Il ragazzo
che voleva uccidere
Erano giorni
che Sebastian si comportava in modo strano.
Chi lo conosceva bene avrebbe detto che c’era qualcosa che
non andava nel suo
sguardo incredibilmente assente. Non capitava che fosse semplicemente
distante
come in certi giorni, quando si fermava a fantasticare sulle bellezze
del mondo
e la sua mente ne veniva rapita per ore; quando sognava di attraversare
i paesi
d’Oriente, immaginava di tastare sete preziose provenienti
dall’India, di
trovarsi nella Roma antica, con i suoi Vizi e le sue Virtù,
di assaporare i vini
francesi e lasciarsi trasportare davanti a un grande focolare ardente
ad una di
quelle danze tribali, che possiedono il fascino primordiale di tutte
quelle
arti la cui nascita si perde nella notte dei tempi, e di cui niente del
mondo
moderno è ancora riuscito a scalfire.
Questi
istanti di intense fantasie, che lo facevano
avvampare di amore verso quella forma intrinseca di Bellezza presente
in ognuna
di esse, erano da sempre molto frequenti in lui. Amava perdersi nei
sogni,
annegare quasi al loro interno; e in questi momenti il suo sguardo si
smarrivo,
assorto e contemplativo, in un mondo parallelo le cui forme erano
visibili
soltanto ai suoi occhi ma di cui diveniva ogni giorno più
desideroso di far
partecipe il mondo comune, in cui nessuno sembrava fare tanto caso alle
Bellezze che lo abitavano né le celebrava in alcun modo.
Sebastian aveva un
modo tutto suo di farlo, e d’altro canto certe volte il suo
amore verso
Tuttavia
negli ultimi tempi era facile scorgere in
Sebastian un’espressione cupa e spenta, spesso irritata e
come disgustata nei
confronti del mondo esterno. Egli temeva, infatti, che con il corso dei
secoli
la gente, con la sua Modestia, si sarebbe dimenticata di rendere
omaggio alla
Bellezza e questa sarebbe scomparsa per sempre dal mondo. Quante
persone
avevano criticato la sua forte Vanità! Quanti dei suoi
vecchi amici
continuavano a ripetergli che
Ma se da una
parte l’essenza della Vanità abitava in una
della case più vicine all’olimpo dei sette peccati
capitali, Modestia era
un’essenza mite, silenziosa, sempre intenta a non dar
fastidio e a non fare il
minimo rumore. La sua casa era l’ultima nella via dei Vizi, e
non era affatto
sfarzosa come quella di Vanità o Crimine – questo
ultimo aveva riempito la
propria dimora di trofei rubati, spacciandoli per propri ai suoi ospiti
– , ma
era una piccola capanna, priva di letti e divani. Vi era solo una
vecchia
poltrona, e su un lungo mobile vi erano poggiati numerosi oggettini,
simili a
piccole anfore, contenenti piccole parti di Consapevolezza, di cui
spesso Modestia
dimenticava di fare uso. Per questo, era così imperterrita
nell’essere,
appunto, modesta: delle volte non aveva neppure la consapevolezza delle
grandi
cose che aveva fatto.
Sebastian,
del resto, era ancora nella sua casa, e
progettava il modo migliore per commettere l’omicidio.
Avrebbe preparato una
pozione con del veleno, e l’avrebbe offerta a Modestia? No;
non avrebbe
funzionato. Modestia, che rifiutava sempre di ricevere anche il minimo
complimento, non avrebbe mai accettato di bere in solitudine di fronte
a
Sebastian, avrebbe dovuto offrirgliene un po’, e, cosa ancor
peggiore, lo
avrebbe lasciato bere per primo, in segno di educazione. Il pensiero di
inconvenienti come questi, che rendevano sempre più
difficile il delitto,
irritavano a tal punto Sebastian da accrescere la voglia di commettere
l’uccisione. Com’era noiosa e fastidiosa,
un’essenza del genere!
Elaborò
così il suo piano: sarebbe riuscito ad entrare in
casa di Modestia fingendosi Umiltà, giunta per fare dono di
modesti abiti,
perché certamente avrebbe voluto regalare qualcosa che,
seppur tanto semplice
sarebbe stato per lei frivolo e contro lo stesso concetto
d’umiltà. Modestia
non avrebbe mai potuto accettare degli abiti sfarzosi simili a quelli
di
Vanità, ma i vestiti portati da Umiltà sarebbero
stati così modesti, appunto,
da risultare adatti alla sua essenza. Inoltre, Modestia non avrebbe mai
voluto rischiare
di essere accusata di maleducazione, perciò si sarebbe
ritrovata costretta ad
accettare gli abiti, e ad aprire quindi la porta di casa per farlo
entrare.
