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Autore: 13Sonne    30/08/2008    6 recensioni
"Moriremo tutti. Vero. Allora perchè non scommetterci sopra?"
Undici concorrenti in un videogioco dove la morte è sempre dietro l'angolo: in sottofondo, il continuo parlare di due speaker annoiati e sarcastici.
"Scommettiamo che sarà il gioco più venduto dell'anno?"
Genere: Generale, Dark, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Layer 03: Ache

<< -Stavo pensando, Goth… non abbiamo visto delle morti molto forti.- >>
<< -Che ti aspettavi, i templari che tornavano dall’oltretomba per portare la fede ad un nuovo livello?- >>
<< -No, ma sai. Stavo pensando a qualche morte tipo, non lo so, qualcuno diventa pazzo e comincia a cibarsi di carne umana, scarnificando le povere vittime con le proprie nude mani e scavando nel cranio con una costola strappata da- >>
<< -Non accadrà mai. Mai. Infatti, faremo a finta che tu non abbia mai detto niente, nessuno oltre a noi dovrà mai sapere che tu abbia anche solo pensato ad una cosa del genere e prega Dio che uno studente non decida malauguratamente di sterminare i compagni di classe qualche settimana dopo il debutto del videogioco.- >>
<< -Potremmo dare la colpa alla musica.- >>
<< -Se i Bagel Zero devono cancellare un altro tour per un moccioso che ne ha avuto abbastanza giuro che ucciderò i suoi genitori, i superstiti del massacro e la stampa.- >>
<< -Accoltellandoli con le loro stesse costole?- >>
<< -Perché vuoi condannare questo gioco già da prima del debutto? Oh, non lo voglio sapere. Bhè, tesorini ricoperti di miele colato, è sera: la barra dell’energia dovrebbe essere, per tutti, ormai praticamente rossa e… che altro dire.- >>
<< -Non è morto nessuno.- >>
<< -Ti pagano per ricordare alla gente che deve morire?- >>
<< -Se per ‘pagano’ intendi ‘hai i soldi’ e per ‘ricordare alla gente che deve morire’ intendi ‘divertirti’ allora sì, mi pagano per ricordare alla gente che deve morire.- >>
<< -Tecnicamente ‘pagano’ andrebbe modificato con ‘mio padre ha i soldi’.- >>

Dodger guardava la porta del casinò con astio, ricambiato dallo sguardo severo delle due guardie.
Delle persone normali, constatato il fatto che un uomo era rimasto per tutto il giorno in attesa dell’apertura delle roulette, sarebbero quantomeno rimaste commosse dalla fedeltà- loro no. Loro avevano detto che il suo interessamento era patologico. Ridicolo.
E poi da quando ad un casinò importava di qualcosa del genere?
Una delle due guardie minacciò di avvicinarsi: Dodger alzò le mani al cielo con fare esasperato, prima di allontanarsi.

“Maledizione!” 

<< -Fortuna che lui non è ‘pagato per ricordare alla gente che deve morire’, altrimenti dovrebbero staccargli la mano dalla slot-machine a scalpellate.- >>

Gwen aveva prenotato una camera in un hotel a cinque stelle.
Era rimasta semplicemente estasiata alla vista della suite: televisore al plasma, bar, letto matrimoniale con morbide e meravigliose lenzuola di seta (lo stesso tessuto del suo vestito da sposa- che in realtà non era propriamente suo, ma quello era un dettaglio), idromassaggio- e, oddio, quella era davvero una bottiglia di champagne?
Felice come una bambina, vide però tutta la sua allegria volare fuori dalla finestra (che, con la scusa di essere al quinto piano, prendeva un’intera parete) appena capì che i due speaker si stavano riferendo a suo marito.
Emise un grido di frustrazione, lasciando perdere la promessa che si era rifatta ore prima- ovvero di lasciarlo perdere e godersi quella opportunità. 

“Cosa diavolo ha fatto Dodger adesso?!” esclamò infine, agitando i pugni in aria. 

<< -Dille che sta pagando una prostituta, dille che sta pagando una prostituta, ti prego, dille che sta pagando una- >>
<< -Los! Tranquilla, bocciolo di rosa vanigliata alla pesca, tuo marito sta solo uscendo dal casinò.- >>
<< -E sta usando i soldi di una vincita per una- >>
<< -Perché, Los? Non sei già abbastanza odioso senza avere queste trovate? Perché lo fai?- >>
<< -Perché a volte, Goth, in ordine di poter far soffrire terribilmente qualcuno, devi mentire sfacciatamente. Me lo insegnasti tu.- >>
<< -Ah, ecco. Ero inquieto, nel sentirla mi dava l’effetto di una frase con un senso logico inoppugnabile e pensavo ‘non può essere di Los, questo moccioso non ha voglia di pensare’. Come mai te l’ho insegnato?- >>
<< -Mi hai portato ad una mostra dell’artigianato. Dicendomi che c’erano videogiochi.- >>
<< -Oh già! Le migliori due ore della mai vita, vederti fare una torta è riuscito perfino a farmi dimenticare la folla di gente.- >>
<< -Sei un… orrendo… mostro... senza il minimo cuore.- >>
<< -Eh eh… sì. Sì, lo sono. Hm, stavamo dicendo?- >>
 

Gwen era rimasta ferma per tutta la discussione, con i pugni serrati e gli occhi socchiusi in un’espressione a metà fra l’esasperato e l’infuriato.
“Mio marito.” Ringhiò infine lei, lieta che, dopo averla completamente dimenticata, almeno uno dei due speaker si stesse domandando di cosa stavano parlando prima. 

<< -Oh già. Sta bene. È fuori dal casinò. Nessun problema.- >>
<< -A meno che non impazzisca qualcun altro e non decida di minacciare lo stupro su di lui.- >>
<< -Evitatelo. Non è che possiamo riempire di cadaveri la stanza. Già adesso è piuttosto inquietante.- >>
<< -Fra parentesi, dove diavolo è il servizio in camera? Non mi dirai mica che dobbiamo tenerci il corpo fino a domani, vero?- >>
<< -Io non lo tocco di sicuro.- >>

La donna alzò gli occhi al cielo, incredula: parlare con i due speaker era davvero come trovarsi di fronte a suo marito.
Esaurita quindi la propria pazienza decise che del destino del consorte alla fine poco gli importava: ignorò quindi i due ragazzi che continuavano a sproloquiare circa cadaveri e torte e si buttò sul letto.
Il sorriso le tornò istantaneamente sul volto mentre le mani accarezzavano le lenzuola di seta: se solo quello non fosse stato un videogioco e quindi qualsiasi sensazione legata al tatto non fosse stata inesistente, probabilmente sarebbe finita in brodo di giuggiole nello strusciare la testa contro il tessuto. 

<< -Goth, una sola domanda: noi cosa facciamo mentre gli altri dormono?- >>
<< -Quel che ci pare. Non siamo costretti a dormire.- >>
<< -Quindi non possiamo dormire?- >>
<< -Non siamo costretti neanche a mangiare, ma non è che questo ti ha trattenuto dall’ingoiare piatti di torte.- >>
<< -Quindi possiamo. Non avevo voglia di rimanere sveglio tutta la notte.- >>
<< -“Che gli dei misericordiosi, se esistono, ci proteggano nelle ore in cui né il potere della volontà, né le droghe inventate dagli uomini possono tenerci lontani dall’abisso del sonno”.- >> 

“La morte è compassionevole perché da essa non c’è ritorno, ma chi emerge, pallido e carico di ricordi, dai recessi della notte, non avrà più pace.” 

Le parole volteggiavano attorno a Sid mentre questo le pronunciava. Ebbene sì: anche se era una follia, anche se sapeva che quelli erano solo dei suoni, riusciva a sentire il calore delle lettere che lo sfioravano, a vedere la leggera sfumatura delle parole.
Sorrise, vedendo l’arancione cupo della frase mutare, lentamente, in nero. Era più che appropriato, probabilmente.
Era strano, sentire il calore di qualcosa. Era in un videogioco, quindi non sentiva freddo e caldo, eppure quelle parole lo facevano stare bene- come se fosse immerso in una nube di calore.

<< -Uh… wow. Cioè, wow.- >>
<< -Cosa diavolo state dicendo?- >> 

Il volto, contratto dalla rabbia, gli si ammorbidì leggermente nel sentire uno dei due speaker fare una simile citazione: si permise persino un leggero sorriso quando, dopo una pausa, il secondo ragazzino era venuto fuori con quella domanda. 

“Dovevo immaginarlo,” cominciò Dodger, calcandosi il cappello sugli occhi, “Goth… non potevi avere altri gusti letterari.” 

Diede un’ultima rancorosa occhiata al casinò in fondo alla via prima di svoltare a sinistra, alla ricerca di un posto dove andare a dormire- o anche di un semplice bar.

“Scommetto che nella tua biblioteca Cthulhu e Lestat vanno allegramente a braccetto.” 

<< -Si può non amare Akasha?- >>
<< -Non mi piace questo discorso, non ho la minima idea di cosa stiate dicendo.- >>
<< -Immagino. Parlare di cultura con te è inutile.- >>
<< -Come lo è parlare con te di… uh…- >>
<< -Di cosa, Los? Dimmi un solo argomento in cui tu sai più di me.- >>

“Oh, andiamo. Sembra quasi siate sposati.” 

Dodger non stava realmente pensando alla frase, quando questa gli sfuggì di bocca. Si stava guardando attorno, continuando a camminare, domandandosi quale fosse la logica della sistemazione dei negozi - souvenir, gelataio, vestiti, souvenir, gelataio, vestiti - .
Aggrottò la fronte perplesso quando, incomprensibilmente, invece di iniziare nuovamente quel mantra – souvenir, gelataio, vestiti – era comparsa una palestra.
Una palestra dopo dodici gelaterie? 

<< -Se mai lo saremo abbi paura: quel giorno mi arresteranno per pedofilia e, allo stesso tempo, sarò evidentemente sull’orlo del coma etilico.- >>
<< -Solo due disgrazie?- >>
<< -Tre. Troppo alcool, matrimonio con moccioso, arresto per pedofilia: un circolo perfetto.- >>
<< -Potremmo avere figli.- >>
<< -Come potremmo avere la malaria.- >>
<< -Potrei avere dei figli, un giorno.- >>
<< -Los, con tutta la buona volontà… ma ancora adesso non riesco a convincermi che tu abbia la voglia di alzarti dal divano per corteggiare una ragazza. O di ricordare il nome di ognuna.- >>
<< -Cosa vorresti dire con questo?- >>
<< -Esistono delle cartoline con su scritto “mi dispiace che la tua relazione non sia durata fino alla fine del pomeriggio”? Ne distribuiscono a pacchi di cento?- >>

Meredith, i lunghi capelli biondi come il sole a mezzogiorno in una limpida e cristallina giornata di primavera tenuti in una retina cosparsa d’oro e strass, si permise di arricciare il delicato nasino in una smorfia di disgusto.

