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Autore: Elwing Lamath    15/07/2014    3 recensioni
Merlin si perse ancora una volta in quelle iridi. Cielo nel mare, questo erano quando i loro occhi si incontravano. Fu allora che capì definitivamente che quel mescolarsi di azzurri era tutto ciò che avrebbe mai potuto desiderare in quell’esistenza, come in tutte quelle a venire. Il muro di promesse che si era costruito giorno dopo giorno si sgretolò in un istante, gli bastò essere colpito da un battito di quelle ciglia bionde.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza stagione
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NOTE DELL’AUTRICE: Lo so, con gli ultimi esami ancora da preparare e una long fic solo al quarto capitolo (Il cavaliere del drago), non avrei dovuto mettermi a scrivere questa one shot. Ma cosa ci posso fare se il Merthur chiama? Devo rispondere, no?! XD… Ho letto tanto su questa coppia e ci ho ricamato sopra ancora di più riguardandomi la serie: sono più canon del canon… ed io li amo questi due! Sono arrivata alla conclusione che il Merthur non può non essere sofferto in una certa misura, è dolce ed amaro allo stesso tempo. Mi sono dilungata anche troppo…
Ma ricordate: Merthur is The way! XD
Buona lettura a tutti voi :). Spero vi piaccia, e sarei felice di ricevere vostre recensioni!
Elwing :)

 

Cielo nel mare



 

Come into these arms again, and lay your body down.
[…]
Come into these arms again, and set the spirit free.

(Love song for a vampire, Annie Lennox)

 



La parte sinistra dell’elmo era ormai così lucida che avrebbe potuto tranquillamente mescolarsi con l’argenteria e confondersi alla perfezione, mentre la destra rimaneva opaca e trascurata tra le mani sottili di Merlin, che continuava a lucidare meccanicamente sempre lo stesso punto.
Era distratto, o meglio, in contemplazione. Si fingeva impegnato, ma in realtà lo osservava di sottecchi, con lo stesso rapimento col quale si contempla un’opera d’arte. Arthur era seduto all’altro capo del pesante tavolo di legno, tra calamai e scartoffie, immerso nella lettura, con un’espressione a metà tra il corrucciato e il concentrato. La luce calda filtrava dolce dalle grandi finestre, illuminando le stanze del principe e facendo vibrare il porpora dei tendaggi. Merlin osservava i raggi di quel tiepido sole estivo baciare la nuca di Arthur, facendo risplendere l’oro dei suoi capelli fini e accendendo il bianco della sua casacca: sembrava essere lui stesso fonte di luce nella stanza.
In fondo era giusto così, pensò Merlin. Arthur era destinato a diventare un sole di speranza e grandezza per il suo popolo. Ma per lui era già luce, lo aveva capito da tanto tempo, non appena era riuscito a vedere oltre il cavaliere tutto muscoli e niente cervello che fino a qualche anno prima era sotto gli occhi di tutti.  Da quel momento aveva capito in fretta la vera natura del sentimento che lo legava ad Arthur, ma si era giurato di non fare nulla, di dover rimanere in silenzio. Perché mai si sarebbe perdonato per aver rovinato il destino del principe, di macchiarlo in qualche modo con qualcosa che non aveva diritto di esistere. Si era detto che così doveva essere, ma si era promesso di rimanergli a fianco.
Quello era il suo destino. Anzi, no, quello era ciò che gli aveva detto il suo cuore sin dal primo istante: Arthur veniva per primo. Prima di qualsiasi altra cosa, prima di sé stesso; il suo compito era quello di proteggerlo e consigliarlo, rimanendogli vicino sempre, senza imporsi mai, senza mai voler niente in cambio. Quanto gli aveva fatto male a volte, quante lacrime aveva ricacciato indietro senza mai lamentarsi, quante volte aveva sentito il suo cuore strapazzato bucargli il petto… ormai aveva perso il conto. Tuttavia l’aveva sempre accettato consapevolmente, e non gli era mai costato troppo, semplicemente perché l’alternativa era insopportabile. L’idea di perdere Arthur era impensabile. Aveva abbracciato quell’esistenza in parte amara e silenziosa senza chiedersi oltre il perché. In cuor suo sapeva che quello che faceva era profondamente giusto. Il suo posto era accanto ad Arthur, e sarebbe rimasto così per sempre, se solo fosse stato solo per lui: una presenza costante ma silenziosa. Aveva deciso che ciò che provava per il principe sarebbe rimasto chiuso nel suo cuore, vivo ma nascosto al mondo intero. Merlin aveva deciso che sarebbe stato giusto così.
Non aveva però fatto i conti con l’Asino reale, il quale, le volte in cui usava quella sua zucca vuota per ragionare, diventava anche più testardo di un mulo, e anche se il buon senso diceva tutt’altra cosa, lui spesso si limitava ad ignorarlo e ad agire d’impulso.
Merlin sorrise tra sé a quel pensiero, ridestandosi per un attimo e decidendosi a passare alla lucidatura della parte destra dell’elmo, per poi lasciarsi avvolgere di nuovo dal flusso dei ricordi, che lo riportò a quella stessa stanza in cui si trovava ora, in una sera di diverse lune prima.
 
