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Autore: pinefertari85    19/08/2008    4 recensioni
«Che tu possa trovare la pace, Edward.» «E che il sole che ti illuminerà possa redimerti, Bella.»
Una one shot un pò diversa. Una coppia di vampiri stanchi dell'eternità, Edward e Bella alle prese con l'ultima e più grande sfida.
Genere: Romantico, Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
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AT THE CRACK OF DAWN



Le nubi color porpora, ricordi lontani di un giorno quasi passato e annuncio imminente della notte che avanza, tendono le loro braccia di fumo nel cielo immobile, monito e avvertimento alle stelle che a breve varcheranno l’oscuro teatro del crepuscolo.
Quando la luna sorgerà, il sottile strato di polvere che ricopre i millenni si leverà ancora una volta a scoprire pensieri negati, temuti, celati dietro un velo di immobilità.
Sono i primi e gli ultimi attimi: non più giorno, non ancora notte.
Un infinito gioco di compromessi e abilità perdute regge queste esistenze al limite della follia.
Un debole chiarore, troppo tenue per essere definito luce, e tuttavia impossibile da non notare illumina quella figura pallida e longilinea, che immobile come una statua lascerà alle stelle il gravoso compito di mostrare la sua natura più oscura e crudele.
Apre le braccia, lasciando che il gelo penetri attraverso i vestiti direttamente nella carne, lacerando quel velo secolare di insensibile indifferenza.
E' veleno gelido quello che gli scorre nelle vene.
Una creatura di inumana bellezza, surreale regalità che traspare da ogni suo gesto.
La pelle bianca come marmo riluce splendente nel chiarore notturno.
I capelli color bronzo si confondono nel nero della notte che incalza, e gli occhi ferini, dorati e profondi come l’oceano, sono in attesa.
In attesa di qualcosa, o forse di qualcuno.
«Sei in ritardo». E’ solo un sussurro, ma non occorre altro.
«Non sapevo cosa mettermi».
Lei gli arriva alle spalle e si ferma al suo fianco, la stessa immobilità statuaria, lo stesso velo di polvere antica che sembra sgranare la pelle apatica, bianca.
Un breve sorriso, quasi un’ombra in realtà, increspa le labbra dell’uomo.
«Vieni. Camminiamo».
Non è un invito, ma entrambi sanno che qualsiasi rifiuto non farebbe che compromettere una situazione già precaria.
Lei lo segue senza parlare. Non ce n’è bisogno.
Tra loro uno sguardo, che tuttavia è molto di più.
E’ uno scambio di pensieri, ed emozioni.
Un toccarsi di anime, sensazioni che si rincorrono, vite che si raccontano.
Attimi infiniti e brevissimi, anni e secoli che rivivono, alimentati da occhi che bramano la reciproca compagnia.
Giorni che scorrono, e distanze che in un istante si cancellano.
La notte è ormai fitta quando finalmente si fermano, i metri percorsi gravano come colpe incancellabili sulle loro spalle.
Ricordi di occhi vitrei e vite spezzate, fili recisi senza pietà e senza rimorso quando l’istinto primario, quel disperato bisogno di nutrirsi, si affaccia sulla soglia della consapevolezza.
Impossibile resistere.
Impossibile modificare la propria natura.
Impossibile cambiare il destino.
«E’ giunto il momento.»
«Così sembra...»
«Cosa credi che accadrà?» lei sussurra, il suono ha appena la forza di abbattere la barriera delle labbra, e fuoriesce in un flebile mormorio, appena percettibile.
Non importa.
Lui ha sentito.
«Non lo so; ma sono stanco.»
Questa volta è lui che sussurra, e il suo sussurro ha la consistenza di un velo, sottile e trasparente.
Si volta ad osservarla, uno sguardo che trapassa l’anima, e all’improvviso lei si sente nuda davanti a quegli occhi così belli e allo stesso tempo così inquietanti; occhi che gridano al mondo la disperazione di un’esistenza passata a nascondersi, celata nel buio di una cripta, vergognosa e maledetta.
Quegli occhi che sembrano accusare, ma non lei, no; non ne avrebbero mai la forza.
Forse, accusano loro stessi, e la crudeltà che hanno visto.
Forse accusano il mondo, perché è il mondo che lo vuole così, freddo e imprevedibile, una pericolosa macchina di morte che si spinge inarrestabile e imperturbabile, cieca alle implorazioni degli uomini comuni.
«Siamo tutti stanchi, dopo un po’.» lei è timida, indifesa davanti ad una decisione a lungo ponderata.
«Ho sognato.»
Gli occhi di lei si accendono quando l’uomo pronuncia quelle parole.
Sognare.
Un lusso che a loro non è concesso. Un desiderio così a lungo agognato, così bramato da quelli della sua razza, che confessarlo è quasi una bestemmia.
«Racconta. Ho dimenticato quando ero umana. Ho dimenticato cosa significa sognare.»
