Una noticina unicamente per dire che le
ultime righe, quelle in cui parla Redha per intenderci, non sono opera mia ma
del mio amico del cuore e collaboratore di sempre, nonché impagabile beta,
Aphrodite dei Pesci, al quale mando un bacio immenso^*^
Allievo e maestro
In lui è Giustizia
Le onde… sento la loro carezza sulla mia pelle ormai prossima al
gelo eterno della morte, sento la schiuma gentile che si mischia al mio sangue,
portandolo in parte con sé, lontano… ma sì… che almeno il mio sangue diventi
fluido vitale per la terra, che il mare, magari, riesca a condurlo da lui, lo
rinvigorisca e gli porti il mio pensiero, il mio ultimo pensiero, tutto per
lui, per quel piccolo Santo dall’animo nobile… io gli ho insegnato a crescere,
a lottare, gli ho mostrato come far valere le sue immense potenzialità e lui,
in cambio, ha donato al mio spirito la sua nobiltà, quella nobiltà che nessuno
poteva insegnargli, perché lui è l’emblema stesso della nobiltà e io, solo io,
l’avevo capito… questo il mio maggior merito: averlo aiutato a guardarsi
dentro, a conoscersi… non mi sbagliavo, ancora adesso non mi sbaglio, ancora
adesso che sono stato condannato a sommaria giustizia, per accusa di tradimento,
io so dove sta Giustizia, io non mi pento, io so che Giustizia è lui! E dove
c’è Giustizia, regna
E così coraggio, figlio di cui sono tanto fiero, porta avanti
questo ideale nel quale nonostante tutto ancora credo, come credo in te; per
prestarvi fede io sto morendo… per prestarvi fede tu vivi e combatti come sai,
con il cuore più puro dell’intero universo, combatti versando le tue lacrime
preziose per l’avversario caduto, combatti con il tuo spirito di sacrificio per
un amico da salvare… ma non gettare questa tua vita così importante, perché lo
spirito dei giusti si mantenga vivo; tu devi portarlo avanti, tu devi
difenderlo, quindi vivi, vivi più a lungo che puoi, anche se non ti
risparmierai nulla, lo so.
Tuttavia lo sento, vivrai, offrirai più volte la vita sull’altare
della tua bontà, ma vivrai perché sarà il destino stesso a volerlo; è come se,
in questo momento in cui il filo sottile della mia esistenza si sta spezzando,
potessi vedere d’improvviso le cose più chiaramente che mai, come se potessi
comunicare a tu per tu con gli imperscrutabili misteri del tutto ed è come se
essi si rivelassero a me, come se mi confidassero la loro volontà… e vogliono
farti vivere per portare avanti l’immenso disegno del Bene, sei messaggero di
queste volontà superiori, tu, piccolo lumicino di incontaminata umiltà che
tanto ti sottovaluti, che tanta sicurezza di te devi ancora acquistare e forse
mai l’acquisterai del tutto. Non è nella tua natura la cinica boria del
guerriero che si sente onnipotente e proprio per questo più di tutti sei
grande, proprio per questo il mondo ha bisogno di te, l’intero universo ha
bisogno di te.
Sto morendo per te… no, non trovo giusto dire così, sto morendo
per me stesso, perché non ho voluto rinnegare ciò in cui ho sempre creduto; non
ho voluto tradire te ma, in primo luogo, non ho voluto tradire quegli ideali
nei quali ti ho insegnato a credere sempre, anche se in realtà non ne avevi
bisogno, non è stato difficile, già in te li avevi, pronti a rilucere nel tuo
cosmo possente quando finalmente hai deciso di liberarlo, tu che lo tenevi
celato per pudore e modestia… e perché un po’ lo temevi, temevi quel potere
latente che sentivi ardere in te, ti spaventava la sola idea di sciogliere i
suoi legami e lasciarlo andare, lasciarlo colpire, ferire, forse uccidere… hai
dovuto imparare a farlo, lo hai fatto. Non ero con te quando per la prima volta
hai ucciso ma credo di aver sentito l’urlo silenzioso del tuo cuore infranto,
la prima volta, come le successive, quel cuore fragile e forte che ogni volta
morirà insieme al nemico ucciso, morirà mille, infinite volte ma mai cambierà.