 
Lui ed Arthur stavano discutendo sui sentimenti del principe nei confronti di Gwen, che l’Asino si era deciso ad ammettere controvoglia, dopo essere stato ripetutamente punzecchiato da Merlin. Era lui stesso a spingerlo tra le braccia di Gwen ogni qual volta ve ne fosse l’occasione, nonostante ogni frase fosse una stilettata dritta al cuore, nonostante un angolo del suo cuore urlasse di dolore quando Arthur pronunciava il nome di lei. Merlin si era abituato a zittire quel grido, perché Guinevere era una ragazza buona, giusta, leale e forte, e il suo principe non avrebbe potuto aspirare ad avere una regina migliore.
“Intanto non potrà mai esserci niente tra noi, veramente. Mio padre non lo permetterebbe mai. Io sono il principe ereditario e lei è una serva.” Sbraitò Arthur gesticolando mentre andava su e giù per la sala.
“Quando sarete re, potrete cambiare questa stupida legge! Non siete obbligato a fare tutto ciò che vi dice vostro padre!” ribatté Merlin in piedi a braccia conserte accanto a una colonna.
“Un re deve sposarsi per stringere un’alleanza che giovi alla salute del regno. È un mio dovere.” Dichiarò serio, fermandosi a qualche metro di distanza dal suo servitore e fissandolo intensamente.
Merlin sostenne lo sguardo e con fermezza gli rispose: “Il dovere di un re prima di tutto è quello di essere sincero verso il proprio cuore.”
Vide il corpo del principe irrigidirsi e i suoi occhi blu sgranarsi per un momento, per poi rilassarsi subito dopo. Lo vide abbassare lo sguardo, corrucciando la fronte, prendendosi un attimo per riflettere. Poi incatenò lo sguardo a quello di Merlin, e sorridendo appena gli disse:
“Sai, forse hai ragione.”
Fu allora che accadde l’inimmaginabile. Arthur in un soffio azzerò la distanza tra loro, imprigionando il corpo di Merlin tra il proprio e la pietra della colonna, afferrandogli il volto tra le mani e catturandogli le labbra con le sue. Merlin si sentì morire e rinascere allo stesso tempo, benedicendo la colonna alle sue spalle, perché le sue ginocchia tremarono liquide, e senza quella prigione di carne e pietra non sapeva se sarebbe riuscito a reggersi in piedi. Un bacio assetato, urgente, come se tutta la vita di Arthur dipendesse da quel contatto. La mente del mago si perse, annebbiata dalla consistenza e dal calore delle labbra che premevano contro le sue: decise, esigenti, calde tanto quasi da bruciare. Non aveva mai desiderato tanto qualcosa in vita sua. Eppure Merlin interruppe quel bacio, frastornato.
“Arthur” sussurrò col fiato spezzato.
L’altro sospirò, togliendo le mani dal viso di Merlin e portandole sui suoi fianchi. Socchiuse gli occhi e poggiò la fronte contro quella del mago, rimanendo per qualche istante in silenzio, ad ascoltare il suono dei loro respiri che si confondevano.
“Non sono mai stato più sincero di così in tutta la mia vita” sospirò il principe senza interrompere quel contatto.
“Arthur… io…” disse Merlin con voce un po’ più alta, senza trovare però le parole.
Il biondo allora si staccò di colpo dal suo corpo, e un riflesso di paura gli attraversò lo sguardo.
“Scusami.” Si affrettò a dirgli il principe imbarazzato, senza però distogliere lo sguardo.
E Merlin si perse ancora una volta in quelle iridi. Cielo nel mare, questo erano quando i loro occhi si incontravano. Fu allora che capì definitivamente che quel mescolarsi di azzurri era tutto ciò che avrebbe mai potuto desiderare in quell’esistenza, come in tutte quelle a venire. Il muro di promesse che si era costruito giorno dopo giorno si sgretolò in un istante, gli bastò essere colpito da un battito di quelle ciglia bionde.
Senza riflettere un secondo di più, fu Merlin ora a prendere il volto del principe tra le mani attirandolo a sé. Non potevano esserci parole in quel momento. Solo uno scontro di labbra affamate le une delle altre, un continuo cercarsi con i denti e con la lingua, senza mai riuscire a saziarsi, un inesauribile bisogno dell’altro che sembrava non poter far altro che crescere e bruciare sempre più intensamente.
Quella notte tutto era stato spazzato via: il castello, le guardie, il re, le responsabilità. Si erano persi tra gli intrecci porpora delle coperte ormai disfatte, annegando l’uno nell’altro, dimentichi di tutto il mondo. Stringendosi sempre più forte, baciandosi ancora più voracemente, come se fosse possibile annullare maggiormente le distanze nell’intreccio dei loro corpi. Arthur aveva soffocato i gemiti di Merlin con la sua bocca, tutti i gemiti di una vita: il piacere, l’angoscia, l’amore, la disperazione. Tutto questo insieme lo soffocava e lo inebriava al contempo. Arthur. La sete che aveva di lui lo soverchiava, e Merlin non poteva far altro che aggrapparsi con le unghie alla sua schiena e abbandonarsi al cielo delle sue iridi.
Il loro primo bacio. Il suo mondo era caduto ed era rinato da quella notte. Tutto era cambiato e tutto era rimasto lo stesso, inspiegabilmente. Merlin sorrise ancora alla dolcezza di quel ricordo.
 
