morde un labbro. –Scusa per quello che ho detto. S-so che tu non hai mai voluto…-
-Kate, fa niente.- sussurro sorridendole appena. No, non è niente, ma almeno adesso ho capito che lo ha fatto solo per cercare di convincermi a farla andare via. E sapere che sa che non ho voluto mai approfittare di lei, mi fa stare molto meglio.
La faccio alzare gentilmente. –Vestiti, va bene? Io ti preparo qualcosa.- dico sorridendole. Vado in cucina e preparo due cioccolate calde. Quando sono pronte insieme alle tazze prendo anche un pacchetto di biscotti e torno in camera. Kate è seduta sul letto e indossa di nuovo la mia maglietta. Quando mi vede si porta le ginocchia al petto e distoglie appena lo sguardo. È ancora imbarazzata.
Mi siedo anche io sul letto attento a non rovesciare né i biscotti né la cioccolata, poi passo una tazza a Kate. Lei comincia a berne a piccoli sorsi, io non resisto e la bevo in pochissimo tempo ustionandomi la gola. Cosa ci posso fare, sono goloso. Mi sdraio sul letto e chiudo gli occhi aspettando che Kate finisca o che dica qualcosa. Ma anche il silenzio va bene, perché non è il solito silenzio di quando sono da solo. Kate non è andata via, non ancora, è rimasta e sta bevendo la cioccolata e mangiando qualche biscotto. Lei è qui. E se è qui non è per strada. E se è qui è al sicuro, dagli uomini, dal freddo, dagli incubi, dal dolore, dai flash. Sento che Kate appoggia la tazza sul comodino e si sdraia dall’altra parte del letto. Socchiudo appena un occhio per guardarla.
-Sì.- sussurra a un certo punto. Ed è un sussurro così basso che penso di non averlo sentito, che sia solo frutto della mia immaginazione.
-Cosa?- chiedo tirandomi su a sedere.
Kate distoglie lo sguardo, si mette a osservare qualcosa di lontano e invisibile fuori dalla finestra. –Sì.- risponde appena più forte, ma comunque più decisa.
Sorrido e allungo una mano per sfiorarle il viso. –Grazie.- lei appoggia il viso sulla mia mano, ma non si gira. –Tom… sono io che devo ringraziare te, non il contrario. Sono io che ti devo ringraziare per non avermi mandato a quel paese dopo quello che ti ho detto prima. Io che ti devo ringraziare per avermi salvato l’altra notte. Io che ti devo ringraziare per avermi allontanato da…tutto quello che era prima. Io ti devo ringraziare.- sussurra girandosi appena. –Grazie.- dice con le lacrime agli occhi. –Ma io non potrò mai ricambiare tutto quello che stai facendo per me, lo sai? Io…non avrò mai soldi a sufficienza per ridarti tutto quello che mi stai dando, ne parole, ne gesti. Niente.-
-Non fa niente. Un tuo sorriso vale più di tutti i soldi o le parole. Voglio solo vederti felice. Non voglio più vederti piangere.- dico accarezzandole la guancia.
Kate mi guarda e cerca di sorridere. E anche se forse non è il sorriso più autentico di tutti, anche se lo fa solo perché gliel’ho chiesto, anche se ha le lacrime agli angoli degli occhi, è il sorriso più bello che ho mai visto. È il sorriso di chi ha appena cominciato a lottare per lasciarsi il passato alle spalle. Ed è un sorriso bellissimo.
Sorrido anche io e mi ributto sul letto. –Allora…prima di tutto dobbiamo andare a casa tua a prendere le tue cose e poi andiamo a fare shopping.- dico guardandola.
Kate si morde il labbro e ci pensa un attimo, poi sorride e annuisce. Si alza, prende le sue cose e si veste. Mi alzo anche io, prendo dei vestiti a caso dall’armadio e mi vesto. Guardando l’armadio per vedere se ci staranno anche i suoi vestiti, mi rendo conto che non ho tenuto conto di una cosa. Siamo in una stanza di albergo. Questa non è la mia casa. La mia casa è a Londra, non a New York. E presto dovrò tornare lì. E Kate? Non ho nessun problema a ospitarla a casa mia, ma lei vorrà venire. Dopo tutto, New York è sempre la sua casa, vorrà abbandonarla per un perfetto sconosciuto? Mi passo le mani tra i capelli. Glielo dovrei dire. Ma quando? Adesso? No. Adesso è meglio di no. Mi ha appena detto che vuole rimanere, se glielo dicessi probabilmente cambierebbe idea. Aspetterò qualche giorno. E dopo la convincerò a venire con me a Londra. Non posso lasciarla. Non adesso che si è decisa a farsi aiutare.
Sento la sua mano posarsi sulla spalla e sobbalzo. Non mi ero accorta che si fosse avvicinata –Tutto ok?- chiede aggrottando le sopracciglia. Io sorrido e annuisco. Le prendo la mano. –Andiamo.- dico prendendo il cellulare e chiamo un taxi. Aspetto qualche minuto e, quando penso che il taxi sia giù di sotto ad aspettarci, esco tirandomi dietro Kate. Appena le porte dell’hotel ci si chiudono alle spalle veniamo abbagliati dai flash. Faccio salire Kate e mi siedo accanto a lei. Kate dice l’indirizzo all’autista e partiamo.
Poco dopo arriviamo a una casetta su due piani, malandata, con il giardino incolto e giallo. Kate si guarda attentamente intorno e poi corre su per le scale. Io chiedo all’autista di aspettarci e la seguo guardandomi attorno. Dentro la casa è confortevole, non bellissima, ma accogliente. Mi torna in mente il nome che mi ha detto ieri Kate. Meredith. Chi sarà? Guardo una foto appesa al muro. Ritrae Kate con una donna più grande di lei, bassa, il viso da elfo, i capelli corti. Che sia questa Meredith? Ma allora cos’è, sua madre? E se è così, come può una madre permettere che sua figlia faccia quel lavoro. Che lo faccia anche lei?
Non riesco a elaborare altre teorie perché Kate mi chiama. Quando la raggiungo è in una cameretta piccolissima, il letto è in un angolo, tutto è in ordine. C’è un piccolo armadio, una scarpiera e un tavolino. Niente di più. E Kate sta già sistemando sul letto quello da portare via, e non è tanto. Vedo anche il vestito che le ho regalato e lo indico. –Mettilo, stai benissimo con quello.- dico sorridendole. Kate arrossisce e prende il vestito accuratamente piegato sul letto. Si toglie quello nero e lo indossa, io distolgo lo sguardo e mi guardo in giro. Quando mi chiama di nuovo ha indossato il vestito che le sta benissimo e mi chiede se posso aiutarla a prendere i pochi vestiti che ha deciso di portarsi. Mettiamo tutto in una borsa e usciamo dalla casa. Quando ci chiudiamo la porta alle spalle, mi sembra che Kate sia più leggera. Ha portato con sé solo un paio di vestiti non troppo succinti, qualche paio di scarpe e i trucchi, e tutto il resto lo ha lasciato nel passato. E di questo ne sono felice. Si sta lasciando tutto alle spalle. Si sta preparando per cominciare una nuova vita. E sono felice di farne parte e di aiutarla.
   
 
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