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Autore: sorita    16/07/2014    5 recensioni
-Mamma, siamo arrivati?
La bella ragazza abbassò lo sguardo, guardandolo teneramente e accennando ad un sorriso.
Lasciò per un attimo la valigia e lo prese in braccio, stampandogli un bel bacio sulla guancia e sistemandogli i capelli.
-Si, tesoro mio. Siamo a casa.
Forgive me for What I've done....
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sora Takenouchi, Taichi Yagami/Tai Kamiya | Coppie: Sora/Tai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Odaiba 2014.
 
 
 
 
Il sole splendeva alto nel cielo, decorato da qualche soffice nuvola qua e là.
Era un Giugno caldo e afoso, e a renderlo ancora più insopportabile ci si metteva il forte rumore degli aerei, che atterravano e partivano di continuo.
Un bellissima e giovane ragazza dai capelli dorati e raccolti in una treccia che le ricadeva elegantemente di lato, camminava lentamente,trascinando una valigia, ma non era sola.
Per mano, teneva un altrettanto bel bambino, dai capelli dello stesso colore e raccolti in un codino.
Appena sbucarono fuori dall’aeroporto, la giovane si fermò, causando la confusione dell’ipotetico figlio.
Alzò il suo viso angelico verso quel cielo sereno, e, anche se i raggi del sole le causavano un po’ di fastidio alla vista, stette per un po’ a guardarlo malinconicamente.
Fu il delicato richiamo della piccola creatura al suo fianco a farle distogliere l’attenzione da quella immensità che osservava tanto tristemente.
 
-Mamma, siamo arrivati?
 
La bella ragazza abbassò lo sguardo, guardandolo teneramente e accennando ad un sorriso.
Lasciò per un attimo la valigia e lo prese in braccio, stampandogli un bel bacio sulla guancia e sistemandogli i capelli.
 
-Si, tesoro mio. Siamo a casa.
 
Sul viso del piccolo si formò un bel sorriso che scaldò largamente il cuore della donna.
L’abbracciò, entusiasta.
 
-Finalmente, mamma! Non ne potevo più!
 
Rise a quella sua lamentela, per poi alzare la mano e chiamare un taxi.
Dopo sei anni, aveva avuto finalmente il coraggio di tornare.
 
 
 
 
 
 
 
Odaiba 2008.
 
 
Sora era nella sala d’attesa dell’ospedale, con la testa china.
Era pensierosa e allo stesso tempo un po’ triste.
Per tutto il tempo di attesa , era stata così, immobile e impassibile.
Aspettava solo quella dottoressa che l’aveva visitata poco tempo prima.
Però, l’ansia non sentiva per niente l’ansia.
Vide all’improvviso delle eleganti scarpe nere con il tacco fermarsi proprio davanti a lei, così si decise di alzare quel bellissimo sguardo dorato e innocente verso chi evidentemente le si era fermata di fronte.
Una bella donna dal camice bianco, con dei bei e folti capelli scuri e gli occhi neri e dai riflessi blu, sorrideva teneramente, per poi porgerle la mano.
 
-Prego, vieni con me, Sora.
 
Esitò solo un istante, quello che bastava per fermare la sua mente colma di pensieri.
Poi sii alzò, accettando la calda mano della dottoressa.
L’accompagnò lentamente nel suo studio, oltrepassando un corridoio verde smeraldo.
Sora teneva la testa bassa, poichè aveva paura degli sguardi curiosi e di incrociare qualcuno che poteva conoscere.
La fece entrare, chiudendo la porta alle sue spalle.
Dopo essersi seduta dietro alla sua scrivania e dopo essersi assicurata che la giovane si fosse accomodata per bene, la dottoressa le prese nuovamente le mani, cercando di sorridere e rassicurarla.
La giovane Takenouchi capì subito quel gesto, comprese cosa le avrebbe detto e cominciò un po’ a tremare.
 
-Sora, ho analizzato il tutto e non ci sono dubbi a riguardo.
 
A quelle parole, la ragazza abbassò di nuovo il suo sguardo color miele per posarlo sulla sua pancia.
Appoggiò involontariamente entrambe le mani sopra di essa, accarezzandola delicatamente.
 
-Da quanto tempo?- chiese con coraggio e non distogliendo la sua attenzione dal suo ventre.
 
Prese un leggero respiro, per poi alzarsi e prendere dei fogli che dovevano essere i risultati di tutte le sue analisi.
 
-Due mesi , piccola.
 
-Non mi ero accorta proprio di niente.
 
La signora la guardò di nuovo: la sua paziente era ancora immersa a scrutarsi la pancia poco gonfia.
Si sedette di nuovo, stavolta al suo fianco e tirandole su il viso per parlarle a quattr’occhi.
 
-Ascoltami. Sono in dovere di metterti al corrente di tutto. Se tu volessi abortire, sei ancora in tempo, ma costa molto come operazione. E, probabilmente, servirà anche uno psicologo che dovrà seguirti in tutto ciò.
 
Notò lo sguardo della giovane farsi improvvisamente contrariato:
 
-Non ho alcuna intenzione di fare una cosa simile, dottoressa.
 
Sgranò gli occhi a quell’affermazione così decisa e che non ammetteva repliche.
Sbattè le palpebre due o tre volte, per schiarire l’immagine della fanciulla che aveva davanti:
 
-Davvero?
 
-Si, voglio tenerlo e su questo non ho mai avuto dubbi, neanche dai primi sospetti e pensieri.
 
Cercò di mantenere una certa calma, era raro avere delle pazienti così giovani e determinate a volere una certa cosa.
Di solito, le ragazze madre avevano sempre così tanta paura e vagavano nel dubbio fino alla fine, invece Sora le fece capire che di dubbi non ne aveva, ma qualche timore si.
 
-Cosa ti preoccupa, allora?
 
La guardò, con quegli occhi malinconici e tremando un poco:
 
-Di dirlo ai miei, e ai suoi. Abbiamo solo diciannove anni e dobbiamo iniziare l’università. Non abbiamo un lavoro e le nostre famiglie sono umili. Inoltre, qui le voci corrono con niente e mi addolora sapere di farli vergognare.
 
A quelle parole, la bella signora appoggiò la sua calda mano sopra alla sua spalla scoperta, accarezzandola con le dita per confortarla ancora:
 
-E’ normale una paura simile, Sora. Ma è anche normale una prima reazione negativa da parte dei vostri genitori, non devi averne così timore. In questi momenti, solo loro e il tuo ragazzo possono essere in grado di starti vicina, e devi far scorrere le dicerie. Sarà dura, ma sicuramente quando avrai il tuo bambino tra le braccia, il ricordo e le sensazioni di quei momenti svaniranno all’improvviso.
 
Finalmente sul volto di Sora, si formò un bel sorriso , ma contemporaneamente scesero delle lacrime che le rigarono le sue guance rosee.
La dottoressa era consapevole della maturità della sua paziente, ormai si conoscevano da tempo ed era sicura che se la sarebbe cavata.
 
-E dimmi, cosa pensi che direbbe il tuo ragazzo a tal proposito?
 
A quella domanda, che pensava facesse ammutolire per un attimo la paziente, la giovane la stupì di nuovo, sorridendole e facendola rabbrividire:
 
-Sicuramente, si metterà a piangere e comincerà a farsi dei problemi per il futuro di suo figlio, per i soldi per mantenere me e lui. E.. –stavolta si rattristò al pensiero.- …non inizierebbe l’università.
 
Si stupì un poco da quella risposta, non aveva dubitato neanche un secondo sul fatto che il suo compagno sarebbe stato contrario o scioccato da una notizia simile.
Quelle parole, pronunciate con decisione e sicurezza dalla giovane, fece capire che la sua paziente aveva accanto una persona che l’amava davvero e che conosceva fin troppo bene per dubitare di lui, così bene che già sapeva come avrebbe reagito.
 
-Sora, ci sono delle cose belle e delle cose brutte nella vita. Bisogna fare molti sacrifici a volte, non devi rattristarti, l’importante è che siate felici, e che qualunque scelta si prenda, la si faccia sempre insieme.
 