 
Arthur sbuffò rumorosamente, richiamandolo alla realtà.
“Perché devo imparare questa roba? È uno strazio. Perché devo sempre essere io a tenere il discorso di ricevimento?” si lamentò sbattendo la pergamena sul tavolo.
“Forse perché sei il principe ereditario, ed è tuo compito accogliere gli ospiti?!” gli rispose ironico.
Il principe strizzò gli occhi, fulminandolo: “Molto divertente, Merlin.” Disse soffermandosi sul suo nome, pronunciandolo in quel modo tutto suo che faceva venire i brividi al giovane mago.
“Poi questa è un’occasione importante, la figlia di re Mithrad è la tua futura sposa.” Continuò, mascherando l’amarezza che provava nel pronunciare quella verità.
Arthur per tutta risposta sbuffò di nuovo, abbandonandosi contro lo schienale della sedia.
“Andiamo! Non hai nemmeno dovuto scrivertelo tu!” replicò Merlin avvicinandosi all’altro. Era vero. Aveva passato lui la notte in bianco al posto del suo principe, scervellandosi, ma riuscendo alla fine a mettere insieme un discorso degno di un poema epico, di cui andava veramente fiero, anche se aveva sacrificato parecchie ore di sonno per quella testa di legno.
“Ma non ho voglia di impararlo tutto a memoria!” piagnucolò Arthur, piegando la testa all’indietro fino a poggiare la nuca contro lo schienale.
Merlin sorridendogli si chinò a dargli un bacio a fior di labbra, piano, dolcemente. Si staccò subito dopo, per contemplare il suo viso. Arthur aveva ancora gli occhi chiusi e le labbra leggermente protese, come se volesse imprimere nella memoria la perfezione di quel momento. Una mano di Merlin volò leggera ad accarezzare l’oro dei suoi capelli, scostandogli i ciuffi ribelli e scompigliati dalla fronte. Amava sentirli scivolare morbidi tra le dita, ma ancor di più amava osservare l’espressione beata di Arthur mentre si abbandonava a quel tocco: ogni tensione, ogni solco, ogni ombra sembrava volar via dal suo viso, facendolo ritornare come bambino, anche solo per un attimo. Poi Merlin si decise a privarlo di quel contatto, scostando la propria mano e abbandonandola lungo il fianco. Il principe emise un grugnito indispettito che strappò un sorriso al mago e aprì gli occhi.
“Rimettiti al lavoro, Dio solo sa quanto tempo ti ci vorrà per imparare tutta quella roba con la tua zucca vuota.” Lo schernì.
Arthur replicò con un altro brontolio disarticolato, per poi afferrarlo per la vita senza tante cerimonie e farlo sedere su di sé. Gli prese in mento tra le dita e lo attirò con forza verso il suo volto, facendo scontrare le loro fronti senza molta delicatezza.
“Non sei tu che comandi qui, Merlin.” Gli sorrise beffardo, con quel suo ghigno irriverente che faceva saltare in Merlin ogni genere di autocontrollo.
“Ah no eh?! E chi lo dice?” lo sfidò il mago alzando un sopracciglio.
“Io” rispose con voce roca, appena prima di tirarlo ancora più contro di sé e premere le sue labbra contro quelle di Merlin.
Dei, il sapore della sua bocca. Merlin non poté far altro che avvolgergli il capo tra le mani, nel tentativo di catturarne ancora di più il gusto, di cui aveva sempre più fame, sempre più bisogno. Le sue mani si ancorarono nuovamente ai suoi capelli dorati quando Arthur gli circondò la vita con le braccia e affondò il viso nel suo collo, percorrendone ogni centimetro a suon di baci.