“Lo dovevo immaginare! Sei un libertino, sempre a caccia di gonnelle!” 

<< -A caccia di gonnelle? Da che secolo è appena uscita?- >>
<< -Forse tu e la tua retina non avete capito: sono ricco. Ricco e bello. Pensi seriamente che le ragazze mi vogliano per testare l’amore vero?- >> 

“Sei solo un maschilista!” 

La ragazza era ragionevolmente infuriata: come si permetteva, quella vocina, di mettere in dubbio i buoni propositi del genere femminile? Di dire che lo inseguivano solo per i suoi soldi.
Alzò il volto, oltraggiata, e con rabbia ma anche calma si ripromise che gli avrebbe fatto capire che l’amore vero esisteva, esisteva per tutti: glielo avrebbe dimostrato, anche a costo dei propri tanga argentati in pizzo.

<< -Io?- >>
<< -Devo, mio malgrado, dare ragione a Los. Intendo dire, persino io lo seguo solo per i suoi soldi, il ché dovrebbe dirla lunga.- >>
 

Oliver e Nicolas si bloccarono, quasi illuminati dalla gioia nel sentire Goth dire quella frase: era una donna, quindi!
Poi il loro viso si rabbuiò: aveva detto ‘persino’. Cosa voleva dire? Che persino una ragazza come Goth inseguiva Los solo per i suoi soldi? O che persino i maschi non erano immuni all’amore per il denaro?
Si guardarono, sconsolati, scotendo tristemente la testa. 

<< -Approposito di questo. Tu mi segui solo per i miei soldi, vero?- >>
<< -Yep.- >>
<< -Fai a finta di sopportarmi per i miei soldi. Fai a finta di non odiarmi per i miei soldi. Giusto?- >>
<< -Uh… hm, sì.- >>
<< -Questo non fa di te la mia personale prostituta?- >>
<< -Cosa?! Io, uh, non, io…- >>

Shadi non si era mosso. Aveva passato le ultime ore rannicchiato contro il muro della palestra.
All’inizio aveva solamente pianto, rivolgendo un’occhiata spaventata a chiunque osasse avvicinarsi: in quel momento, qualsiasi contatto umano, foss’anche solo parlare, lo disgustava.
Se fosse stato abbastanza in sé si sarebbe reso conto di quanto ciò fosse ironico.
Poi si era calmato. Non riusciva più a piangere, quindi calmarsi era l’unica soluzione.
Gli faceva male la testa ed aveva la nausea, ma non poteva rimanere lì per sempre. Doveva riprendersi.
Chiuse gli occhi, mordendosi il labbro cercando qualcosa da fare. Non voleva provarci con qualcuno, era… disgustoso. Non voleva.
Così si concentrò sui due speaker, che continuavano a parlare ed a scherzare. Loro avevano rischiato di morire ed erano allegri- perché allora lui si trovava in quello stato?
Sospirò.

“Ne dubito,” Shadi fece un sorriso dicendolo, tentando di suonare malizioso. Il solo pensiero lo faceva star male. “Tanto per dire, Goth non farebbe mai una 'palla di neve'.”

<< -“Palla di neve”?- >>
<< -Per un qualche motivo, penso di non voler sapere cos’è.- >>

Dodger era rimasto sorpreso quando un ragazzo rannicchiato contro il muro della palestra aveva parlato, come se stesse riferendosi ai due speaker: poi aveva notato l’alone chiaro attorno a lui e decise che sì, era logico, ovviamente era un giocatore.
Così fu solo dopo, quando i due speaker fecero quella domanda, che Dodger capì finalmente cosa avesse detto.
Si sentì istantaneamente avvampare. 

“Uh, è quando lui, cioè, lei, fa, ehm, e-e-e poi dà, uh…”

Shadi alzò lo sguardo, sorpreso. C’era un uomo, un tizio con un cappello alla Al Capone, che tentava di rispondere ai due speaker.
Era un tizio strano. I capelli, biondo cenere, dovevano essere stati tagliati a caschetto mesi prima, tanto che ormai la frangia arrivava fino agli occhi. Non era alto, ed era piuttosto secco.
Continuava ad aggiustarsi gli occhiali sul naso in un gesto che assomigliava ad un tic nervoso e balbettava qualcosa, completamente paonazzo.
Si alzò, aiutandosi con il muro. Diede un secondo sguardo all’uomo: decise che era carino.
Prese un respiro e gli si avvicinò, sfoggiando il suo migliore sorriso.

“Vogliamo dargli una dimostrazione pratica?” 

<< -Sì! Sì! Sgualdrina back in action!- >>
<< -Quanto entusiasmo inutile.- >>

Dodger fissò Shadi, senza realmente capire cosa stesse dicendo. Poi comprese il soprannome – ‘Sgualdrina’ – e gli tornarono in mente alcuni commenti degli speaker precedenti a quel momento.
Aggrottò la fronte, perplesso. Per essere una sgualdrina non doveva essere molto grande, comunque- probabilmente aveva diciotto anni.
Il che, si trovò a pensare, era comunque meglio di niente: non è che gli andasse particolarmente a genio, l’idea di venire arrestato per pedofilia.
Sorrise, prendendo una delle mani del ragazzino fra le sue.

“Mi dispiace, tesoro. Il mio cuore è gia di un altro.”

Si bloccò per qualche secondo, pensieroso. 

“E poi c’è mia moglie che mi ucciderebbe se la tradissi.”

<< -E poi ci siamo noi due, il cui disgusto sarebbe stato senza limiti.- >>
<< -Già. Avrei persino potuto azionare il pulsante di distruzione completa del mondo.- >>
<< -Non c’è nessun pulsante di distruzione completa del mondo, Los.- >>
<< -Perché i nostri nemici hanno azionato il pulsante per la distruzione completa del pulsante per la distruzione completa del mondo.- >>
 

Shadi sorrise, divertito. Non sapeva se per la reazione del tizio o per i due speaker- ‘sgualdrina back in action’ lo faceva sentire, curiosamente, più orgoglioso di quanto non fosse logico.

“Come ti chiami?” 

Per qualche secondo Shadi rimase con lo sguardo perso nel vuoto: poi finalmente capì che il tizio si stava rivolgendo a lui.
Ritirò istantaneamente la mano che l’altro aveva continuato a tenere fra le sue, improvvisamente spaventato: quando però vide che questo lo stava guardando con uno sguardo interrogativo, Shadi fece un debole sorriso, tentando di scusarsi.

“S-Shadi,” si passò una mano fra i capelli, imbarazzato, “mi ero, hm, deconcentrato. Scusa.”

L’altro scrollò le spalle, curiosamente allegro. “Chiamami Dodger. Sei maggiorenne, vero?” 

Shadi sgranò gli occhi, mentre un brivido gli percorreva la spina dorsale. Tentò di tenere il sorriso, riuscendo solo a farne una pallida smorfia. “Si.” 

“Fantastico!” Dodger lo prese per mano, indicando allegramente il resto della via. “Sicuramente mi avrebbe reso triste, far ubriacare un minorenne!” 

“Aspetta! Io,”

Shadi non aveva la minima idea di cosa dire. Se c’era, però, qualcosa di cui era sicuro, era che non voleva davvero seguire il tizio- Dodger. O almeno, non voleva andare in un luogo isolato e fissarlo mentre si ubriacava e rischiava di perdere il controllo.
“Io… non posso ubriacarmi. Religione.”
 

<< -Non ci si ubriaca per un bicchiere. Quasi mai, almeno.- >>
<< -Se la tua religione è quella che credo io, allora dovrebbe esserci anche il divieto di avere relazioni pre-matrimoniali.- >>

Shadi si maledì internamente. Contando che era allegramente ateo, era ovvio che alcune regole del Profeta gli fossero oscure- ma quella era così ovvia che non c’era nemmeno bisogno di aver letto il Libro.

“Oh suvvia, non c’è motivo di smettere di bere per qualcosa del genere.”

Dodger si fermò, mettendo le mani sulle spalle del ragazzo. Shadi s’irrigidì, ma tentò di sorridere. Non sapeva neanche se avrebbe dovuto sorridere, ma decise di farlo lo stesso. 

“Shadi, ciò che noi preghiamo altro non è che uno degli ennesimi fattori in un’equazione. L’Universo è stato creato dal Big Bang che è stato creato da… Dio? E poi chi ha creato Dio? E chi ha creato chi ha creato Dio? E chi, o cosa, ha creato chi ha creato chi ha creato Dio? Come vedi, è solo un’enorme catena di eventi che non ha mai fine e che quindi a noi non interessa.”

Shadi gli rivolse un’occhiata così evidentemente confusa che Dodger non poté fare a meno di sorridere, intenerito.

“Seguiamo gli insegnamenti di un dio che potrebbe essere solamente il sostituto di qualcun altro, che a sua volta sarebbe il sostituto di qualcos’altro. Il che, per carità. spiegherebbe perché in molti credano a più dei o perché ci credano con diversi nomi, ma comunque- non importa.” 

Il diciottenne si succhiò le guance, fissandolo. La pelle nera nascondeva il fatto che stava arrossendo, così Dodger non comprese che il ragazzo era persino più confuso di prima. 

“Prendi invece l’alcool. L’alcool confonde le masse, le rende docili, cosa che fa piacere al governo, che paga le multinazionali per distribuirlo. Vedi? Causa. Effetto. Quando paghi per una bottiglia di liquore sai esattamente a chi vanno i tuoi soldi!”

Shadi emise un gemito, tentando disperatamente di far smettere quel fiume di parole: Dodger si fermò, incrociando le braccia sul petto e aspettando una domanda, con un sorriso sulle labbra.
Il ragazzo si portò una mano alla fronte, sospirando. 

“In poche parole,” balbettò lui, tentando di fare il punto della situazione, “stai dicendo che… che non c’è motivo di pregare, ma c’è né per bere? È così?” 