Sorrise debolmente.
Lei sapeva i progetti di colui che amava, sapeva cosa aveva in mente di fare da grande, lo desiderava tanto e per arrivarci doveva continuare gli studi.
Ma sapeva come era fatto lui, che se avesse saputo una cosa del genere avrebbe rinunciato a tutto.
Per lei avrebbe fatto qualunque cosa, c’era Sora al primo posto nella sua vita, e il suo bene, e poi, c’era lui.
 
 
 
 
 
 
 
 
La bellissima ragazza dalla chioma dorata camminava, con passo lento e incerto, per alcune vie di Odaiba.
Si guardava spesso intorno e quasi che teneva la testa più bassa possibile, come se volesse nascondersi o non farsi riconoscere.
Trasportava il solito trolley e, con l’altra mano, teneva il suo adorato bambino che si stava gustando un bel gelato, tutto contento.
Le cominciò a battere forte il cuore per l’ansia, davvero una tachicardia forte.
Cominciò a sentire ancora più caldo, e i dubbi cominciavano ad occuparle la testa e il cuore e a farla respirare a fatica.
Cominciarono anche a farla rallentare ancora di più, e sentire brividi per tutto il corpo.
La piccola creatura dagli occhi dorati sentì la mano della madre tremare, così da cogliere la sua ingenua attenzione:
 
-Mamma, hai freddo?
 
Lo guardò quasi spaventata, non doveva farsi vedere così dal suo angelo.
Intravide poco distante una cabina telefonica e non resistette alla voglia di sentire la voce dell’unica persona che era stata vicina a lei e a suo figlio in quegli anni.
 
-Devo fare una chiamata, Shinichi. Vieni.
 
Arrivarono in prossimità della cabina e, dopo aver raccomandato una decina di volte al piccolo di stare davanti alla porta vicino al suo trolley, digitò subito i numeri e aspettò con ansia di sentire una risposta.
Non mancò di certo, tanto da farle risollevare un poco il cuore.
 
-Zia ..sono io.
 
Ci fu un momento di silenzio in cui la ragazza mandò continui sguardi al figlio che le sorrideva con il gelato in mano.
 
-Che è successo, Sora?
 
Alla sua voce, la bella ragazza si appoggiò alle pareti vetrate, in evidente orlo di un pianto:
 
-Zia…non credo di potercela fare.
 
-No, Sora, ne abbiamo già parlato e stavolta non ti appoggio.
 
Cominciò a scenderle qualche lacrima e a respirare a fatica, come se volesse trattenerne altre, ma ogni parola che usciva dalla sua bocca era un via al diluvio dai suoi occhi.
 
-Mia madre non capirà. Gli altri mi odieranno e lui.. lui non mi vorrà più vedere.
 
-Ascolta Sora, mi stai facendo arrabbiare. Io non ti ho mai chiesto nulla, ti ho sempre aiutata volentieri. Mi avevi promesso che una volta terminati gli studi saresti tornata nel tuo paese e avresti affrontato tutti a testa alta. Me lo hai promesso. Tu sei forte, lo sei sempre stata.
 
-Non è vero, e il fatto che sono fuggita tempo fa conferma la mia fragilità e.. la mia vigliaccheria.- disse ormai nel bel mezzo di un pianto.
 
-Tesoro mio, lo hai fatto per il bene di tutti. Sicuramente dovrai resistere a qualche attacco isterico da parte lor, ma chi ti vuole davvero bene, capirà, credimi. Il tuo posto è lì, e anche quello del piccolo Shinichi. E’ ora di fargli conoscere le sue origini e… suo padre. Devi farlo per il suo bene, Sora. Pensa che lo fai per lui.
 
Mentre la giovane Takenouchi era al telefono, il piccolo aspettava ,come gli era stato ordinato, vicino alla valigia.
Ormai il suo gelato era quasi finito, ma non era ancora per niente sazio. Sicuramente avrebbe chiesto alla sua mamma un’altra cosa da mangiare più tardi.
Ad un tratto, sentì una piccola spinta e vide il trolley cadere a terra.
Lo guardò e cercò subito di alzarlo con la sua piccola mano libera, la mamma gli aveva dato il compito di controllarlo e lui voleva renderla felice e farle vedere che era stato bravo.
Ma una mano molto più grande e forte della sua, lo aiutò ad alzarlo.
Spostò così il suo sguardo color miele verso colui che gli stava dando una mano e incrociò un radioso sorriso da parte di un bel ragazzo dai capelli castani scuro e folti.
Ne rimase affascinato, non sapeva perché.
 
-Taichi, sei sempre il solito, tra poco non lo investivi a questo povero bambino.
 
Un bel giovane biondo, dagli occhi limpidi e azzurri, si avvicinò ai due, sorridendo a sua volta.
 
-Fratellone, tutto bene?
 
Avanzò con loro anche una bella ragazza dai capelli a caschetto e castani, come il primo ragazzo.
Il bambino si intimorì un poco vedendo tutte quelle persone attorno a lui, così il giovane Yagami cercò di tranquillizzarlo:
 
-Tranquillo! Sono i miei amici. Scusami, per quanto sei piccolo non ti avevo visto!- scherzò, facendolo sorridere.
 
-Non ti preoccupare, se ci saranno dei danni chiederò il risarcimento!
 
Rimasero tutti allibiti da quella risposta pronta e geniale da un bambino così piccolo, ma la risata di una bellissima ragazza dagli occhi cenere e i capelli lunghi e mossi li fecero voltare:
 
-Taichi, sembra più intelligente di te!
 
-Non sei affatto simpatica, Mimi.- le disse fulminandola un poco con il suo sguardo nocciola, per poi riportare l’attenzione sulla creatura di fronte, che li guardavano confusi.
 
Tutti osservarono il trolley, molto più alto di lui, e , non vedendo nessuno al suo fianco, Hikari chiese:
 
-Ma sei da solo, piccolo?
 
Scosse la testa, allegro:
 
-No no, aspetto la mia mamma! Sta facendo una telefonata! Io devo controllare la valigia!
 
-Ah, meno male, allora togliamo il disturbo e ti chiediamo scusa per la sbadataggine di questo individo.- fece Yamato pizzicando l’amico.
 
Il bambino rise a quella battuta, apertamente e radiosamente.
A quel caloroso gesto, Taichi si bloccò, irrigidendosi tutto.
La stessa reazione la ebbero gli altri tre presenti: quel sorriso, quell’espressione così bella e calorosa, quell’emozione che provarono tutti, loro l’avevano già vissuta.
Yamato spostò lo sguardo subito sull’amico castano, era pallido e aveva cominciato a tremare.
A guardarlo bene, i capelli erano dello stesso colore di una vecchia conoscenza, come anche quei due bellissimi occhi.
Il biondo non esitò a prendere il ragazzo per un braccio e, dopo aver salutato di nuovo il bimbo, lo trascinò via con sé, facendo fare lo stesso a Mimi con Hikari.
La giovane Yagami era sconvolta quanto il fratello e faticava a camminare.
 
-E’ uguale…- sussurrò ad un tratto Taichi che era evidentemente sconvolto e scombussolato e che guardava in pieno panico il pavimento.
 
-Non so di che parli, amico mio.- rispose sbrigativo e agitato anche lui.
 
Hikari non resistette e fece fermare anche Mimi, che lanciò subito uno sguardo di allarme verso Yamato.
 
-Gli occhi, il sorriso, è lei.- sussurrò in ansia la giovane dai capelli castani.
 
-Sciocchezze! Smettetevela! E’ sparita e non tornerà!- scoppiò il biondo ,nervoso.
 
Ma nessuno potè replicare.
Sentirono la dolce voce di quel bambino che esclamava felice la parola “mamma”.
Si voltarono tutti e quattro, non erano ancora tanto distanti a causa della lentezza dei fratelli Yagami.
Dalla cabina telefonica, che era poco distante dal bambino, uscì una bellissima e giovane donna dal viso pallido ma angelico, con gli occhi leggermente rossi ma che brillarono ugualmente alla vista della creatura di fronte a lei.
Molto esile, ma affascinate, e quella treccia, ben curata e tenuta di lato, poteva benissimo mostrare il suo dolce viso.
La vita dei quattro compagni si fermò all’istante.
Taichi sentì mancare il respiro e gli occhi ardere come non mai.
Hikari quasi che stava per svenire se non fu per la presa pronta di Mimi al suo fianco.
 
