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Autore: DWHO    12/07/2014    5 recensioni
Violetta è appena tornata nel suo paesino natale in Messico, dopo esser stata a Buenos Aires per sei mesi per lavoro. Qui ad attenderla il fidanzato e una sconvolgente verità.
Leonetta.
Vi avverto, è un po' strana come storia ma spero che vi possa piacere comunque.
Genere: Drammatico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Camilla, Leon, Violetta
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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                                        Il sangue delle violette

Il suo aereo era atterrato già da mezz’ora e lei stava ancora aspettando il suo fidanzato, che aveva promesso di venirla a prendere al suo arrivo. Non lo vedeva di persona da sei mesi, da quando aveva accettato il lavoro d’insegnante in una scuola superiore di Buenos Aires per iniziare la sua carriera di professoressa. All’inizio aveva deciso di rifiutare quell’offerta di lavoro ma di questi tempi una seconda occasione non si ripete; così aveva preso coraggio e ne aveva discusso con il suo ragazzo che all’inizio non la prese bene. Non voleva lasciarla andare, aveva paura che la vita di città le sarebbe piaciuta di più rispetto alla monotonia con cui viveva ormai da sempre in quel paesino di campagna del Messico. Ma lei gli aveva spiegato che non se ne faceva nulla della bella vita di città senza lui al suo fianco, così dopo innumerevoli lacrime e baci d’addio la vide partire per il suo destino. In quei sei mesi la vita per lei fu un inferno: non ce la faceva più a vederlo solo tramite uno schermo e aveva cominciato a cercare lavoro vicino al suo paesino natale, per tornare e dimenticare i mesi di lontananza. Così una mattina, dopo cinque mesi di residenza nella capitale dell’Argentina, le arrivò una lettera in cui le veniva offerto un posto di lavoro nella città più vicina al suo paese. Tutta contenta decise di finire l’anno scolastico per poi tornare di corsa in Messico. Ora si trovava seduta su una panchina fuori l’aeroporto combattendo con la folle voglia che aveva di abbracciarlo e baciarlo con tutto l’amore che aveva soppresso in quei mesi.  Aveva appena guardato l’ora sul cellulare quando le si avvicinò una macchina rossa con dei leggeri bozzi di qua e di là: la riconobbe subito. Con quella macchina ci avevano passato l’intera gioventù, era l’unica testimone dell’inizio del loro amore. Si alzò di scatto appena la vide, con il cuore che batteva forte per l’emozione di rincontrarlo.                                                                  La macchina emise un ultimo rumore prima di spegnersi. Vi uscì un ragazzo con un mazzo di violette in mano, la quale tremava leggermente stringendo forte i fiori. Chiuse con le chiavi la macchina e si girò incrociando il suo sguardo. Violetta non sapeva cosa fare; in quel momento regnava assoluto imbarazzo tra loro due e non sapeva neanche il perché. Poi lui fece un passo verso lei e la guardò con quello sguardo che era dannatamente mancato a Violetta. Le porse i fiori accennando un sorriso, per rimanere poi fermo in quella posizione. Forse stava semplicemente aspettando che lei li prendesse ma nella mente della ragazza l’idea era che si fosse incantato nei suoi occhi e non riuscisse più a distogliere lo sguardo. Animata da profondi sentimenti e un bisogno opprimente di sentire il suo calore, prese i fiori e senza aggiungere niente lo abbracciò. Non sapeva spiegare la sensazione di benessere che in quel momento possedeva il suo corpo e il suo animo ma desiderava solo continuare a saziarla stringendolo più forte. Sentì immediatamente le sue braccia stringersi intorno alla vita e portarla a scontrarsi con quella di lui. “Mi sei mancato così tanto Leon” pronunciò la ragazza nell’orecchio del suo fidanzato. Stava aspettando di sentire le stesse parole uscire dalla sua bocca ma invece se ne restò zitto, deludendo le aspettative di Violetta.                                                