Dodger annuì, non esattamente soddisfatto.
Shadi lo fissò per qualche secondo, convinto che, compreso quel punto, tutto il resto sarebbe divenuto ovvio: alla fine, però, si rese conto di avere semplicemente la risposta ad una domanda che non aveva minimamente compreso. 

“Non ho capito.” 

<< -La creazione, o qualsivoglia dio a cui tu creda, è una domanda che genera altre domande, quindi tentare di rispondere è inutile. L’alcool ha un senso e una risposta.- >>
<< -Più o meno come scegliere se dare un senso a un film surrealista o se andare a mangiarsi un gelato. Goth, perché mi guardi così?- >>
<< -Tu… hai capito di cosa stava parlando?- >>
<< -Uh, sì. Sì.- >>
<< -Io… non… io mi… l’orgoglio sta distruggendo qualsiasi mia logica ma… Oddio.- >>

Prima che Shadi possa anche solo minimamente pensare di ringraziare i due speaker per la spiegazione, Dodger lo aveva preso per mano, tirandoselo appresso nella sua disperata ricerca di un bar.

“Uh uh. Vedi, Shadi, puoi prendere questa come un occasione. Tutti hanno bevuto qualcosa, prima o dopo: tu hai la fortuna di avere un adulto come supervisore nel tuo primo meraviglioso tentativo con gli alcolici!”

<< -Se solo l’adulto non fosse quello che lo ha spinto a bere, eh?- >>
<< -E sempre se il supervisore non sviene dopo dieci minuti.- >>

 Dodger si mise apposto gli occhiali, tentando di apparire il più oltraggiato possibile.

“La vostra poca fiducia mi offende! Non seguo che i suggerimenti dei filosofi, Platone stesso disse che un uomo saggio inventò la birra, anche se io preferisco la vodka. Non ti fidi forse di me, mio tesoro?” 

Shadi aprì la bocca per rispondere qualcosa, ancora leggermente confuso: si dimenticò tutto appena vide lo sguardo da cucciolo che Dodger gli stava rifilando.
Ridacchiò, divertito.

“Insieme a te, amore mio, andrei ovunque.”

Il sorriso malizioso e la voce sensuale bastarono per far sciogliere qualcosa all’interno di Dodger, che replicò con un veloce occhiolino prima di tornare velocemente a cercare un bar.
Non sapeva, esattamente, perché quel tipo di comportamento lo intenerisse- sapeva soltanto che era adorabile.

<< -E via in un angolo a intrecciare lingue!- >>
<< -Come sei veniale.- >>
<< -Hai appena usato una parola complicata?!- >>
<< -Veramente affascinante sentire qualcuno parlare. Aspetta di vedere quando mi sdraierò sul letto e, dopo un’epica sequenza di cinque minuti in cui il mio corpo lotterà contro il torpore, mi addormenterò.- >>

“Silenzio!” esclamò Sid, alzando di scatto una mano nel tentativo di avere l’attenzione dei due speaker. “Non vedete che sto per…”

Le deboli braccia annaspavano alla ricerca di un qualsiasi appiglio: lo trovarono nel cornicione di una finestra e una pattumiera. Migliorò la presa, assicurandosi di non poter cadere, quindi, con tutta la forza che aveva, piegò le braccia tentando di alzare il resto del corpo: le gambe, infatti, sembravano aver ceduto sotto il resto del corpo e non rispondevano granché bene ai comandi.
Rischiò di scivolare più di una volta, ma infine ci riuscì: afferrando spasmodicamente il cornicione della finestra, si trovò infine in piedi sulle proprie gambe.
Sicuro di quella posizione, sorrise. Era un sorriso così calcatamene folle che fu subito ovvio che lo stesse semplicemente fingendo. “…Alzarmi?!” 

<< -…Mpfff…- >>
<< -Ed eccomi qui, a tentare di decidere se questo momento è più strano per il modo epico in cui hai descritto una cosa idiota o se per il fatto che Los sta scoppiando a ridere per qualcosa del genere.- >>
<< -E-era così… eh… c-così fuori luogo!- >>
<< -Adesso capisci perché il mondo tende a ridere, quando parli?- >>

Sid arrossì debolmente, traballando fuori dal vicolo in cui si era rifugiato. Gli erano rimasti ben pochi soldi, ma decise che li avrebbe spesi per trovarsi una camera decente dove dormire.
Un posto confortevole dove aspettare che la pillola finisse il suo effetto. Quella era l’ultima dose, lo aveva promesso, e avrebbe mantenuto fede al proprio giuramento: non avrebbe più dato un soldo ad uno spacciatore.
Sicuramente si sarebbe liberato della pillola che aveva in tasca il più presto possibile. 

“Che cosa intendete dire, che non era spettacolare?!” 

<< -Mancava soltanto il palcoscenico e la musica Apocalittica di sottofondo.- >>
<< -Goth, perché non facciamo noi le musiche di sottofondo? Eh? Eh?- >>
<< -Perché di no.- >>
<< -Tu-du-duun.- >>
<< -Se lo fai di nuovo ti, ta-da-da-dan, picchio.- >>
<< -Non ne saresti capace.- >>
<< -Evocherò il Demonio. Sai che posso.- >>
<< -Approposito di demoni, hai notato una cosa inquietante di… ragazza con retina dorata?- >>
<< -Che ha una retina dorata? Sì, l’avevo notato. E sì, è inquietante.- >>
<< -Oltre a quello. Hai notato che ha predetto esattamente chi sarebbe morto?- >>
<< -Sono morte solo due persone, non puoi esserne certo.- >>
<< -Giusto. Ehi tu… ragazza con la retina per capelli.- >>
 

Meredith non stava ascoltando i due speaker. Era troppo presa dalla sua immagine allo specchio.
Cercava di capire se il pigiama di pura seta si adattasse perfettamente alle sue morbide curve poste al punto giusto, un procedimento che, se andava bene, di solito richiedeva più o meno un’ora.
Tuttavia le sue orecchie, pronte a captare qualsiasi segno di pericolo, la misero subito in all’erta appena si rese conto che stavano parlando di lei.
Con un’occhiata irritata però enigmatica, alzò lo sguardo al cielo per parlare ai due speaker. 

“Che?”

<< -Chi morirà, secondo te?- >>
<< -Los, questo è decisamente… nah, va bene, continua pure.- >>
 

La ragazza sbatté più volte gli occhi, sorpresa dalla domanda. Che cominciassero finalmente a tenerla in conto? Che avessero finalmente capito che era un esempio da seguire?
Sorrise, gentile ma orgogliosa, scostando una morbida ciocca di capelli dal volto, prima di muovere le sue dolci labbra. 

“Oh, per me, anche se non vorrei dirlo, morirà… hm… eh… La… La sgualdrina.”

<< -La retina ha parlato!- >>
<< -Non penso che sia molto- >>
<< -Shh, la retina sta parlando!- >>
<< -O… k. Sei… hm. Bene.- >>

Corey sorrise. Fissò lo schermo del computer, su cui scorrevano dei codici incomprensibili.
Mancava così poco che la gioia gli stava opprimendo il petto, premendo per uscire: sentiva che in un qualsiasi momento avrebbe potuto alzare la testa e lanciare un urlo solo per sfogarsi.
Carezzò la pistola, cercando di scaricare lo stress in quel semplice gesto. Non serviva a granché, ma il solo pensare che potesse davvero aiutare lo faceva già sentire meglio.
Mancava poco. Molto poco. Il bracciale su cui stava scaricando tutti quei codici segnava 99%.
Quanto ci sarebbe voluto? Corey sbuffò, nervoso. Avrebbe potuto metterci dieci secondi come dieci ore…
Era una lenta, incontrollabile, impossibile tortura.

<< -Uh… giro di ricognizione. Allora, sgualdrina e mito inarrivabile stanno bene, per ora. La retina per capelli pure. Il bambino sta… giocando a qualcosa, direi. Il bocciolo di rosa ricoperta con marsala primaverile sta preparandosi per andare a dormire.- >>
<< -Sto sbavando? Credo di star sbavando.- >>
<< -No, ma chiudi la bocca. Poi… hm… i due gemelli e la bambina. Stanno… passeggiando?- >>

Nicolas alzò il viso verso l’alto con un’espressione indignata sul volto. Oliver, alla sua sinistra, si limitò ad un’occhiata inferocita che, probabilmente, doveva essere rivolta ai due speaker, prima di tornare a stare attento a dove stesse andando la bambina. 

“Passeggiare non è la risposta esatta!” esclamò Nicolas con un tono offeso, “stiamo esplorando i dintorni. Non è…”

Gli cadde lo sguardo alla propria destra, in tempo per notare che la bambina era scomparsa.
S’interruppe a metà, voltandosi verso il fratello. Il verso strozzato che gli sfuggì dalle labbra fu più che necessario per attirare l’attenzione di Oliver, che l’apostrofò con uno sguardo seccato.

“La bambina!” Oliver rimase a fissare il fratello, sorpreso. Per quanto non fosse nuovo alle sfuriate del fratello, gli faceva sempre un certo effetto vederlo strillare di fronte a lui. “Dovevi stare attento alla bambina, Ollie!” 

Oliver ci mise alcuni secondi per comprendere perfettamente ciò che il fratello stava gridando. Da qualche parte, nel suo cervello, sperava ardentemente che non avesse appena sentito ciò che aveva sentito: Nicolas non poteva essere davvero così idiota da gridargli addosso per una cosa del genere.

Poi si riscosse, e un’ondata di irritazione fece scomparire qualsiasi traccia di sorpresa. “No! Tu dovevi guardarla! Tu dovevi stare attento! Perché è sempre colpa mia?!” 

“Perché,” Nicolas ci mise qualche secondo per capire che non aveva la minima idea di come finire la frase, ma ormai non poté più tirarsi indietro, “io sono il maggiore!”

Oliver sgranò gli occhi, la bocca aperta nel più chiaro segno di sorpresa. 

“No!” la parola fu pronunciato con un tono così incredulo che uno dei due speaker non poté fare a meno di ridacchiare. “Non hai la minima idea di chi è nato prima di chi!”

“Sì invece!” Nicolas incrociò le braccia sul petto, fissando il fratello con uno sguardo inferocito, “sono nato prima io!”

<< -Possiamo chiedere. Ai genitori dei due pargoli, chi dei due è nato prima?- >> 

Gwen ringhiò qualcosa sottovoce, togliendosi le calze. “Cosa volete che ne sappia, fosse stato per me uno dei due sarebbe nato almeno tre giorni dopo.” 

