Chapter 1 – A beautiful guy dirty of sadness
«Io
sono Jude Law, il tuo compagno di stanza.»
Ah,
ecco. Il mio compagno di stanza. Be', fantastico. Ma da quand'era che
avevo un compagno di stanza? Nessun poveraccio si era fatto un
appunto mentale per il sottoscritto, tanto per informarlo che in
effetti avrebbe avuto compagnia. Ottima organizzazione, niente da
dire.
Mi portai una mano tra i capelli (quando pensavo era un mio
riflesso involontario), osservandolo interdetto. Avevo anche
sorvolato sul fatto che non mi avesse offerto la mano, e per un
istante avevo cancellato quelle scie umide che gli avevano baciato
gli zigomi arrossati.
Passò qualche istante prima che lui
distogliesse lo sguardo da me e passasse il suo peso da una gamba
all'altra, puntando le iridi liquide verso un punto oltre la mia
spalla.
Scossi un attimo il capo, come a volermi riprendere,
prima di scostarmi dalla soglia su cui ero rimasto impalato come un
coglione: «I-io... perdonami, ma per me sei una
novità. Cioè, non
che non ti creda, eh! No, no, ti credo, sei il mio compagno di stanza
e ok, wow, ma...» Il mio fiume di parole sfumò
quando vidi che quel
tipo – Jude – mi lanciava un'occhiata di traverso,
le labbra
strette.
«Che c'è?» Chiesi a quel punto con tono
interrogativo,
corrugando le sopracciglia e chiudendomi la porta alle spalle: avevo
appena deciso che la hall avrebbe potuto aspettare. Eppure quello
sguardo in tralice mi aveva lasciato ciondolante sulla porta. Mh,
come prima impressione mi sa che non era stata delle
migliori.
«Niente, trovo solo che le tue parole in questo momento
siano un po' sconclusionate.» Abbassò nuovamente
lo sguardo e si
mise seduto ai piedi del letto che non era occupato dalla mia borsa
vuota. Seguii il tragitto dei suoi occhi che puntavano stavolta alle
sue mani, su cui mi soffermai. Ma che cazzo-!?
«Ehy! Che diamine
hai fatto alle mani?» Saltare di palo in frasca sembrava
l'unica
cosa che fossi in grado di fare al momento, ma le sue nocche davvero
non avevano un bell'aspetto e fui rapido ad inginocchiarmi davanti a
quel ragazzo che subito si mosse, a disagio, aprendo e chiudendo la
bocca un paio di volte – e stavolta mi guardò
negli occhi mentre
trovava finalmente il coraggio di parlare: «L'astinenza. Sai,
prima
o poi ci passerai anche tu. Più prima che poi,
suppongo.» Sfoggiò
un sorriso che di gentile non aveva niente, né di cortese.
Era più
un ghigno da demone che voleva mascherarsi da angelo, e con quei
capelli biondi e la faccia da bambino ci sarebbe potuto anche
riuscire bene.
Io sospirai pesantemente, umettandomi le labbra
prima di rispondergli: «Senti... per me puoi anche essere
andato
nella foresta tropicale a mani nude, non mi interessa di cosa si
tratta. Direi che per il momento sono abbastanza lucido, quelle
cagate di vitamine che mi hanno affibbiato i dottorini non fanno poi
tanto schifo, ma resto del parere che quelle ferite – e gli
indicai
le nocche quasi tutte sbucciate – debbano essere quanto meno
lavate.» Mi strinsi nelle spalle dopo aver finito di parlare,
osservandolo con le labbra arricciate.
Ero un tipo curioso, quello
sì, ma non entrante. O perlomeno, così mi avevano
sempre descritto.
Se Jude era lì, significava che aveva dei problemi. Mi
avevano detto
cosa avrei provato raggiunta l'astinenza, e non sarebbero passati
più
di un giorno o due prima di toccarla. Mi restava poco tempo prima di
oltrepassare la soglia, ed ero un drogato sì, ma non uno
stronzo. E
quelle sbucciature erano messe proprio male, si vedeva, ed io volevo
aiutarlo. Parlavo per esperienza personale quando dicevo che le
infezioni erano davvero una palla al piede.