Rimasero così per un bel po’ di tempo poi lui lasciò la presa e le poggiò una mano sul viso prendendo a guardarla intensamente. “Non riesco a credere che tu sia qui, con me. Mi sembra tutto impossibile” disse cominciando a fare su e giù con la mano sulla sua guancia. “E invece penso proprio che sia possibile” lo contraddisse, sorridendo. “Però stavolta non me ne vado più” disse lei, notando uno scintillio nei suoi occhi. “Davvero?” chiese Leon. “Davvero” gli rispose. Un altro scambio di sguardi, poi si baciarono come non facevano da sei mesi. Tutta l’allegria, tutta la felicità che non riuscivano a spiegare a parole l’espressero in quel bacio passionale, in quel tanto atteso contatto fisico. Una volta staccatisi si presero per mano e Leon la guidò fino alla macchina dove le aprì lo sportello per farla entrare. Poggiò le violette in grembo e aspettò che anche leon salisse. Quando anche lui si mise comodo al suo posto, dopo aver messo le valigie nel portabagagli, mise in moto e partì verso la loro casa. Intanto, nel silenzio che albergava in quella macchina, violetta si chiese se la casa in cui abitavano ormai da due anni, fosse cambiata. Magari, approfittando della sua assenza, Leon aveva riverniciato le pareti della loro camera visto che il bianco non gli era mai piaciuto. Diceva che fosse un colore apatico, che non esprimesse niente dei sentimenti che di solito animavano quella stanza. Forse le aveva dipinte di rosso, il suo colore preferito, o magari di viola, tanto per farle una sorpresa. Probabilmente aveva spostato la lampada, quella in stile dorico che tanto detestava, dal salone dietro alla porta d’ingresso così da vederla il meno possibile. Si aspettava un sacco di cambiamenti, di solito è così che un uomo fa quando sa che la donna non obietterà più per i suoi gusti poco alla moda. Anche se infondo non le importava niente di come Leon avesse arredato la casa, voleva solo tornarvici. All’improvviso la luce del sole, che persisteva in quel pomeriggio, scomparve lasciando il posto a una fioca luce che non le doleva per niente agli occhi: era arrivata in garage. Scese subito dopo che Leon ebbe finito di parcheggiare, ritrovandosi di nuovo in quel buco sporco e maleodorante in cui mettevano la macchina; anche quel posto le era mancato. Uscì dal garage seguendo Leon che cercava nella tasca dei jeans le chiavi di casa. Una volta trovate aprì la porta e lasciò che lei entrasse per prima. La felicità la travolse completamente: era di nuovo a casa, quella piccola e accogliente villetta che si sognava la notte. Ne osservò ogni angolo cercando di vedere qualche cambiamento ma tutto era rimasto al suo posto, come quando era partita. Non che le dispiacesse, anzi, era contenta che Leon avesse mantenuto tutto come l’aveva lasciato, significava che ci teneva ai momenti passati con lei, semplicemente si stupì. Poggiò le violette nel vaso che era situato al centro del tavolo nel salone, e le osservò un’ennesima volta. Non l’aveva neanche ringraziato per quel tenero gesto. Ecco perché non le aveva rivolto parola durante il tragitto o non avesse contraccambiato le sue parole, si era sentito offeso. Anche se le sembrava solo un capriccio, troppo infantile per il suo ragazzo. “Non hai spostato niente” disse Violetta, cercando di intavolare una conversazione dato che Leon le sembrava troppo strano. “No” si limitò ad affermare lui. “Perché?” cercò di spronarlo Violetta. “Mi piaceva che tutto restasse così, sai, sa di te” le rispose, guardandola negli occhi. Non sapeva come ma Leon aveva sempre avuto quel modo così naturale ed innocente di dire frasi romantiche come quella che ogni volta se ne stupiva, benché lo conoscesse dalla nascita. Era una delle sue qualità di cui tanto era innamorata. Con occhi dolci gli si avvicinò e gli accarezzò il volto. “Va tutto bene Leon?” domandò Violetta. Per un istante vide il vuoto estendersi negli occhi del ragazzo, per poi ritornare alla loro solita vitalità. Le sorrise rispondendole che andava tutto bene e che ora che era tornata andava anche meglio. Violetta si sciolse in un sorriso abbracciandolo. “Le ho messe nel vaso le violette, quello nel salone, così ogni volta che ceneremo avremo sempre in mente questo bellissimo giorno” disse raggiante Violetta, regalandogli un veloce e dolce bacio. Poi si girò andando verso la porta d’ingresso per prendere le valigie ma si accorse che le aveva lasciate nel bagagliaio della