Perché tu non hai la capacità propria delle persone come noi, quella capacità
che permette al cuore di costruirsi intorno una corazza di pietra o ghiaccio,
con la quale proteggersi da ciò che lo fa soffrire… tu no, tu sei destinato a
soffrire e i miei occhi ora bruciano per le lacrime che, come le onde, si
confondono con il sangue ancora fresco sulla mia carne straziata.
Tu non sai figlio mio quali siano stati i miei tormenti quel
giorno in cui mi hai dato le spalle e ti sei allontanato verso il mare, verso
la vita che ti attendeva al di là dell’oceano; io più nulla avevo da
insegnarti, io rimanevo impassibile a seguire con lo sguardo i tuoi passi
sempre più distanti, la tua figura non di bambino, non di adulto, indefinibile,
bella e pura che svaniva all’orizzonte senza più voltarsi indietro, le tue
lacrime di commozione e gratitudine che si perdevano dietro di te, nell’aria
salmastra di questo deserto infuocato e bagnato dalle acque imbevute di sale.
Ancora sfrigolavano le rocce dietro di me e il bracciale della mia armatura,
mandati in frantumi da quel cosmo che hai voluto liberare per me, come dono di
ringraziamento, mentre io leggevo nei tuoi occhi il messaggio:
“Perdonami, maestro mio, se non ho esibito prima i risultati dei
tuoi insegnamenti, perdona se di questi risultati avevo paura e perdona se
tanto in ritardo voglio dimostrarti quale grande maestro sei stato per me e
quanto bene ti voglio.”
La tua onestà, la tua sincerità messa completamente a nudo con
me, una sincerità che neanche la tua timidezza può mettere a tacere… l’orgoglio
è traboccato nel mio cuore, in quell’istante ma già ero orgoglioso di te, fin
dalla prima volta in cui ti vidi, appena sbarcato su quest’isola plasmata dal
fuoco del sole e dal gelo della notte, appena riuscii a catturare i tuoi occhi,
sfuggenti e impauriti, occhi enormi e lucidi di lacrime di un bambino troppo
piccolo per andare incontro in quel modo al proprio destino, troppo piccolo
come tutti lo siamo stati ai nostri primi passi nell’universo della Dea, troppo
piccolo come tutti quei bambini che non sono riusciti a crescere, immolati da
una legge eccessivamente crudele ma inevitabile…
Tu sei cresciuto e ancora adesso non so se la tua sorte sia in
realtà stata meno dura ed impietosa ma hai voluto vivere, nessuno ti dava
speranza ma tu hai sconfitto tutti, moralmente. Io mai ti ho dato per vinto, lo
sai vero? Io mai ho dubitato del tuo cuore immenso che ti avrebbe portato ad
innalzarti al di sopra di ogni possente guerriero, mai, neanche quando mi
apparisti così indifeso, minuscolo, il volto arrossato per tutte le lacrime
piante durante quel viaggio che ti conduceva verso l’ignoto, ti conduceva da
me, verso il tuo destino di Saint.
Il tuo cuore è sempre stato come un libro aperto per me, mi era
così facile scorgere la tua immensa forza e mi era così difficile comprendere
perché gli altri non la vedessero, perché la mente umana è così ottusa, cieca,
incapace di superare i confini della sterile materia e leggere nel profondo,
individuare tutto ciò che può nascondersi nell’anima, quell’anima tanto grande
racchiusa in quel guscio delicato e fragile che tu eri allora… e tale un po’
sei rimasto, ma adesso sei in grado di dimostrare tu stesso cosa si cela in te,
di farti capire… basta che tu lo voglia.