Jude mi fece
attendere qualche momento prima di una risposta, e nel frattempo non
aveva distolto gli occhi per un istante da quelle ferite. Scosse poi
la testa, stiracchiando le labbra in un sorriso ben poco convincente:
«Ti ringrazio, ma ci penserò da solo.»
Io non mi trattenni e
sollevai gli occhi al cielo in un gesto scocciato. Proprio uno di
quei coglioncelli introversi dovevo beccarmi come compagno di stanza?
Uno di quegli idioti che per parlare avevano bisogno di qualcuno che
tirasse loro le parole a forza dalla bocca? Capivo che ci eravamo
appena conosciuti, ma che diamine, avremmo dormito per
chissà quanto
tempo nella stessa stanza, l'avrei sentito russare la notte (anche se
mi restava un po' complicato figurarmi Jude che russava... dovevo
averlo iconizzato, in un subconscio molto idiota e poco di
più a
causa del suo aspetto) e avremmo condiviso il gabinetto!
Non
capivo proprio se ero io il problema, se ero io ad essere troppo
troppo, oppure se
erano gli altri, che rimanevano sempre e comunque sulla difensiva ed
erano diffidenti.
Mi ero ritrovato i tratti stropicciati in un
broncio concentrato quando mi riscossi da quei pensieri, e lo feci
solamente per sentire la porta del bagno (non c'erano molte opzioni
disponibili su che stanza ci fosse dall'altro lato di quella porta in
fondo alla camera) chiudersi a chiave.
Jude ci si era chiuso
dentro, ed io non lo avevo sentito neanche alzarsi dal letto. Era
silenzioso come un ratto, quel ragazzo!
Anzi no, non come un
ratto... che schifo.
Come un gatto. Come un elegante gatto bianco
con gli occhi cangianti.
***
La
chiave girò
nella toppa, così da rinchiudere Robert. In
realtà ed in senso
puramente pratico, ero io ad essere quello rinchiuso da qualche
parte, ma l'importante era che riuscissi a prendere tempo. Solo un
po'. Non era il momento giusto. Scusa, Rob.
Il bagno era un buco,
due persone insieme non sarebbero mai riuscite ad entrarci. Ma be',
andava bene. Anche perché doveva andar bene, non era che
avessimo
troppe scelte. Mi voltai un istante verso lo specchio a muro che
stava sopra al lavandino, osservando la mia immagine riflessa: quel
"tutto bene?" che mi aveva rivolto il mio nuovo compagno di
stanza non appena mi aveva posato gli occhi addosso era più
che
giustificato, a vedermi.
Scossi il capo, passandomi una mano tra i
capelli e trasalendo per il dolore, dato che mi ero dimenticato che
in effetti le nocche erano più sangue che pelle integra. Ed
inoltre,
nonostante i miei sforzi, l'anulare e il mignolo della mano destra
non volevano saperne di muoversi.
Una doccia. Dovevo fare una
doccia e togliermi di dosso tutto quel senso di oppressione che per
un solo istante – incontrando il viso di Robert –
mi aveva dato
tregua. Ma ora dovevo liberarmene, in qualche modo, a costo di
strapparmi la pelle di dosso e affogarmi in quella fottuta piscina
che il direttore, il magnanimo e retto Val Kilmer, ostentava con un
gran sorriso degno di uno di quelle pubblicità dei
dentifrici. E mi
pareva di sentirli, quei dottori che dicevano ma che alla fine non
avevano mai provato sulla propria pelle. Parlavano. Dio, quanto
parlavano, e ci imbottivano della stessa solfa ogni volta: "E'
prassi, Jude. L'astinenza..."
L'astinenza un cazzo. Mi
aveva già consumato i coglioni, l'astinenza.
Allungai la mano
sinistra, quello che riuscivo a muovere correttamente, per aprire
solo il pomello dell'acqua calda. Intanto cominciai a spogliarmi con
lentezza, slacciandomi i pantaloni.
Avevo deciso di dover fare
mente locale su Robert, perché sicuramente lui aveva
già elaborato
la mia conoscenza, ed io invece era già tanto se ricordavo
il suo
viso. E sì, sì, astinenza. Abbiamo capito. Ed
appunto per questa
mia condizione, concentrarmi su un qualcosa di neutro come lui mi
avrebbe distratto.