“Devi impararlo.–Merlin cercò di riguadagnare un minimo di lucidità- Sul serio, non ho lavorato tutta la notte per niente.” Gli disse con voce bassa e spezzata, mordendosi il labbro inferiore.
“Come farei senza di te Merlin?” gli sussurrò piano, soffiandogli nell’orecchio. Brividi lungo la schiena. Poi Arthur gli catturò il lobo, mordendoglielo, e il giovane mago non riuscì a trattenere un gemito appena strozzato.
“Te la caveresti lo stesso.”
Lo sentì sorridere contro di sé: “Forse.” Rispose prima di gettarsi nuovamente sulla pelle chiara del suo collo.
Merlin però era determinato a non perdere quel poco di lucidità che aveva riacquistato. Tutto il suo corpo, ma proprio tutto, non desiderava altro che abbandonarsi definitivamente ad Arthur, come sempre accadeva quando si allacciavano l’uno all’altro. Lo implorava letteralmente di lasciare da parte ogni controllo, ma il giovane mago si decise a non lasciarsi tentare oltre, e si staccò dal suo principe.
“Cosa c’è ora?” gli chiese appena indispettito, inarcando un sopracciglio biondo.
“E’ importante.” L’espressione di Merlin era assolutamente seria.
“Lo so. –gli sorrise l’altro- Questo, è importante.” Disse protendendosi nuovamente verso le sue labbra.
Merlin gli mise entrambi i palmi sulle spalle e lo allontanò deciso, non si sarebbe fatto raggirare di nuovo dai trucchetti di Arthur, che ormai conosceva fin troppo bene i suoi punti deboli.
“No, no, no! –lo fermò- Re Mithrad è importante. Il tuo futuro, il tuo matrimonio sono importanti!... E di conseguenza il tuo discorso, è importante.”
Il principe lo scrutò intensamente, e un lampo di amarezza balenò nel blu dei suoi occhi.
“Devi fare una buona impressione.” Continuò Merlin.
“E perché mai, in fondo?” domandò con un velo d’ironia.
“Arthur non fare lo stupido.” Lo rimproverò.
“Abbiamo già affrontato la questione! Io non voglio nessun altro. Voglio solo te, Merlin.”
Se da una parte il cuore del giovane mago si sciolse al suono di quelle parole, dall’altra il suo cervello e i suoi nervi reagirono istintivamente, come erano stati istruiti a fare per anni dalla ragione e dal buon senso. Scattò in piedi, liberandosi definitivamente dalle braccia di Arthur. Emise un solo lungo sospiro e si portò le mani dietro la nuca intrecciandole.
“Non si può, lo sai.” Disse sconsolato, iniziando a camminare su e giù vicino al tavolo.
Il principe si raddrizzò sulla sedia: “Una volta mi hai detto che non dovevo mentire al mio cuore… Beh, avevi ragione. Non ho intenzione di farlo, mai più. Non ho intenzione di sposare questa principessa, ne nessun’altra.” Disse alzando la voce.
“E invece un giorno dovrai affrontare anche questa responsabilità. Camelot dovrà avere una regina, e tu dovrai avere degli eredi.” Nel pronunciarle, Merlin sentì l’amarezza salirgli su per il petto fino a strozzargli la gola, lasciandolo boccheggiare per qualche istante. Però no, non avrebbe ceduto, era lui tra i due ad avere più buon senso.
“Si può sapere a che gioco stai giocando?! –lo interrogò Arthur- Prima mi spingevi tra le braccia di Gwen, ora questo…”