macchina. “Che scema. Leon” lo chiamò a gran voce Violetta. “Ho dimenticato le valige nel bagagliaio, le vado a prendere” prima ancora di aprire la porta il ragazzo la raggiunse fermandola. “Amore, sei appena tornata, sarai stanca, lascia le vado a prendere io” la rassicurò Leon, per poi aprire la porta e uscire recandosi in garage. Violetta, presa ala sprovvista non fece in tempo a controbattere, così prese a camminare per la casa. Voleva vedere se effettivamente aveva lasciato tutto intatto. Girovagando un po’ qua e un po’ là si ritrovò difronte alla porta che conduceva alla seminterrato e incuriosita da cosa Leon potesse aver messo al suo interno decise di aprirla. “Violetta” un allarmato Leon attraversò di corsa il corridoio per impedirle di aprire la porta. “Che cosa stai facendo?” le chiese mentre richiudeva quel tanto di porta che lei aveva aperto. “Voglio vedere come hai ridotto il seminterrato” cercò di scherzare ma Leon non accennava a fare una risata. “Non ho toccato niente neanche lì dentro, se è questo che volevi tanto vedere” le rispose freddo il ragazzo. Allora si fece seria anche lei. “Leon sicuro che vada tutto bene? Perché a me non sembra che sia così” disse Violetta cercando di far confessare il problema che lo attanagliava al ragazzo, che era più strano del solito. “Senti Violetta, non ho niente che non vada, ho lo stesso atteggiamento di sempre è a te che ha scombussolato le idee tutta quell’aria di città” disse duro lui. Si sentì offesa dalle sue parole; non si aspettava di certo un ‘bentornata’ del genere, immaginava piuttosto una casa piena di allegria e una cena a lume di candela con il suo ragazzo che le ripeteva ogni secondo quanto le fosse mancata e quanto l’amava. Invece l’unica cosa che Leon aveva serbato per lei erano parole fredde e un comportamento indifferente, nonostante i fiori e quel bacio. Corse in bagno e si chiuse dentro dando sfogo al suo dispiacere. Sentì bussare ripetutamente alla porta ma non era intenzionata ad aprire, voleva starsene per conto suo. D’improvviso i pugni alla porta cessarono e una voce dolce fece destare Violetta dal suo pianto. “Scusami ti prego, ti giuro che se esci ti racconto tutto” le disse calmo Leon. Si asciugò le ultime lacrime e aprì la porta. Subito si ritrovò le mani del ragazzo che tentavano di asciugare al meglio le lacrime e poi portò il suo corpo ancora scosso dai singhiozzi a combaciare con il suo. “Dio, scusami amore, scusami. Non volevo ferirti, specialmente oggi che sei di nuovo con me” le disse sinceramente dispiaciuto dopo essersi separato dall’abbraccio. “E’ che sono molto stressato dal lavoro che mi dà i nervi. Ultimamente non riesco a rilassarmi” le spiegò Leon guardandola negli occhi. Lui amministrava una piccola ditta fuori paese per conto del padre, che una volta morto avrebbe lasciato tutto a lui. “No, scusami tu, non dovevo darti fastidio” si scusò la ragazza. “No amore, tu non mi dai nessun fastidio, non devi neanche pensarlo. Sei tu che mi spingi ad andare avanti, ogni giorno. Come potrei non volerti sempre accanto a me?” le chiese Leon che ancora la stringeva tra le sue braccia. Violetta poggiò le mani sul suo volto e lo avvicinò al suo per far combaciare le loro labbra dopo quella tenera conversazione. Sentì le mani di Leon circondare con amore la sua schiena così da sentirlo più vicino a sé. Man mano che il bacio andava avanti diveniva sempre più appassionato coinvolgendoli in sentimenti mai spenti. Percepì Leon invitarla a camminare verso una destinazione sconosciuta fin quando non toccò con i piedi i gradini della scala. Rise continuando a baciarlo, salendo con prudenza gli scalini. Arrivata al piano superiore venne presa in braccio e portata nella camera da letto giusto in tempo per finire di sbottonargli la camicia. Si sentì adagiare sul morbido letto della loro stanza, dopo che lui aveva preso a baciarle con delicatezza il collo. Quella notte, una tra le più belle della sua vita, si ritrovò a manifestare i sentimenti che aveva portato dentro in quei sei mesi, mischiando dolcezza con passione, tristezza con felicità. Era perdutamente felice, completamente innamorata del ragazzo che aveva ospitato i suoi pensieri durante quel lungo tempo in cui erano stati lontani.                                                 