Riflettevo, mentre mi infilavo sotto la doccia
e lasciavo i vestiti abbandonati a terra. L'acqua bollente mi
scottò
la pelle, costringendomi così a schiacciarmi contro le
piastrelle
alle mie spalle con un sibilo e aprendo immediatamente anche la
cannella della fredda, tentando di regolarizzare la temperatura.
Ma
comunque, Robert. Doveva avere la mia età, circa, ed anche
se era
più basso di me, i suoi tratti erano molto più
adulti dei miei. E
sì, dovevo ammetterlo: anche più mascolini,
nonostante fosse più
che chiara la sua giovane età. Aveva dei bei capelli,
però erano un
disastro. Sospettavo comunque che al tatto fossero morbidi. Quel
pensiero mi fece sorridere tra me, mentre chiudevo gli occhi e
sollevavo il viso verso il telefono della doccia.
Sembrava un
tipo dalla facile confidenza, di quelli che considerano tutti quanti
amici. E poi era bello, molto. E sexy. Insomma, ero pur sempre un
ventenne dichiaratamente bisessuale, e se ciò che vedevo era
apprezzabile ed era munito di cazzo, tanto per essere schietti, non
capivo perché non potessi ammettermelo.
Già, ragionamenti di
tutti i giorni, mentre mi insaponavo con cura e con la mano sana,
mentre, allo stesso tempo, cercavo di pulirmi le ferite che mi ero
procurato facendoci scorrere l'acqua sopra. Ora che posavo gli occhi
sulle dita che non riuscivo a muovere, però, mi rendevo
conto che
non avevano un gran bell'aspetto. Aggrottai le sopracciglia,
avvicinando la parte incriminata ai miei occhi e piegando i lati
delle labbra verso il basso: le due nocche erano gonfie, la parte
stava diventando... viola? E se dovevamo dirla tutta, il mignolo era
anche lievemente piegato verso l'interno. Il problema era che mi ero
già rotto un polso, una volta, ed il dolore e l'aspetto
erano
difficilmente fraintendibili.
«Merda.» Imprecai a denti stretti,
sbuffando pesantemente.
Chiusi gli occhi e feci un paio di bei
respiri profondi, abbandonando nuovamente le braccia lungo i fianchi.
Ok, sarei sceso al piano inferiore e avrei fatto esaminare la parte
lesa. E poi avrei anche chiesto scusa a Jared, l'infermiere che avevo
colpito col famoso pugno. Era un peccato l'averlo preso in faccia,
tra l'altro, perché era davvero bello.
Avvertivo le spalle
rilassarsi sotto il getto della doccia, mentre piegavo il capo e
lasciavo che dei rivoli tiepidi mi scendessero lungo il collo,
giù
per la spina dorsale. Era strano come l'acqua riuscisse a calmarmi,
in effetti.
Tirai su col naso, umettandomi le labbra subito dopo e
chiudendo poi il getto sotto al quale ero rimasto per almeno quindici
minuti. Era arrivato il momento di uscire ed andarmi a far curare le
ferite. Anche perché, se guardavo le mie mani, avevano anche
cominciato a tremare.
«E' normale, Jude...» Mi sussurrai, mentre
mi avvolgevo in un asciugavamo e mi posizionavo davanti allo
specchio, scrutando le mie labbra socchiuse e gli occhi. Erano
terrorizzati, tanto che mi vidi aggrottare le sopracciglia e serrare
di scatto la mascella. Erano quelli i momenti in cui mi accorgevo di
aver bisogno d'aiuto. Vederti allo specchio e capire che non sei tu,
tu non eri così pochi anni prima. Poi un giorno tenti.
Perché è
così che si fa, tra amici. Tenti e cadi. E non ti rialzi
più.
Mi
sentivo costretto a terra, prono sul cemento e assicurato a terra con
mille catene. Troppe per essere spezzate. L'uscita. Dov'era l'uscita?
Affondai gli incisivi nel labbro inferiore, distogliendo il volto
dallo specchio e schiacciando la schiena contro al muro, respirando
affannosamente. Il volere la coca e la consapevolezza di starmi
uccidendo con il mio stesso vizio nato per gioco mi annientava.
Sapere di non potere, in nessun caso, per un milione di obblighi ed
una sola promessa.
Mi portai la mano al petto, stringendo
l'asciugamano che lo copriva e chiudendo gli occhi, trattenendo in
gola un singhiozzo.
Basta, Jude.