Sospirò, lasciando perdere le calze e appoggiando il mento su una mano. Il volto si contrasse in una rapida smorfia di concentrazione, nel tentativo di ricordare. 

“Penso,” mormorò lei, socchiudendo gli occhi, “penso di essere ritornata a pensare coerentemente tre giorni dopo. Credo. Ho dei ricordi confusi, circa il tempo che ho passato in ospedale.”

 

Dodger rallentò il passo, arrossendo leggermente. “Ehm. Ai tempi, sono, tipo, svenuto nella sala d’aspetto.”

Qualcosa come cinque volte. Troppe feste, di sicuro, poco tempo per dormire, certo, orrendamente stanco, aveva sicuramente aiutato: a dire il vero, non sapeva se si potevano contare come episodi in cui era svenuto o se aveva meramente “perso conoscenza”- di sicuro l’alcool che l’amico gli aveva rifilato non era riuscito a tenerlo sveglio. Sapeva, comunque, che sicuramente era svenuto quando gli avevano detto che c’erano delle complicazioni… e quando gli avevano chiesto se voleva entrare in sala parto. Nessuna risposta avrebbe potuto essere più eloquente.

Shadi lo guardava in maniera strana. Dodger non aveva la minima idea di cosa stesse pensando il ragazzo, se fosse incredulo o stesse ridendo di lui, ma di sicuro non lo aiutava a sentirsi meglio. 

Sorrise, imbarazzato. “Sai… troppo studio e niente riposo fanno di Dodger un ragazzo delicato.”

<< -Di sicuro… Aspetta, stud- >>
<< -Mia madre dice che la mia gravidanza è stata un inferno. Tipo, sai, nausea ogni cinque minuti, mal di schiena, ore e ore per farmi nascere…- >>
<< -Favoloso, non eri nato e già eri una piaga sociale.- >>
<< -Ripete continuamente che era terrorizzata dall’idea di un’altra gravidanza, ma quando poi si è resa conto che il secondo bambino era calmo e placido non ci poteva credere. Ha continuato a chiedere ai maggiordomi se non fosse tutta una presa in giro- sai, tipo se durante la notte non le avessero messo una pancia finta. Dopo il parto ha persino chiesto se fosse vero che il bambino era nato.- >>
<< -Posso capirla, anche io, se venissi messo di fronte ad un altro ragazzo della tua stessa età, lo guarderei e chiederei se in realtà non è un ventenne molto basso.- >>
<< -Io non sono basso!- >>
<< -Purtroppo non sei neanche ventenne.- >>
<< -Che vorrebbe dire, questo?- >>
<< -Che sei un sedicenne, e quindi mentalmente inferiore.- >>

Sid fece un leggero sorriso, alzando le mani in un segno che doveva significare ‘io ne sono fuori’. “Wohoo, io ne ho diciassette!”

I due gemelli alzarono il viso, il volto sfigurato dalla rabbia. “Ehi!” 

<< -See, see. Stupidi ragazzini. Ad ogni modo, mi dispiace rovinare la tua teoria… gemello con il cappello, ma credo che sia quello che nasce dopo, ad essere il maggiore.- >> 

Nicolas ringhiò qualcosa sottovoce, distogliendo lo sguardo. “Eh… allora… sono quello nato dopo!”

Oliver si dimenticò dei due speaker, guardando il fratello con sguardo incredulo. Emise un rantolo strozzato, prima di riuscire finalmente a parlare. “Sei uno stupido!”

“Cosa?!” Nicolas sgranò gli occhi, incredulo. “No!”

“Sì, invece!” Oliver strinse i pugni, gli occhi socchiusi in uno sguardo inferocito. “Tu sei stupido! I tuoi metodi sono stupidi!” 

I due speaker scoppiarono a ridere ma Oliver li ignorò, fin troppo infuriato per rendersi conto di qualsiasi cosa non fosse l’oggetto della sua rabbia. “La tua testa è stupida! La tua intelligenza è stupida! Tu sei la cosa più stupida che-”

Si interruppe, notando che il fratello non gli stava più prestando attenzione e stava, invece, guardando qualcosa alle sue spalle. Oliver aggrottò la fronte, perplesso, ma prima che potesse chiedere qualcosa (o seguire il suo istinto e fuggire più velocemente possibile), Nicolas alzò un braccio per indicare ciò che gli interessava.
Oliver si voltò, seguendo lo sguardo del fratello e finendo per fissare la bambina, che in quel momento stava guardando una vetrina di giocattoli.

“Bambina,” aggiunse Nicolas, come a sottolineare l’ovvio.

Per qualche secondo, i due gemelli si limitarono a guardare la bambina: poi, dimenticando qualsiasi rancore, s’incamminarono verso di lei.

Si fermarono appena la bambina lanciò un sasso contro la vetrina del negozio.

I due la fissarono, scioccati, senza sapere cosa dire: lei stava trotterellando via, probabilmente senza meta, ma loro erano fin troppo increduli per fermarla o per ragionare che avrebbero fatto meglio a scappare, visto che loro erano gli unici rimasti di fronte al negozio.
Se ne ricordarono appena il padrone, un uomo decisamente grosso, uscì dall’ingresso strillando: in una reazione completamente naturale che veniva dal cuore, supportata dai pochi pensieri coerenti che il panico lasciava passare e che, semplicemente, gli era venuta spontanea, Nicolas spinse il fratello a terra e poi corse nella direzione in cui la bambina se n’era appena andata.

 
Oliver non ebbe il tempo per strillare tutto ciò che pensava del fratello – o per rammaricarsi del fatto che, per l’ennesima volta, lo aveva preceduto nel suo intento – , perché l’uomo emise un ruggito di rabbia capace di far tremare il cuore del più intrepido degli eroi.
Di conseguenza, Oliver rimase paralizzato dal terrore. 

<< -Giusto per finire bene la giornata!- >>
<< -Sarebbe ora, la Morte ha avuto parecchie occasioni che ha sprecato, oggi.- >>

Uno strano suono riscosse Corey dai suoi pensieri.
Alzò lo sguardo, finendo per fissare lo schermo del computer: una scritta gli fece sapere che il procedimento era, finalmente, finito.
Soffocò a malapena un grido di gioia, indossando il bracciale a cui aveva lavorato per tutto il giorno- non vedeva l’ora di poterlo finalmente testare. L’ultima piccola gioia prima di andare a dormire.
Il piccolo schermo installato sul bracciale si illuminò, mostrando un’aria vuota su cui inserire dei codici: Corey sembrava esaltato alla sola vista.
Premette alcuni pulsanti, inserendo un codice che, se n’era accertato, avrebbe dovuto funzionare sul programma di base- l’aveva installata in quel modo, doveva funzionare.
Lo schermo si colorò di blu, segno che il codice era stato accettato. Corey si permise un gridolino di gioia, prima di prendere in mano la pistola e lasciare il comodo internet point in cui era rimasto fino a quel momento.

 

Oliver si coprì istintivamente la testa vedendo che l’uomo aveva preso una delle assi attaccate alla porta e l’aveva alzata per colpirlo: l’idea che era un videogioco e quindi, in teoria, non avrebbe sentito dolore, non l’avrebbe comunque fatto sentire meglio. 

<< -…Mhm?- >>
<< -Cosa… un bug?- >>
 

Nulla lo colpì. Nessuna scrittina in rosso che proclamava la sua morte.
La curiosità presto superò la paura, ed Oliver finalmente abbassò le braccia, cercando di capire cosa stesse succedendo.
Ci mise qualche secondo per accettare che il tizio di fronte a lui stesse realmente tornando indietro, come una specie di pellicola che viene girata al contrario, ma in un qualche modo decise che doveva avere un senso.
Si rialzò, continuando a fissare l’uomo che ora era congelato di fronte al negozio. Sembrava stesse per scomparire, aveva… era come guardare un film rovinato.
Aggrottò la fronte, perplesso. Era un problema del videogioco? Se aveva sentito bene, pure gli speaker erano perplessi. 

“Bhè, questo è strano.”

Oliver si voltò di scatto: a poca distanza, anche se a qualche metro di sicurezza, Nicolas stava fissando l’uomo con lo stesso sguardo perplesso che doveva aver avuto lui, tenendo per mano la bambina che, come al solito, continuava a stringere il suo inquietante orsacchiotto.
Oliver si alzò in piedi, dirigendosi con ampie falcate verso il gemello che, ancora per poco, sembrava non rendersi conto del pericolo che stava per correre.

“Odioso piccolo bastardo!” strillò infine Oliver quando ormai a poca distanza dal fratello, facendolo sobbalzare per la paura: Nicolas gli rivolse un’occhiata astiosa, mentre con la mano destra si massaggiava spasmodicamente il cuore. “Mi avresti lasciato morire!”

Nicolas aggrottò la fronte, poi incurvò le labbra in un sorriso incredulo. “Certo che sì!” scosse la testa, guardando il fratello come se fosse impazzito. “Cioè, ti aspettavi che tentassi di salvarti?”

“Sì!” gridò Oliver, ormai sull’orlo della crisi isterica.

Nicolas scosse la testa, socchiudendo un occhio e inarcando un sopracciglio, in una strana espressione che Oliver non riuscì a decifrare. “Per favore. Io ti ho solo preceduto, Ollie.”

Oliver alzò gli occhi al cielo, emettendo un rantolo strozzato. “Non tutti siamo-”

La frase si concluse così, perché solo in quel momento Oliver si accorse che un qualcosa di strano, come un’enorme muro scuro, stava avanzando dritto verso di loro e non ci voleva un genio per immaginare cosa potesse accadere se fosse rimasto nella traiettoria.
Così, approfittando del fatto che Nicolas non aveva ancora capito il perché di quell’improvvisa interruzione, Oliver lo spinse all’indietro, facendolo cadere a terra, poi prese la bambina per un braccio e si gettò verso sinistra, tentando di uscire dalla traiettoria.

Nicolas non capì subito di essere stato spinto: fu solo quando si trovò ad osservare il cielo che capì che era accaduto qualcosa di strano.
Si tirò su con le braccia, tentando di mettersi a sedere, e finalmente capì che qualcosa non andava perché suo fratello era per terra, lui era stato spinto, e il cielo, in lontananza, aveva cominciato ad essere piuttosto strano.
Poi vide che Oliver era decisamente più a sinistra di lui, come anche la bambina.

Rotolò a sinistra, giusto in tempo per evitare di essere ‘investito’ da… quel… muro?

