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Autore: Roxana    15/07/2014    3 recensioni
[Alan Stivell]
A volte la vita crea legami che la morte non è in grado di spezzare.
Genere: Malinconico, Slice of life, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Kenavo.

Note dell'autrice: 
Questa storia è ispirata al brano "Kenavo Glenmor" di Alan Stivell (www.youtube.com/watch?v=kI-swNQNaMw). Nessuno dei personaggi mi appartiene e non intendo dare una rappresentazione realistica o offendere in alcun modo nessuno di essi.

 

Il musicista si incamminò lentamente lungo il sentiero che portava alla scogliera, con una delle sue arpe più piccole sotto il braccio. Aveva bisogno di stare un po' per conto suo a suonare con il solo accompagnamento delle onde dell'oceano e a pensare.

Da tempo non era più un ragazzo, anzi, poteva dire di aver superato la metà della vita e aveva alle spalle decenni di... carriera?

No, non gli piaceva quel termine, era troppo riduttivo. Più di quarant'anni di musica, di studio, di polpastrelli doloranti, di spartiti stropicciati, di concerti in ogni parte del mondo, di impegno, di risate, di stupore e di persone che non avrebbe mai dimenticato.

Si sedette su uno scoglio e cominciò ad accordare l'arpa. Era un modello che aveva progettato lui stesso. Suo padre ne sarebbe stato orgoglioso, come nel giorno del suo primo concerto, come lo era sempre stato, a dire il vero.

Era partito tutto da lì, dal giorno lontano in cui suo padre aveva avuto fiducia in lui.

Provò un moto di gratitudine pensando a suo padre a tutte le persone con cui aveva condiviso quel meraviglioso viaggio.

Il maestro, in modo particolare.

Era morto alcuni anni prima, eppure a volte ne sentiva ancora la mancanza.

Gli mancava la sua voce, il suo sguardo intenso, la sua ironia e la sua silenziosa vicinanza, quando stavano su quella stessa scogliera a contemplare l'oceano.

Il maestro gli aveva trasmesso moltissimo, sulla musica e sulla vita; anche se ora tra loro c'era il Velo, il legame che li univa non sarebbe mai venuto meno.

Le dita del musicista danzavano sulle corde dell'arpa e le parole, nella lingua antica e appena nata, cominciarono a zampillare come acqua di sorgente. Quasi senza accorgersene aveva iniziato a suonare la canzone che aveva composto quando il maestro era morto. L'aveva intitolata "Arrivederci".

Nel frattempo alcuni gabbiani si erano avvicinati, come se fossero scesi ad ascoltare.

Il musicista continuò a suonare e ad un tratto sentì vibrare le corde di un altro strumento che accompagnava il suo, insieme alle onde.

Sbalordito si guardò attorno e non vide nessuno, a parte tre gabbiani immobili su uno scoglio poco distante.

E poi: "Ragazzo, non devi distrarti quando suoniamo!" - mormorò una voce molto vicina.

Due gabbiani si alzarono in volo e l'unico rimasto gli si avvicinò fin quasi a sfiorarlo.

Lo fissò con lo stesso sguardo d'argento del maestro e gli fece l'occhiolino.

  
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