Basta, sì.
***
Fischiettavo
mentre
scendevo gli scalini a due a due, guadagnandomi occhiate in tralice
dai ragazzi che passavano – alcuni evidentemente drogati, con
occhiaie che arrivano fin sotto ai piedi.
Mi dispiaceva per Jude,
davvero... ma se lui non voleva essere aiutato, io non potevo certo
forzarlo. E poi eravamo in un centro di recupero per cocainomani:
dovevo abituarmi al fatto che avrei assistito a scene ben peggiori di
un bellissimo ragazzo piangente, forse triste, e non potevo dare una
mano a tutti. Non solo perché non tutti avrebbero voluto, ma
soprattutto perché non sarebbe passato molto tempo prima che
tutto
il mio aiuto fosse rivolto ad una sola persona: me stesso. Anche
perché se non mi fossi preso cura io di me, Andrew non
avrebbe
potuto farlo.
Ne avevamo parlato, prima che lui mi lasciasse qui.
Mi aveva detto: "Robbie, non fare il coglione. Non ci sono io
a pararti il culo, lì dentro, e non potrò
più parartelo finché
non ti toglierai da dosso quello schifo con cui hai cominciato ad
ammazzarti. Pensa a te."
Non era una cosa
così complicata, a conti fatti. Sapevo essere egoista, ed
inoltre in
quel luogo dovevo esserlo per necessità. Già.
Avrei pensato a me.
Svoltai l'angolo e mi trovai nella hall: luminosa, accogliente,
addirittura. Un bel luogo riempito di cotone e insonorizzato da
ostentata bambagia per permetterci di non ammazzarci e falso come le
tette della segretaria, che mi guardava con un sorriso amorevole e
sbatteva gli occhioni azzurri. Noi ospiti
– come Kilmer mi
aveva definito – non eravamo lì per leggere
riviste di gossip
mentre accavallavamo le gambe su poltrone imbottite. Non eravamo
lì
per prenderci cura delle piante in vaso presenti ad ogni angolo,
né
eravamo lì per bearci delle enormi vetrate che davano sul
parco. Ma
comunque, non ero stupido, lo sapevo che lo facevano per renderci il
soggiorno più accogliente, ma non rispecchiava neanche
lontanamente
il degrado che avevamo dentro. Il grigiume, le crepe e l'intonaco
sciupato era ciò che era dentro. Lì, invece, era
tutto perfetto. Mi
venne distrattamente in mente il film Trainspotting, con quel ragazzo
che diceva che doveva scegliere la vita, o qualche stronzata del
genere. Stronzate vere, tuttavia, e chi meglio di me poteva
riconoscerlo? Fatto sta che se dentro noi drogati del cazzo non c'era
vita, certo non c'era neanche su quei pavimenti tirati a lucido e
quell'odore di deodorante per ambienti onnipresente.
Feci
schioccare le labbra insieme mentre mi avvicinavo alla biondissima e
giovane donna che mi guardava con un sorrisone. In effetti non aveva
un'aria troppo intelligente.
Mi appoggiai al bancone con il
gomito, posando la guancia sul pugno chiuso e rivolgendole un
sorrisetto: «Sienna, giusto? L'ho letto sulla
targhetta.» Le
indicai con l'indice il nome scritto su un rettangolo di plastica,
applicato ad una taschina sul seno destro della donna – Ehy,
no!
Non per quel motivo! Semplicemente, osservavo le persone. E poi a me
piacevano le tette naturali.
Lei, comunque, non si accorse dei
miei pensieri – ovviamente – ma mi rivolse un
sorriso che
probabilmente voleva essere civettuolo, mentre accavallava le gambe
sulla sedia girevole e piegava il viso di lato.
«Tu invece sei
quel ragazzo nuovo, giusto? Norman?»
Domandò con voce
strascicata, mentre corrucciavo le labbra con disappunto e la
correggevo con un sospiro: «Robert. Ma comunque, pensavo che
mi
avreste detto che avrei avuto un compagno di stanza. Lui lo
sapeva.»
Buttai lì. No, in effetti non ero lì per parlare
di Jude (al cui
riferimento Sienna si illuminò, facendomi corrugare anche le
sopracciglia, oltre che le labbra), ma non mi era andato giù
il
mancato avvertimento. Non che fosse un problema, ma non era un
granché trovarsi impalato come un rincoglionito sulla porta
mentre
l'altro sapeva anche il mio nome.