Solo a quel punto Sebastian avrebbe estratto la spada
dall’elsa d’oro dal suo
fodero cesellato di rubini e zaffiri, e l’avrebbe piantata
dritta nel cuore di
Modestia: l’avrebbe uccisa.
Così,
a notte fonda, cominciò a prepararsi: prese un sacco
consunto, lo riempì di semplici maglie, che non avevano
alcunché di particolare
o fantasioso: non ispiravano davvero nulla. Anzi, ai suoi occhi, vista
l’assente eccentricità a cui invece era abituato,
risultavano addirittura
irritanti, proprio come le persone troppo noiose. Lui del resto si
vestì con
magnifici abiti dorati, indossò persino un mantello pesante
e costellato di
rubini, i boccoli d’oro dei suoi capelli pettinati
perfettamente, le labbra
rosse pronte a proferir menzogne secondo il piano
dell’omicidio. Legò il fodero
della spada alla cintura, sistemò al suo interno la preziosa
arma e si avviò
verso l’olimpo dei vizi capitali. La strada non era affatto
difficile,
esattamente come è facile abbandonarsi alle tentazioni e
cadere nelle trappole dei
vizi; la cosa strana, però, era che al ritorno secondo voci
sapienti, seppur la
strada fosse esattamente la stessa, il sentiero risultava
improvvisamente
tortuoso e articolato, e tornare a casa era estremamente difficile. Ma
di
questo, Sebastian si sarebbe preoccupato al momento opportuno.
Dopo qualche
chilometro la strada si divideva in un bivio:
la via di destra conduceva all’olimpo dei Vizi Capitali, ed
era in una discesa
sempre più ripida man mano che i vizi diventavano peggiori.
La via di sinistra,
invece, poteva essere paragonata ad una qualsiasi strada comune, ferma
in
pianura, semplicemente perché i vizi come quelli della
Vanità, del Crimine,
della Modestia, della Bontà e della Cattiveria, sono
relativi da persona a
persona, e finiscono col catturare ognuno in maniera e con forza
diverse.
La prima cosa
che notò Sebastian durante il cammino lungo
la via di sinistra, furono le villette a schiera di Vanità,
Eccentricità e
Stravaganza, che si vociferava fossero cugine. La prima, lo si vedeva
facilmente
anche dall’esterno, era un’abitazione sfarzosa,
più che nella costruzione in sé
– aveva, tra l’altro, soltanto due piani come ogni
normalissima villa - , nei
materiali di cui era composta: le cornici delle finestre erano fatte
d’oro, e i
vetri erano specchi. Ve ne erano moltissime, così che per
qualsiasi passante
che, per puro caso o appositamente, guardava la villetta, era
impossibile non
riuscire a specchiarsi. Le rifiniture erano fatte tutte d’oro
e d’avorio, e in
certi punti, ai lati degli specchi, erano incastonati dei diamanti.
La seconda
villa, quella di Eccentricità, era a dispetto
di Stravaganza e Vanità, quella che riusciva a farsi notare
maggiormente. I
colori di porte e finestre erano psichedelici, di un verde abbagliante
e di
rosa shocking. Nel complesso, compresi gli eccentrici colori del legno
che
componeva il resto dell’abitazione, sarebbe potuta sembrare
molto simile ad una
discoteca appena uscita da un cartone animato.
Infine, la
villetta di Stravaganza, che era la più strana
di tutte: i colori erano mescolati in modo strano, tanto che sembrava
fatta di
caramelle colorate. Comunque, i colori non erano così vivi
come quelli
psichedelici della casa di Eccentricità. Piuttosto, questa
si distingueva per
la costruzione, a differenza delle altre due: sul tetto, al secondo
piano, una
scala a chiocciola saliva verso l’alto, priva di alcuna
protezione da parte di
mura: chiunque fosse salito su per quelle scale, lo si sarebbe visto
scomparire
verso le nuvole del cielo di un azzurro sempre intenso. Sebastian si
chiese
dove portassero.