-Mamma! Ho protetto la valigia! Dei signori l’avevano fatta cadere!
 
Sora si abbassò lentamente, sorridendo apertamente al suo piccolo, abbracciandolo e accostandolo a sé.
Gli diede un dolce bacio e sorrisero entrambi, evidenziando l’intera somiglianza dei loro visi.
I capelli, gli occhi e i lineamenti, erano uguali e non poteva sorgere alcun dubbio a riguardo, lei era la madre.
 
-Tesoro mio, sono orgogliosa di te.
 
Rise ancora di più, era quello che voleva sentir dire.
 
-Quei signori laggiù l’hanno rovesciata e gli ho detto che se è rotto qualcosa devono risarcire!
 
L’innocente battuta del bambino fece ridere Sora, ma il suo dolce sorriso si spense in un istante appena posò lo sguardo in lontananza.
No, non doveva accadere così.
Non si sentì più il cuore e l’ossigeno non riusciva ad arrivarle ai polmoni.
Incrociò lo sguardo di ghiaccio di Yamato, sull’orlo di una scenata di rabbia, gli occhi scandalizzati della sua migliore amica Mimi che ormai stava per piangere, il viso sconvolto e rigato dalle lacrime di Hikari che spostava di continuo la sua attenzione da lei al bambino.
Infine, gli occhi rossi e nocciola di Taichi, pieni di tristezza, rabbia, sconvolgimento e dolore.
-Mamma! Mamma! Stai bene, mamma?!
Il piccolo Shinici, notando l’irrigidimento e il conseguente tremore della madre, si spaventò un poco e cominciò a chiamarla di continuo, evidenziando così inconsciamente il ruolo che aveva assunto da un po’ di anni a quella parte.
Sora si alzò, tenendolo e stringendolo tra le braccia ma non spostando il suo tenero sguardo verso i suoi vecchi amici.
Appena cercò di avanzare un passo, vide Taichi indietreggiare e, dopo averla guardata un altro poco, evidentemente ferito e lacerato, si voltò di scatto, fuggendo via tra la folla.
Hikari, a quel gesto, si alzò preoccupata, ma prima di andare anche lei gettò un’ultima occhiata alla bella ragazza, ma per la prima volta Sora la vide arrabbiata e furibonda, tanto da fuggire via inseguendo il fratello.
Non c’era alcun dubbio, ora come ora era meglio andarsene.
Erano rimasti solo loro, il gelido Yamato che non si faceva neanche uno scrupolo e la guardava con una esplicita rabbia, e la sua migliore amica, sinceramente commossa ed evidentemente sofferente.
Fece un passo indietro stavolta, con espressione alquanto bastonata.
Baciò il suo piccolo e accarezzò la sua bella testolina, tranquillizzandolo.
Prese il trolley con l’altra mano e se ne andò dalla direzione opposta, camminando più veloce di prima e dileguandosi dalla vista dei suoi due vecchi amici.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Era appena tornata a casa.
Stranamente, non c’era nessuno nel suo appartamento, neanche sua madre.
Forse era andata a fare la spesa.
Appoggiò le chiavi all’entrata e si avviò in camera, lentamente.
Accese la luce e , dopo aver osservato malinconicamente la sua stanza, si avvicinò al suo letto, fino a distendersi e cominciando a fissare il soffitto.
Involontariamente, cominciò ad accarezzarsi la pancia.
Chiuse gli occhi, tra non molto sarebbe diventata madre, e a soli diciannove anni.
Cercò di non pensare a ciò che poteva accadere di negativo, alle voci, alle reazioni e ai volti dei loro genitori.
Stava per avviarsi nei suoi pensieri quando sentì squillare il telefono.
Si voltò verso il comodino, aveva lasciato il cellulare a casa il pomeriggio e solo ora se ne rendeva conto.
Lo prese subito in mano, ovviamente era lui che la stava cercando.
Prima di rispondere, si maledì un po’ di volte, era stata davvero sbadata e di sicuro lo aveva fatto preoccupare.
 
-Pronto, Taichi.
 
-Sora, ma dove diavolo sei finita? E’ tre ore che ti chiamo! Stavo per chiamare la polizia, i carabinieri, la stradale, i pompieri, la C.I.A., l’FBI,  tutti!
 
Rise apertamente a tutte quelle parole, facendolo un poco innervosire e ricordandole che stava morendo dalla preoccupazione.
 
-Scusa, Taichi, sono andata a fare un giro e ho lasciato il telefono a casa.
 
Sbuffò un poco, si era davvero spaventato.
Dopo averla rimproverata un altro po’, le chiese dove fosse.
 
-Bè, se avevo lasciato il telefono a casa, dove pensi che sia?- scherzò lei.
 
-Non fare la simpatica e aprimi, che ci ero arrivato anche io. Era solo per conferma.
 
Non ci poteva credere, era già di fronte alla porta del suo appartamento.
Chiuse subito la chiamata, senza neanche salutarlo.
Si fiondò all’entrata e , senza esitare, aprì.
Gli sorrise calorosamente, anche se lo vedeva abbastanza imbronciato.
Lo prese delicatamente per mano e lo fece entrare, chiudendogli la porta e facendolo accomodare.
Cercò di fare ancora un poco l’offeso, incrociando le braccia e cercando di evitare il solito contatto che li faceva star bene.
 
-Allora, dove sei stata di preciso per dimenticarti di me?
 
Scosse la testa, divertita.
 
-A fare un giro, te l’ho spiegato. Mi avevi detto che oggi avevi un impegno, così sono uscita un poco.
 
-Neanche ti interessa dove sono andato? Ormai mi trascuri ogni giorno di più.
 
Sorrise a quella finta frase di vittimismo e si avvicinò, abbracciandolo contro la sua volontà.
 
-Mi fido ciecamente di te, Taichi, e se non me lo vuoi dire, un motivo ci sarà.
 
Non resistette neanche un minuto, e l’avvolse in un abbraccio, circondandole la vita e infilando le sue fresche mani sotto la sua larga maglietta, accarezzandole così la schiena.
-Te lo volevo dire una volta accertata la notizia.- disse stringendola ancora di più e avvicinando il viso al suo.
 
-Ebbene?- domandò lei, mentre giocava con il colletto della sua maglia.
 
-Mia cara, non ci crederai, ma mi hanno preso alla rinomata università di ingegneria meccanica di Tokyo! Ho passato il test di ammissione!
 
Sora sgranò gli occhi, stupefatta.
Era sempre stato il suo sogno, la facoltà di ingeneria di Tokyo era così rinomata da essere a numero chiuso.
Taichi si era preparato tanto, grazie all’aiuto di Sora e alla sua volontà, ed era riuscito nell’intento.
La prese in braccio e la fece roteare su se stesso, sorridendo apertamente e facendo emergere la sua felicità.
La ragazza si sentì davvero contenta della notizia, ma un magone la stoppò quasi subito.
Il bambino.
Il bel ragazzo notò l’esitazione della giovane, così da fermarsi.
Assunse un’espressione confusa, non capiva perché stesse reagendo così.
 
-Sora, stai bene? Hai capito cosa ho detto?
 
La giovane capì che stava esitando anche troppo così, dopo aver cercato di mandare giù quel magone improvviso, sorrise con tutte le sue forze e gli occhi lucidi:
 
-Sono davvero fiera di te, Taichi! Entrare a Tokyo, è davvero un’impresa ardua! E tu ci sei riuscito! Non ho parole per descriverti quanto sono orgogliosa di te e quanto sono felice.
 
Concluse, non riuscendo a trattenere le lacrime.
Il giovane Yagami rimase un po’ scosso da quella sua reazione, così le prese il viso e cominciò ad asciugarle le lacrime con le dita, cercando di sorridere:
 
-Perché piangi? Io avevo immaginato una reazione diversa…
 
Si mise le mani in viso, appoggiandole sopra a quelle forti del ragazzo, sorridendogli a sua volta:
 
-Piango perché sono felice per te, ti meriti questo ed altro.
 