«Oh, Jude Law! Be', mi dispiace
Rupert, c'è stato un disguido, perché di solito
informiamo i nostri
i ospiti... Se dovessero esserci problemi, comunque, posso sempre
chiamare Kilmer.»
Io attesi qualche istante, mentre lei aveva
già fatto correre la mano al telefono.
A due motivi
principalmente, era dovuto il mio silenzio: mi chiamavo Robert e lei
non era non intelligente – era proprio
stupida ed insipida.
La classica biondina sciocchina tutta risolini e cinguettii. Da
mandare al rogo, in pochissime parole.
Alla fine, recuperando
tutto l'autocontrollo che possedevo – ricorda Rob: non si
picchiano
le donne -, stiracchiai un sorriso affettato, scuotendo con lentezza
la testa: «A parte la trascurabile piccolezza del fatto che
il mio
nome è Robert, non è assolutamente un problema
l'avere Jude in
stanza. Semplicemente, avrei voluto che mi aveste avvertito prima. Ma
comunque, come funzionano qui dentro le telefonate? Vorrei chiamare
il mio migliore amico.» Tentai, mentre lei ritirava la mano e
mi
guardava poco convinta. Non sapevo se per il nome, se per la menzione
di Jude o per chissà cos'altro, ma a quel punto dubitavo
davvero che
lei potesse aiutarmi, di quel passo. Neanche sembrava sapere dove si
trovava in quel momento, figurarsi darmi un'informazione... lei fece
per aprire la bocca, quando un ragazzo completamente vestito di blu e
con uno zigomo livido entrò nella mia visuale ignorandomi
completamente. Quel tipo era un infermiere, era chiaro, ed io lo
osservavo mentre si chinava verso l'orecchio di Sienna per riferirle
qualcosa che ovviamente non mi era dato sapere.
Feci un bel
respiro profondo, aprendo e chiudendo un pugno: sì, mi stavo
irritando. Volevo una sola, fottutissima informazione e chi doveva
darmela era una cazzo di cretina che veniva interrotta da un tipo
spuntato dal nulla.
Vidi quella svampita annuire, lo sguardo si
era improvvisamente fatto serio – incredibile ma vero, mentre
l'infermiere se ne andava a passo svelto, passandomi a fianco. Sienna
digitava con velocità un numero di telefono, l'apparecchio
già
premuto contro l'orecchio e le labbra serrate in una linea dritta. Io
invece fui costretto a sollevare gli occhi al cielo ed a voltarmi,
dandole le spalle: non era proprio giornata per chiamare Andrew, a
quanto pareva. Lasciai lo sguardo vagare pigramente per grande
stanza, finché i miei occhi non vennero attratti verso un
punto
preciso. Un punto celeste limpido, che mi fissava a sua volta.
La
voce di Sienna proveniente dalle mie spalle mi spiegò
perché Jude
si teneva una mano stretta al petto: «Dottor Freeman?
Sì, mi scusi,
ma qui abbiamo bisogno di lei. Sì. Jude Law, il ragazzo
biondino...
ecco lui, sì. Leto dice che è probabile che si
sia rotto due dita.»
***
Jared
aveva uno
zigomo gonfio, con un bel livido che, piano piano, stava colorando la
sua pelle. Gli avevo chiesto scusa, mentre mi sedevo sul lettino
della stanza dell'infermeria e lui si prendeva cura di ogni singola
nocca. Disinfettante, cotone, cerotto. Aveva sorriso e poi aveva
scrollato le spalle, prima di tirare su il viso e rivolgermi un
occhiolino confidenziale: «Sono i rischi del
mestiere.»
Io ero
rimasto in silenzio, a quel punto, finché non era arrivato
alle due
dita incriminate. Facevano schifo da com'erano gonfie. Sembravano
salsicciotti.
Jared mi aveva preso il polso, sollevandomi la mano
davanti al suo viso per scrutare le lesioni con occhio critico, le
labbra arricciate: «Mmh... Jude, non hanno per niente un
bell'aspetto, queste dita.»