La luce del sole la sorprese mentre ancora dormiva, abbandonata tra le braccia dell’uomo che amava, che aveva amato la sera precedente come mai prima d’allora. Osservò il suo volto rilassato con un accenno di sorriso sopra. Forse la stava sognando, o almeno lo sperava. Si alzò cautamente dal letto per non svegliarlo, si mise la biancheria intima sparpagliata per la stanza e indossò una sua felpa, piegata accuratamente nell’armadio e scese le scale per andare in cucina a prepararsi la colazione. Stava accendendo il gas per riscaldare il latte quando intravide un pezzo di giornale sbucare dal cestino. Curiosa di sapere le ultime novità che circolavano nel paese lo recuperò dalla spazzatura e cominciò a leggerlo. Una notizia sconvolgente, messa in bella vista al centro della pagina, la colpì: riportava gli ultimi aggiornamenti sul caso ‘dell’uomo delle violette’, un serial killer che fin ora aveva ucciso quattro donne nel paese e in quelli vicini. Troppo presa a leggere l’articolo non notò che il latte aveva preso a bollire, straripando dal bollitore. Appena le fiamme si intensificarono venendo a contatto con il liquido si accorse del guaio che aveva appena combinato. Chiuse immediatamente il gas e prese dei tovaglioli per pulire il latte fuoriuscito. “Non posso lasciarti un attimo da sola che subito distruggi casa?” una voce proveniente dalla porta le fece alzare il capo, incontrando gli occhi assonnati di Leon. Un sorriso nacque spontaneo sul suo viso alla sua vista, mentre lo osservò avvicinarsi a lei. “Tranquillo, puoi lasciarmi sola tutta le volte che vuoi, è stato solo un piccolo inconveniente” rispose Violetta continuando a sorridere. “Il problema è che non voglio” le confessò Leon facendola ridere per poi baciarla. Ogni volta era diverso, ogni volta era un emozione nuova e lei non voleva farne a meno. “Meglio se ti metti qualcosa addosso se vuoi fare colazione altrimenti se prendi freddo non digerirai” gli fece notare dato che era a petto nudo. “Credevo di piacerti di più così” scherzò. La ragazza gli diede una piccola spinta intimandolo a vestirsi, poi riempì la tazza di latte. Si girò per prendere dallo scaffale in alto i cereali, quando vide lo sguardo di Leon fisso sul lavandino. O meglio era fisso sul giornale che lei vi aveva posato sopra poco fa’. L’espressione sul suo viso mutò di colpo, indurendo la mascella e spazzando via l’ironia che lo aveva accompagnato fino a prima. “Dove l’hai preso” le chiese non togliendo lo sguardo da sopra quei pezzi di carta. “L’ho trovato nel cestino” gli rispose iniziando ad osservarlo con curiosità. “Perché non mi hai raccontato che gira un serial killer per il paese?” questa volta fu lei ad interrogarlo. Leon poggiò il giornale dove lo aveva trovato e con un sorriso tirato alzò le spalle. “Non lo so, sai ero così felice di vederti che credo mi sia passato per la mente” si giustificò. “Certo che notizia” iniziò il discorso Violetta. “E da quanto tempo è che c’è?” “Da cinque mesi si e no” le raccontò vago Leon. “Perché lo chiamano ‘l’uomo delle violette’?” “Perché poggia sul cuore di ogni vittima una violetta”. Rabbrividì ricordandosi del mazzo di violette che Leon le aveva regalato il giorno prima. Si chiese perché proprio le violette. Con tutti i fori che c’erano in giro proprio quelli che avevano ispirato sua madre nella scelta del suo nome. Si chiese se quegli omicidi avessero a che fare con lei ma rimosse subito quel pensiero: era impossibile e poi chi sarebbe potuto essere? Di sicuro l’assassino conosceva il prato di violette poco distante dal paese e magari aveva preferito raccogliere dei fiori piuttosto che comprarli, così da non lasciare tracce. “E’ una cosa orribile! Come si fa ad uccidere delle ragazze innocenti” chiese Violetta, più a se stessa che al fidanzato. Vide Leon diventare sempre più rosso; continuava a non guardarla. Detestava che le nascondesse qualcosa, soprattutto se aveva il presentimento che si trattasse di qualcosa di grosso. “Facciamo così: ora tu ti vesti e io ti preparo il caffè, ti piace ancora il caffè no?” domandò sarcastica Violetta, facendo tornare il sorriso al ragazzo. “Si, mi piace, te l’ho detto, non ho cambiato niente…” disse. “Niente che ci riguardi” aggiunse serio con lo sguardo perso nel vuoto. Poi si allontanò dalla cucina lasciando una Violetta confusa e spaventata dal repentino cambiamento di Leon. Che potevano significare quelle parole? Ci pensò tutto il giorno ma nella sua mente non riuscivano a trovare un posto.                   