Anche il bel ragazzo accennò un sorriso, ma non era del tutto convinto, così la giovane donna di fronte si slanciò, circondando il suo collo e baciandolo, togliendogli il fiato.
Non ci volle molto per far ricambiare subito la stretta e il gesto a Taichi, che se la strinse a sé e cominciò a spingerla in una certa direzione.
Si staccarono un attimo, ridendo un poco, e riprendendo fiato.
 
-Era esattamente questo quello che mi ero immaginato.- disse facendola ridere e prendendola in braccio.
 
La baciò di nuovo, portandola in camera e chiudendo con un calcio la porta alle spalle.
La distese lentamente sul letto, facendo scendere la sua canottiera e cominciando a baciarla sul collo.
 
-Taichi..- lo chiamò lei, riprendendo ancora fiato.
 
Ma lui non rispose e continuò a riempirla di teneri baci.
Sora decise di chiamare la sua attenzione, e infilò le sue mani in mezzo alla sua folta chioma, attirando così il suo sguardo.
 
-Mia madre potrebbe tornare da un momento all’altro.- disse decisa.
 
In tutta risposta, il ragazzo sorrise e la baciò teneramente sulle labbra.
Vedendola confusa, avanzò subito spiegazioni:                                           
 
-Se avessi risposto ad una delle trenta telefonate che ti ho fatto, lo sapresti. Stasera tu e tua madre cenate da noi, e Toshiko è andata a fare la spesa con mia madre ed Hikari. Ci aspettano direttamente nel mio appartamento, poichè cucineranno insieme dopo.
 
Scosse la testa, ridendo.
Si alzò di un poco e spinse il viso del ragazzo contro il suo, per baciarlo di nuovo:
 
-Sei proprio un calcolatore.
 
Prima di continuare a baciarla, rise per la battuta.
Stava davvero bene in sua compagnia, la amava tanto, e non riusciva a pensare a nient’altro che lei.
Era tutto il suo mondo, avere Sora al suo fianco significava essere inevitabilmente felice.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Sora camminava lenta con in braccio il piccolo Shinici che nel frattempo si era addormentato.
Trascinava il trolley, ormai era abituata a fare certi sforzi.
Suo figlio la teneva in perenne forma, la faceva correre tutto il giorno e fare sollevamento pesi.
Al contrario di molte neo mamme, aveva ripreso la sua forma ideale subito, anzi, era anche più magra di prima, ma questo era stata colpa anche dello stress universitario e delle sue perenni preoccupazioni.
Prese l’ascensore per arrivare a destinazione e ,con l’aumentare dei piani, saliva anche la tensione.
Avrebbe rivisto la madre, dopo tutti quegli anni.
L’aveva lasciata così, senza dirle di preciso dove sarebbe andata, con una sola chiamata da una cabina telefonica.
Pioveva quel giorno e Sora era in lacrime.
Quando Toshiko rispose, le chiese arrabbiata dove fosse, era sparita dalla mattina senza dare notizie né a lei, né a Taichi.
L’unica risposta che diede fu: “Me ne vado per un po’, mamma. Tornerò, non venite a cercarmi.”
Quella breve frase doveva riassumere il tutto.
Spaccò in due il cuore della giovane donna, che cercò di denunciarne la scomparsa ma Sora era maggiorenne e se aveva deciso di andarsene di testa sua, loro non potevano far niente.
Si aprirono le porte dell’ascensore e la ragazza, assieme a suo figlio, uscirono per trovarsi poi sul piano della loro meta.
Avanzò, leggendo i campanelli e finalmente lo trovò.
Toshiko Takenouchi.
Prese il respiro, era sicura di trovarla, la zia Harumi le aveva dato tutte le dritte, d’altronde era stata proprio lei a dirle che la madre aveva cambiato appartamento.
Suonò, ormai non poteva scappare.
E poi l’aveva promesso alla sua salvatrice.
L’ansia le stringeva il cuore e la gola.
Non sapeva come reagire, ma doveva  trattenere le lacrime e sapere che non sarebbe stato per niente facile.
Ecco, la porta si stava aprendo.
Davanti a lei si presentò una bella donna, dai capelli castani e raccolti, che non appena la vide, cambiò il suo sguardo color nocciola da sereno e tranquillo a qualcosa di indecifrabile.
Stettero in silenzio, ora erano una di fronte all’altra.
La mano della signora si era congelata sulla maniglia, come si era letteralmente fermato anche il suo respiro.
Era il momento, doveva mostrare di essere forte, la parola spettava a lei, non di certo alla sua povera madre.
 
-Ciao, mamma.
 
Salutò con tutta la calma che poteva esserci, causando il tremore degli occhi della donna di fronte ,che, a sua volta, si mise la mano sulla bocca.
Quella bellissima ragazza, era sua figlia.
 
-Sora..
 
Cominciò ad osservarla meglio, notò il bimbo sulle braccia, addormentato e il trolley al suo fianco.
Il viso della madre cominciò a farsi rosso, un misto tra rabbia e dolore.
Ma Sora doveva entrare in casa prima che si scatenasse il tutto, così chiese il permesso di entrare.
 
-Mamma, ti prego fammi entrare.
 
-Torni, torni all’improvviso dopo che sei fuggita di casa e pretendi anche che ti apra la porta?!
 
Quasi urlò, stava sull’orlo di un pianto, ma la giovane doveva entrare, anche solo per un attimo.
Doveva.
 
-Mamma, ti prego, solo per un attimo. Almeno nessuno ci sente urlare…
 
Sora sapeva che la madre odiava farsi sentire dai vicini e i pettegolezzi, sapeva come incalzarla e infatti la fece passare, chiudendo subito la porta.
Dopo aver osservato velocemente l’appartamento, la giovane madre si diresse verso il salone, poggiando delicatamente il figlio sopra al divano e accarezzandolo teneramente.
Toshiko assistette alla dolce scena, ma non si intenerì nemmeno un po’, anzi.
Non appena vide tutto quell’affetto nei confronti di quel bambino, un’ulteriore ansia e rabbia le salì fino ai capelli.
 
-Chi è quel bambino, Sora? Cosa ci fa con te?
 
La figlia continuò ad accarezzarlo mentre lo vedeva dormire beatamente.
Era davvero un amore quell’angioletto.
Ma aveva intuito il tono nervoso della madre, così, dopo un respiro, si sbrigò a rispondere:
 
-E’ tuo nipote, mamma.
 
Toshiko indietreggiò, scossa del tutto.
Non solo aveva appena incontrato la figlia dopo tutti quegli anni, ma si era presentata con un bambino.
 
-E’ mio figlio.
 
Sora precisò ancora, per evitare ulteriori domande di conferma.
Non sentendo risposta, neanche un urlo, si voltò a guardarla e ora si che vide quello che si aspettava: la rabbia e l’odio nei suoi confronti.
 
-Tuo figlio?! Ti presenti qui, dopo sei anni, con un bambino?! Ma cosa hai in mente?! Sei impazzita del tutto?! E di chi è questo figlio?! Non hai un minimo di rispetto nei confronti di Taichi?!!
 
La sfuriata era appena iniziata, ma era normale, era tutto calcolato, come era compreso il dolore di quelle acute parole.
 
-Taichi è stato malissimo, per una stupida come te! Ti amava, ti ha sempre amato con tutto se stesso, tanto da studiare notte e giorno ed entrare in quella diavolo di facoltà privata e costosa solo per sentirsi dire da te che ne eri orgogliosa! E ora che fai? Torni con un figlio? Con che coraggio sei venuta da me?
 
Si era promessa di non piangere, ma faceva più male del previsto e non riuscì a trattenere quelle enormi lacrime che cominciarono a solcarle il viso.
 