Eppure, il tormento di quel giorno, nel quale ci siam detti
addio, quel giorno che ti ha visto spiccare il volo, tenero uccellino che a
detta di tutti era destinato a non imparare mai a volare e a spegnersi ancor
prima di poter compiere un tentativo, quel tormento è ancora un pizzico
fastidioso dentro di me perché vorrei essere al tuo fianco, per lenire i tuoi
momenti di sconforto, che verranno, innumerevoli e angosciosi a fiaccare le tue
convinzioni, vorrei che tu non dovessi soffrire così tanto mio dolce discepolo…
vorrei che nessuno dei miei allievi dovesse soffrire così tanto… vorrei non
aver visto morire nessuno di voi, vorrei non essere mai stato costretto a sottoporvi
a questa vita che vi porta alla morte, vorrei non aver visto agonizzare sotto i
miei occhi quei bambini massacrati da un addestramento alla guerra alla quale
io stesso ho dovuto sottoporli e adesso… vorrei non avervi visti morire, miei
discepoli, sotto i colpi di quei due uomini tanto più grandi e forti di voi,
uomini che non mi sento di colpevolizzare no, convinti come me di agire per il
meglio… come non sento di colpevolizzare te Shun.
Per questa strage avvenuta sotto i miei occhi, solo chi sta
dietro a tutto questo è colpevole… e forse neanche lui, forse solo le
ineluttabili leggi di un’esistenza così difficile da accettare…
Colpevole sono io che non ho saputo proteggervi; sì, sembra
ridicolo, io che vi ho sottoposti ad allenamenti impietosi, io mi sono sentito
come un padre incapace di salvare le vite dei miei figli dispersi nella
tempesta di quest’isola che volava in pezzi… e ora non so neanche chi di voi si
è salvato, non so se qualcuno di voi si è salvato.
La mia mente annebbiata rammenta qualche fugace immagine… i
vostri cadaveri sparsi intorno a me, quattro di voi ancora in piedi e io che vi
incitavo a fuggire, cercando di coprirvi come meglio potevo… Redha, Spica,
June, Heather… ce l’avete fatta? Vi siete salvati? Sono destinato a morire
senza certezza di ciò.
Redha, se ancora sei vivo, come spero, ti supplico… non cercare
vendetta su chi non lo merita, fai sì che Shun non diventi il capro espiatorio
di questo massacro; accetto tutto, accetto il ruolo che ho avuto in questa mia
vita, accetto tutta l’angoscia che da esso deriva, accetto la mia morte, posso
anche arrivare ad accettare, con sofferenza immane, la morte di tutti voi… ma
di una cosa non sarei mai in grado di farmi una ragione: che un sentimento
d’odio reciproco travolgesse voi, i miei allievi che amo come figli.
Quando per la prima volta vidi quell’odio che tanto temo nei tuoi
occhi, Redha? Quando il tuo spirito focoso ha lasciato definitivamente
prevalere la rabbia cieca sull’affetto sincero che tutti vi legava, al di là di
litigi e ripicche? Quando ogni traccia di quell’affetto è svanita nella
tempesta caotica del tuo sguardo corroso dal tormento?
La prima volta… quella volta nella quale il mio cuore si è
stretto nel vederti respingere con insopprimibile astio il gesto d’amicizia di
Shun, dopo che egli ti aveva sconfitto, dopo che tu ti sei reso conto, di
colpo, che non era legata alla tua sorte l’armatura di Andromeda… da quel
momento tutto è cambiato, non è vero Redha? L’invidia ha prevalso sulla tua
capacità di amare ma non lasciare che essa ti travolga, sii più forte di ogni
sentimento negativo, puoi farlo perché io ho fede in te, come ne ho in tutti
voi, io so che tu sei forte e che puoi superare l’odio che adesso ti sembra di
non poter fugare dal tuo animo!