Era tornata ormai da tre settimana ma sembrava non se ne fosse mai andata. I dubbi e i timori che aveva avuto quel giorno in cui era tornata si erano dissolti e anche Leon sembrava essere tornato quello di sempre. Non avevano più discusso dell’argomento che era sulla bocca di tutto il paese ma Violetta voleva saperne di più. Così decise che quella mattina avrebbe fatto visita ad una sua vecchia amica. Suonò il campanello che si trovava sul muro affianco alla porta d’ingresso e aspettò. Le aprì una ragazza dai lunghi capelli rossi e una faccia a dir poco esausta. Anche se l’espressione di stanchezza che aveva sul viso cambiò immediatamente in allegria vedendo Violetta. Si lanciò su di lei e si sentì abbracciare con tutta la forza che quella ragazza aveva. Le era mancata la sua amica Camilla, ottima confidente finché non vedi la tua faccia sulla prima pagina del giornale. Si, Camilla faceva la giornalista nel piccolo paesino, con un misero stipendio e una voglia matta di fare carriera.                                                                                       Venne subito fatta entrare, sedere su una poltrona con una tazza di tè in mano. “Da quanto sei tornata?” le chiese la rossa. “Da tre settimane” le rispose, facendo ricomporre Camilla da tutta quella felicità, per venire guardata male. “E in queste tre settimane non sei mai venuta a farmi visita?” domandò esterrefatta la ragazza. In effetti non ci aveva neanche pensato presa com’era da Leon e le loro situazioni economiche che vacillavano da bene a male. “Si scusa, è che non ho proprio avuto tempo” accampò come scusa, sperando se la bevesse. Ma sapeva che Camilla non era stupida. “Quindi immagino che la tua visita sia completamente a scopo personale. Solo così ti saresti potuta ricordare di me?”. Violetta sgranò gli occhi e smentì subito le sue accuse. “Camilla, è vero, vorrei mi parlassi di una notizia che mi interessa, ma non pensare che sia qui solo per questo. Tu sei la mia migliore amica e volevo rivederti” disse sicura. Si ritrovò in poco tempo stretta a una Camilla che non smetteva di ripeterle quanto le fosse mancata. Una volta finiti i convenevoli Violetta le accennò su quale argomento volesse avere informazioni. “Eh, brutta storia, veramente brutta” cominciò Camilla. “E’ iniziato tutto qui, circa cinque mesi fa’, poco dopo la tua partenza. Un giorno è stato ritrovato in una di queste viuzze il corpo di una ragazza, Francesca Cauviglia, non so se la conoscevi” le chiese. “Si, di vista”. “Bene, il corpo è stato scoperto da un vecchietto che passava di lì, così non vedendolo muovere chiamò un’ambulanza e la polizia. Arrivò prima quest’ultima che la dichiarò morta. Aveva solo diciannove anni la poveretta!” imprecò. “Dal referto delle autopsie si dice che sia stata strangolata, probabilmente da un uomo visto i segni molto marcati; una donna non avrebbe potuto lasciarli così ben delineati a meno che non fosse molto forte. Comunque, fu ritrovata sul suo corpo all’altezza del cuore una violetta, da qui il nome se sai qual è” Violetta annuì. “Bene, ora arriviamo alla fatto più sconvolgente: la ragazza non aveva più le labbra”. Brividi di paura attraversarono il corpo di Violetta, che cominciava a pentirsi di aver chiesto informazioni a Camilla. “E non è finita qui. Nel paesetto qui vicino, esattamente un mese dopo, è stato ritrovato un altro cadavere! Stessa tecnica, stesse modalità di omicidio; solo che stavolta il corpo era privo di occhi e naso. Poi il mese dopo in un altro paesino poco distante venne ritrovato un altro corpo, tutto come i precedenti, ma a lei mancavano le orecchie. Passò un altro mese e in altro paesino ancora, un’altra ragazza venne trovata strangolata, le aveva fatto lo scalpo e  le aveva tolto le ciglia. Solo che stavolta l’assassino le strappò anche la pelle del viso. Si pensa che stia costruendo una faccia di donna. E la polizia ancora non è riuscito ad incastrarlo! Che incompetenti! Dicono che non riescono a trovare impronte, fanno passare l’omicida per un genio! E’ solo un pazzo!” finì Camilla adirata. “Ma la cosa più misteriosa è che anche alle altre tre vittime ha lasciato una violetta sul cuore” aggiunse subito dopo. Violetta era più spaventata di prima, come era potuto accadere? Perché? “Tu le hai viste le ragazze?” le chiese prendendo coraggio. Vide Camilla abbassare lo sguardo. “Chi pensi che abbia fatto le foto?”