Io avevo sospirato e poi avevo
forzato una risatina, mentre mi passavo la mano sana tra i capelli,
tirando su col naso subito dopo: «Ma non mi
dire...» Scherzai,
tirando un sorrisino e sollevando lo sguardo sul viso del ragazzo,
che adesso stava avvicinando le dita al mio mignolo storto. Lo prese
con delicatezza, ma bastò questo per farmi sputare un
"cazzo!"
tra i denti, facendo sì che lui si accorgesse che la
situazione era
più che ovvia e che mi miei timori venissero brutalmente
confermati.
«Be'... - aveva esordito così, lasciandomi andare
le
dita e portandosi una mano a grattarsi la nuca con aria pensosa
–
credo proprio ci sia il bisogno di chiamare il dottor
Freeman.»
Io
non potei far altro che annuire mestamente, le spalle incurvate verso
il basso.
«Non bastava l'astinenza...» Sibilai tra i denti, e
Jared, sentendomi, mi rivolse un sorriso sghembo, tirando verso
l'alto solamente un lato delle labbra. Non era un sorriso allegro...
forse un po' triste. Immaginavo non fossi né il primo
né l'ultimo.
Mi fece cenno poi di scendere dal lettino, ed io ubbidii.
«Ok,
adesso andiamo da Sienna e faccio chiamare il dottore. Tu prenditi il
polso e tieniti la mano contro al petto, così evitiamo che
possa
essere urtata per sbaglio.» Mi diede queste direttive mentre
mi
faceva uscire, ed io assunsi subito la posizione che mi aveva
raccomandato. Aggrottai le sopracciglia intanto che aspettavo che mi
precedesse per raggiungere così la hall e quella gattamorta
di
Sienna – che tra l'altro mi aveva messo gli occhi addosso da
quando
ero arrivato lì. Si ricordava persino il mio nome, mentre
degli
altri ragazzi se lo dimenticava praticamente subito. Se non fosse
stata così noiosamente e stupidamente palese, forse avrei
potuto
prendere in considerazione l'ipotesi che in realtà non si
scordava
come mi chiamavo solamente perché si trattava di un nome
particolare, che non si sentiva tutti i giorni. E poi era
così
terribilmente inglese... ed invece era ovvia, troppo. E sciocca. No,
non proprio il mio tipo.
E fu durante le mie elucubrazioni che
raggiungemmo la hall del centro, lasciando poi che lo sguardo
scivolasse proprio alla donna a cui avevo rivolto i miei pensieri non
proprio carini fino a quel momento. Jared si era chinato a
sussurrarle ciò che doveva, quando i miei occhi furono
catturati da
folti ciuffi castani del tutto senza un senso accettabile. Poi il mio
sguardo scese verso il viso del proprietario di quei capelli, che mi
fissava a sua volta e mi riconosceva.
Il proprietario di quella
chioma era Robert, e non sembrava molto tranquillo. Con tutta
probabilità, aveva appena finito di parlare con Sienna, e
non potevo
biasimarlo se parlandoci mi fossi accorto che era irritato. Persino
una gallina si sarebbe suicidata dopo aver chiacchierato con la
biondina.
Volendo essere solidale, gli rivolsi un sorriso storto e
lui probabilmente prese quella mia nuova espressione come un invito,
perché si staccò dal bancone mentre quell'idiota
della donna
parlava ancora al telefono. Quando il mio compagno di stanza mi
raggiunse con una flemma invidiabile e le mani affondate nelle tasche
dei jeans, subito passò ad osservarmi con insistenza la mano
stretta
al petto. Vidi chiaramente le sue labbra arricciarsi e quasi potei
sentire la sua voce in testa che mi canzonava con un irritante "te
l'avevo detto". E come prevedibile, mi rivolse un sorrisetto
che era tutto un programma: «Te l'avevo detto che andavano
curate.»
Per l'appunto.
Non potei fare a meno di sorridere a
mia volta, mentre Jared ci raggiungeva ed alternava sguardi dall'uno
all'altro, che Robert ricambiava con un sopracciglio sollevato. Alla
fine l'infermiere decise di scoccargli un sorriso prima di voltarsi
completamente verso di me: «Sienna sta chiamando il dottore.
Tu stai
fermo qui e aspetta Freeman, io devo andare a preparare le vitamine.
– poi spostò lo sguardo sul nostro ascoltatore,
mentre io annuivo,
arreso all'evidenza del danno che mi ero procurato – tu chi
sei?»
