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Autore: Aurora_Nanana    01/07/2014    2 recensioni
«Sì ho amato! Ho amato tanto da temere che il dolore mi uccidesse quando l'ho perso, ma vuoi sapere la verità? Non ho amato abbastanza, perché non sono riuscita a salvarlo con i miei poteri! Ma non ti permetterò solo perché sei un arrogante, prepotente... -sembrava alla ricerca di aggettivi -testardo, orgoglioso uomo che sei di fare la stessa fine, è chiaro?! So difendermi da sola!»
«Devo ammettere -disse il vecchio -che ti avevo sottovalutata, pare che sotto quest'apparenza così lineare e soffice si nasconda una guerriera.» l'uomo di fianco a lui annì, stancamente.
«Compiamo sempre lo stesso errore, le sottovalutiamo, quando loro sono forse più forti noi.»
«Purtroppo certe anime trascendono tempo e spazio, continuano a cercarsi ma non riusciranno mai a essere in tempo l'una sull'altra...»
O forse sì?
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una macchina, una Golf, si fermò all'entrata di una casa appena fuori città. Era ancora molto presto e sulla città la nebbia si spandeva come un guanto a ovattare suoni e impedire la vista, dalla macchina scese una figura di donna, la donna si sciolse i capelli castani scuri e li lasciò ricadere sulle spalle e lungo la schiena. Si allungò verso l'interno della macchina e ne estrasse una felpa, decisamente troppo grande per lei, che indossò, stringendosela addosso e cercando di scacciare un po' del freddo che minacciava di entrarle nelle ossa. La donna fece un passo in direzione del cancello di ferro battuto e infilate le chiavi nel lucchetto lo fece scattare, aprendo poi il cancello che cigolò e la fece rabbrividire. La donna osservò la casa, era un'eredità lasciatale da una lontana prozia che era deceduta da poco. Irina, questo era il nome della donna, seguì con lo sguardo il sentiero ciottolato che portava a quattro gradini dai quali si raggiungeva il portico, poi la porta d'ingresso, alle finestre le tende erano tirate a impedire ai passanti di vedere l'interno della dimora. Irina estrasse dalla tasca della felpa il suo telefono e vide che aveva quattro chiamate perse così premette il bottone di chiamata e portò l'apparecchio all'orecchio, mentre attendeva che il suo interlocutore accettasse la chiamata.  

«Pronto? -domandò una voce di donna in russo - chi è che mi chiama a quest'ora del mattino?» Irina sorrise amaramente, prima di risponderle in russo: 

«Sono Irina, sorella» dall'altra parte ottenne il silenzio: la calma prima della tempesta. In cinque minuti Irina si sentì chiamare le peggio cose per aver fatto spaventare la propria sorella gemella.  

«Ekaterina -la richiamò all'ordine -ti spiace smettere di urlare? Sai bene che non volevo essere rintracciata da nessuno altrimenti ti avrei risposto» 

«Ero preoccupata, lo capisci! Sei tutta la famiglia che mi resta!» le rispose in malo modo la gemella. Irina aveva ventiquattro anni ed era nata in una piccola cittadina del Massachusetts vicino a Boston, da madre americana e padre russo, era nata in piena notte all'una meno un quarto circa tre ore dopo la nascita della sua sorella gemella Ekaterina. A loro madre era stato detto che non poteva avere figli quindi aveva accolto le due come una benedizione, fino alla nascita quattro anni dopo di Ian, loro fratello minore che Irina amava molto. Per un po' tutto sembrava essere filato liscio, fino a quando non cominciarono le discussioni tra i loro genitori che portarono al divorzio. Ekaterina e Irina all'epoca avevano sedici anni, quindi erano grandi a sufficienza secondo il giudice di pace da decidere con quale genitore stare, ma Ian che aveva solo dodici anni, sarebbe dovuto rimanere con la madre: Ekaterina non ebbe dubbi e decise di seguire il padre in Russia, ma Irina sapeva che Ian non avrebbe potuto affrontare l'adolescenza da solo e che sua madre era talmente spezzata dal divorzio da non poterlo accompagnare nella sua crescita. Le due gemelle litigarono pesantemente, ma la scelta di Irina non cambiò, rimase assieme a madre e fratello. Non si erano parlate per anni, fino a quando non fu strettamente necessario perché entrambe avevano bisogno l'una dell'altra, ma ormai la vita di Ekaterina era a Mosca quindi le sorelle mantennero un rapporto a distanza, Ekaterina si era laureata in marketing ed era ora tirocinante, mentre Irina nonostante avesse superato l'esame per poter seguire gli studi di medicina aveva abbandonato la scuola per stare vicino alla madre malata fino alla morte di quest'ultima e allora era troppo tardi per riprendere gli studi, loro padre era morto anni prima, non che le interessasse particolarmente. Irina alla fine non aveva raggiunto nessun obiettivo nella sua vita, così appena si era presentata l'occasione di cambiare aria l'aveva colta a doppie mani e si era preparata alla partenza per tornare nel paese di origine della madre.  