Non
c’era tempo, però, per le domande. Lo avrebbe
visto
con i suoi occhi al ritorno, ora davanti a sé
c’era solo la missione. Proseguì
rapidamente, senza fermarsi ad osservare nei dettagli la casa piena di
cose
rubate di Crimine, e nemmeno l’abitazione circondata da
nuvole e sanguisughe di
Bontà. Si sarebbe preso più tardi tutto il tempo
per curiosare.
Il sentiero
cominciava a diradarsi, le ultime case
sembravano proprio quella di Umiltà, laggiù in
fondo, e quella di Modestia,
sempre più vicina. Sul fondo delle montagne, in cima, si
avvistava
l’affascinante e scuro castello di Cattiveria, che
rappresentava, a parere di
Sebastian, un vero e proprio vizio proprio come la troppa
Bontà. Scosse il capo
giungendo di fronte alla capanna di Modestia; tutta
l’abitazione dava la netta
impressione che potesse cadere a pezzi da un momento
all’altro, e rovinare al
suolo. Ma ciò non accadde, nemmeno quando bussò
alla porta di legno di abete.
«
Chi è? »
Sentì
dire dall’interno. Si preparò a camuffare la voce,
estraendo dal sacco logoro i vestiti per pararseli davanti. Quando
Modestia
avrebbe aperto la porta, non si sarebbe accorta dei suoi vestiti
sfarzosi e
Sebastian avrebbe avuto tutto il tempo di entrare e richiudersi la
porta alle
spalle per commettere il delitto in tutta tranquillità,
lontano da occhi
indiscreti.
«
Sono Umiltà. Vengo per fare dono di alcuni abiti. Sono
semplici e modesti, sono proprio adatti a te. Ti prego di aprirmi,
così potrai
guardarli, Modestia. » disse.
«
Abiti? Per me? Amica mia, c’è tanta gente molto
più
bisognosa di me! Non merito io questi abiti. Và da
Bontà, lei, con la sua
dolcezza, saprà sicuramente indossarli meglio di me.
»
Sebastian,
avendo immaginato una risposta del genere, si
preparò al contrattacco.
«
Ma ti prego, Modestia, ho fatto tanta strada per
portarti questi vestiti. Vorrei che li indossasti tu, per favore, non
avere la
maleducazione di lasciarmi qui fuori la porta, con questo
freddo… »
Sebastian
sapeva davvero cosa dire e quale tono usare.
Parlò con dolcezza e umiltà, senza rischiare di
cadere nell’arroganza alle sue
ultime parole.
Così
Modestia aprì, e con un sorriso timido lasciò che
il
ragazzo entrasse, col volto e il busto nascosti dietro i vestiti. Non
era come
lui se l’aspettava: nonostante tutto si era immaginato un
essere dalle
sembianze umane. Un volto di donna, probabilmente. Invece quella di
Modestia
era un’essenza, come tutte le altre, soltanto che la sua
aveva un colore
bianco-giallastro, di un giallo splendente che disegnava solo i
contorni di una
sagoma simile a quella umana.
Sebastian
sentì il cuore battergli forte nel petto; non
aveva mai dubitato di avere il coraggio per commettere un omicidio,
sapeva che
avrebbe fatto di tutto per preservare per sempre il proprio mondo. Lo
avrebbe
chiesto persino al diavolo, nelle notti di pallido plenilunio. Prese
aria con
la bocca, poi non respirò più per una manciata di
secondi. Era stranamente
agitato, una mano lasciò gli abiti che si inclinarono
scoprendogli volto e
corpo, e Modestia sussultò dalla sorpresa e dalla paura
quando la mano libera
di Sebastian volò sulla porta, chiudendola con un tonfo
sonoro. Modestia
gemette inorridita quando il ragazzo parlò, sfoderando la
preziosa spada.
«
Non te lo aspettavi, di la verità! Mi chiamo Sebastian,
e ti avverto, tu non ucciderai il mio mondo! »
«
Il tuo mondo? Non so di cosa parli! Io non ho mai ucciso
nessuno, né mai lo farò! »
Sebastian
puntò la spada in direzione del petto di
Modestia, o almeno quello che immaginava fosse il suo petto.
L’essenza indietreggiò
spaventata.