<< -Ehi. Ehi! Cosa diavolo…- >>
<< -Non proprio il solito ma, hm, immagino che possa avere risvolti interessanti.- >>
<< -Tipo cosa, truppe sovietiche da una parte e gente che scava gallerie per passare dall’altra?- >>
<< -Immagino stia per cominciare un periodo freddo, uh?- >>
<< -See, cominceranno pure a girare manifesti circa tizi incappucciati che accarezzano missili e un po’ di falce e martello.- >>

Dodger non stava realmente ascoltando i due speaker. Cioè, sì, ma la domanda ‘perché stanno dicendo delle metafore circa la guerra fredda’ era decisamente in secondo piano rispetto alla ricerca di un bar.
Shadi, dietro di lui, si limitava a ridacchiare saltuariamente. Non stava più solo tenendogli la mano, ora era passato a tenersi al suo braccio, strusciando la testa- il che sì, era adorabile, ma gli faceva uno strano effetto. Aveva la vaga impressione di essere diventato una sorta di orsacchiotto e l’idea lo inquietava.

Quando i due speaker avevano ricominciato a parlare, facendo quei commenti incomprensibili, Dodger aveva finalmente trovato, in un angolo della strada, ciò che stava cercando: un bar. Shadi aveva cominciato a balbettare qualcosa circa il fatto che gli NPG sembravano strani, ma Dodger l’aveva tranquillizzato: forse il computer si era surriscaldato e ora stava resettando il programma di base, o forse a quell’ora tentava di sprecare meno energia possibile, eliminando quindi i personaggi non giocanti. Shadi l’aveva fissato, succhiandosi le guance, Dodger gli aveva arruffato i capelli con un sorriso e si erano diretti verso il bar.

Fu quando ormai mancavano pochi passi per raggiungere la porta che un muro gli sbarrò la strada.
Shadi sobbalzò, spaventato da quell’apparizione improvvisa: Dodger, invece, si ritrovò sull’orlo delle lacrime.

“No! No!” diede un pugno al muro, gridando con un tono a metà fra l’infuriato e il disperato. “Non il bar! Non il bar! Perché non poteva chiudermi dentro il bar?! Perché oggi non-”

Dodger si bloccò, fissando, estatico, gli strani simboli che si erano formati su ciò che lo divideva dalla sua meta.
Il muro non era di mattoni: se si doveva dare una definizione, assomigliava ad un muro di vetro nero. Su esso, però, risplendevano dei simboli dorati misti a lettere in un ordine che a Shadi pareva senza senso.
Dodger fece un passò indietro, per osservare meglio il muro e ciò che vi era inciso sopra.

Shadi aggrottò la fronte, notando che Dodger aveva assunto un colorito plumbeo e gli tirò una manica, preoccupato, tentando di attirare la sua attenzione. “Ehi?”

L’altro cercò di fare un sorriso, senza però riuscire a distogliere lo sguardo da quei simboli.

<< -Il muro… non è un muro. Sono tanti muri. Non sta dividendo a metà la città, procede a ragnatela.- >>
<< -Forse è stato ideato da Spiderman.- >>
<< -Oh, per l’amor del Cielo, Los.- >>
<< -Vuoi dire… che non credi in Spiderman?- >>
<< -Los, è una mia impressione o stai diventando sempre più idiota con il passare del tempo?- >>
<< -Non… ci credi?- >>
<< -Io non… Ok. Ci credo. Ci credo. Contento?- >>
<< -Ed è quando credo di non poter reputare qualcuno più patetico di quanto pensi, questo rivela sempre qualcosa di nuovo. Che razza di Nerd.- >>
<< -Se non gliel’avessi già data, ora donerei l’anima al Diavolo solo per farti soffrire.- >>

Sid aggrottò la fronte, perplesso alle parole dei due speaker, ma poi, semplicemente, scrollò le spalle, disinteressandosi.
Gli erano rimasti pochi soldi ma dovevano essere abbastanza per una camera in una pensione. Al massimo se ne sarebbe andato senza pagare.
Aveva però la vaga impressione di essere in una parte della città in cui di pensioni non c’è n’erano. A dire il vero, aveva la vaga impressione che più rimaneva in quel luogo più le probabilità di essere rapinato si intensificavano.
Borbottò qualcosa sottovoce, nervoso. Di solito andava sul sicuro: nessuno pensava anche solo lontanamente di rapinare un ragazzino così malmesso. Era ovvio che non avesse soldi- poteva, al massimo, avere qualche dose, sempre se non l’avesse già sprecata.
Nel videogioco, invece, aveva dei soldi e forse gli NPG lo sapevano. Magari potevano vederlo, forse riuscivano a vedere un numerino e allora avrebbero cercato di ucciderlo e… e non bastava poco, per uccidere qualcuno? Il solo inciampare poteva creare un effetto a catena disastroso.

“Fantastico,” mugugnò Sid sottovoce, pizzicandosi il braccio destro in un tic nervoso, “paranoia. Paranoia. Paranoia. Paranoia.”

Appoggiò la schiena contro il muro, dando fugaci sguardi a destra e a sinistra. Non c’era nessuno, certo, ma aveva quella sgradevole sensazione che qualcosa, da qualche parte, lo stesse osservando.
Fece un respiro profondo, tentando di calmarsi.

“Paranoia. Paranoia. Paranoia. Paranoia. Paranoia,” continuò Sid, rabbrividendo involontariamente.

Aveva la mania dei mantra: ad esempio, quando tentava di farsi coraggio ripeteva le note della chitarra di una canzone. Quando andava in paranoia, ripeteva la parola ‘paranoia’ fino a quando non si calmava.

Chiuse gli occhi. Doveva concentrarsi sulla parola e non sull’ansia che lo stava soffocando.

“Paranoia. Paranoia. Paranoia.”

<< -Come al solito, è bello vedere che c’è qualcuno che riesce a mantenere la calma e il sangue freddo.- >>
<< -Pensa quando aprirà gli occhi.- >>
<< -Propendo per l’infarto.- >>
<< -Ci sto! Secondo me dovrà spendere i prossimi venti anni della sua esistenza da uno psicologo!- >>

Sid rabbrividì per la seconda volta in meno di un minuto- favoloso, ora sì che si sentiva tranquillo.
Ripeté più volte la parola, tentando di concentrarsi solo sul suono di questa.
Ma di cosa stavano parlando?
Smise di parlare, mimando solo con le labbra la parola: la mano libera, quella che non stava pizzicando spasmodicamente il braccio opposto, era corsa nella tasca dei pantaloni dove c’era la sua ultima pillola. Non poteva essere una persona, no? In teoria l’avrebbe sentita. Ma forse no. Era un videogioco, no? C’erano branchi di elefanti e cavalli, per l’amor del Cielo.
Aprì gli occhi, cercando di razionalizzare. Era stupido aver paura quando non sapeva neanche se c’era qualcosa- d’altronde, poteva pure essere un semplice scherzo dei due speaker.

Strillò, preso alla sprovvista: di fronte a se, un enorme muro nero faceva da sfondo a dei simboli dorati.
Si guardò attorno, il braccio destro ormai ridotto ad un livido. Il muro, a quanto pareva, non era solamente di fronte a lui, ma continuava fino all’orizzonte.

Gli scappò una risatina nervosa.

“La la la la la, lie lie lie. La la la la la, lie lie lie.” Le sillabe erano pronunciate come fosse una canzoncina, ma la voce era debole e tremante, come se in ogni secondo dovesse scappargli un singhiozzo. “La la la la la, lie lie lie. La la la la la, lie lie lie…”

<< -Aye, vent’anni di psicologo!- >>
<< -Questo ci mette di fronte a nuove prospettive. Sai che il muro di Berlino è stato costruito in una notte? Questo in neanche dieci minuti.- >>
<< -Intendi dire che forse noi in realtà viviamo in un videogioco e che esistono dei Game master capaci di strabilianti poteri cosmici?- >>
<< -No, ma è… piacevole vedere che hai la mente aperta a nuove, interessanti opinioni.- >>
<< -Cosa intendi dire con “interessanti”?- >>
<< -Credimi, non ne ho idea.- >>

Corey voltò l’angolo, visualizzando una mappa della città nel suo bracciale: i giocatori erano segnalati con dei puntini viola e non erano, contrariamente alle sue previsioni, divisi. Il gruppo più folto di persone era di tre.
Scrollò le spalle, decidendo che poteva farcela lo stesso. Poteva prenderlo come un gioco: c’erano le aree facili, quelle medie e quelle difficili.
L’area più vicina presentava tre giocatori, ma solo due erano vicini: il terzo doveva essere abbastanza lontano da non poterli neanche vedere.
L’undicenne sorrise, inserendo, nel bracciale, il codice per il ‘teletrasporto’: aveva infatti deciso che quello era un ottimo posto dove fare il primo colpo. Un’area vicina e di difficoltà media, sembrava persino avere degli hotel in cui andare a dormire.
Schioccò la lingua, aspettando che il paesaggio attorno a lui si stabilizzasse. Sorrise quando vide che, davanti a lui, c’erano già i due giocatori.

<< -Goth, parlando di cose di cui non hai idea, il gioco è stato dotato di piattaforme per il teletrasporto alla Star Trek?- >>
<< -Se avessi letto le regole sapresti che il solo pensiero è ridicolo.- >>
<< -C’è un ragazzino incredibilmente ridicolo, allora.- >>

Dodger sorrise, tentando, senza successo, di smettere di guardare quei simboli.

“Uh, hm,” la voce gli uscì rauca, fastidiosa solo a sentirla: sospirò, cercando di lasciar perdere. “Ci saranno di sicuro altri bar, giusto? Andiamo.”

Il ragazzino gli strinse il braccio, fermandolo prima che potesse allontanarsi: Dodger emise un mugolio strozzato, ma fece del suo meglio per mantenere il sorriso.
Shadi lo guardava con la fronte aggrottata, perplesso. Dodger si sentì male mentre, dentro di sé, si diceva che era piuttosto ovvio che avesse notato quanto si sentisse a disagio- solo un’idiota avrebbe potuto ignorarlo.

“Cosa c’è?”

Dodger scrollò le spalle, il solito falso sorriso incollato sulle labbra. “Tranquillo!” il tono di voce era fin troppo allegro, troppo calcato, troppo esagerato per essere sincero. “Cose inutili! Diciamo che ero rimasto stupito dalla comparsa del muro, ma sai, poi mi sono ricordato che siamo in un videogioco e, insomma. Cose stupide!”