-Io amo Taichi come se fosse un figlio, mi è stato sempre accanto in questi anni, al contrario di te! Mi ha fatto sentire ancora utile in questa vita! Lo considero mio figlio più di quanto consideri te! Mi hai abbandonata, Sora! Mi hai abbandonata letteralmente! Hai tradito la mia fiducia, hai spezzato il cuore di quel povero ragazzo, e straziato i cuori di tutta la sua famiglia che ti consideravano parte integrante della loro. E ora, sei venuta qui, a darci il colpo di grazia con un figlio di non si sa chi!
 
-Posso spiegarti, mamma…- fece con voce rotta e cercando di asciugarsi le lacrime.
 
-Cosa vuoi che mi importi delle tue spiegazioni? Dopo sei anni non valgono a nulla. Ti voglio fuori dalla mia casa, sia te che quel bambino! Mai farò un torto simile alla famiglia Yagami, mai!
 
Cominciò a singhiozzare molto forte, segno che il suo cuore si stava facendo in mille pezzi.
 
-Ti prego, voglio parlati, voglio spiegarti..
 
-Vai fuori dalla mia casa!-urlò furibonda e con le lacrime piene di rabbia.
 
Non l’aveva mai vista così, in vita sua.
Toshiko stava prendendo il respiro, piano piano.
Non c’era verso, doveva andarsene, la sfuriata della madre era stata peggio del previsto.
Si chinò di più verso il bambino e lo baciò in fronte sussurrandogli e scuotendolo un poco:
 
-Shinichi, amore della mamma, sveglia, dobbiamo andare.
 
Il piccolo aprì gli occhi lentamente, strofinandoseli poco dopo e sorridendo apertamente appena vide il bellissimo viso di sua madre.
 
-Mamma…- sussurrò prima di abbracciarla.
 
-Dai, alzati piccolo. Non ce la faccio a portarti ancora in braccio.
 
Una volta in piedi, si guardò intorno confuso, non sapendo dove fosse.
Incrociò lo sguardo indecifrabile di una donna, poco distante da lui e, spaventandosi un poco, strinse la gonna del vestito della mamma.
Sora non poteva parlare, la madre le avrebbe urlato anche di fronte al suo bambino.
Così, se non poteva aprire bocca, c’era solo una cosa che poteva fare per farle conoscere indirettamente la verità.
 
-Shinichi, sciogliti il codino, tesoro.
 
La guardò, felice per quello che aveva detto:
 
-Davvero, mamma? Posso?!
 
Lei annuì, sorridendogli radiosamente e mettendogli una mano sopra alla testa.
Non se lo fece ripetere, e lo tolse immediatamente.
 
-Finalmente, mi tirava tanto il laccio, mamma!
 
Non appena sciolse la coda, la giovane Takenouchi gli scompigliò i capelli, e , quando ritrasse la mano, davanti a Toshiko si presentò un bellissimo bambino dalla folta chioma dorata.
Alla visione di quella creatura, da quei capelli indomabili, la madre di Sora cadde in ginocchio, letteralmente scandalizzata.
Era la sua copia, la signora lo aveva visto crescere assieme a sua figlia e poteva metterci una mano sul fuoco, era la copia di Taichi.
 
-Andiamo, tesoro?- propose lei prendendolo per mano.
 
-Si, ma dove? Non dovevamo andare dalla nonna?- chiese innocentemente accettando la presa.
 
La giovane Takenouchi posò il suo tenero sguardo sulla madre, che aveva cominciato a piangere silenziosamente.
Non era venuta ad Odaiba per mentire, stavolta era venuta solo per dire la verità.
 
-Tua nonna è li, Shinichi. Purtroppo, ora ha da fare e dobbiamo andare, però salutala prima di uscire.
 
-Nonna? Nonna!- esclamò ingenuamente il bambino, sciogliendo la presa con la madre e saltando addosso alla donna di fronte a loro.
 
Toshiko rimase per l’ennesima volta sotto shock e , non appena il bimbo l’abbracciò calorosamente, scoppiò in un pianto quasi isterico, come se si stesse liberando di un’enorme peso.
Ovviamente, il pargoletto voleva voltarsi verso la donna per vedere cosa le stava accadendo, ma lei lo strinse forte per non far vedere il suo stato e cercò subito di calmarsi.
Non appena vide che la madre aveva accettato suo figlio con quel gesto, a Sora cominciò a bruciarle gliocchi per la commozione.
Non ci sperava più, decisamente, ma non era detta ancora l’ultima parola, doveva rimanere in guardia e reggere la situazione con forza.
Se tutto sarebbe andato bene, poi avrebbe dovuto affrontare momenti peggiori, ossia gli amici ma soprattutto Taichi e la sua famiglia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La sera erano tutti a cena a casa Yagami.
L’aria era piena di felicità e di risate, come in ogni incontro.
La famiglia di Taichi e di Hikari era sempre energica e piena di vita, tirava su qualsiasi persona, anche la più triste.
Sora riuscì a non pensare alla sua visita del pomeriggio quella sera, grazie alle battute di Susumo sul cibo cotto dalla moglie e agli insulti scherzosi dei figli.
Anche la mamma di Sora rideva di gusto, erano i suoi migliori amici e si conoscevano da una vita.
Quella a casa di Yagami ormai era diventata una riunione abituale di famiglia.
Da quando entrambe le parti avevano saputo che i rispettivi figli avevano finalmente formato una coppia fissa, come da sempre speravano, non si erano mai fatti mancare un incontro del genere.
La famiglia per loro era tutto, e doveva essere unita il più possibile.
Era inevitabile, però, che l’argomento principale della serata sarebbe stato il gran successo di Taichi: i suoi genitori, assieme a Toshiko, ne erano davvero fieri e felici.
Sapevano che il ragazzo si era impegnato tanto e avevano incrociato le dita fino a quel giorno, e finalmente ciò che si meritava era arrivato.
Hikari ne era fiera, suo fratello, grazie all’aiuto di Sora, era migliorato molto a livello scolastico e passare il test per entrare in quell’università prestigiosa era davvero un’impresa difficile, ma il suo grande fratellone ce l’aveva fatta.
 
-Mio figlio diventerà ingegnere! Ma ve lo immaginate?? Non ci avrei mai sperato!- esclamò quasi commossa la signora Yagami mentre stava per far scivolare un piatto per terra.
 
La figlia ,prontamente, salvò l’oggetto e sorrise a sua volta:
 
-Hai ragione, mamma. Non ce lo vedo proprio!
 
A quelle parole, Taichi si offese un poco, incrociando le braccia e alzando il sopracciglio:
 
-Ma che vorreste dire, scusate? Mi state trattando da somaro!
 
-Bè, dai, figliolo, bisogna ammettere che è tutto merito della nostra Sora!- esclamò Susumo, fiero della figlia acquisita e appoggiandole una mano sulla spalla.
 
L’interessata arrossì un poco, poi voltò la sua attenzione sull’uomo che amava e gli prese la mano, stringendola:
 
-Io non ho fatto quasi niente, Susumo. Il merito è solo suo. Ha grandi capacità, arriverà in alto.
 
Taichi le dedicò un radioso sorriso, per poi baciarla sulla tempia come ringraziamento.
 
-Bè, certo, ci vogliono molti soldi, le rate sono alte, poi i libri, il treno… ma vedrai,figliolo, ce la faremo! Abbiamo messo i soldi da parte!
 
Mentre l’intera famiglia continuava a parlare entusiasta del loro bel ragazzo, Sora si ammutolì.
E’ vero, quell’università era davvero cara e la famiglia Yagami avrebbe dovuto fare un bel po’ di sacrifici.
Inevitabilmente, le venne in testa la sua gravidanza.
Non aveva dubbi a proposito, quella notizia avrebbe distrutto tutto il futuro di Taichi e le speranze dei genitori.
Il suo Taichi, l’uomo che amava con tutta se stessa, era riuscito ad arrivare così in alto e lei si sentiva orgogliosa di lui, il cuore le voleva scoppiare di felicità.
Ma, allo stesso tempo, sentiva qualcosa che impediva questo scoppio, un’angoscia che si tramutava sempre più in agonia.
Era sicura che Taichi, dopo un primo sbalordimento iniziale, non avrebbe esitato ad accettare il loro bambino, ne era certa, lui lo avrebbe voluto e sarebbe stato, anche se giovane, da subito un buon padre.
Ma questo, gli avrebbe costato i suoi sogni e il suo futuro , che comunque si mostrava glorioso.
E allora, che fare? Sora non voleva abortire, ma ora più che mai, nemmeno voleva riferirgli una cosa del genere.
Mentre i dubbi la stavano pian piano divorando, si accorse che le due donne di casa avevano cambiato discorso.
L’orecchio si allungò non appena percepì l’argomento.
Sembrava che stesse accadendo proprio apposta una cosa del genere.
D’altronde, piove sempre sul bagnato.
 
