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Autore: Saprofita    28/06/2014    2 recensioni
[Pathfinder]
Questa non è nient'altro che una storia che sto scrivendo per un mio personaggio in una campagna di Pathfinder alla quale avrò l'onore di partecipare a breve. Non è niente di serio ed è scritta quasi con fretta, ma ci tenevo a metterla comunque da qualche parte, anche perché il pc in cui sto scrivendo potrebbe lasciarmi inaspettatamente a breve, viste le condizioni in cui grava.
La storia che vi appresterete a leggere sarà costituita da pochi e brevi capitoli in cui verrete a conoscere Beric, un chierico mezz'elfo, eunuco e bastardo di una ricca famiglia, provato da una vita tutt'altro che facile e ricca di situazioni spiacevoli. Ribadisco, niente di impegnativo, solo un semplice passato che ho voluto creare per un fittizio personaggio di un gioco di ruolo.
Saluti.
Genere: Avventura, Fantasy, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Beric, il prete rosso.
Capitolo uno: amari ricordi, amari sorrisi.
Quanti giorni erano trascorsi? Si trattava di intere settimane? L’effimero scorrere del tempo non riusciva a penetrare le rocciose pareti del freddo pozzo. La luce solare non invadeva l’atmosfera così in profondità, trasformando di conseguenza le ormai asciutte da secoli viscere del pozzo in angusti luoghi privi di vita, estranei allo scorrere del tempo. Rannicchiato in una posizione scomoda e quasi innaturale, giaceva un esile ragazzo, l’umidità che si divertiva a distribuire un dolore fitto e costante lungo tutto il suo apparto scheletrico. I lunghi capelli rosso vivo, sporchi, si distribuivano uniformemente lungo la sua schiena, arrivando un poco al di sotto delle scapole. Alcune ciocche più sporche ed umide d’altre erano appiccicate lungo il suo collo, una o due adagiate sulla mascella delicata, eredità d’alto lignaggio. Le orecchie a punta facevano capolino dalla chioma rossa, come se volessero richiamare tutta l’attenzione verso di loro, palesando la natura bastarda del ragazzo. Beric era un mezz’elfo, dai lineamenti delicati e marcatamente umani, lontani dalla perfezione elfica, nonostante fossero nettamente sopra la media umana di tutto il reame, di generosa altezza nonostante l’età, dal corpicino esile, malnutrito e provato da numerose frustate, come sentenziavano le cicatrici scavate lungo tutto il corpo. Le percezioni completamente alterate non gli permettevano di capire da quanto giaceva in quell’umida cavità, ma gli bastavano gli spasmi della fame e della sete a ricordargli che probabilmente era ben più di un giorno. Aveva piovuto tempo e la poca pioggia filtrata dall’alto s’era posata sotto forma di goccioline lungo le pareti in nera pietra, diventando la sua unica fonte di vita.
Il giovane, era uno schiavo. Fu venduto in tenera età ad una numerosa tratta che distribuiva schiavi lungo il Mare Interno, in contatto con numerosi nobili e famiglie d’alto lignaggio. Quando gli capitavano ragazzi in tenera età, difficilmente li sfruttavano per lavori forzati o come merce di scambio nei porticcioli più malfamati. No, a loro spettava un destino incredibilmente più crudele. Troppo deboli per i lavori forzati, troppo puri e belli per esser venduti come mozzi in qualche tetra galea, perfetti per intrattenere le notti dei signorotti. I rapporti con ragazzini erano diffusi lungo tutta la contea e numerose erano le persone che ogni notte chiedevano ai mercanti di schiavi di possedere per qualche ora il soffice culetto dei più belli. Beric, dati i suoi occhi ambrati, la lunga chioma rossa e la sua natura da mezz’elfo, era un piatto prelibato per le menti più pervertite. Inizialmente intimorito e picchiato dai padroni, venne costretto più volte ad avere rapporti occasionali sotto pagamenti talvolta ingenti. La sua andatura era leggermente compromessa, l’anca un po’ storta ed era pervaso da dolori lungo l’osso sacro ogni notte. Non conosceva le gioie che un normale ragazzo della sua età dovrebbe provare, non aveva mai giocato con altri bambini, né ne conosceva alcuni: data la sua natura bastarda e il numero di volte in cui si assentava in compagnia di nobili pervasi dall’eccitazione, era malvisto da ogni altro ragazzo della sua tratta di schiavi. Veniva soltanto schernito ed etichettato con le peggiori volgarità, “il Bastardo succhia cazzi”, “il Mezz’elfo della lussuria”, “Beric lo Sporco” ed ogni altra variante immaginabile. Nonostante questo, continuava a vivere passivamente subiva in silenzio il suo destino. Nonostante il suicidio fosse più volte diventato il chiodo fisso di numerose sue giornate, qualcosa l’aveva sempre fatto ricredere. Qualcosa che risiedeva nei suoi sogni, nel suo subconscio. Avvolto nel sonno come una crisalide, rivedeva il volto stupendo di sua madre, le lacrime che rigavano il suo etereo viso, le sue lunghe ed esili braccia che l’avvolgevano in una calda e rassicurante presa ogniqualvolta veniva a trovarlo nella dimora dove, a malincuore, dovette tenerlo al sicuro per anni; sognava l’odore del pane appena sfornato nei pressi del quartiere povero, dove viveva in comunità presso una vecchia nutrice fortemente religiosa che in virtù del lignaggio di sua madre decise d’accudirlo; sognava un luminoso segugio, rovente come il sole stesso, che correva libero e sfrenato lungo un campo d’erba rosso fuoco, lo sguardo perso nell’infinito del creato. E sorridere sporadicamente con in bocca il sapore della nostalgia e l’odore degli sconfinati campi d’erba rossa nelle narici, gli bastava. E la vita proseguiva.
Fine primo capitolo.
  
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