Si calcò il cappello sulla testa, voltandosi alla propria sinistra. “Tempo di alcool! Wiiiiii!”

Shadi aprì la bocca con la mezza idea di continuare a chiedere cosa, seriamente, lo stesse preoccupando: non era così stupido da lasciar perdere dopo delle simili risposte. Tuttavia, il modo con cui aveva detto ‘wiiii’, l’esagerata allegria, ma soprattutto il tono acuto con cui l’aveva pronunciato, gli fecero optare per lo scoppiare a ridere.

 

Corey alzò la pistola, prendendo la mira: i due non si erano ancora resi conto di lui. Anzi, uno sembrava essere estremamente allegro per motivi non precisati.
Portò l’indice sul grilletto, chiudendo un occhio per aggiustare al meglio la mira.

 

“Ah!” 

Dodger gridò non per il dolore, ma per la sorpresa: era ovvio che se non fosse stato nel videogioco avrebbe provato qualcosa, ma in quel momento avvertiva soltanto un formicolio all’avambraccio.
Abbassò la testa, cercando lo sguardo di Shadi. Il diciottenne, infatti, gli aveva afferrato il braccio con forza, quasi infilzandolo con le dita.
Aggrottò la fronte, cercando di capire perché il ragazzo stesse facendo ciò: poi, di nuovo, Shadi gli strinse il braccio, questa volta gridando. 

“Shadi?”

Con il braccio libero gli cinse il petto, tenendolo in piedi: solo in quel momento si rese conto del perché Shadi aveva agito in quel modo.
Sangue. Sulla schiena del ragazzo c’erano due fori attraverso cui poteva passarci un pugno: il sangue stava invadendogli la maglietta, macchiando irreparabilmente la manica dell’impermeabile di Dodger. 

“Shadi!”

La presa del ragazzo si faceva più debole, ma tentava con tutte le sue forze di non mollargli il braccio. Dodger, dal canto suo, non aveva la minima idea di cosa fare: c’era una parte di lui che gli diceva che doveva fare qualcosa, tentare di aiutarlo, portarlo in un ospedale. La parte razionale della sua mente, invece, tentava di ricordargli che era un videogioco: il ragazzino non stava morendo davvero, e contando la regola delle percentuali estremamente idiote non c’era alcuna possibilità che potesse sopravvivere. 

<< -No! La sgualdrina! Nooo!- >>
<< -Non so. Mi sento triste per la morte di un personaggio che ha fatto la storia, eppure non posso fare a meno di pensare che, oh mio Dio, tu sei disperato.- >>
<< -Tu non capisci! Io ero ormai convinto che il suo nome fosse ‘La Sgualdrina’! Io, io, no!- >>
<< -Te lo immagini se i genitori de la… uh, del ragazzo un giorno dovessero giocare a questo videogioco?- >>
<< -Signori, se può aiutare il vostro giudizio, io amo il Kebab…- >>
<< -Siamo così fottuti.- >>

Shadi si lasciò sfuggire una risatina, dimenticandosi per un momento che lo avevano colpito- poi partì un terzo sparo e Dodger si abbassò di colpo.
Quando il ragazzo alzò lo sguardo per capire cosa era successo si accorse immediatamente che c’era qualcosa di strano, in Dodger.
Più precisamente, era senza il suo cappello. 

“Il mio cappello!” Dodger socchiuse gli occhi in un’espressione inferocita. “Se mi hai rovinato il cappello, moccioso, giuro che…”

Fece appena in tempo a scattare verso destra per schivare un altro colpo.
Shadi aggrottò la fronte, perplesso. Moccioso? Che cosa intendeva dire con moccioso? Quello non gli sembrava il tipo da chiamare uno di sedici anni ‘moccioso’ solo perché era infuriato- ma allora era stato colpito alle spalle da un bambino?
Chiuse gli occhi, ringhiando sottovoce una corona di improperi. 

“Shadi.” Shadi riaprì gli occhi, trovandosi a fissare il volto di Dodger contratto dallo sforzo di schivare i colpi e, allo stesso tempo, trascinarlo con se. “Devo lasciarti qui.”

Il ragazzo ci pensò per qualche secondo, cercando di decidere se ciò fosse buono o cattivo: poi un terzo proiettile gli prese la spalla e Shadi si limitò ad annuire, facendogli capire, con un rapido movimento della testa, che era meglio se si muovesse.
Dodger sorrise, stringendolo a sé. “Ci si vede dopo, tesoro.”

Gli sfiorò una guancia con le labbra, prima di mollarlo a terra e scattare verso il vicolo più vicino. 

<< -Se tutte le dichiarazioni d’amore fossero così, ora non farei altro che guardare film romantici.- >>
<< -Comprate questo videogioco che ancora non ha un nome: dentro potrete trovare azione, gesti normali resi epici, gesti epici resi normali, e la dichiarazione d’amore più breve della storia. E poi ci siamo noi.- >>
<< -Ma è ridicolo comprare un videogioco solo per noi.- >>
<< -Già. Più sensato venirci a trovare.- >>
<< -Se provate anche solo ad avvicinarvi con l’intento di parlarmi senza avermi prima imbottito di alcool libero i cani.- >>
<< -Non disturbatemi mentre gioco o vi butto nella fossa dei cani.- >>

Corey scrollò la testa, tentando di risvegliarsi. La sua energia era ormai completamente rossa, e lo schermo continuava a tremare.
Si portò una mano alla fronte, prima di scattare verso l’uomo biondo che stava tentando di fuggire: diede un veloce sguardo alla mappa sul suo bracciale. Sorrise: a quanto pareva, il vicolo era cieco.
Voltò l’angolo, lasciandosi alle spalle il ragazzo agonizzante, solo per trovarsi di fronte all’uomo che, in quel momento, aveva preso un sacco dell’immondizia e lo maneggiava in maniera inquietante.
Prima ancora che vederlo, Corey lo percepì: si buttò verso sinistra, schivandolo appena in tempo.
Le gambe gli tremavano, le braccia non riuscivano a tenerlo in piedi. Corey ringhiò qualcosa fra sé e sé, lasciandosi cadere a terra.
Quella giornata era stata frustrante, l’autonomia stava finendo. Ancora poco, e sarebbe svenuto.
Con un ultimo sforzo alzò la pistola e mirò a Dodger. 

“Vuoi piantarla?!” esclamò infine Dodger appena lo sparo gli bucò l’impermeabile, altro pezzo d’abbigliamento che semplicemente adorava. Borbottò qualcosa sottovoce prima di saltare sulla grondaia della casa e cominciare ad arrampicarsi, tentando di raggiungere le scale antincendio.

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Terza morte: Shadi Al-Jamil Tabata'i Bukhari. Modus Operandi: Tre colpi d’arma da fuoco, emorragia interna
Giocatori rimasti: 8

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-:.:.-*-.:.:-

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“Oddio, ha un nome lunghissimo!”

Quella fu la prima frase che l’accolse al ritorno dal videogioco.
Shadi si tolse il casco, rimanendo momentaneamente stupito da quanto fosse piacevole l’aria sulla fronte imperlata di sudore: non che fosse così fresca, ma qualsiasi sensazione sembrava un dono dal cielo, la cosa più bella che esistesse.
Si mise seduto, togliendosi subito la flebo dal braccio. Quel dolore, quel vero dolore lo fece sentire, incomprensibilmente, bene.
Alzò lo sguardo, sorridendo- solo per poi sentirsi morire dentro.

“Uh. Ehm.” Daniel fece un sorriso imbarazzato prima di agitare la mano. “Eh, ciao.” 

Shadi non rispose. Rimase a fissarlo, incredulo.
Si era ormai convinto che quel tizio non era altro che un brutto sogno, che quello non era capitato. Poi si risvegliava e la prima persona che incontrava, ovviamente, era lui.
Celia gli sorrise, agitando una mano.
“Tranquillo! Lui è buono.” E per provarlo arruffò i capelli di Daniel, prima di tirargli una guancia con la mano sinistra: se Shadi non fosse stato sull’orlo del trauma, forse in quel momento sarebbe scoppiato a ridere.

“Ok, ok, sono buono, sono buono, sono buono, Celia, per favore, basta, sono buono!”

Celia si voltò nuovamente verso Shadi, ammiccando. “Visto? Se riesce a resistere all’urgenza di uccidermi per una cosa del genere, allora vuol dire che è proprio buono.”

Daniel arrossì, massaggiandosi con una mano la guancia dolorante.

“Ad ogni modo!” Celia batté le mani l’una contro l’altra, estremamente allegra. “Non si può uscire fino alla fine del gioco!”

Dietro la pelle scura Shadi impallidì. Celia se ne accorse, perché aggiunse subito “Il bagno è di là.”

“Senti,” cominciò Daniel, attirando l’attenzione del ragazzo. “Io, hm… mi dispiace. Davvero. C’è… un modo… per farmi perdonare?”

Shadi scosse la testa, senza parlare.

“Oh.” Daniel arrossì di nuovo, abbassando lo sguardo. “Cioè, ok. Ti capisco. Scusa. Cioè, scusa. Davvero.”

“Non c’è motivo per essere depressi,” esclamò Celia appoggiando i piedi sul tavolo e mettendosi quanto più comoda fosse possibile. “Shadi, giusto? Non ti preoccupare. Puoi prenderli come giorni di vacanza! Abbiamo cibo, tanto per dire, e possiamo guardare gli altri giocatori.”

Daniel si lasciò sfuggire un sorriso. “Già. Una delle rare volte in cui si guarda un reality senza doversi vergognare di averlo fatto.”

Celia ridacchiò, annuendo. “Senza contare che il reality in questione è commentato da i due speaker per eccellenza!” Indicò con una mano il monitor in cui i due ragazzi apparivano. “Sono adorabili, non è vero?”

Shadi si sporse in avanti, socchiudendo gli occhi nel tentativo di mettere a fuoco lo schermo. In quel momento Goth (era ovvio che fosse lui - lei? - visti i vestiti) stava scribacchiando qualcosa, mentre l’altro, Los, si stava massaggiando le tempie.
Sorrise, ammiccando a Celia. “Un vero peccato che non mi abbiano invitato nella loro camera.”

Celia ridacchiò, un gesto che Daniel accolse alzando gli occhi al cielo. “Lascia perdere gli ormoni e lascia alle tue spalle l’adolescenza, Celia. Anche perché uno dei due è minorenne.”

La donna fece una linguaccia, ricordando terribilmente una bambina pestifera, quindi tornò a guardare Shadi.