Sì, quello stesso odio che ti ha spinto a pronunciare amare
parole, in seguito alla partenza di Shun, quando vi parlai della lettera giunta
dal Santuario che mi imponeva di consegnare il traditore e salvare me stesso e
tutti voi dalla medesima accusa di tradimento; non lo volli fare, avevo fede in
Shun, ho fede in Shun e da troppo tempo, ormai, i dubbi si erano accumulati su
altri dubbi, troppe inquietanti notizie legati alla somma sede della Dea erano
giunte alle mie orecchie e allo stesso modo avevo saputo della presunta Dea rifugiata
in Giappone… perché? Cos’è realmente accaduto non lo sapevo, ancora adesso non
lo posso sapere ma di una cosa sono venuto a conoscenza: Shun si era schierato…
e io non potevo venderlo al Santuario perché in lui ho fede, sentivo con immane
certezza che tradendo lui avrei tradito me stesso e tutto ciò in cui credo e in
cui vi ho insegnato a credere… questa la mia unica certezza che tu, Redha, non
hai accettato.
A rivelarmelo è stato lo sguardo di quel giorno, quell’occhiata
che non hai osato rivolgere a me ma che hai puntato sul lontano orizzonte,
scagliando contro esso i dardi della tua furia cieca e, poche ore dopo, la lite
cui assistei, non visto: tu e Spica, la cui incapacità di formulare un’idea o
un pensiero che non fosse da te plasmato, mi ha sempre impedito di conoscere
quale mondo realmente egli abbia in sé, fronteggiavate le vostre compagne, le
due sorelle, uniche ragazze tra tanti giovani adolescenti, coloro che non oso
chiamare mie nipoti, quali in realtà sono, perché nessuna distinzione, neanche
involontaria, si instauri nel rapporto da me, maestro, a tutti voi, allievi.
Le tue parole, Redha, le ho accolte nell’anima come altrettante
pugnalate… rabbia nei miei confronti, che mi dimostravo debole, odio estremo
nei confronti di Shun che, a tuo dire, mi aveva reso cieco: le ragazze
incredule ti ascoltavano, il fuoco celato tanto in profondità nello spirito di
Heather si stava risvegliando, come sempre ogni qualvolta venga urtato
qualcosa… qualcuno in cui crede fermamente… io, in quel caso e, in primo luogo,
Shun…
Intervenni con fermezza a sedare la tensione, prevedendo una
colluttazione inevitabile, sedando gli animi con calme parole; provai sollievo
nel notare che l’ascendente che sempre ho avuto su di te non era sopito… il
rispetto era intatto, forse non così la tua fiducia… non lo so, non so che
dire… posso solo sperare ora, in voi tutti… e sperare che il mio spirito possa
unirsi per sempre alle stelle di Kepheus, che splenderanno non sconfitte, non
spente dalla mia scomparsa… e da lassù vegliare su di voi e non abbandonarvi…
Con questa speranza libero la mia anima dal legame ormai inutile
con questo corpo inerme che più a nulla servirà e la lascio andare, scivolo nel
sonno… ritroverò i miei figli che durante l’addestramento e durante quest’ultima
tragedia hanno abbandonato
Questa è la tua
tomba. Sei stato solo uno stupido a fidarti di lui!
Pensavi che
egli fosse un dio al di sopra di Athena… questa è la giusta punizione per un
uomo empio…
Sei stato uno sciocco
e ora sei qui, pochi palmi al di sotto di questa terra, posso sentirti gemere
ancora, mentre la vita ti lascia, posso pensarti ancora in quegli ultimi
orrendi momenti.
Eppure, mentre
mi asciugo una lacrima sul viso rigato a sangue dal tuo allievo prediletto, mi
rendo conto che non riesco a ricordarti come il brillante martire di una causa
giusta.
Alla mia mente
affiora un vecchio ricordo: io, bambino, scendevo da un piccolo battello,
attraverso un mare che sapeva di odori malsani.
“Tu sei Rheda,
vero?! Io sono il tuo maestro…”
Rimasi
abbagliato da due occhi che avevano lo stesso colore dell’orizzonte, da una
fronte spianata e calma, da quel sorriso… il tuo sorriso, simile a quello del
sole…
Io risposi:
“Sì…”
E, in quel momento, per la prima volta dopo anni di umiliazioni, fui felice di
essere me stesso.