-Si, non puoi capire! Quando l’ho saputo ci sono rimasta davvero male! A soli diciassette anni poi, davvero da irresponsabili!- esclamò Yuuko.
 
-Hai proprio ragione, amica mia. Ma io dico, sei una ragazza così giovane, fai ancora la scuola, e fa attenzione! Come si fa a rimanere incinta così presto!? Anche il ragazzo deve essere stato senza coscienza! Se ne sentono di tutti i colori.
 
A Sora le si fermò il cuore.
Tra tanti giorni, proprio quella sera le due signore si erano messe a parlare di certe cose, la vita era davvero assurda.
 
-Ovviamente i genitori quando l’hanno saputo si sono arrabbiati e hanno messo subito le cose in chiaro: i figli li devono mantenere loro, quindi ora il ragazzo deve trovarsi anche un lavoro dopo la scuola! Con questi tempi, mica quei poveri genitori possono badare anche alle loro spese! Certo, li aiuteranno, senza dubbio, ma la loro irresponsabilità deve essere recuperata subito. Avere un bambino non è semplice, anzi!
 
Alla povera giovane Takenouchi cominciarono a sudare le mani, questa non ci voleva, non voleva sapere cosa pensasse Yuuko a riguardo, un po’ se lo immaginava ma preferiva sentirselo dire dopo che avrebbe avuto il coraggio di annunciare la notizia.
Ma ora, era completamente spiazzata.
Sentire quei discorsi dalle sue due madri era stata come se una bomba le fosse scoppiata nel petto.
Già aveva le nausee per la sua gravidanza, e ora le sentiva ancora più acute.
Taichi si accorse presto dello stato pallido e strano della sua amata, così la svegliò dolcemente dai suoi pensieri cingendole una mano sopra alle spalle e avvicinandola a lui.
Le alzò il viso delicatamente con un dito e le diede un delicato bacio sulle labbra, facendola sorridere un poco.
 
-Che c’è, Sora? Sei strana.- chiese diretto, guardandola dritta negli occhi.
 
Il suo sguardo nocciola era maledettamente bello, ogni volta riusciva ad affascinarla.
 
-Niente, Taichi. Non mi sento bene, non ho ancora digerito.
 
-Questa è colpa delle brodaglie di mamma, di sicuro! Te l’avevamo detto di non mangiarle,Sora!!- esclamò la giovane Hikari che, nel frattempo, si era alzata e aveva abbracciato da dietro la sua amata amica.
 
Per quel gesto, aveva spostato il fratello, che, puntualmente, si arrabbiava con la sorellina:
 
-Hikari, stavo cercando un po’ di intimità con la mia ragazza! Quindi lasciamela!
 
Risero entrambe sia alla sua faccia che alle sue parole, ma Sora strinse le mani della ragazzina per farle capire di non mollare la presa.
 
-Appunto, fratellone, le stai perennemente addosso! Lasciala un pochino anche per noi! Anche perché alla fine sei pesante, poi ti lascerà!
 
E,puntualmente, andava a finire come al solito: i due fratelli cominciarono a rincorrersi per l’appartamento , ridendo e minacciandosi scherzosamente, facendo ridere i presenti.
Anche Sora rise, ma solo superficialmente.
Dentro, stava morendo lentamente.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Erano passate un paio d’ore da quando Sora era arrivata all’appartamento della madre.
Toshiko, dopo aver conosciuto il nipote, si era convinta a farla rimanere a casa per il momento.
Per fortuna, Shinichi si era addormentato e ora le due Takenouchi erano seduta l’una di fronte all’altra in cucina.
Regnava il silenzio, ma si poteva ben percepire non solo la tensione, ma soprattutto il dolore nei cuori delle due donne.
Sei anni, ben sei anni erano passati e Sora non si era mai fatta sentire.
La madre aveva tutte le ragioni del mondo per avercela con lei, assolutamente su questo non vi erano dubbi.
Sora aveva sbagliato, ma il suo comportamento era stato dettato da dei validi motivi e, naturalmente, dalla paura di una giovane ragazza.
La fanciulla non riusciva a guardare Toshiko negli occhi, si vergognava troppo.
L’aveva lasciata completamente sola, da quando si era divorziata con suo padre, erano rimaste solo loro due in casa.
Per Shinichi e per non far girare troppe voci, aveva deciso di andarsene ,sapendo che le avrebbe spaccato il cuore.
Per questo, se Toshiko avrebbe deciso di non perdonarla e cacciarla fuori dalla sua nuova dimora, lei non avrebbe detto una sola parola.
Le tornò in mente la sua salvatrice e le sue raccomandazioni, stava sbagliando di nuovo, era lei che doveva parlare e avere il coraggio di farsi avanti.
Non doveva aspettare nessuno, lei era sparita e lei doveva dare spiegazioni.
 
-Mamma…- la chiamò dopo essersi schiarita la voce.
 
Toshiko le prestò subito attenzione.
Sora non sapeva da dove iniziare, se da quel giorno o direttamente da un altro punto.
Non si rese conto, ma passarono un po’ di minuti, al che la signora esordì:
 
-E’ davvero splendido, Shinichi.
 
Quelle poche parole, quella breve frase ebbe un effetto devastante sull’esile ragazza.
Sentì una forte scossa partire dallo stomaco e trasformarsi velocemente in dolore, che arrivò subito al cuore.
Non appena la scossa arrivò in prossimità del cuore, lo sentì quasi infrangersi.
Tutto si sarebbe aspettata, ma non quelle parole.
Pensava che cominciasse con qualche insulto, o un’altra scenata, invece pronunciò quella frase anche con un altro tono, calmo e materno.
No, non ce la poteva fare, era troppo, così scoppiò in un pianto isterico, allungandosi sopra al tavolo e stringendosi il petto per il dolore.
Non riusciva neanche a trattenere i singhiozzi, che erano così forti che quasi rimbombavano per tutta la stanza.
Toshiko cominciò a piangere silenziosamente alla scena, la figlia era evidentemente distrutta, ma non se la sentiva di abbracciarla, non ancora.
Gliel’aveva fatta troppo grossa.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La notte non aveva chiuso occhio e aveva pianto fino all’ultima lacrima.
Le tornavano in mente le parole di Yuuko e di Toshiko, le si proiettava l’ipotetica e probabile scena futura di quando lo avrebbe annunciato, le voci e gli sguardi dei vicini e di tutta Odaiba.
Lei sarebbe entrata a far parte di quella categoria, “ragazze madre”, chiamate anche per i superficiali e i pettegoli “irresponsabili”, “incoscienti”, “stupide”.
A trascinarsi con lei alla deriva, ci sarebbe stato inevitabilmente il suo amore, Taichi.
Avrebbero distrutto la sua persona, la sua figura, e anche il suo futuro.
Già, il futuro del suo Taichi, sarebbe stato lacerato in un secondo.
 
“Egoista, Sora, sei un’egoista.”
 