. “Però in questo mese non ha ucciso, penso che abbia raggiunto il suo scopo” sbiancò pensando all’assassino comporre un viso con pezzi di faccia come se fossero puzzle. Ne era schifata.                                                       Lasciò l’appartamento di Camilla e si avviò verso casa, tenendo sempre un occhio vigile. Aprì la porta, entrò dentro e si buttò sul divano. Ancora non riusciva a credere alla storia del pazzo che uccide quattro ragazze per comporre un viso. Le pareva tutto troppo irreale, quasi assurdo; le sembrava di star vivendo in un racconto di Edgar Allan Poe. Cominciava ad avere seriamente  paura del luogo in cui era nata; mai un evento simile era accaduto prima e pensava che mai sarebbe successo. Un po’ come quando ti rivelano che Babbo Natale non esiste; era così che si sentiva: illusa da un bel racconto. Si alzò e si diresse in cucina per bere un bicchiere d’acqua quando la sua attenzione venne catturata dalla porta dello scantinato che piano piano aveva acquisito un’aria proibita nella sua mente. Non si era più avvicinata da quando era tornata e Leon non l’aveva lasciata entrare. Ma ora Leon non c’era e lei poteva aprire tutte le porte che voleva. Pose lentamente la mano sulla maniglia e, dopo averla spinta verso il basso, la tirò a sé. Le uniche cose che regnavano in quel posto erano buio e disordine tanto che Violetta, scendendo le scale, pestò una vecchia torcia rischiando di cadere. La prese poi in mano controllando se funzionasse; la sbatté più volte sullo scorrimano e come per magia questa si accese. La puntò un po’ dappertutto, accorgendosi che dalla parte opposta alle scale ci fosse un interruttore della luce. Lo raggiunse e pigiando diversi bottoni riuscì ad illuminare la stanza. “E luce fu” ironizzò. Posò la torcia su un bancone posto contro il muro e osservò il seminterrato. Se non per la confusione neanche lì dentro era cambiato niente. Girovagò qua e là curiosando nei documenti sparsi sopra ad un tavolo di lavoro in mezzo alla stanza. Li osservò a lungo ma niente catturò la sua attenzione finché non si accorse di una ventiquattrore poco lontana dalla torcia che aveva poggiato prima. Incuriosita la andò ad aprire: il contenuto di quella valigetta la sconvolse totalmente. Attrezzi da lavoro sporchi di sangue secco le fecero perdere per un attimo la lucidità, spingendola a chiudere di scatto la ventiquattrore. Poggiò una mano sul bancone e respirò a fondo chiudendo gli occhi. Li riaprì lentamente e con coraggio la aprì di nuovo. Non toccò niente, aveva paura di spostare gli arnesi per tutte le conseguenze che avrebbe potuto portare un semplice cambiamento. Semplicemente restò immobile a guardare il sangue incrostato sulle forbici, sulle pinze, sul coltello, sul bisturi. Mille domande si mescolavano nella sua testa, ma una in particolare la spaventava a morte: se quelli, come immaginava, erano gli attrezzi usati per portare via i connotati alle ragazze, allora Leon era il serial killer tanto ricercato. Deglutì, richiudendo la valigetta. Non sapeva cosa fare, non sapeva che pensare. Non riusciva a credere che il suo fidanzato fosse riuscito a compiere azioni così macabre. Si chiese se conoscesse davvero Leon. Tutta una vita trascorsa insieme per accorgersi troppo tardi dei suoi squilibri mentali. Eppure non ne aveva mai dato segni. Solo una cosa restava da fare: denunciarlo alla polizia. Ma ci sarebbe realmente riuscita? Poteva mandare in prigione, probabilmente per sempre, l’uomo che amava?                                                                                     Spense la luce e salì le scale chiudendosi la porta alle spalle

  
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