«Perdonami, Ekaterina. Sono arrivata sana e salva. Volevo solo avvisarti, Buona giornata» disse chiudendole la telefonata in faccia. Sapeva di essere estremamente telegrafica, ma quel giorno aveva da fare e non avrebbe perso tempo. Rientrò nell'auto, accese il motore e entrò nel cortile. Stava per iniziare una nuova vita, ne era sicura. 

*** 

«Chi c'è?» domandò una voce spaventata, entrando in casa. «So che ci siete, venite fuori!!» Irina decise che era ora di farsi vedere così uscì dal dietro l'armadio dove si era nascosta e uscì mani in alto: era il maggiordomo che con un candelabro in mano la minacciava. Le veniva quasi da ridere, l'uomo era chiaro che avesse paura perfino della sua ombra.  

«Metti giù l'arma soldato. Non sono venuta qui per farti del male» disse ironica. L'uomo in tutta risposta aumentò la presa sull'arnese, allora Irina alzò gli occhi al cielo e sbuffò, muovendo poi una mano nell'aria, il candelabro sfuggì alla presa dell'uomo andando a sbattere contro la parete e l'uomo si ritrovò a stringere l'aria, Irina inarcò un sopracciglio sarcastica poi disse: 

«Il mio nome è Irina Dobrachev, sono la nuova padrona di casa, voi dovete essere l'anziano maggiordomo, il Signor Reis» l'uomo annuì continuando ad osservarla bene: 

«Somigliate a vostra madre -disse d'un fiato -vi chiedo perdono, Signora, ma non vi aspettavamo che tra una settimana» si scusò. 

«Mi piace fare dell'entrate ad effetto -disse lei muovendo la mano con fare saccente, raccolse poi il candelabro da terra e glielo porse -ecco a voi la vostra arma, soldato, rimettetela a posto»  

«Si signora, scusate, signora!» disse a perdifiato, nascondendo l'arnese dietro la schiena, sembrava quasi un bambino, nonostante la capigliatura brizzolata e le rughe sul volto. Una volta che fu uscito dalla stanza Irina poté tornare a osservare il quadro che stava osservando prima che il maggiordomo la interrompesse. Ritraeva sua madre alla sua età, più o meno, il giorno del suo fidanzamento, con suo padre vicino a lei. Era vero, le somigliava molto, con i suoi lunghi capelli castani scuri e gli occhi liquirizia, ma le labbra, quelle le aveva ereditate dal padre col labbro inferiore più carnoso del superiore, ma comunque sottile e lineare.  

 

Irina Dobrachev era una strega come tutte le secondogenite nella sua famiglia da generazioni, aveva ereditato quel gene, quel gene che la rendeva diversa. Sua madre non lo era stata, ma sua zia Evelyn sì, prima di morire in una delle sue missioni. Irina Dobrachev si sentì osservata e si guardò intorno, fuori dalla finestra, l'unica finestra le cui tende erano state aperte stava, dritto come un fuso, un uomo, dal fisico muscolato e dai capelli biondi scuri e dagli occhi marroni, la osservava attraverso quelle iridi castane e nonostante la giovane donna ricambiasse lo sguardo non lo abbassò. Irina seppe di essere già stata in quella posizione, di aver già provato quelle sensazioni, di essersi già sentita penetrata da quegli occhi così sinceri, da quelle meravigliose iridi castano-dorate. Poi con uno scatto d'orgoglio, dopo aver abbassato lei lo sguardo per prima, mosse le dita sinuose e le tende si chiusero nascondendola alla vista dello sconosciuto.  

     

 

  
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