Si era ripetuta questo insulto un miliardo di volte.
Perché doveva rovinare così la persona che amava con tutta se stessa? Perché?
Lo amava, avrebbe fatto qualsiasi cosa per renderlo felice,  ma la strada della felicità non è rettilinea, ma piena di curve, tornanti e salite.
Ragionò tutta la notte su cosa fosse meglio fare, tra attacchi di panico, di ansia, crisi di pianto.
Ma il suo fidanzato in quegli anni di storia aveva trasmesso un valore importante alla sua donna, ossia il coraggio, il coraggio di alzarsi sempre in piedi.
Una soluzione ci sarebbe stata, inevitabilmente con aspetti negativi, perciò non doveva piangersi addosso.
Tra le peggiori scelte, doveva valutare quella che poi avrebbe giovato di più ad entrambi, o meglio, a Taichi e al suo bambino.
E alle loro famiglie.
Sacrifici, ecco cosa doveva cominciare a fare, sacrifici.
Già da quella giovane età, si stava per battere con delle imprese che sembravano più grandi di lei, ma non doveva avere paura, doveva avere il coraggio del suo uomo.
Rischiare, la vita è fatta di rischi e anche quelli ne avrebbe corsi tanti.
Per la felicità di chi amava, avrebbe rischiato di lacerare se stessa, ma non importava.
La vera cosa importante era che loro, potevano essere felici.
Così, le venne in mente l’unica  cosa che poteva fare, e anche l’unica persona a cui poteva rivolgersi.
Toshiko, in realtà, aveva una sorella minore, Harumi, che però fuggì da Odaiba via da casa non appena finì le superiori.
Voleva girare il mondo, non voleva ereditare con la sorella la scuola di giardinaggio di famiglia, non ne era mai stata interessata.
Era ribelle e vivace, fece infuriare tutta la sua famiglia, compresa Toshiko.
Con il tempo, però, riuscirono a far pace, e all’inizio, dopo la nascita di Sora, veniva a trovare la sorella e lei, quando poteva.
Harumi adorava sua nipote e viceversa, si sentivano spesso tramite mail, ma era difficile rintracciare la zia, poiché ogni anno si spostava e cambiava meta.
Non riferiva alcuno spostamento neanche alla sorella, era stata abituata così poiché all’inizio sapeva che Toshiko avrebbe riferito ogni sua mossa ai genitori e, anche dopo la loro morte, si abituò a rimanere incognita.
La signora Takenouchi ci litigava spesso ed era convinta che Sora non la sentisse più da anni e anni ormai, invece Harumi adorava a tal punto la nipote che era riuscita a farsi convincere di rimanere in contatto segreto con lei.
Sora voleva sentirla spesso, anche perché, siccome le voleva un bene immenso, aveva paura che se le sarebbe successo  qualcosa poi loro non ne sarebbero venute a conoscenza.
Harumi, a quella motivazione, si sciolse completamente e accettò la proposta della nipote a patto che non dicesse nulla a Toshiko.
Questa zia, un po’ strana e pazza, era stata la prima persona che venne in mente a Sora, solo lei aveva le carte in regola per aiutarla.
Quella mattina presto, la ragazza dai capelli ramati riprese l’ultimo numero di telefono che sua zia le aveva scritto e, sperando con tutta se stessa che non lo avesse cambiato, chiamò.
 
-Sora?!Come mai mi chiami? Di solito mi mandi delle mail! E’ successo qualcosa? Tua madre come sta?- chiese abbastanza preoccupata.
 
-Zia... attualmente dove ti trovi? Sei ancora in Canada?
 
Harumi esitò un secondo, cercando di capire il perchè di quella chiamata, ma allo stesso tempo comprese che forse, se avrebbe risposto pian piano alle domande della nipote, lo avrebbe scoperto presto.
 
-No, tesoro, ormai mi sono stabilita in California con John, ci troviamo molto bene qui...
 
Aspettò la risposta di Sora, ma la sentì singhiozzare.
Al che, la pazza zia cominciò a preoccuparsi seriamente, ma prima che potesse chiederle di nuovo qualcosa, la giovane avanzò:
 
-Mi hai sempre detto che se mai avessi avuto bisogno di un consiglio o di un aiuto... mi avresti aiutata senza esitare... ricordo che addirittura mi dicesti che avresti fatto di tutto per rendermi felice... lo pensi ancora, zia?
 
Harumi riusciva a percepire la sua voce rotta ma anche il suo basso tono, evidentemente per non farsi sentire.
Ormai ne era certa, era successo qualcosa di grave e, cercando di mettere da parte l’ansia che l’avvolgeva, rispose:
 
-Certo Sora, per te qualsiasi cosa...
 
Era la frase che aveva sperato di sentire in quel momento, così, una volta che risprese fiato, disse decisa e fredda:
 
-Allora, fammi sparire dal Giappone, fammi venire da te.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-Ne siete davvero sicuri? Era lei?
 
Yuuko camminava su e giù per la cucina, non lasciando gli occhi di dosso dai suoi due figli.
Taichi era seduto sul divano e fissava inespressivo un punto indefinito del pavimento.
Era esplicitamente distrutto, i suoi occhi erano rossi e stanchi, e il viso pallido.
Hikari, dopo averlo guardato di nuovo, annuì verso la madre, che di conseguenza mise una mano davanti alla bocca, sconvolta.
Susumo Yagami si schiarì la voce, per poi alzarsi dalla sedia della cucina e avvicinarsi alla moglie:
 
-Bè.. sono abbastanza confuso e scosso ma... non capisco... è sempre stata quì? Non l’abbiamo mai vista per tutti questi sei anni.
 
Yamato, che era seduto al fianco dell’amico, si passò una mano fra i suoi biondi capelli e, dopo aver dato un’occhiata anche lui al ragazzo castano, disse:
 
-Nessuno ha un’idea, nessuno se lo spiega, nessuno sa, sicuramente neanche Toshiko. D’altronde come possiamo saperlo visto che se ne è andata via da quì con altrettanto mistero?
 
La voce del biondo era abbastanza nervosa.
Neanche lui aveva preso bene il gesto di Sora, ed era quello che aveva preso l’avvenimento con più rabbia, criticando, di conseguenza, amaramente ciò che la ragazza aveva fatto.
Mimi, seduta vicino al tavolo della cucina, lo guardò quasi contrariata: nonostante tutto, lei non era mai riuscita ad andarle contro.
La conosceva bene, sapeva che se aveva fatto qualcosa del genere era per un motivo valido.
Sora non era pazza, nè una poco di buono.
Ma l’idea che dominava la testa di tutti era proprio quella di un nuovo compagno con cui aveva costruito una vita in quegli anni.
E tutto questo lacerava ancora una volta i frammenti del cuore di Taichi.
 
-Ma lei.. lei quando ci ha visti...- cominciò a parlare Mimi-.. insomma, voleva venire verso di noi, ma si è intimorita quando siete fuggiti via...
 
-Mimi per favore, fattela finita!- sbottò Yamato.
 
-Quanti anni poteva avere quel bimbo?-cercò di sviare Susumo, per evitare una lite.
 
Si guardarono tutti, eccetto il bel prescelto del coraggio, che rimase ancora a scrutare il pavimento.
 
-Era davvero un bambino sveglio, parlava davvero bene, sicuramente tra i 4 e i 5 anni...- ragionò prontamente il giovane Ishida.
 
Rimasero di nuovo tutti in silenzio, pensando così anche al fatto che Sora poteva aver avuto una relazione con un altro uomo non tanto tempo dopo averli lasciati.
Ma Taichi in quel momento aveva focalizzato solo una figura in testa, lei, solamente lei, con quel suo bel sorriso che non aveva mai dimenticato, con quei suoi dolci lineamenti, con quella sua delicatezza, purezza, semplicità che la rendevano unica e affascinante. Era diventata splendida, più bella di quanto lo fosse anni prima. E lui lo sapeva, ne era certo, perchè la figura della sua Sora di sei anni prima non l’aveva mai cancellata dalla sua mente.
 