«Ho visto il sole, amore mio, che illuminava campi di grano e prati gremiti di fiori già sbocciati. L’ho visto levarsi dalle colline, accecante nel riflesso della neve, e poi ancora nascere dal ventre del mare e rispecchiarsi superbo nelle acque più profonde. L’ho visto salire al suo posto nel cielo, fermarsi ad osservare la terra e ridare vita ai campi, agli uomini e alle bestie. L’ho visto riscaldare i luoghi più bui del nostro emisfero, e mi sono beato del suo calore, senza bruciare, senza morire. E quando è venuta la sua ora, si è rituffato tra le onde, e dietro le montagne, spegnendosi nel ricordo del giorno.»
«Camminare al sole, senza bruciare...» lei è pensierosa, mentre continua a ripetere quelle parole. Oh, come sarebbe bello, poter uscire alla luce, lasciarsi abbracciare da quel calore, disperdere il gelo, e con esso la paura.
Allargare il cuore, e accogliere quella miriade di sentimenti che accompagnano la felicità.
Essere donna, e lasciarsi amare.
Non è possibile, questo lo sa bene.
Ma forse, è possibile lasciarsi accecare da quella luce una volta, una volta sola e poi mai più, e sentirsi davvero avvolgere dal calore.
E’ difficile decidere, ma ancora più difficile è resistere a quella tentazione, dopo averla così a lungo desiderata, immaginata... dopo aver così a lungo accarezzato quell’infinita idea di libertà, quel diventare tutt’uno con la vita e la morte
«Voglio che sia come nel tuo sogno. Voglio il mare, e le colline. Voglio la neve che risplende sotto i raggi dell’astro lucente, e sentire come ultima cosa la tua mano, e le onde del mare che si avvicinano.»
L’uomo sorride.
Sapeva che sarebbe stato così, e con un gesto le fa cenno di voltarsi.
Vale la pena vivere mille anni di sofferenza solo per vedere gli occhi di lei illuminarsi quando finalmente torna a guardarlo.
Il paesaggio è come se lo era immaginato, come lui l’aveva descritto.
Le montagne in lontananza, coperte di neve, e il mare a pochi passi da loro, silenzioso e apparentemente immobile.
Infinite miriadi di stelle brillano nel cielo sopra di loro, punteggiando la notte d’oro e argento.
Manca ancora qualche ora, all’alba.
Lui si sdraia sulla riva, le onde a lambirgli i piedi scalzi, la sua spalla a fare da cuscino alla donna che è sdraiata di fianco a lui.
Restano abbracciati, così, immobili, senza parlare.
Non vi è più niente da dire, niente di così importante da sostenere la perfezione che hanno davanti.
Non si guardano; non ne hanno bisogno.
La decisione è presa, e ora non resta che aspettare l’inizio di un nuovo giorno.
Lentamente, arriva.
Dapprima è solo un appena percettibile bagliore che illumina l’orizzonte davanti a loro, un lento schiarirsi del cielo, uno spegnersi di stelle.
Poi, al blu della notte si sostituisce l’azzurro, e infine il rosa.
Non manca molto ormai.
Si alzano, e mano nella mano percorrono i primi passi verso l’immensa distesa d’acqua.
E’ ancora fredda, ma non più della loro pelle marmorea e pallida.
Non fa rumore, l’alba.
L’uomo si volta verso la sua compagna, e in un moto di tenerezza le scosta dolcemente i capelli dal viso.
Ha paura, ora lo sente.
La sente tremare.
La sua mano debole e timida stretta in quella più forte e decisa di lui.
Lei gli sorride, e insieme si voltano di nuovo verso l’astro che sorge, così bello e così perfetto, così splendente
La luce avanza sul mare, cancellando l’ombra.
E’ ormai a pochi metri da loro.
«Che tu possa trovare la pace, Edward.»
«E che il sole che ti illuminerà possa redimerti, Bella.»
Sono le loro ultime parole, prima che la luce li abbagli, infinita, potente, accecante. Fantastica.
Non fa male.
E’ semplicemente annullarsi, lasciarsi trascinare, sentirsi svanire nella profondità di quella luce così dolce, così... calda.
Non è morire, è un magnifico rinascere come luce stessa, come parte di quell’immensità, come gioia estrema e palpabile.
E’ essere allo stesso tempo vento e fuoco, acqua, terra e tempo, percezione di una vita che è immobile e nello stesso momento scorre veloce e inafferrabile.
E’ sentire, vedere e toccare, fondersi con ogni cosa e in ogni cosa risorgere.
E’ il desiderio stesso che nasce, muore e rinasce, in un ciclo continuo.
E’ vita, vera, semplice, magnifica.
Vita.
Pochi istanti dopo, quando anche la riva è stata illuminata dal sole, il giorno sorprende polvere e cenere fluttuanti nell’aria, che si posano con la più estrema delicatezza sulle onde appena increspate.
Polvere di un uomo e una donna, resti immortali ma effimeri che si sciolgono nell’acqua, e sciogliendosi si preparano a rinascere.
Sulla sabbia, poco lontano, c’è ancora l’impronta più scura e profonda di due corpi sdraiati stretti l’uno all’altra.

  
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