“Allora! Come mai così tanti nomi?”

Shadi aggrottò la fronte, tentando di capire di cosa stesse parlando: poi lo sguardo gli cadde su uno dei monitor, dove ancora campeggiava la scritta in rosso che riportava la sua morte.

“Oh. È complicato.” Sospirò, passandosi una mano fra i capelli, solo per fare una breve smorfia di disappunto appena si rese conto che il casco li aveva rovinati: non erano più lisci e morbidi, ma quasi- no, anzi, totalmente grassi per colpa del sudore. Sbuffò fra se e se, seccato- a quanto pareva, doveva farsi una doccia il più presto possibile. “Shadi è il mio nome. Al-Jamil è il laqab. È… è una mia descrizione, o, come dire, descrive ciò che i miei genitori speravano diventassi. Gli altri due sono nasbi, servirebbero per, hm, per dire dove sono nato, o da chi discendo, o la mia occupazione. Tabata’i dice che entrambi i miei genitori sono della stirpe di Maometto, Bukhari significa che sono nato a Bukhara.”

“Che cosa vuol dire Al-Jamil?”

Shadi fissò Daniel per qualche secondo, a bocca aperta. Non che non volesse rispondergli, ma ancora reputava incredibile che quell’uomo esistesse davvero.
Celia intervenne, già ridendo fra sé e sé. “Ti immagini se vuol dire ‘La Sgualdrina’?”

Shadi ridacchiò, scotendo la testa leggermente. “Bhè, credo che ormai dovrò aggiungerlo, visto che mi conosceranno tutti con quel nome.”

Daniel schioccò le dita, tentando di attirare l’attenzione dei due. “Billy the Kid è svenuto e il tizio che era con te sta… camminando su una fune.”

“Noioso.”

Celia sbuffò, scotendo la testa, prima di illuminarsi di nuovo. “Vediamo cosa stanno facendo i due speaker!”

“Uh, come mai possiamo vedere gli speaker?” chiese Shadi, aggrottando la fronte.

“Serie di eventi.” Celia indicò con la testa uno schermo, sorridendo. “Daniel è morto nella loro stanza. Che fortuna, eh?”

Daniel fece una smorfia, distogliendo lo sguardo. “Non avrei mai pensato di dover definire una cosa del genere ‘fortuna’.”

Shadi continuò a fissare lo schermo dove Dodger stava camminando. Non gli era sembrato una persona particolarmente forte, anzi, a prima vista si era convinto che, volendo, avrebbe potuto stenderlo senza sforzo- eppure eccolo là, a scalare un edificio senza sforzo, a camminare su una fune con discreta velocità.
Non che facesse ciò con particolare facilità, certo, ma Shadi non avrebbe neanche mai potuto pensare di camminare su una fune. Se poi si contava che l’impermeabile stava per andare a fuoco-

Shadi scattò in avanti, fermandosi quando il naso gli arrivò a pochi centimetri dallo schermo.

“Ehi, piccolo! Non fa bene guardare la Tv da vicino, sai?”

La ignorò. Perché l’impermeabile di Dodger stava per andare a fuoco? 

<< -Guarda, Los. Abbiamo fra noi La Torcia.- >>
<< -Eh?- >>
<< -Non sai proprio niente!- >>

Appena i due speaker dissero ciò, il primo istinto di Daniel e Celia fu di avvicinarsi allo schermo che stava fissando il ragazzo e cercare qualcosa che non andasse.
Fra i due, lei fu la prima che se ne accorse: portò le mani alla bocca, incredula.

“Forse…” Daniel aggrottò la fronte. La sola idea sembrava così idiota ed improbabile che, semplicemente, non poteva essere vera. “Forse è stato lo sparo? Forse quella fiamma è per via del calore dello sparo?”

Dodger abbassò lo sguardo, probabilmente cercando di capire di cosa stessero parlando i due speaker: quando si rese conto che un piccolo braciere si stava allargando lì, dal punto dove gli avevano sparato, reagì d’impulso e lasciò scivolare l’impermeabile- che, ovviamente, si impigliò alla fune.

Celia fece una risatina nervosa, la mano ancora di fronte alla bocca. “Quando si dice probabilità altamente idiote, eh?”

Dodger, nello schermo, esclamò qualcosa che nessuno, ne speaker ne spettatori, riuscirono a comprendere, quindi tentò di calciare via l’impermeabile- dimenticando completamente di essere in precario equilibrio su una fune.

Shadi urlò, scattando verso lo schermo: fu solo grazie a Celia che questo non ci sbatté contro. 

Dodger si teneva disperatamente alla corda, probabilmente ancora scioccato dall’idea di non essere al pari di una frittata per rendersi conto che il suo preziosissimo impermeabile stava portando le fiamme anche sulla fune su cui si teneva.
Quando finalmente se ne accorse la corda si era ormai spezzata.

<< -Tu sai chi è Tarzan, vero Los?- >>
<< -Nnnnnhn… NO! Perché non lo vuoi capire? Forse, ai tuoi tempi, Platone si divertiva un mondo ad ascoltarti, ma ora sei fuori! Il tuo repertorio è antico! Non c’è spazio per te fra i giovani!- >>
<< -Grazie al Cielo. Approfitto di questo momento per dire che non stavo scherzando, prima, a proposito dei cani.- >>

Nessuno fra i tre riuscì a guardare mentre Dodger sbatteva contro un’enorme finestra: una donna gridò, i vetri andarono a frantumi, e, in sottofondo, Celia e Daniel si univano al ‘uuuh’ dei due speaker nel videogioco, che avevano subito immaginato in quali guai stesse per finire- era di sicuro una fortuna, poi, che non potesse provare dolore.

“Buonasera gentile ospite,” esclamò Dodger scattando subito in piedi con un cortese sorriso a trentadue denti stampato sul volto, facendo un ampio inchino galante. “Faccio parte della Securitè dell’albergo e sono desolato di informarla che, sfortunatamente, la sua camera non è a prova di attacco ninja!”

Gwen stringeva la vestaglia all’altezza del petto tentando di coprirsi, in un inconscio tentativo di difendersi dallo sconosciuto che era appena entrato in camera sua sfondando la finestra.
Blaterava qualcosa di insensato, diceva di far parte della sicurezza – l’aveva detto in un modo incomprensibile, ma quello doveva essere il senso – e parlava di attacchi ninja, eppure quella ridicola situazione scompariva se messa di fronte all’idea che diavolo se l’avrebbe ucciso appena il suo cervello tornava a connettere.
La guardia, quell’uomo che era Oh Così Morto, era effettivamente fin troppo esile per darle del filo da torcere, senza contare che si stava guardando attorno in modo strano. Più o meno come faceva suo marito quando non aveva gli occhiali e si guardava attorno.

Sgranò gli occhi, incredula. “Mikolaj?!”

Dodger si bloccò, socchiudendo gli occhi nel vano tentativo di metterla a fuoco. “…Tesoro?”

Gwen voleva strillare qualcosa, ma le si bloccò in gola: al contrario, emise semplicemente un verso strozzato.

“Tesoro!” esclamò Dodger, riconoscendola. “Grazie a Dio! Ti dispiacerebbe guidarmi al letto? Dovrei svenire.”

“Idiota!”

Urlò con così tanta forza che il volto le divenne rosso. “Cosa- perché devi fare così! Perché! Ogni volta che faccio qualcosa tu la rovini! Perché non puoi non rompere qualcosa, solo per una volta? Devi sempre comportarti come un bambino!”

<< -Quanti ricordi.- >>
<< -Io vorrei fermare questo litigio ma… non so… qualcosa mi blocca.- >>
<< -Sono momenti come questi che ti rendi conto di quale sia il vero lavoro di uno speaker: farsi da parte e osservare.- >>
<< -Momenti come questi si commentano da soli.- >>

Dodger alzò le braccia, avanzando alla cieca nella disperata ricerca di un posto morbido su cui atterrare e su cui perdere, finalmente, i sensi.

“Ascoltami quando ti parlo!”

“Scusa, tesoro,” borbottò Dodger, inciampando sul letto.

“E non osare svenire!”

Dodger sospirò, affondando il volto fra le coperte. Se le probabilità erano davvero ridicole come sembrava, forse c’era la possibilità di morire soffocato.
Alzò la testa, puntellandosi sulle braccia. “Tesoro, mi passeresti gli occhiali?”

Lei emise un nuovo, esasperato verso strozzato e per qualche secondo Dodger sentì l’irrefrenabile impulso di rannicchiarsi su se stesso ed aspettare che lo uccidesse a pugni.
Poi qualcosa lo colpì alla nuca, ricordandogli, fra le altre cose, che non aveva più il cappello, e Dodger dimenticò qualsiasi cosa stesse pensando, improvvisamente triste.

“I tuoi occhiali,” ringhiò Gwen. Dodger rabbrividì: il tono della gentil consorte era infuriato e non prometteva nulla di buono.

“Avrei dovuto ascoltare mia madre,” sibilò lei infine, mettendoci quanta più cattiveria era possibile. 

Dodger ringhiò, inforcando gli occhiali sul naso e incrociando le braccia sul petto. Se c’era qualcosa che riusciva a fargli dimenticare di quanto forte fosse sua moglie era il pensiero della suocera: un odio corrisposto che nessuno dei due smetteva mai di rinnovare ogni volta che fosse possibile. 

“Se tu avessi dato retta a tua madre, tesoro, molte delle tue minigonne da sgualdrina non esisterebbero.”

Dodger, che pure meglio di tutti conosceva la moglie, non sembrò accorgersi di ciò che aveva appena fatto: al contrario, il resto degli spettatori, dagli speaker ai tre eliminati, si schiaffarono una mano alla fronte.
Gwen strinse i pugni con forza, facendoli tremare: il volto, per la rabbia, divenne di un inquietante color porpora e gli occhi, socchiusi, sembravano emettere scintille di puro odio.

<< -Sanguis! Bibimus!- >>
<< -Corpus! Edimus!- >>
<< -Tolle Corpus Satani!- >>
<< -Satani!- >>

Gwen scattò verso Dodger, le mani tenute ad artigli e un’occhiata omicida sul volto: ancora, tuttavia, tale vista non servì a far capire al marito che avrebbe dovuto scappare.
Il suo sguardo, infatti, era in quel momento completamente attratto da ciò che la vestaglia, non più tenuta chiusa, rivelava.

“Ti ho mai detto quanto amo il pizzo?”