Domandò Jared al mio compagno di stanza, che si
umettò le
labbra e rivolgeva un'occhiata poco convinta al suo interlocutore,
estraendo poi una mano dalla tasca e porgendogliela: «Robert.
Sono
arrivato oggi e sono il compagno di stanza di Jude.»
Io guardavo
Robert mentre venivano fatte quelle presentazioni, le strette di
mano, i sorrisi di rito, perché era strano come si fosse
annunciato
a me un paio d'ore prima e come, invece, con l'infermiere fosse tanto
sicuro. Forse perché io l'avevo colto di sorpresa? O
perché avevo
un'aria così tanto schifosa da farlo balbettare perfino il
suo nome?
Non mi era concesso di saperlo e, a dirla tutta, non rientrava
esattamente nelle mie priorità. Però, in quel
momento, potevo
vederlo davvero con lucidità anche grazie al dolore della
mano, e mi
sorpresi a pensare che era molto carino. Be', in realtà
avevo già
stabilito che fosse davvero sexy, ma... era affascinante. Ecco. Un
peccato che non l'avessi studiato meglio non appena incontrato.
In
mezzo a quei pensieri, Jared mi riservò una pacca affettuosa
sulla
spalla, mentre mi informava che a quanto pareva avevano deciso che
Robert sarebbe rimasto con me a farmi compagnia. Non potevo dire che
mi dispiacesse, in realtà.
***
Ed
eccoci qui,
seduti su due poltrone al bancone della hall, uno accanto all'altro,
con Sienna che occhieggia verso di noi e riserva a Jude dei sorrisi
che di elegante e femminile avevano ben poco. Le avrei volentieri
spaccato quel faccino, in realtà. E non perché
fossi geloso delle
attenzione che riservava al biondo, per carità, ma
perché la
trovavo a dir poco irritante.
Jude parve intercettare i miei
pensieri, ed infatti seguì lo sguardo in cagnesco che stavo
rivolgendo alla schiena della segretaria, prima di portare di nuovo
gli occhi sui miei con un malcelato sorriso: «Anche se mi
sembra
impossibile una cosa simile e prima avevo seriamente pensato che
stessi per ammazzarla... Ti piace?» Chiese a bruciapelo, e io
non
potei fare a meno di assumere un'espressione a dir poco stupita
–
che mi premurai di condire con una punta di schifo – per poi
scuotere la testa con energia: «Ma stai scherzando? Se
parlassi con
una capra mi risponderebbe in maniera più
esaustiva.» Arricciai il
naso e schioccai la lingua contro al palato, guadagnandomi una risata
sotto i baffi di Jude, che ricambiai con un mio sorriso ampio. Mi
piaceva far ridere la gente. Soprattutto se erano ragazzi molto belli
che avevo visto sporcati di tristezza.
«Sai... - ripresi,
facendomi serio – mi dispiace per la figura che ho fatto
oggi.
Probabilmente sono stato al pari con le capacità di
discorrere di
Sienna, ma è perché non sapevo che avrei avuto un
compagno di
stanza, mi hai colto di sorpresa. Giuro che di solito riesco perfino
a farmi capire, quando parlo.» Tornai scherzoso
immediatamente dopo,
rivolgendogli un occhiolino e stendendomi sulla poltrona con le gambe
dritte davanti a me.
Vidi Jude scuotere il capo, facendo
svolazzare in aria la mano sana: «Tranquillo. Io piuttosto
non
volevo presentarmi in quelle condizioni, ma...»
Lo vidi
distogliere lo sguardo, arricciando le labbra, a
disagio.
«L'astinenza.» Completai io per lui, scoccandogli
un
nuovo sorriso, stavolta comprensivo.
«Non devi preoccupartene.
Siamo tutti più o meno sulla stessa barca qui dentro...
quando
toccherà a me, potresti vedermi prendere a testate la
parete, altro
che lacrime. Mi dispiace solo che tu sia costretto a
passarci.»
Conclusi con sincerità, scrollando le spalle. Lui mi
guardava con
un'espressione che non ero in grado di decifrare e pensai una nuova
volta che forse avevo oltrepassato un limite che io non riuscivo a
vedere. Non era facile per me fare amicizie vere, perché i
miei muri
erano molto più avanti di quelli altrui, e tante persone
trovavano
la mia confidenza immediata inopportuna. Persino Andrew all'inizio mi
aveva guardato storto.