“Sto solo cercando di farti ragionare!” disse Merlin a voce ancora più alta.
“Ne ho basta di ragionare!” urlò il principe, alzandosi in piedi di scatto. La sedia si rovesciò, capitombolando a terra con un sonoro tonfo che fece sobbalzare il mago.
Si fissarono per alcuni interminabili istanti: cielo nel mare, entrambi in tempesta, entrambi determinati a non cedere.
“Ne ho basta di doverti nascondere, ne ho basta di doverti vedere sgattaiolare qui nel cuore della notte come se fossi un furfante! Ne ho basta di doverti baciare in silenzio in qualche angolo buio, per paura di essere scoperti, come se ci fosse qualcosa di sbagliato in noi!”
“Arthur…” provò ad interromperlo scuotendo la testa.
“No, adesso stai zitto Merlin, e mi lasci finire di parlare! –lo interruppe puntandogli un dito contro- Io non rinnego nessuno dei miei doveri verso il mio popolo, o verso mio padre. Cercherò con tutte le mie forze di diventare il re giusto e forte che tu dici di vedere in me… Ma più di ogni altra cosa, –disse abbassando la voce, e avvicinandosi fino a prendergli il volto tra le mani- io non ho intenzione di rinunciare a te.” Concluse dolcemente.
Il mago abbassò gli occhi sospirando, e il principe intensificò appena la sua stretta, costringendolo di nuovo ad alzare lo sguardo.
“Vorrei solamente poter stare con te anche sotto un sole come quello di oggi. Stringerti nella luce del giorno, Merlin. È forse troppo chiedere di poter restare con la persona che più si ama al mondo?”
Merlin portò una mano su quella di Arthur e sussurrò: “Stiamo vivendo un sogno. Prima o poi verrà il momento di svegliarsi.”
E si sentì morire, perché realizzò l’innegabile veridicità di quelle parole, e se la sua mente continuava a ripetergli che sarebbe stato giusto così, il suo cuore iniziava a ribellarsi nel petto.
Gli occhi di Arthur tremolarono, e anche la sua presa sul viso di Merlin si fece più incerta: il giovane mago capì che quella verità aveva fatto breccia anche nell’altro. Entrambi in quel momento sentirono quanto la realtà fosse dura, avrebbe anche potuto sconfiggerli. Fu il principe a reagire per primo:
“Allora continuiamo a dormire, ancora solo per oggi.” Gli sussurrò facendosi affiorare un sorriso sulle labbra.
Aveva senso, pensò Merlin. Sì, quello poteva farlo. Era ciò che il suo cuore e il suo corpo gli chiedevano con ogni fibra. Ricambiò il sorriso, sentendosi arrossire appena, ed annuì senza aggiungere nulla.
“Restiamo qui, almeno fino a stasera.” Disse ancora Arthur.
Merlin per tutta risposta gli rubò un altro bacio leggero, poi si liberò dalle sue mani, dirigendosi verso la porta.
“E ora dove te ne vai?” lo richiamò il biondo, sorpreso.
Il mago si voltò, guardandolo con un’espressione furba: “Qualcuno dovrà pur avvisare Vostro padre che Siete indisposto e che dovete riposare per essere in perfetta forma all’arrivo di re Mithrad, no?”
Arthur gli sorrise compiaciuto: “Già, e avvisa anche le guardie che nessuno deve entrare nelle mie stanze, per nessun motivo al mondo. Il mio sonno non deve essere disturbato.”
“Certamente Sire.” Gli rispose ironico, prima di scomparire dietro la porta.
 
