“E tutte le volte che mi tenevi per mano,
avevo la certezza che il mondo fosse un bel posto.”
avevo la certezza che il mondo fosse un bel posto.”
— | Nicholas Sparks. |
Cosa potevo dire in mia difesa? Io c’avevo anche provato a dimenticare , ad andare avanti. C’avevo provato con tutta me stessa,avevo combattuto contro i miei incubi, e con le mie crisi. Ma a che cos’era servito? Mi ritrovavo esattamente al punto di partenza. Mi ritrovavo a Mystic Falls. Ancora. Mamma mi aveva pregato di starci lontana. Mi aveva rinchiusa nella sua campana di vetro e non mi aveva permesso di vivere la mia vita. Mi aveva scaricato in Florida dalla nonna ed era sparita per ben due anni.
L’aria era intrisa di un odore forte e deciso,sembrava così famigliare. La vecchia casa dove ero cresciuta era rimasta intatta. Uguale in ogni dettaglio. Facevo fatica a pensare che erano passati ben dieci anni dall’ultima volta che ero stata lì.
Le scale del portico scricchiolarono rumorosamente sotto il mio peso.
Bussai la prima volta con delicatezza. La seconda con più decisione. Arrivo,dammi un attimo. Urlò una voce femminile che ben conoscevo da quando avevo vita. La porta si aprì e l’espressione spiazzata di mia madre non mi sorprese affatto.
-Vedo che sei felice di vedermi. – mormorai apatica.
-Cosa ci fai qui?- chiese reggendosi con entrambe le mani alla porta,come se le gambe minacciassero di abbandonarla da un momento all’altro.
-Questa è casa mia.-
Mystic Falls 2009
Quella mattina,sin dal momento in cui avevo aperto gli occhi,una strana sensazione mi tormentava. Non riuscivo a capire che cosa fosse.
Quella mattina a Mystic Falls c’era più nebbia del solito.
E proprio quella mattina mia madre decise che ormai, a 13 anni,ero abbastanza grande per andare a scuola da sola, con le mie gambe. La scuola era a 4 isolati da casa mia e a me allora sembravano anni luce. La lana della sciarpa mi assicurava un calore piacevole ma le mani mi stavano letteralmente gelando. Le agitai l’una contro l’altra per ritrovare la sensibilità. Nel farlo attraversai un incrocio ,forse un po’ troppo sbadatamente. Accadde tutto in una manciata di secondi. Il clacson dell’auto e le mie gambe inchiodate nel bel mezzo della strada. Chiusi gli occhi credendo che avrebbe fatto meno male. Ma lo schianto non arrivò. Nessun dolore lancinante. Nessun osso rotto. Niente. Soltanto due braccia forti che mi tenevano a mezz’aria. Fu allora che aprì gli occhi e lo vidi.
Quella mattina a Mystic Falls c’era troppa nebbia,ma due occhi color del ghiaccio mi avevano salvato la vita.
Mia madre era seduta sul divano e non diceva nulla ormai da 10 minuti. Continuava a fissarmi incredula. Sembrava avesse visto un fantasma. Mi ero accomodata di fronte a lei,riuscivo a percepire la sua agitazione dal modo in cui si sfregava le mani. Le rivolsi un’occhiataccia spazientita e lei abbassò lo sguardo senza dire nulla.
-Perché sei tornata? Ti avevo chiesto di non farlo.- sussurrò continuando a guardarsi le gambe.
-Ho 18 anni,lo sai? O forse no,visto che per il mio compleanno non ti sei degnata neanche di telefonarmi. Cominciavo a credere fossi morta. Mi dispiace,ma è passato il tempo in cui dovevo seguire i tuoi ordini. Perché non mi racconti che hai fatto di così interessante in questi anni? – mi guardò implorandomi di smetterla – anzi no,non mi importa. Io non sono qui per te.-.
Mi alzai e presi la mia giacca,mi fermò prima che potessi dirigermi verso la porta.
-Non puoi andare. Non ora.- mi supplicò trattenendomi per il polso.
-Ho già atteso abbastanza.-
-Non capisci,è troppo tardi!- tratteneva le lacrime.
-Mamma,dov’è?- mi liberai dalla sua presa. Era tornata la strana sensazione.
Non rispose,si limitò a scuotere la testa guardandomi come si guarda un cucciolo ferito,provava pena per me.
-Dov’è?!- urlai scuotendola per le spalle. Una lacrima mi bagnò la guancia. Perché stavo piangendo?
-Mi dispiace così tanto.-
Non so da quanto tempo stavo correndo,ma iniziavo a non sentire più le gambe e il respiro. Per tutta la corsa le lacrime scorsero ininterrottamente lungo il mio viso,senza un valido motivo. Ero vicina. Soltanto qualche altro metro. Inciampai rovinosamente su un arbusto. Mi bruciava il ginocchio,dovevo essermi ferita. Mi rialzai in fretta,non c’era tempo per preoccuparsi di un paio di graffi. Ero a pochi metri dalla porta. Battei i pugni contro quest’ultima con troppa foga,ma non ricevetti comunque risposta. Non so per quale motivo ma la porta era aperta. Corsi nella sala grande,di cui ricordavo ogni minimo dettaglio,e finalmente,dopo tanto tempo,mi sentii a casa. Urlai il suo nome. –Damon!-
Immaginavo l’espressione meravigliata dei suoi occhi nel vedermi,immaginavo la stretta delle sue braccia intorno a me. Mi aspettavo comparisse alle mie spalle,com’era solito fare,e col suo sorriso sghembo mi avrebbe accolta con gioia e nostalgia. Ma non accadde. Non era dietro di me. Lo invocai ancora. –Damon!- e ancora. –Damon,accidenti!-
Le tende si mossero lievemente,e l’aria nella stanza sembrò avere un sussulto. Qualcuno era entrato. Mi voltai,ed era proprio lì. Retto in piedi. Con l’espressione corrucciata,come al solito. Aveva lo stesso sguardo di mia madre. Pena.
-Stefan!- sospirai vedendolo –dov’è Damon?- feci per avvicinarmi,ma lui abbassò gli occhi e si passò una mano tra i capelli in disordine. –Niente più gel?- abbozzai un sorriso.
-Ambra,che ci fai qui?- domandò con voce troppo mielata. Fu allora che tutto si concretizzò. No. Scossi la testa velocemente. Non è vero. Le mani tra i capelli. Non era possibile.
-Sto cercando Damon.-.
-Lui non è qui.- una voce femminile invase la stanza.
-Elena,torna a letto.- la esortò Stefan.
La ragazza aveva un aspetto strano. Era bianca cadaverica. Aveva i lunghi capelli castani arruffati. Un visto stanco. E gli occhi di chi ha pianto troppo a lungo.
-È morto.- sorrise malamente mentre una lacrima le rigava il viso.