«Perché?» Mi chiese dopo qualche
istante, e mi accorsi che si era girato completamente verso di me.
Tuttavia, continuavo a non riuscire a comprendere la sua espressione.
Sembrava scolpita nella pietra. Era immobile e... non diceva
niente.
«Perché cosa?» Domandai di rimando e
stupidamente,
aggrottando le sopracciglia: mi aveva nuovamente colto di sorpresa.
Stavolta in maniera diversa dalla precedente, però.
«Perché ti
dispiace? Non mi conosci neanche.» Fu la sua semplice
risposta,
mentre si stringeva nelle spalle e aggrottava le sopracciglia,
fissandomi con più insistenza.
Perché mi dispiaceva? Be',
perché... perché sì. Perché
l'avevo visto piangere.
Io mi
presi qualche momento, inciampando nelle sua domanda. Poi
però mi
limitai a rivolgergli un sorriso: «Perché
è giusto così.» E
replicai a quel modo, con altrettanta facilità, mentre lui
rimaneva
imbambolato qualche istante e poi ricambiava il mio sorriso.
Ricambiava con un sorriso bello, vero, pieno, stavolta. E mentre il
dottor Martin Freeman ci salutava frettolosamente e cominciava ad
occuparsi del suo paziente, io pensai che era un sorriso che Jude
doveva fare più spesso e che non doveva perdere tempo a
piangere.
Mi feci un appunto mentale di dirglielo, non appena fossimo
rimasti soli.
Walking_Disaster's
corner:
Bonsoir!
Eccomi qui con il primo capitolo della long.
Che dire? Siamo
ancora nella fase "conosciamoci e studiamoci". Hanno
bisogno di un amico, di qualcuno che possa aiutarli, e Rob, anche se
non se ne è ancora accorto pienamente, è
incuriosito ed è rimasto
colpito da Jude. Per lui è il bel ragazzo sporco di
tristezza, per
ora, ma come ha detto, deve pensare a sé. Gliel'ha detto
anche
Andrew!
Per quanto riguarda Jude, invece, è distratto. Deve
superare il momento dell'astinenza, ma ha una paura enorme.
Però
stare con Rob lo distrae.
Passiamo ora ai personaggi citati.
Jared è, ovviamente, Jared Leto ;-; <3
Sì... Jared Leto
infermiere. Bloccate i vostri ormoni, pls. Sienna è Sienna
Miller
(mi sta troppo sui così detti, scusate, ma sarà
la scema della
storia e bon), il dottor Freeman e Martin Freeman (amore <3 ),
anche detto "l'altro John".
E poi ho voluto citare Val
Kilmer perché nel 90% delle FF ha un ruolo ingrato, ma
siccome a me
piace e mi sta tanto simpatico, ho voluto metterlo a fare il
direttore.
Guests star del prossimo capitolo? Uno di loro si
chiama Nikolaj. Dico solo questo.
Non dico altro, sennò poi mi
sgamo troppo(?)
Non sono per niente convinta di questo
capitolo... sarà che mi sono accorta che questa ff mi sta
venendo
facilissima da scrivere e mi sembra che abbia la profondità
di una
pozzanghera, data la velocità con cui riesco ad andare
avanti –
velocissima per i miei standard. Non so, penso ci sia qualcosa che
non funzioni, ed il cambio terza-prima mi continua a scombussolare un
po'. Vorrei dire tante cose da brava narratrice che predilige la
terza onniscente, ma essendo in prima mi trovo le mani legate. Boh,
insomma, non so. Quindi,
ditemi che ne pensate, s'il vous plaît
t.t Biscotto a chi lo fa ed un sexy Jude. No, scherzo,
quello è mio.
Passando ai ringraziamenti-- il primo va, ovviamente, a
LelaAndHerLonelyShadows
(ciao cara <3 ) perché è lei e
perché ha recensito e perché ha
messo tra i preferiti. Perché troppe cose.
Grazie a
Eleonor_Jisbon123
per aver recensito e per aver preferito <3
A Bynie,
Nanna12345
e Swan74
perché hanno seguito <3
Grazie a chi legge, a chi clikka
sulla storia o chi solo le dà un'occhiata di sfuggita,
See u
soon,
WD