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Autore: Alley    06/07/2014    3 recensioni
“Mi era mancato questo.”
“Rischiare di essere trivellato da uno squilibrato pluriomicida?”
Non è tanto la domanda a farlo sorridere, quanto l’assoluta serietà con cui viene posta. Non c’è barlume di sarcasmo nel tono di Sherlock, e John pensa che è davvero paradossale che una mente capace di penetrare tanto a fondo possa impantanarsi a quel modo nella superficie – o forse no, perché Sherlock è logica e non c’è niente di logico in quel che ha appena detto.
La logica non c’entra nulla.
“Noi.”

[post-Reichenbach Fall; Established Relationship]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un colpo esplode e squarcia il silenzio che avvolge Londra, spezzando l’immobilità di una notte nera come la pece. John potrebbe ricorrere a metafore altisonanti per raccontare il modo in cui il bagliore delle stelle dipinge d’oro il cielo e riverbera sugli edifici della città addormentata, ma non ha un animo abbastanza poetico per partorirne – quelle che scriveva alle sue ragazze erano melensaggini scadenti peggiori degli slogan propinati a San Valentino.
Non ha immagini suggestive né espressioni arzigogolate per tramutare in parole quei momenti, quelli in cui lui e Sherlock schizzano per i vicoli deserti con la brezza pungente della notte che gli sferza le guance, e forse non ne ha perché non c’è proprio niente di poetico in quelle fughe frenetiche e rocambolesche che si svolgono ad orari puntualmente improponibili, frutto dell’ennesima indagine condotta senza la supervisione di Scotland Yard – e a John pare già di sentire i rimbrotti contrariati di Greg risuonargli nelle orecchie, perché posso capire Sherlock, ma tu, John, una telefonata potresti farla.
Potrebbe, sì, ma la verità è che in quelle notti è un po’come essere loro due contro il resto del mondo – la tua visione dei fatti è palesemente alterata dal romanticismo, John - , ed è una cosa a cui non può né vuole rinunciare – non di nuovo, non dopo aver trascorso due anni a rimpiangerla.
John ama quei momenti, quando Londra è solo nero e quiete e l’incessante brulicare diurno è un miraggio a cui è quasi impossibile credere, e gli unici rumori sono quelli dei suoi ansiti affannati, dei palpiti che gli scoppiano nel petto e dello scalpiccio concitato dei loro inseguitori. A volte – spesso - sono armati, e allora alla lista si aggiungono i colpi di pistola, che in quel silenzio denso e spesso rimbombano con una forza che stordisce. Poco male, John è un soldato e i soldati sono abituati alle armi puntate contro e al fuoco dei nemici – il tempo non cancella certe cose, te le porti addosso come un marchio. Non ha paura e sì, questo è strano, perché la paura è qualcosa che nemmeno la guerra gli aveva insegnato a vincere, eppure non c’è paura nel sangue che fluisce forsennato nelle vene né nell’adrenalina che freme sfrigola scalpita in ogni fibra del suo essere, non c’è paura nella vita che gli scoppia dentro mentre la morte incombe. Un paradosso bizzarro. Bizzarro e anormale.
Non importa. Da quando vive a Baker Streat i confini della normalità – di quella che i parametri convenzionali definiscono normalità – sono stati spazzati via, e quasi senza accorgersene John ha cominciato a reputare normale trovare arti tagliuzzati accanto alla carne congelata, avere le pareti del salotto forate dai proiettili e persino provare quello - interesse, attrazione o qualunque cosa fosse in principio, qualunque cosa, almeno in parte, continui ad essere anche adesso - nei confronti di qualcuno che non fosse una donna.
Non importa. Con la normalità sopravviveva, adesso vive ed è tutta un’altra storia.
Al buio, Sherlock è un profilo fine e bordato d’argento. Non ha il fiatone, lui, né l’aspetto stravolto di chi ha corso a perdifiato con uno psicopatico alle calcagna. Scruta l’oscurità che si staglia di fronte a loro con gli occhi socchiusi, la analizza come a volerla sviscerare, e John lo fissa incantato come gli accade ogni volta che assume quell’espressione, quella di chi è in procinto di svelare i segreti dell’universo. John lo osserva e aspetta, aspetta con una trepidazione che non aveva mai provato prima, una smania che nemmeno quella di un bambino in attesa di Babbo Natale potrebbe eguagliare - John non scherza quando dice d’esser pessimo con le metafore.  
S’abbandona contro il muro e un altro sparo esplode alle loro spalle, questa volta più vicino. Sherlock continua a sondare il buio, assorto e assente come tutte le volte che i suoi pensieri lo fagocitano fino ad espungere il resto del mondo. John rilascia un lungo sospiro piegandosi sulle ginocchia, poi inspira e l’aria gelida della notte gli ristora i polmoni.
“Mi era mancato questo.”
“Rischiare di essere trivellato da uno squilibrato pluriomicida?”
Non è tanto la domanda a farlo sorridere, quanto l’assoluta serietà con cui viene posta. Non c’è barlume di sarcasmo nel tono di Sherlock, e John pensa che è davvero paradossale che una mente capace di penetrare tanto a fondo possa impantanarsi a quel modo nella superficie  – o forse no, perché Sherlock è logica e non c’è niente di logico in quel che ha appena detto.
La logica non c’entra nulla.
“Noi.”
Non s’aspetta un anche a me in risposta, come non s’era aspettato un anch’io il giorno in cui quel ti amo gli era sfuggito dalle labbra prima che avesse il tempo di ingoiarlo – non voleva farlo davvero, non adesso che conosce il peso delle parole non dette e il modo in cui il rimorso t’azzanna alla gola. Non intende più tacere nulla ora che ha l’opportunità di parlargli di nuovo, ora che è avvenuto il miracolo in cui non ha mai smesso di sperare. Ha promesso a se stesso che dirà tutto, e non s'aspetterà niente in cambio – niente di diverso da quello che Sherlock è.
“Sono un sentimentale, lo so.” E non cambierò, rassegnati.
Si solleva e fa per sbirciare oltre il muro che gli fa da scudo, ma il braccio di Sherlock lo arpiona e lo tira indietro e un istante dopo un pallottola sfreccia lì dove sarebbe stato il suo capo se si fosse sporto. John sbarra gli occhi e respira – non ha paura, ma in certi casi anche i soldati avvertono un brivido risalire lungo la spina dorsale - e Sherlock continua a tenerlo stretto, il petto premuto contro la sua schiena e le dita che affondano nel fianco in un gesto che è una rivendicazione.
“Imprudente, più che sentimentale.” 
Senza aspettarsi nulla di diverso, perchè quello che ha - che ha riavuto - è già tutto, e va bene così. 
  
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