«
Bugiarda! Guardati, come sei inutile, come sei poco
interessante! Mi prenderei del tempo per farmi beffe di te, noiosa e
stolta
come sei, che non conosci le gioie della Bellezza e della
Vanità! Ma devo ucciderti,
adesso, immediatamente! »
«
No! Aspetta,
Sabastian. Davvero vuoi uccidermi? Pensaci bene, non sono forse anche
io
necessaria nella tua vita? »
«
Nella mia vita?! » Sebastian si avvicinò
minaccioso, la
spada sempre più vicina all’essenza
« Cosa sei tu, nella mia vita?
Un’ombra, un’ombra continua che incombe
sulla mia testa, una spada di Damocle inutile, tu che vuoi distruggere
il mio
mondo, i miei desideri di Bellezza, di Giovinezza, tu con la tua
miseria, che
critichi tanto la mia Vanità! Tu un giorno condurrai gli
uomini a strangolarla
nel sonno, e anch’io morrò perché il
tempo consumerà il mio volto, il mio
corpo, che senza la bellezza della Vanità, non
sarà più nulla! »
Più
andava avanti a parlare, e più gli sembrava che le sue
stesse parole alimentassero la sua ira, tanto che Modestia
cominciò a dire
qualcosa, ma non ebbe il tempo di finire.
«
Il tempo consuma ogni cosa, Sebastian! Rifletti! Guarda
il terreno qui intorno lì ha la sua dimora il tempo! Non
vedi come lentamente
riesce a risucchiare, nel corso dei millenni, anche le nostre case? Con
il
tempo anche noi spariremo, e così tutto il mondo! Per voi
è solo un processo
più rapido, ma senza di-- »
«
Taci, bugiarda! »
Sebastian
agitò la propria spada, scosso dall’ira, e in
una manciata di secondi si ritrovò ad affondarla nel centro
dell’essenza di
Modestia, e una luce scura, come densa all’apparenza,
cominciò a colare lungo
la lama, e a gocciare in terra.
Sorrise
trionfale. Ce l’aveva fatta, a sconfiggere
Modestia
crollò in terra, la luce che emanava si faceva
sempre più flebile. Lei rideva, e sembrava, addirittura,
più felice di
Sebastian.
«
Oh, Sebastian, Sebastian… » mormorò. Al
suo tono, come
quello di chi ha pietà, nonostante tutto, verso qualcuno,
egli rimase stupito,
tanto che gli cadde la spada di mano, rovinando in terra con un gran
fracasso.
La voce di Modestia divenne amplificata, come se circondasse
improvvisamente
tutta l’aria.
«
Tu non ascolti mai nessuno che non abbia le tue stesse
idee, vero? Avresti dovuto ascoltare me… avresti dovuto
davvero, Sebastian… »
Sebastian
sentì la terra cominciare a tremare sotto i suoi
piedi, le mura delle pareti cominciare a creparsi. Era talmente stupito
e
spaventato assieme dalla situazione, che non rispose nulla. Si guardava
attorno, gli occhi sgranati, osservando impaurito attraverso la piccola
finestra grigia le altre case cominciare a tremare e a spaccarsi, come
in preda
ad un fortissimo terremoto.
«
Che diavolo… » mormorò, sentendo la
propria voce
spezzarsi.
«
Sebastian… »
Al nuovo
sussurro di Modestia, la sua essenza che diveniva
sempre più trasparente lì sul pavimento,
Sebastian si voltò, appigliandosi alla
sua immagine e alla sua voce come se fossero l’ultima
speranza di salvezza.
«
Come pensi che possa esistere il tuo mondo, la tua
Vanità, se non ha il suo opposto che ne determina la stessa
essenza? »
Ma la domanda
di Modestia fu retorica, perché il soffitto
cominciò a crollare. Se solo Sebastian non fosse rimasto
schiacciato sotto di
esso, avrebbe potuto osservare bene anche le altre case crollare, il
grande
castello oscuro di Cattiveria, la casa di Bontà con le sue
sanguisughe, le
villette di Vanità, Eccentricità e Stravaganza
frantumarsi al suolo. Avrebbe
visto anche la luce delle essenze farsi sempre più flebile
fino a scomparire, e
le loro voci divenire un’eco sempre più lontana, e
il suo mondo, un mondo che
si era immaginato pieno di Arte e Bellezza, con esseri umani vanitosi e
bellissimi, sparire per sempre.