 
 
 
 
 
 
Nel frattempo, in casa Takenouchi era scoppiata una lite.
Un litigio tra le due donne, con toni di voce moderati per non svegliare il piccolo Shinichi.
Scoppiò nel momento in cui Toshiko chiese alla figlia come aveva fatto a sparire così.
Sua sorella Harumi, che assecondò la volontà della nipote, aveva comprato il biglietto aereo a Sora, usufruendo della procedura online della compagnia, e glielo aveva così spedito per mail, così che la fanciulla dovette solo stamparlo.
Quando la signora Takenouchi apprese che la complice era sua sorella, andò su tutte le furie.
Harumi non aveva neanche tentato di convincere Sora a farla rimanere, di trovare un’altra soluzione, poichè, dopo aver sentito le ragioni , a suo parere, valide della nipote, si era mobilitata immediatamente a farle avere ciò che le serviva, non badando ai prezzi aerei.
In meno di una settimana, grazie all’aiuto della donna, riuscì a partire.
In tutti quegli anni, Sora aveva vissuto con lei e il suo compagno, John, un simpatico metallaro.
Aveva, così, eseguito e terminato i suoi studi in ingegneria civile all’università della California.
Si era fatta in due, aveva cercato di non rimanere indietro nonostante la gravidanza, e allo stesso tempo, era riuscita a creare un equilibrio tra il tempo dell’università e quello da dedicare al proprio figlio.
Non lo aveva mai trascurato, lui veniva sempre prima di ogni cosa, anche dello studio, e talvolta, per questo, Sora dovette passare delle notti in bianco per fare entrambe le cose.
Ovviamente, per come era fatta la giovane, sentendosi già in colpa per aver usufruito della generosità della zia, trovò un lavoro a casa riguardante proprio il suo settore.
Degli studi le affidavano  elaborati progettuali e grafici, ricostruzioni di piante e sezioni di edifici, lavoretti molto pratici che poteva benissimo svolgere a casa.
Nessuno poteva capire quanto avesse dovuto soffrire e sacricarsi, solo Harumi e John l’avevano vista in quel periodo e solo loro potevano capire cosa aveva passato.
Infatti, Toshiko non volle neanche sapere della vita fatta li in California, quasi che neanche le interessasse che si fosse laureata a pieni voti, era davvero furibonda:
 
-Tu hai preso tutto da lei! Sei completamente uscita di senno! Con il tuo gesto hai spezzato la vita e il cuore di dieci o più persone! Hai preferito chiedere aiuto a lei che a tua madre!!! Ad una squilibrata come lei!
 
-Non riesci a capire il motivo di tutto ciò, mamma! L’ho fatto solamente per voi! Sarei tornata nel momento giusto! Nel momento in cui sarei stata certa che Taichi avesse raggiunto ciò che si meritava!
 
Toshiko si alzò dalla sedia, con le lascrime agli occhi:
 
-Lui non merita te! Non merita una stupida e incosciente come te! Tu non puoi capire come lo hai ridotto! E non capisco come hai fatto ad essere cosi certa che avrebbe continuato gli studi! In quel periodo avrebbe rinunciato a qualsiasi cosa pur di cercarti! Non si sa per quale miracolo si è deciso lo stesso di frequentare l’università! Ma tu stavi davvero rovinando la vita di Taichi! E te lo assicuro che lo hai comunque fatto! Cosa credi, che se vede vostro figlio, lui dimentichi tutto ciò che ci hai fatto passare? Davvero ti ritieni così importante? Siamo andati avanti senza di te e possiamo ancora farlo! Ovviamente quel bambino non ha alcuna colpa! E lo accetteremo tutti! Ma tu... tu non credere che la passerai liscia!
 
Quelle parole, tutto quel discorso, la ferì di nuovo, enormemente, perchè in fondo sua madre aveva ragione. Aveva rischiato di rovinare comunque la vita del ragazzo che amava.
Vide Toshiko riprendere fiato, evidentemente non aveva finito.
 
-Io sono disposta ad offrirti la mia casa, che ovviamente non è più tua da tempo! Ma sappi che è solo per quella piccola creatura e solo perchè Shinichi è il figlio di Taichi! Lo faccio solo per quel caro ragazzo che mi è stato vicino, come fosse mio figlio! Ti do il tempo di trovarti un lavoro e di cominciare a guadagnare qualcosa, ma poi ti voglio fuori da casa mia! Credi di essere autonoma? Bè allora non hai capito proprio nulla! Sono anche fin troppo buona con te!
 
Sapeva che avrebbe reagito così e che non l’avrebbe più voluta a casa sua, l’aveva messo in conto, era normale, conosceva fin troppo bene sua madre.
Annuì, silenziosamente, mandando giù l’ennesimo magone.
Era consapevole che se avessero accettato il bambino, non avrebbero fatto lo stesso con lei.
Sarebbe rimasta sola, davanti a tutti coloro che per una ragione o un’altra la odiavano.
Avrebbe dovuto affrontare il tutto in silenzio, perchè loro avevano ragione, e lei aveva sbagliato. Ma nonostante ciò, sapeva di aver fatto la cosa migliore.
Si, ora lei era distrutta, avrebbe passato il resto della vita da sola,solo Shinichi, Harumi e John l’avrebbero amata.
Aveva perso tutto, ma da quando era nato suo figlio e lo aveva visto crescere, ringraziava ogni secondo il fatto di essere rimasta incinta e di aver creato un bambino del genere.
Shinichi era diventato la sua nuova vita e ora lei stava vivendo per renderlo felice, per assicurargli un futuro.
Per lui avrebbe affrontato qualsiasi cosa, come un’intera famiglia e un gruppo di amici pieni di odio.
Bastava un suo sorriso o un suo richiamo per farla sorridere.
E ora, voleva soltanto un’altra cosa da tutti loro, ossia che accettassero effettivamente l’esistenza di Shinichi.
Sopratutto lui, il suo Taichi.
Era il suo desiderio più grande.
 
-Devi organizzarmi un incontro con la famiglia Yagami.- affermò decisa e all’improvviso, guardando la madre dritta nei suoi occhi castano scuro.
A Toshiko le venne un colpo, ma nello stesso istante si impietrì: non aveva mai visto la figlia così decisa e con quello sguardo.
 
-Devo presentare mio figlio anche a loro.-concluse.
 
Sora pensava di dover combattere di più su questo argomento, invece Toshiko stranamente annuì in silenzio per poi dire:
 
-Dammi un giorno o due, il tempo di riprendermi.
 
Detto ciò, la madre lasciò la cucina, lasciando la figlia sola con se stessa.
Ebbene, la battaglia era appena iniziata.
 
 
 
NOTA DELL’AUTRICE
Salve a tutti, volevo specificare subito delle cose:
  1. L’idea di questa fanfiction è nata anni ed anni fa. Nel lontano 2009, dopo aver cominciato a leggere la storia dell’autrice reby (Breathlessly), ci tenevo a dirlo perchè effettivamente l’immagine di Sora con un figlio non dichiarato mi è venuta proprio leggendo la sua storia (e ci tenevo a specificarlo anche per il fatto che stimo moltissimo questa autrice e ho sempre sognato un suo ritorno in questa sezione), ovviamente, chi l’ha letta, vedrà che la mia storia è totalmente diversa. L’idea, quindi, è molto vecchia, ma settimane fa mi è successa questa cosa strana, ossia di sognarmi tutta la storia in una notte... così l’ho buttata giù e segue, di conseguenza, il punto 2 delle mie note.
  2. La storia è già conclusa e consiste in 4 capitoli. Molti mi conoscono perchè sono l’autrice di
    Unbreakable bond, sospesa anni fa per il famoso blocco della scrittrice e anche per la mia grande sfortuna (avevo scritto ben 70 pagine del nuovo capitolo, ma il computer è morto e ho perso tutto, demoralizzandomi ancora di più). Siccome la cosa che mi dispiace di più è lasciare i miei lettori in sospeso, mi sono promessa che semmai dovessi pubblicare qualcosa, bè lo farò solo quando sarò giunta ad una conclusione, come questa fanfiction che ho già finito.
  3. Aggiornerò ogni 4-5 giorni, il tempo di far leggere la mia storia.
  4. Per i lettori di Unbreakable bond: ho scritto questa fanfiction anche con la speranza che mi tornasse l’ispirazione per concluderla e spero di riuscire a farlo. Giuro che mi impegnerò, ma sicuramente dovrò cambiare tutto il capitolo (non riesco a scrivere due volte le stesse storie, anche per questo, dopo la perdita di tutti i dati, non sono riuscita a mettermi di nuovo sulla storia con impegno).
Dopo queste note, spero che la storia vi sia piaciuta o vi abbia interessato un poco!
Ci vediamo nei prossimi capitoli!
 
 
 
  
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