 
Quando poco dopo rientrò negli alloggi del principe, lo trovò in piedi davanti alla finestra accanto al grande letto a baldacchino, intento a fissare un punto lontano. Merlin avrebbe potuto giurare di vedere gli occhi di Arthur farsi lucidi per un momento, ma forse era solo un’impressione. “Nessun uomo merita le tue lacrime” gli aveva detto un giorno. Era sicuro che avesse notato la sua presenza nella stanza, tuttavia il principe sembrava non aver intenzione di distogliere lo sguardo dalla finestra.
“Perché deve essere così complicato, Merlin?” gli chiese ancora senza guardarlo.
Una tristezza sconfinata e una nota di rassegnazione si fecero strada dalla voce di Arthur fino a toccare il petto di Merlin, procurandogli una fitta.
Si decise però che in quel momento non doveva vincere la rassegnazione, almeno non fino a sera, ora che erano riusciti a rubare uno spazio solo per loro, anche solo per poco. Si avvicinò quindi alla figura alla finestra, prendendogli una mano e facendolo voltare fino ad incontrare le sue iridi cristalline. Un cielo estivo senza nuvole.
“Vieni.” Gli disse Merlin piano, tirandolo dolcemente verso il letto.
Arthur si lasciò condurre docilmente, ormai naufrago nel mare degli occhi di Merlin. Si sdraiarono uno accanto all’altro, senza fretta. Il principe circondò le spalle del mago con un braccio e l’altro si accoccolò posando il capo sul suo petto.
Nessuno dei due avrebbe saputo dire quanto a lungo rimasero così, nel silenzio più totale, ad ascoltare solo il dialogo dei loro respiri e ad osservare il pulviscolo che giocava nell’aria dorata che passando dalla grande finestra illuminava tutto il letto. Merlin non aveva bisogno di parole. Il rosso e l’oro della stanza, il suo profumo, i battiti del suo cuore accostato all’orecchio: tutto in quel momento gli parlava di Arthur. Non desiderava nient’altro.
Ad un cero punto, Arthur sospirò profondamente. Il moro allora si alzò leggermente, girandosi per poterlo guardare negli occhi: “Cosa c’è?” gli chiese dolcemente.
“Possiamo essere Noi, solo per un giorno.” Gli disse facendogli passare una mano tra i capelli corvini.
“Io ci sarò sempre per te, Arthur.”
Il principe prese la mano di Merlin che giaceva abbandonata sul suo petto e se la portò alla bocca, depositandovi un bacio sul palmo. Il giovane mago rabbrividì, era un gesto molto più intimo di qualsiasi altro. Parlava di dolcezza, parlava di sincerità, parlava perfino di devozione.
“Lo so cosa intendi. –Arthur gli sorrise triste- E non è ciò che voglio io. Non voglio che tu ti faccia da parte. Se non posso stare con te, non voglio nessun’altro.” Disse serio.
“Ti prego, basta.” Cercò di farlo smettere Merlin con un filo di voce. Non voleva sentire altro, avrebbero affrontato tutto in un altro momento, ora non era in grado di continuare quel discorso che lo sfiniva ogni volta.
Arthur non replicò oltre, ma semplicemente si aggrappò alle sue labbra. Un altro di quei baci da succhiargli via l’anima, un bacio da cui sembrava dipendere la loro intera esistenza, un bacio più necessario dell’ossigeno. Le labbra di Arthur chiedevano tutto, e Merlin si lasciava annegare nel loro sapore dolce e salato allo stesso tempo. Erano le due facce della stessa medaglia, che quando venivano a contatto si annullavano l’una nell’altra, fondendosi in qualcosa meravigliosamente più grande di loro che quasi rischiava di annientarli.
Si staccarono lentamente, come se volessero fermare il momento e imprigionare quella sensazione nelle loro menti. Merlin amava vedere le labbra di Arthur così arrossate e gonfie dei suoi baci, sentendo anche le proprie altrettanto sconvolte da quel contatto. Ritornarono ad abbracciarsi nel silenzio, mentre la luce del sole pomeridiano si faceva sempre più aranciata e gentile, annunciando la sera che avanzava danzando serena.
“Resterai con me?” gli sussurrò Arthur piano, come se non volesse spezzare l’incanto di quella quiete.
“Con ogni singolo battito del mio cuore.”









  
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