Gwen aggrottò la fronte, bloccandosi e rimanendo, per qualche secondo, impietrita ad osservarlo.
La perplessità aveva momentaneamente preso il posto della furia e Dodger ne approfittò per indicarle il reggiseno in pizzo: l’espressione sul suo volto, completamente rapita, sembrava essere quella di un bambino di fronte ad un negozio di dolciumi.
Lei non capì. Abbassò lo sguardo, seguendo l’indicazione del marito.

“Seriamente,” continuò Dodger, sporgendosi verso di lei, “sei sicura di non avere più venticinque anni?”

Gwen arrossì con forza, chiudendo di scatto la vestaglia. “Idiota.”

<< -Perchè, tu saresti vecchia?- >>
<< -Eh, hm, bocciolo di rosa vanigliato alla crema di lamponi, Los lo intendeva come un complimento.- >>
<< -Cosa?- >>
<< -Ah, basta. Andate a dormire, ci si vede domani, buona notte.- >>
<< -Cioè, possiamo decidere di smettere di parlare in Dolby?- >>
<< -Muori. Notte a tutti, tesorucci caramellati al cocco e bambù!- >>

Daniel piegò la schiena all’indietro, stiracchiandosi: in tutta la giornata non aveva fatto altro che star seduto di fronte a degli schermi, e ormai la sua schiena reclamava vendetta.
Si alzò in piedi, massaggiandosi il collo con le mani. Shadi e Celia lo stavano fissando, tutti e due aspettando di vedere come stava per muoversi- il primo con più timore che semplice noia, a dire il vero.

“Vado a dormire,” spiegò Daniel, accennando con la testa ai letti su cui, fino a poco tempo prima, erano collegati. 

Celia gli rivolse un’occhiata perplessa, aggrottando la fronte.

“Non capiterà nulla e i due sono a dormire.” Daniel scrollò le spalle, sospirando. “Credimi, è meglio se andiamo a dormire. O domani ti addormenterai quando capiterà qualcosa.” 

Lei lo guardò per un po’, cercando qualcosa con cui controbattere, ma alla fine dovette arrendersi, sbuffando. “Odio quando hai ragione!”

Daniel scoppiò a ridere nel bel mezzo di uno sbadiglio, rischiando seriamente di soffocarsi.

“E piantala!”

-

-.:.-*-.:.-

-

 

Suite 505, Ora: 1.48 AM 

<< -Goth.- >>

Di solito Goth avrebbe adorato sentire che il ragazzino provava qualcosa: gli piacevano quei rari momenti in cui Los non era più un semplice ragazzino apatico e annoiato, troppo pigro per lasciare che qualcosa lo interessasse davvero. Quando dimostrava che dietro quella flemma, molto in profondità, qualcosa c’era, Goth aveva finalmente l’impressione di trovarsi di fronte ad una persona con cui valeva la pena passare la maggior parte del tempo.
Eppure, in quel momento, non poteva fare a meno di detestare Los e la sua vocina lamentosa.

<< -Goth?- >>

Goth sbatté la matita sulla scrivania in un gesto esasperato: Los, dalla sedia accanto, non poté trattenere un gemito.
Non riusciva a sopportarlo. Quel piagnucolio, quei mugolii di dolore, in quel momento non facevano altro che colpire direttamente i suoi nervi, facendoli cedere con forza.

<< -Cosa, Los. Cosa c’è. Cosa c’è di così importante da dover comunicare? Cosa, nel nome del Cielo, cosa non potevi assolutamente tenerti per te?- >>

Si sforzava di non gridare, di parlare sottovoce per non svegliare i giocatori, eppure riusciva lo stesso a dare alla voce un’inflessione velenosa, infuriata- che, ovviamente, Los ignorò.

<< -Mi fa male la testa.- >>

Goth chiuse le mani in pugni, stringendoli contro la fronte con forza.
In quel momento non lo sopportava. Ringhiò sottovoce, sfregandosi la fronte contro le nocche della propria mano. 

<< -Mi piange il cuore. Ora che hai sparso la triste novella ti senti meglio? Oppure ti aspetti che faccia apparire una fenice dalle lacrime curative?- >>

Los non rispose. Fece il broncio, sbuffò, e poi rimase in attesa, aspettando che Goth finisse il suo piccolo teatrino.
Ecco un’altra cosa di Los: raramente se la prendeva per qualcosa. Non aveva voglia di prendersela per qualcosa. Scrollava le spalle e ti guardava con la tipica espressione di qualcuno a cui non importi nulla- come se ti reputasse, in un qualche modo, inferiore.
Forse non era vero. Los non era arrogante: troppa fatica esserlo. Eppure era ovvio che non considerasse le persone.
Goth non lo sopportava. L’aveva sempre reputato irritante, ma in quel momento odiava quello sguardo. 

<< -Non ti sopporto. Lasciami in pace.- >>

Los sbuffò, alzando gli occhi al cielo. 

<< -Tu non mi sopporti mai, tranne quando devo comprarti qualcosa.- >>

Goth strinse i pugni fin quasi a conficcarsi le unghie nella carne, tanto trovava il ragazzino irritante.
Non lo stava davvero rimproverando. Sapeva che per Los non era mai stato un problema spendere.
No, Los aveva tirato fuori quel discorso solo per rispondere: una delle sue solite battute acide, buttate lì tanto per tenere aperto il discorso e riportare l’“avversario” alla realtà- tanto per ricordargli che non aveva alcun diritto di ignorarlo. 

<< -Mi fa male la testa, Goth. Sul serio.- >>

Non lo sopportava. No, quella sera, Goth lo odiava. Con tutto il cuore.
Si voltò verso Los con l’intento di gridare qualcosa, di scuoterlo in un qualche modo. Gli faceva male la testa? E allora? Era anche ora che capitasse qualcosa a quel piccolo odioso ingrato.
Avrebbe voluto dargli uno schiaffo, uno come minimo- ma si fermò a fissarlo, respirando a fondo. 

Si sentiva debole. Era stata una giornata stressante, e Goth aveva i nervi a fior di pelle. Tutto lì: non era Los ad essere più odioso del normale, semplicemente non c’è la faceva più.
Respirò, tentando di calmarsi. Erano solo i nervi. Sì, solo i nervi. 

<< -Troppi videogame, piccolino. Forse è ora di andare a nanna?- >>

Los aggrottò la fronte, piegando le labbra in un debole sorriso.
Era ovvio che stesse male. Gli occhi erano persino più socchiusi del normale, nel vano tentativo di difendersi dalla luce: il sorriso stesso sembrava quello di un reduce dalla guerra.
Goth alzò gli occhi al cielo, sbuffando- il moccioso non era minimamente abituato al dolore, a quanto pareva.
Si avvicinò, prendendogli il volto fra le mani: in meno di un secondo, Los passò dal sorriso ad un vago accenno di perplessità- il massimo, per un ragazzino come lui.
Poi, con la più completa sorpresa di Los, avvicinò le labbra alla sua guancia. 

<< -Goth, che- >>
<< -Misuro la febbre.- >>

Goth gli premette le labbra sulla fronte, tentando di concentrarsi sulla differenza di calore fra la pelle di Los e la propria: quello era solo un videogioco, tuttavia c’era una specie di termometro personale, nello schermo di ogni giocatore, che indicava se stessero congelando o se avessero, per l’appunto, la febbre.
Purtroppo Los, da idiota qual’era, probabilmente non aveva la minima idea dell’esistenza di tale termometro e Goth non aveva voglia di spiegare qualcosa ad un ragazzino che si dava arie da moribondo per un semplice mal di testa.
Appoggiò la guancia sulla fronte di Los, tentando di avere una stima migliore del calore corporeo del ragazzo.

<< -Sai, Goth, se appoggi le labbra sul mio collo potrei perdere il controllo del mio corpo.- >> 

Goth si staccò dalla sua fronte, portando le mani, a calice, attorno al collo di Los.

<< -Sai, Los, se mai appoggerò le mie labbra sul tuo collo, probabilmente la seconda cosa che farò sarà buttarmi dalla finestra.- >>

Los scrollò le spalle, sbuffando. 

<< -Non hai la febbre. Và a dormire e vedrai che domani ti sentirai meglio.- >>
<< -Sai una cosa?- >>
 

Goth si appoggiò di nuovo alla propria sedia, fissandolo in silenzio: Los prese tale movimento come un invito a continuare il suo discorso.

<< -Una persona normale avrebbe reagito male alla mia battuta. Tu hai solo risposto.- >> 

Mentre si alzava, per un momento, Los si sentì girare la testa: si appoggiò alla scrivania, aspettando che il malore gli passasse.
Goth, dal canto suo, non aveva minimamente pensato ad aiutare quello che, in teoria, era un suo amico.
Forse anche unico.

<< -Tu non sei come gli altri.- >> 

Goth alzò le spalle, girandosi nuovamente verso il foglietto che aveva lasciato perdere poco prima.

<< -Lo prendo come un complimento.- >> 

Los scrollò le spalle, cominciando ad avanzare verso uno dei due letti della camera.

<< -Prendila come ti pare.- >> 

Goth non rispose.
Non c’era modo di capire cosa intendesse dire Los, se volesse fare un complimento o prenderlo in giro. A volte aveva la vaga impressione che ciò che dicesse non fossero giudizi, ma semplici dati di fatti.
Riprese in mano la matita e cominciò a lavorare sugli ultimi dettagli del disegno, tentando di ignorare il principio di mal di testa.




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Mio Dio. Voi non avete idea. Questo capitolo è stato un incubo da scrivere... mi dispiace COSì tanto, non è nemmeno totalmente buono! ç_ç Perdonatemi. Segnate errori se c'è ne sono e... yay. Spero vi sia piaciuto. Oh! La litania in latino che i due speaker cantano, ad un certo punto, è dalla soundtrack di The Omen, precisamente "Ave Satani". Se non l'avete visto, vi consiglio di ascoltare almeno la canzone. *rabbrividisce*

Senboo_ : Hai vinto! La Mary Sue èèèè.... MEREDITH! Suvvia, bellezza, feeeenomenali poteri cosmici... Comunque, ti ringraziai già e, uh... bhè, grazie ancora! ^O^
Vitani: Uuuh... se può aiutarti nel tuo dolore... anche io amavo La Sgualdrina ç_ç
Fofolina: Oddio, mi dispiace XDD Questo capitolo era principalmente sui personaggi che odiavi... mi dispiace ç_ç Tuttavia, spero che ti sia piaciuto. Grazie per avermi letto ^O^
  
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